martedì 31 gennaio 2012

La guerra di Roberta alla “grande bestia” che voleva ucciderla

Colpita da miastenia quando era una ragazzina, la dottoressa Ricciardi è oggi uno dei fari nella lotta alla grave malattia.

di Mario Lancisi

 


PISA. Sali, sali, Roberta. E Roberta sale, passo dopo passo, la ferrata sul monte Nuvolau Dolomiti; un sentiero impervio, sotto si slargano i precipizi. E’ l’estate del 1969. L’Italia è attraversata da sogni rivoluzionari: la contestazione degli studenti, la rivolta degli operai. Anche Roberta sogna. Da poche settimane ha finito la 5ª ginnasio; da grande vorrebbe laurearsi in fisica. E danzare, lei che da piccola ha fatto danza classica, scalare montagne, nuotare...

Sale e sogna, Roberta. Sale e pensa al suo futuro che immagina largo, profondo, quasi infinito come il panorama che si vede dal Nuvolau. E’ felice di sè, della sua vita. Dei suoi sogni e pensieri. Quando improvviso arriva il Grande Crack. Come un tocco maligno del destino: le gambe non la reggono più. Come se si rivoltassero contro i suoi sogni. Cedono. Si bloccano.

Roberta si ferma. Si riposa sulla roccia infuocata e poi riprende fiato e a fatica raggiunge la cima. Sente che qualcosa è cambiato e non capisce cosa sia successo. Ne parla a casa con i genitori: «Mi è successa una cosa strana. Mentre salivo ad un certo punto le gambe non mi hanno retto...». E loro: «Roberta, non ti preoccupare, forse sarai stanca. Hai studiato tanto. E’ normale».

No, non è normale. Per Roberta inizia, sempre in bilico tra vita e morte, un calvario, una via crucis. Siamo venuti a Pisa, all’ospedale Cisanello, settore 10, in una stanzuccia, la numero 15, per farcela raccontare. Roberta Ricciardi è medico, segue più di 4mila malati di miastenia, una grave malattia che colpisce i muscoli del corpo. Quell’improvviso crack sul Nuvolau ha cambiato la vita a Roberta: da paziente di miastenia ne è diventata una della maggiori esperte in Italia. Sulla sua storia Roberta ha scritto anche un libro (con intervento di Luciano Pavarotti): Vivere la miastenia. Come innamorarsi di una malattia (Franco Angeli editore).

La miastenia, che le ha cambiato la vita, alla fine però ha spronato Roberta a conoscerla, la Grande Bestia, domarla, curarla. «Per favore, non la chiami la “bestia”. Io la miastenia la rispetto e in un certo senso le voglio anche bene. Mi ha insegnato tanto...», ci supplica Roberta.

Le unghiate della Grande Bestia crocifiggono il suo corpo: «Mi sentivo stanca, facevo fatica a salire le scale, a vestirmi, a pettinarmi. Quando il primo ottobre del 1969 inizio la 1ºliceo classico non riesco neppure a portare i libri in cima alle scale. Non ce la faccio più a ingoiare, a masticare, la voce diventa nasale, non mi riesce più neppure a sorridere», racconta Roberta.

Poi la lunga e faticosa ricerca di un nome da dare alla Grande Bestia. Anche perché gli esami sono tutti ok. Qualche medico scrolla il capo con i genitori di Roberta: «Questione di cuore. Vostra figlia deve aver preso una forte depressione dopo una cotta amorosa...». No, non è Cupido. Roberta è veramente malata, sentenziano altri medici. Di che? Forse ha un tumore al cervello. Dalla cotta al tumore...

Ricorda Roberta: «Ho dovuto smettere di respirare e praticamente “morire” perché mi credessero che ero malata sul serio. Attaccata ad un respiratore che mi teneva in vita sento pronunciare finalmente la diagnosi: Miastenia Gravis. Esulto pensando che la diagnosi comporterà una cura adeguata».

