giovedì 26 novembre 2020

«La Sla ti porta via tutto: speriamo nelle terapie sperimentali»

Andrea Caffo è malato ma non si arrende e ha anche lanciato una raccolta fondi per aiutare la ricerca

di Damiano Scala

Andrea Caffo, malato di Sla che non si arrende. Quante vite ci sono in un'unica esistenza? Tante, tantissime. Pure troppe. Sarebbe impossibile contarle tutte. Succede quando hai un lavoro, una famiglia, tanti sogni nel cassetto e molte legittime aspirazioni. Poi una terribile malattia – la Sla (sclerosi laterale amiotrofica) – e la vita ti cambia.
Per il trentanovenne catanese Andrea Caffo oggi lottare vuol dire lavorare senza sosta per sensibilizzare l'opinione pubblica e far conoscere quanto più possibile la malattia ed i suoi effetti, richiedere l'accesso alle terapie sperimentali e raccogliere fondi per supportare la ricerca scientifica. «A giugno – racconta – ho pensato di lanciare l'iniziativa “Post Fata Resurgo” (motto dell'Araba Fenice risorta dalle sue ceneri) e ho creato un sito internet all'indirizzo “www.postfataresurgo.org” corredato anche da pagina facebook (https://www.facebook.com/ResurgoMNDALS), da Twitter (twitter.com/Resurgo_M-NDALS) e da Instagram (www.instagram.com/resurgo_mndals/). Ho lanciato anche un crowdfunding per la raccolta dei fondi da destinare al ProjectMinE». Malattia del Monteneurone, malattia di “Lou Gehring” e malattia di “Charcot”: i nomi per descrivere la Sla sono tanti ma il risultato è uno: aspettativa di vita che va dai 2 ai 5 anni e un tasso di mortalità del 100%.
«La Sla ti porta via tutto – prosegue – ecco perchè la ricerca diventa fondamentale per trovare la causa di questa malattia e poter quindi lavorare ad una soluzione definitiva. Il problema di base è che sembra non esserci la giusta attenzione mediatica da parte delle istituzioni. Il risultato? Il tempo passa e non si riescono a raggiungere obiettivi concreti». Con l'emergenza Covid-19 il rischio è che i malati di Sla si sentano ulteriormente messi da parte. «In altri paesi si stanziano molti più soldi per la ricerca sulle malattie neurologiche rispetto al nostro – dice Andrea Caffo – negli scorsi mesi ho scritto alle istituzioni italiane ed europee chiedendo l'abolizione dell'utilizzo del placebo dalle sperimentazioni sui farmaci per la Sla e consentire sia all'Ema che all'Aifa di accellerare il processo regolatorio per tutti quei farmaci che abbiano dimostrato efficacia per tutte le malattie con rapida e violenta progressione come la Sla».
«In quest'ultimo caso, esistono oggi almeno tre trattamenti che possono giocare un ruolo determinante nella lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica. Uno di questi è il “NurOwn”, di un'azienda di biotecnologia israeliana, che è giunto a conclusione della Fase 3 (dopo oltre 12 anni di sperimentazione) i cui risultati sono attesi per novembre. E' di vitale importanza, per noi, attivare gli iter necessari ad una approvazione immediata di questi farmaci evitando altre lungaggini burocratiche».

29 ottobre 2020

FONTE: La Sicilia

martedì 17 novembre 2020

“A Piacenza l’inquinamento è alle stelle”: Giovanna scrive a due ministri del governo

Cari ministri, qui l’inquinamento è alle stelle. Suona più o meno così l’incipit della lettera che Giovanna Sivelli, residente nel quartiere Besurica, ha recapitato ai ministri Giulia Grillo (salute) e Sergio Costa (ambiente).

Qualche giorno fa, la piacentina ha scritto di suo pugno una missiva agli esponenti del governo per evidenziare i vari sforamenti di polveri sottili registrati questo inverno a livello locale. Poi l’ha spedita tramite posta raccomandata, sperando che – oltre alla ricevuta di consegna – possa tornare sul territorio anche “una sensibilità maggiore per il tema ambientale”.

La donna, infatti, vive in prima persona gli effetti dello smog: soffre di "Sensibilità chimica multipla", una malattia rara (e non riconosciuta totalmente dalla comunità scientifica) che non le permette di tollerare gli agenti chimici diffusi nell’aria, tra cui appunto gli elementi inquinanti.

