martedì 31 gennaio 2012

La guerra di Roberta alla “grande bestia” che voleva ucciderla

Colpita da miastenia quando era una ragazzina, la dottoressa Ricciardi è oggi uno dei fari nella lotta alla grave malattia.

di Mario Lancisi

 


PISA. Sali, sali, Roberta. E Roberta sale, passo dopo passo, la ferrata sul monte Nuvolau Dolomiti; un sentiero impervio, sotto si slargano i precipizi. E’ l’estate del 1969. L’Italia è attraversata da sogni rivoluzionari: la contestazione degli studenti, la rivolta degli operai. Anche Roberta sogna. Da poche settimane ha finito la 5ª ginnasio; da grande vorrebbe laurearsi in fisica. E danzare, lei che da piccola ha fatto danza classica, scalare montagne, nuotare...

Sale e sogna, Roberta. Sale e pensa al suo futuro che immagina largo, profondo, quasi infinito come il panorama che si vede dal Nuvolau. E’ felice di sè, della sua vita. Dei suoi sogni e pensieri. Quando improvviso arriva il Grande Crack. Come un tocco maligno del destino: le gambe non la reggono più. Come se si rivoltassero contro i suoi sogni. Cedono. Si bloccano.

Roberta si ferma. Si riposa sulla roccia infuocata e poi riprende fiato e a fatica raggiunge la cima. Sente che qualcosa è cambiato e non capisce cosa sia successo. Ne parla a casa con i genitori: «Mi è successa una cosa strana. Mentre salivo ad un certo punto le gambe non mi hanno retto...». E loro: «Roberta, non ti preoccupare, forse sarai stanca. Hai studiato tanto. E’ normale».

No, non è normale. Per Roberta inizia, sempre in bilico tra vita e morte, un calvario, una via crucis. Siamo venuti a Pisa, all’ospedale Cisanello, settore 10, in una stanzuccia, la numero 15, per farcela raccontare. Roberta Ricciardi è medico, segue più di 4mila malati di miastenia, una grave malattia che colpisce i muscoli del corpo. Quell’improvviso crack sul Nuvolau ha cambiato la vita a Roberta: da paziente di miastenia ne è diventata una della maggiori esperte in Italia. Sulla sua storia Roberta ha scritto anche un libro (con intervento di Luciano Pavarotti): Vivere la miastenia. Come innamorarsi di una malattia (Franco Angeli editore).

La miastenia, che le ha cambiato la vita, alla fine però ha spronato Roberta a conoscerla, la Grande Bestia, domarla, curarla. «Per favore, non la chiami la “bestia”. Io la miastenia la rispetto e in un certo senso le voglio anche bene. Mi ha insegnato tanto...», ci supplica Roberta.

Le unghiate della Grande Bestia crocifiggono il suo corpo: «Mi sentivo stanca, facevo fatica a salire le scale, a vestirmi, a pettinarmi. Quando il primo ottobre del 1969 inizio la 1ºliceo classico non riesco neppure a portare i libri in cima alle scale. Non ce la faccio più a ingoiare, a masticare, la voce diventa nasale, non mi riesce più neppure a sorridere», racconta Roberta.

Poi la lunga e faticosa ricerca di un nome da dare alla Grande Bestia. Anche perché gli esami sono tutti ok. Qualche medico scrolla il capo con i genitori di Roberta: «Questione di cuore. Vostra figlia deve aver preso una forte depressione dopo una cotta amorosa...». No, non è Cupido. Roberta è veramente malata, sentenziano altri medici. Di che? Forse ha un tumore al cervello. Dalla cotta al tumore...

Ricorda Roberta: «Ho dovuto smettere di respirare e praticamente “morire” perché mi credessero che ero malata sul serio. Attaccata ad un respiratore che mi teneva in vita sento pronunciare finalmente la diagnosi: Miastenia Gravis. Esulto pensando che la diagnosi comporterà una cura adeguata».

La Grande Bestia è stata individuata. Ma non ci sono cure. Rimedi. Farmaci. Gli fanno anche la timectomia cioè, l’asportaziona della ghiandola del timo, a Roberta. Finché nel 1973 in Usa scoprono che la miastenia è una malattia autoimmune, una malattia determinata cioè dalla produzione anomala di autoanticorpi killer diretti contro il recettore muscolare. Iniziano quindi i primi tentativi di trattamento col cortisone ad alte dosi. Roberta viene trasportata all’istituto neurologico Besta di Milano. Qui in pochi mesi Roberta riesce a staccarsi dal respiratore, a muovere qualche passo, a buttare giù qualche boccone.

Viene ricoverata in rianimazione per sette lunghissimi anni durante i quali Roberta continua a studiare e ad osservare la sua misteriosa malattia. «Osservavo la mia sofferenza e quella degli ammalati vicino a me cercando di farne tesoro. In quella condizione ho infatti capito l’importanza di un sorriso, di uno sguardo, di un’attenzione. Allora giurai a me stessa che se fossi un giorno riuscita a trovarmi al di là di quel letto, spartiacque tra la salute e la malattia, avrei elargito quei doni così preziosi. E che di tutto quello che avevo sofferto, visto, osservato, pianto o gioito avrei fatto il fondamento della mia vita».

La sfida di vincere la sua malattia non basta a Roberta. Altre vette, altre sfide l’appassionano. I medici ai genitori: sua figlia non può andare all’università: ma Roberta nel 1984 si laurea in medicina. Non può avere un marito: nel 1982 si sposa. Non può avere figli: nel 1987 Roberta dà alla luce un bel bambino di nome Alberto. Si scordi le Dolomiti, Roberta. Ed eccola di nuovo sciare sulle Dolomiti.

Ha vinto tutte le sue sfide. Grazie alla fede in Dio, dice Roberta. E ai suoi «straordinari» genitori. Ai suoi racconti e novelle per bambini. Alle rose antiche e inglesi, che ama coltivare nel suo giardino.

Quando un malato si presenta con il corpo a pezzi e l’anima in pena, Roberta lo rassicura: «Ora la miastenia la lasci sulle mie spalle, me ne faccio carico io. La conosco bene e non mi fa più paura...».

Il segreto, Roberta? «Avere fede. Capire che ogni malato ha la sua malattia. Che la medicina va sfrondata dalla burocrazia delle cose inutili. Non bisogna fare il medico ma essere medico. E soprattutto non mollare mai...».

Poi ci accompagna alla porta. Passa uno dei suoi malati, avrà un’ottantina d’anni. «Ecco, le presento il mio fidanzato...», scherza Roberta. E poi ci saluta così: «Mi raccomando: voglio un articolo spumeggiante...».

8 agosto 2011

FONTE: iltirreno.gelocal.it
http://iltirreno.gelocal.it/regione/2011/08/08/news/la-guerra-di-roberta-alla-grande-bestia-che-voleva-ucciderla-1.2627123


Questa storia ricolma di fede, coraggio e tanta tanta volontà ci insegna come il dolore si può mutare in qualcosa di buono, come da pazienti ci si può trasformare in medici, come con la forza della volontà e della fede si possono riuscire a realizzare cose ritenute impossibili, contro ogni logica previsione. E' quello che ha fatto Roberta Ricciardi, anzi... la Dott.ssa Roberta Ricciardi, che da malata grave di Miastenia gravis è diventata medico, ed ora si occupa proprio di coloro che sono colpiti da questa malattia. Veramente un grande esempio.
Grazie Roberta.

Marco

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