La Grande Bestia è stata individuata. Ma non ci sono cure. Rimedi. Farmaci. Gli fanno anche la timectomia cioè, l’asportaziona della ghiandola del timo, a Roberta. Finché nel 1973 in Usa scoprono che la miastenia è una malattia autoimmune, una malattia determinata cioè dalla produzione anomala di autoanticorpi killer diretti contro il recettore muscolare. Iniziano quindi i primi tentativi di trattamento col cortisone ad alte dosi. Roberta viene trasportata all’istituto neurologico Besta di Milano. Qui in pochi mesi Roberta riesce a staccarsi dal respiratore, a muovere qualche passo, a buttare giù qualche boccone.

Viene ricoverata in rianimazione per sette lunghissimi anni durante i quali Roberta continua a studiare e ad osservare la sua misteriosa malattia. «Osservavo la mia sofferenza e quella degli ammalati vicino a me cercando di farne tesoro. In quella condizione ho infatti capito l’importanza di un sorriso, di uno sguardo, di un’attenzione. Allora giurai a me stessa che se fossi un giorno riuscita a trovarmi al di là di quel letto, spartiacque tra la salute e la malattia, avrei elargito quei doni così preziosi. E che di tutto quello che avevo sofferto, visto, osservato, pianto o gioito avrei fatto il fondamento della mia vita».

La sfida di vincere la sua malattia non basta a Roberta. Altre vette, altre sfide l’appassionano. I medici ai genitori: sua figlia non può andare all’università: ma Roberta nel 1984 si laurea in medicina. Non può avere un marito: nel 1982 si sposa. Non può avere figli: nel 1987 Roberta dà alla luce un bel bambino di nome Alberto. Si scordi le Dolomiti, Roberta. Ed eccola di nuovo sciare sulle Dolomiti.

Ha vinto tutte le sue sfide. Grazie alla fede in Dio, dice Roberta. E ai suoi «straordinari» genitori. Ai suoi racconti e novelle per bambini. Alle rose antiche e inglesi, che ama coltivare nel suo giardino.

Quando un malato si presenta con il corpo a pezzi e l’anima in pena, Roberta lo rassicura: «Ora la miastenia la lasci sulle mie spalle, me ne faccio carico io. La conosco bene e non mi fa più paura...».

Il segreto, Roberta? «Avere fede. Capire che ogni malato ha la sua malattia. Che la medicina va sfrondata dalla burocrazia delle cose inutili. Non bisogna fare il medico ma essere medico. E soprattutto non mollare mai...».

Poi ci accompagna alla porta. Passa uno dei suoi malati, avrà un’ottantina d’anni. «Ecco, le presento il mio fidanzato...», scherza Roberta. E poi ci saluta così: «Mi raccomando: voglio un articolo spumeggiante...».

8 agosto 2011

FONTE: iltirreno.gelocal.it
http://iltirreno.gelocal.it/regione/2011/08/08/news/la-guerra-di-roberta-alla-grande-bestia-che-voleva-ucciderla-1.2627123


Questa storia ricolma di fede, coraggio e tanta tanta volontà ci insegna come il dolore si può mutare in qualcosa di buono, come da pazienti ci si può trasformare in medici, come con la forza della volontà e della fede si possono riuscire a realizzare cose ritenute impossibili, contro ogni logica previsione. E' quello che ha fatto Roberta Ricciardi, anzi... la Dott.ssa Roberta Ricciardi, che da malata grave di Miastenia gravis è diventata medico, ed ora si occupa proprio di coloro che sono colpiti da questa malattia. Veramente un grande esempio.
Grazie Roberta.