Ho deciso di portare alla vostra attenzione la condizione in cui si trova Piacenza – si legge nel testo indirizzato ai ministri -. Si tratta di una zona altamente industrializzata e poco ventilata, nelle immediate vicinanze dell’autostrada A1. Negli ultimi anni, qui si sono insediati diversi insediamenti logistici e tanti altri colossi mondiali vorrebbero aprire i loro immensi magazzini, causando parecchio inquinamento. Piacenza è scivolata in basso nelle statistiche ambientali”.


7 febbraio 2019

FONTE: Libertà

mercoledì 11 novembre 2020

“Sei solo un numero”, così Fiat-Fca ha licenziato a Melfi un operaio malato

Alla Fiat di Melfi gli operai sono solo numeri, non sono persone. E lo testimonia la storia assurda di Michele, cacciato dalla fabbrica perché nessuno crede alla sua malattia. È a lui che hanno detto in faccia: “Sei solo un numero”. Michele ha 49 anni, una moglie e due figli, tutti disoccupati. A raccontare la sua storia, con un’intervista, è il quotidiano online Basilicata24. Dal 1994 alla Fiat di Melfi, un giorno non ce l’ha fatta più. È il 22 aprile 2016, va alla Stazione Carabinieri di San Nicola e denuncia tutto. “Sei solo un numero” gli ribadisce il responsabile del personale, il giorno in cui per l’ennesima volta Michele prova a spiegare le sue ragioni. Sta male, ma nessuno sembra credergli, eppure ha gravi problemi di salute.

Mentre è al lavoro – si legge nell’articolo – è costretto a fermarsi, anche per correre in ospedale. Più volte, da quando gli hanno cambiato reparto. Diagnosi mediche inequivocabili, ignorate dai dirigenti, dice lui, "anche dal medico del lavoro": asma, intolleranza alle polveri, insufficienza respiratoria. Poi la diagnosi definitiva di una malattia a cui nessuno credeva: Sensibilità Chimica Multipla ed Elettrosensibilità. Lo hanno licenziato, ma solo dopo l’operaio ha avuto un po’ di giustizia. Michele ha lottato contro un clima ostile in una fabbrica dove "sei un numero"”.

Nel 2015 inizia il calvario che porterà al licenziamento. C’è una riorganizzazione aziendale in atto, dicono, perciò Michele deve passare ad altri reparti dove a causa della sua malattia però non può lavorare. L’operaio prova a spiegarlo in tutti i modi, scrive lettere, affronta colloqui con i superiori, presenta certificati medici di specialisti, diagnosi ospedaliere. Nonostante queste evidenze, le mansioni a cui viene assegnato presentano controindicazioni e livelli di rischio incompatibili con le sue condizioni di salute: polveri, fumi, irritanti delle vie respiratorie.

Un giorno, il 21 aprile 2016, dall’infermeria dello Stabilimento si rifiutano di chiamare il 118. Fa da sé, chiama l’ambulanza e va in ospedale: dispnea. “L’11 giugno alle 4 circa del mattino il supervisor mi chiama alla scrivania per farmi presente che mi doveva notificare la contestazione del 7 giugno a mano, ma prima di questo, mi informa che se mi volessi licenziare l’azienda dava da 20 a 30 mila euro”. Michele racconta: “Gli rispondo che non avevo intenzioni di licenziarmi ma che è l’azienda che sta facendo di tutto per farlo e che la contestazione la doveva spedire a casa come la precedente”. Michele viene licenziato l’11 gennaio 2017.

Pochi mesi dopo il professore Genovesi, specialista accreditato a livello internazionale, certifica che Michele è colpito da una malattia rara: Sensibilità Chimica Multipla ed Elettrosensibilità. “Malattia rara già riconosciuta dalla Regione Basilicata nel 2006 e nel 2013. Nel gennaio 2019 anche la Commissione per l’accertamento di invalidità riconosce a Michele di essere invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa. Il 26 gennaio 2017 Michele impugna il licenziamento, ancor prima aveva fatto ricorso per essere spostato di reparto e di mansione, ma gli danno torto in tutti e due i casi. A questo punto l’operaio avrebbe potuto impugnare le sentenze, produrre nuovi ricorsi, ma ha mollato per sfinimento, si è arreso. Non ce l’ha fatta”.