Marco

lunedì 30 gennaio 2012

In stato vegetativo da 47 anni. La mamma: non lo abbandonerò mai

TAVAZZANO - Da 47 anni passa tutto il giorno con il figlio Giorgio, ridotto in stato vegetativo a sei mesi d´età dalla vaccinazione antipolio. Lui non parla, non cammina più, non reagisce agli stimoli, passa la giornata sdraiato sul divano. Va imboccato, lavato e accudito in tutto. Con lui c´è solo mamma Fernanda, 74 anni, una vita passata in simbiosi con il suo bambino rubato dalla malattia. «Non posso mai lasciarlo solo - spiega con gli occhi che luccicano - da cinque anni soffre di asma, potrebbe soffocarsi, in stanza ho dovuto mettere l´ossigeno, ogni tanto gli viene un collasso. Di notte sto al suo fianco, quando ha il riflesso di darsi dei pugni in testa lo abbraccio». A volte Giorgio non dorme per tre giorni di fila, e bisogna vegliare con lui, fino a quando sprofonda in un sonno simile al coma: «Mi sembra morto, mi spavento, poi lui riemerge, torna vivo. Il vegetale di prima».

Fernanda gli ha consacrato la propria vita. Sta con lui da sola al primo piano della palazzina Aler di via Rosselli a Tavazzano con Villavesco, in provincia di Lodi. Terzo di tre figli, nel giugno del 1961 subì danni al cervello a causa della vaccinazione contro la poliomielite. «Era normalissimo. Ma il giorno dopo la puntura ci fu il primo sintomo, uno scatto della testa. I medici di Lodi mi dissero che mi inventavo tutto, mi fecero passare per scema». Fu un luminare milanese a svelare il dramma: «Andammo al suo ambulatorio, 86mila lire di visita, tutto lo stipendio di un mese di mio marito ferroviere». Il verdetto: danni irreversibili al cervello, encefalopatia da farmaco. Giorgio non avrebbe mai parlato, il suo corpo si sarebbe sviluppato scollegato dalla mente. Impara a camminare, mangia solo se imboccato, ma resta in compagnia dei suoi fantasmi. «In 47 anni non ho mai avuto l´impressione che capisse qualcosa: è rimasto un neonato di sei mesi». «I dottori ci hanno spiegato che l´encefalite - aggiunge Furio, il fratello maggiore di 55 anni - gli ha bloccato il cervello: infatti non conosce l´aggressività, ogni tanto si dondola da solo come faceva sul cavallino».

A 12 anni compare l´epilessia con attacchi fortissimi, svenimenti. E la famiglia Ciuchi si scontra un´altra volta con la sanità pubblica: «Trovare uno specialista è stata un´impresa. Finché a Milano un medico ha selezionato i farmaci giusti». Il lutto per la morte del marito, del figlio Rolando, la signora Fernanda non molla mai. Per due volte manda il figlio in comunità, poi corre a riprenderselo. Quel bambino che ormai è un ragazzo, alto 1.60 e pesante 50 chili, è sempre più problematico. Nel ´99, mentre è seduto, scivola per terra e batte un´anca. «Al pronto soccorso dicono che è una piccola contusione, lo mandano a casa. Se ne accorge il fisioterapista dopo un po´: è il femore rotto, deve essere operato. Da allora è in carrozzina».

I danni causati dalla vaccinazione non sono mai stati risarciti. Fernanda vive con i 700 euro della pensione del figlio, e i 714 del marito. Paga 150 euro di affitto. Dopo aver lottato per tanti anni dentro si sente ancora forte, ma ha paura del futuro. Ricoverarlo? «Non ci penso, sto con lui. Mi sento sfortunata, ho dato troppo agli altri, ma a questo figlio voglio un bene dell´anima, non lo abbandonerò mai». Seduti sul divano ascoltano insieme la musica e guardano la tv: Giorgio non reagisce, ma la mamma quando sente certi episodi di cronaca aumenta il volume. Come per Welby, Eluana, e per l´ultimo caso di Bollate, in provincia di Milano, dove una figlia ha soffocato la mamma malata da anni: «Per me hanno tutti diritto di vivere così come sono, non vanno mai sospese le cure, se no è come se li ammazzassero».

di Mauro rancati

21 novembre 2008

FONTE: larepubblicamilano.it
http://milano.repubblica.it/dettaglio/in-stato-vegetativo-da-47-anni-la-mamma:-non-lo-abbandonero-mai/1549496


Da questa intensa storia, fatta di Amore e di dolore, emergono principalmente 2 cose:

1) Il potenziale effetto deleterio che possono avere i vaccini, tali da poter ridurre una persona in uno stato come quello di Giorgio. Questa è una cosa di cui bisogna tenere ben in conto ogni qualvolta si porta a vaccinare i propri figli, e di cui purtroppo non si parla mai abbastanza.

2) L'immenso Amore della madre di Giorgio, Fernanda, che da tutta la propria vita per accudire il proprio amato figlio malato e disabile.
Esiste forse un Amore più grande di quello delle madri, su questa Terra? Io credo proprio di no! Onore al merito a lei e a tutte le madri che si spendono per i propri figli, malati o sani che siano, con un Amore che, se non esistesse, certamente cesserebbe di esitere anche la vita. Grazie a tutte voi!

Marco

venerdì 27 gennaio 2012

Una speranza per la piccola Giulia


Giulia Montera, nasce a Corigliano Calabro, presso l’ospedale "G. Campagna" il 30 Marzo 2010. Maria Lauricella, madre della piccola, per ben nove mesi e’ stata seguita nel reparto di Ostetricia e ginecologia di Corigliano.

Giulia, per i propri genitori Gabriele e Maria, è una piccola grande vittima della malasanità, tanto che il suo papà Gabriele Montera ha dovuto farsi sentire e vedere rivolgendosi alla televisione, al Ministero della Salute e alla Commissione parlamentare sui disastri sanitari in Calabria. La figlia era affetta da malformazione cerebrale, ritardo neuro motorio e crisi epilettiforme focale.... ma nessuno in Calabria se n'era accorto.

Pesava poco Giulia già dentro la pancia della mamma, appena 1 Kg e 900 grammi alla nascita. Se ciò non fosse bastato ad insospettire i sanitari quando era un feto, dopo, è stato anche peggio. La neonata fu dimessa dall’ospedale "Guido Compagna" di Corigliano con la diagnosi di perfetta salute, nonostante i continui allarmi e richieste di aiuto lanciati invano dalla mamma, che preoccupatissima continuava a ripetere che la bimba stava male e soffriva.

Soffriva e peggiorava a vista d'occhio fino a quando i genitori Gabriele e Maria non hanno reagito, ribellandosi alla sanità calabrese e portando la figlia a Roma, dove arriva viva, ma per poco: al pronto soccorso e in codice rosso. A Roma viene ricoverata in terapia intensiva neonatale con una prima diagnosi di “disturbi nell´alimentazione, scarso accrescimento, piede torto equino varo supinato bilaterale e reflusso gastroesofageo”. Giulia viene ricoverata altre 2 volte a Roma, presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesu’ e qui riceve una seconda diagnosi di "epilessia focale in bambina con malformazione celebrale e ritardo neuro motorio, sospetta Pachigiria". Nel terzo di questi ricoveri, in contrasto con le diagnosi dei medici del Guido Compagna di Corigliano, viene portata in bronco pneumologia per gravi problemi di respirazione e dopo accertamenti viene trasferita nel reparto di chirurgia digestiva dove subisce tre operazioni: piloristomia, nissen e peg.