10 ottobre 2020

FONTE: Il Paragone

domenica 8 novembre 2020

La fattoria degli animali che non fa sentire soli i bambini disabili


Una fattoria in Texas ha trovato il modo per aiutare i bambini disabili a sentirsi meno soli. Si chiama "Safe", è situata ad Austin, e fa conoscere ai bimbi con disagi fisici o psichici altri animali che come loro sono in difficoltà. C'è chi per esempio non ha una zampa, o ha bisogno delle rotelle per camminare. Quando i bambini incontrano altri cani, gatti o pecore con disabilità capiscono che questa condizione può colpire tutti, e per i più piccoli è un modo per trovare conforto e conoscere se stessi.

La fondatrice si chiama Jamie Wallace-Griner: «tutto è cominciato quando abbiamo adottato un cane di nome Angel per aiutare il nostro bambino autistico», racconta. Hanno sempre amato gli animali, ma da quando Angel è entrato nella loro vita hanno capito che altri cani avrebbero potuto aiutare altri bambini come suo figlio. «Gli animali possono fare miracoli. Angel ci ha dato forza e ha aiutato nostro figlio a superare molte paure e a capire meglio le sue sensazioni e i suoi pensieri».


Jamie e suo marito hanno così comprato un ranch ad Austin nel 2014 e da allora è diventato la casa di molti animali compresi maiali, volatili e conigli. All’inizio le spese per mantenerli venivano pagate dalla famiglia, ma a un certo punto non erano più in grado di sostenere da soli tutte le cure veterinarie. Così nel 2018 hanno deciso di creare questa organizzazione non profit in modo da poter accettare delle donazioni. «Ogni animale che salviamo ha una storia da raccontare - dicono - e i bambini che vengono da noi con dei traumi possono confrontarsi con la vita degli animali e scoprire di non essere i soli ad avere delle difficoltà».

La fattoria offre una casa definitiva a molti animali, ma è anche un centro di riabilitazione. Loro aiutano infatti quattro zampe che hanno subito abusi o maltrattamenti, li aiutano a vivere meglio, e poi in alcuni cani quando le cure sono finite vengono anche adottati da altre famiglie.


di Cristina Insalaco

24 ottobre 2020

FONTE: La Zampa.it

lunedì 2 novembre 2020

Ha una malattia rara, calabrese costretto a trasferirsi in Messico per le cure: «Aiutatemi»


L'ex poliziotto è affetto dalla sindrome di Cogan in forma atipica ma in Italia non sanno come gestirla. L'ultima speranza sono le cure in una clinica di Cancun: «Mi sto spegnendo lentamente»

«Sto male, molto male, ho difficoltà quotidiane sia fisiche che mentali. Sto perdendo molti chili senza spiegazione». Esordisce così via skype Maurizio Coluccio, 49 anni, nell'intervista in cui mette a nudo la sua anima e chiede aiuto affinché la sua malattia smetta di torturarlo. Maurizio, originario di Praia a Mare, ha scoperto un decennio fa di soffrire della sindrome di Cogan in forma atipica, una malattia autodegenerativa tanto rara che al mondo risulta l'unico ad esserne affetto. Lo ha appurato dopo una ricerca mondiale condotta in Messico in cui gli scienziati hanno esaminato altri pochi casi simili, sette in tutto. Prima di andare precocemente in pensione a soli 42 anni, era un agente della Polizia stradale in sevizio nel Casertano. Oggi ha deciso di trasferirsi all'estero per curarsi e chiede un contributo economico per affrontare le spese.

Il volo della speranza nel 2014

È il 2013. Maurizio vive da solo in un piccolo appartamento a Praia e la notizia sul suo stato di salute, all'epoca già precario, ci mette poco a fare il giro del circondario. Arrivano le telecamere e la sua storia diventa di dominio pubblico. Lo affiancano associazioni e volontari del posto e la sua storia, grazie al web, arriva fino a Cancun, Messico, nonostante il dolore ai muscoli e agli organi interni. Qui c'è una clinica che cura malattie rare, ma non quella del 49enne. Poco male, i medici, che si mettono in contatto con lui, vogliono visitarlo per tentare di rallentarne il decorso con un autotrapianto di cellule staminali. In Italia non si può. Pochi mesi più tardi Maurizio è un uomo nuovo. Deve sempre fare i conti con un problema di salute e l'altro, ma trova la forza di reagire, cammina meglio, i dolori si calmano.

Il secondo trapianto di staminali

Sembra andare tutto per il verso giusto. Maurizio si trasferisce a Siena, nei pressi dell'ospedale Santa Maria alle Scotte, perché in Calabria la sanità è un disastro e proprio in quegli anni l'ospedale della cittadina tirrenica dove l'ex poliziotto vive, chiude i battenti. L'ospedale senese, invece, si fa carico della sua situazione anche se non ha idea di come gestirla, ma può intervenire subito su eventuali conseguenze. Ha sette infarti e un'embolia polmonare che gli mette fuori uso il polmone destro, ma è ancora vivo. Poi però accade che gli diagnosticano l'herpes Zoster, meglio conosciuto come il "fuoco di Sant'Antonio", e il suo organismo già scombussolato va in tilt. I progressi del 2014 vanno in fumo e lui è costretto a tornare a Cancun per un altro autotrapianto di cellule staminali.

Il peggioramento delle condizioni di salute

Per i primi mesi va tutto bene. Maurizio recupera forze ed energie e ricomincia piano a vivere nuovamente una vita quasi normale. Ma il virus dell'herpes zoster non ne vuole sapere di lasciare il suo corpo, nonostante le cure, e in pochi mesi la situazione precipita. Ha appena la forza di prendere in mano una bottiglia d'acqua, per sorreggersi deve comprare delle stampelle speciali che si legano al braccio e deve comprare un materasso particolare che gli consenta almeno di riposare.

I ritardi nelle cure a causa del Covid

A gennaio scorso Maurizio, come ogni nuovo anno, deve sottoporsi alla trafila di esami per capire a che punto è il suo reale stato di salute. Ma tra malasorte e destino infame si inserisce anche la pandemia mondiale. Deve aspettare, gli ospedali sono travolti dall'emergenza sanitaria dettata dal Covid e oltretutto lui il coronavirus non può vederlo neppure da lontano, o è la fine. Passano i mesi e intanto l'uomo passa, senza plausibili spiegazioni, dal pesare 84 chili ai 68 attuali. I medici non sanno che fare, qualcuno gli dice di rassegnarsi: un solo malato in Italia non fa testo, i soldi per la ricerca non bastano a studiare ogni cosa. È lasciato solo al suo triste destino e per mettere a tacere quei dolori lancinanti che nessuno sa come lenire si inietta una fiala di morfina al giorno.

La decisione di tornare in Messico

Maurizio è quasi rassegnato alla sua fine, ma poi, in un afoso giorno di luglio, accade che la sua amica Maddalena, 41 anni appena, se ne va tragicamente nel giro di poche ore per le complicanze di una malattia, anche questa rara. Ha un tuffo al cuore e proprio in quel momento capisce che deve lottare per la sua vita, deve provare a reagire. Nel trambusto del caos mondiale, decide che vuole tornare in Messico, nella clinica dove lo hanno già curato e dove si sono resi disponibili a studiare il suo caso, anche se è l'unico al mondo. Decisione per nulla facile, perché per decine di motivi sarà costretto a partire da solo, senza amici e senza la sua compagna, che gli è stato sempre a fianco nonostante le atroci sofferenze. «Sono dispiaciuto, non è stata una situazione facile - dice Maurizio -. Mi hanno convinto i miei familiari, soprattutto mio figlio, che ha 19 anni. Mi ha detto: vai a farti curare papà, così quando torni possiamo stare insieme. Ha visto un padre diverso in questi mesi, non mi riconosce più».

«Aiutatemi a vivere»

«Io ho sempre combattuto - dice -. Rendermi conto che mi sto spegnendo non riesco ad accettarlo». Per questo ora chiede aiuto. «Ho bisogno di soldi per poter partire e sistemarmi lì a Cancun per i primi giorni. Prevedo di rimanerci molto tempo, ma io vivo della sola pensione». Il suo appello ha motivazioni ancor più profonde: «Può capitare a chiunque di ammalarsi e aiutarmi significa aiutare se stessi. Spero che il mio grido di aiuto serva anche ad altri. Quante altre persone si sono sentite dire che non possono essere curate in Italia?». Per aiutarlo basterà seguire le indicazioni che troverete sul suo profilo Facebook oppure al gruppo "Un aiuto per Maurizio", dove l'ex poliziotto, oltretutto, racconta quotidianamente la sua battaglia conto la malattia.


di Francesca Lagatta

5 ottobre 2020

FONTE: La C News 24