Oggi Giulia continua nei suoi viaggi della speranza (ne vanta all'attivo ben 58) pellegrinando tra Roma, Milano, Verona e Lecco, l'ultimo dei quali avverrà proprio oggi, 28 gennaio 2012, dove la bambina verrà accolta presso il Centro neurologico e scientifico “Carlo Besta” di Milano, attesa dall’equipe tecnica della prof.ssa Zibordi e quella scientifica della prof.ssa Uziel. Ricovero milanese resosi necessario per l’aggravarsi delle patologie della piccola Giulia, per accertamenti più approfonditi e specifici.
La speranza dei genitori per il futuro è quella di poter portare la loro bambina negli Stati Uniti o in Canada dove esistono centri altamente specializzati.

I genitori di Giulia, papà Gabriele e mamma Maria, non vantano una posizione economica redditizia, infatti vivono solo di pensione e non possono permettersi le spese che devono sostenere. Per questa ragione si sono attivati con serate ed iniziative a tema finalizzate a raccogliere fondi in favore della loro piccola, ma la risposta a tali iniziative, spiegano i genitori, “è stata più che negativa facendo registrare uno scarso senso di solidarietà della cittadinanza coriglianese, che forse ha preferito altro, piuttosto che contribuire ad aiutare una sua concittadina colpevole solo di essere nata nel posto sbagliato; infatti anche questo è oggetto al vaglio dei magistrati rossanesi, che in questi giorni dovrebbero esprimersi in merito”.

Mamma Maria, con la sua dignità di sempre, nonché con la trasparenza e lealtà che la contraddistingue, non si ferma e non molla. Giulia ha bisogno di aiuto economico e per questo è stato aperto un conto corrente bancario per la tracciabilità degli aiuti intestato a Gabriele Montera e una carta Postepay.


CARTA POSTEPAY


Numero: 4023 6006 4575 9046

Codice fiscale: LRCMRA68H65G273A 


Intestatatio: Maria Lauricella (la mamma di Giulia)


CONTO CORRENTE BANCARIO

Codice Iban: IT92H0200832974001216577102 – Banca Unicredit

Intestatario: Gabriele Montera (il papà di Giulia)



L’appello è sempre lo stesso che va avanti da 18 mesi: “Aiutatemi ad aiutare mia figlia”.
Si può contribuire anche attraverso il contatto Facebook di Maria Lauricella (
https://www.facebook.com/maria.lauricella.98?fref=ts), mamma di Giulia, o attraverso l’Associazione Onlus “Una lotta per la Vita” (https://www.facebook.com/pages/UNA-LOTTA-X-LA-VITA/125826954181307).

La piccola Giulia – spiega il giornalista Fabio Pistoia, che cura dal punto di vista comunicativo la campagna di sensibilizzazione per conto della famiglia della bambina e della suddetta Associazione – deve partire per un suo diritto costituzionalmente garantito. Giulia ha il diritto di curarsi, se non per guarire quantomeno per migliorare le sue condizioni di salute e la sua qualità di vita. Per trasparenza, i genitori della piccola coriglianese fanno anche sapere che la richiesta di aiuto economico non viene chiesta perché Giulia deve pagare le visite, ma perché le stesse, dato che sono fatte in regime ambulatoriale, necessitano di permanenza in quel di Milano con le naturali spese di viaggio e permanenza stessa. La speranza è che qualcosa inizi a cambiare e che tutti si attivino ed aiutino questa figlia di Corigliano”.

FONTI: unasperanzaxgiulia.it, cn24.tv, kayenna.net

Il sito di Giulia:





Con molto piacere, ma anche con apprensione, racconto sul mio blog la storia della piccola Giulia, una bambina che ha dovuto affrontare varie peripezie fin dalla nascita, ma che grazie all'Amore e all'instancabile determinazione dei propri genitori continua il suo percorso di cura e di vita nella speranza di un futuro migliore. La speranza dei genitori è quella di potersi trasferire in un prossimo futuro negli Stati Uniti o in Canada, dove la bambina potrebbe ricevere cure mirate in centri specializzati per la sua delicatissima situazione. Per arrivare a questo la famiglia di Giulia ha anche pensato di fare un film su di lei, per arrivare ad avere i fondi necessari per intraprendere queste cure, ma ad oggi nessun produttore si è dimostrato interessato.
Purtroppo oggi (maggio 2014) la situazione della piccola Giulia è molto critica: è in ospedale, ha appena subito una delicatissima operazione, ha febbri ricorrenti e viene continuamente intubata. Ora più che mai la piccola Giulia e la sua famiglia hanno bisogno del nostro aiuto !
Cosa possiamo fare noi per la piccola Giulia? La possiamo aiutare facendo un offerta libera per la sua causa alle coordinate indicate nell'articolo.
Consiglio anche, per approfondimenti sulla situazione di Giulia, di entrare nel suo sito internet e di diventare amici, tramite facebook, di sua madre Maria (le coordinate sono indicate sopra), oppure di visionare qualcuno dei tanti video che sono presenti su You Tube.

Adesso più che mai non facciamo mancare il nostro contributo di solidarietà per il bene della piccola Giulia.... fare qualche offerta libera (ciascuno secondo le proprie possibilità) e divulgare la sua storia, può essere molto importante per regalare alla piccola un futuro migliore. Sosteniamola anche con la nostra preghiera. Grazie di vero cuore a chi lo farà.

Marco


ULTIMO AGGIORNAMENTO: 16 maggio 2014

mercoledì 25 gennaio 2012

"Io, malata da anni senza stipendio: licenziatemi"


L'appello di Valentina, affetta da Mcs: risulto dipendente, nessun altro mi assume

di Benedetta Salsi

FERRARA - È passato più di un anno; signora Malagutti, come sta?
«Be’, la malattia la tengo ferma, proprio perché sono rimasta a casa, nel mio ambiente protetto. Solo così riesco ad averla sotto controllo. Tutto il resto, se possibile, è peggiorato».

Si riferisce allo stipendio?
«Non arriva da due anni e mezzo. In tutto questo tempo non è cambiato nulla. Anzi. Il prefetto ci aveva ricevuto a giugno del 2010, ci aveva detto che si sarebbe interessato. Poi, il silenzio».

Nessuno l’ha aiutata?
«Mi avevano anche spiegato che sarebbe stato meglio che il telelavoro me lo trovassi da sola. Ma tutti quelli che ho contattato, mi rispondevano che in quanto dipendente pubblica non potevo muovermi in autonomia. In più, da febbraio, sono scaduti i 18 mesi».

Di aspettativa?
«Sinceramente non lo so. Non l’ho ancora capito come mi abbiano classificata. Da sei anni non lavoro; da due e mezzo mi hanno tolto lo stipendio. Risulto, dal certificato che mi hanno spedito, in assenza ingiustificata. Quindi in teoria a febbraio sarebbe dovuto scattare il licenziamento».

Ma non l’hanno licenziata.
«No». Scoppia a ridere. «L’hanno bloccato. Sono dipendente della prefettura, non mi pagano, ma nessuno mi licenzia. Così non posso neanche cercarmi un altro impiego».

Lei, nel frattempo, si è mossa?
«Ho fatto di tutto. Nel 2011, un tecnico informatico che non riesce a lavorare da casa è incredibile. Una barzelletta. Le capacità non mi mancano, la voglia nemmeno. Ho messo insieme un’associazione per la dislessia, ho organizzato un doposcuola, dato lavoro ad alcuni ragazzi».

Proposte?
«Avevo richiesto una riduzione dell’orario al 50%. Niente. Il mio avvocato ha scritto loro in estate: c’era un posto libero all’Inail. Hanno replicato che era solo un’ipotesi, non sono obbligati a fare alcunché, dicono. Avevamo scritto anche al ministero dell’Interno. Silenzio».

Due figli, uno minorenne, l’altra disoccupata. Ora che farà?
«Non lo so. Avrei anche bisogno di terapie, ma senza soldi non riesci. Non so che fare. Volevamo addirittura attaccare volantini per la città, ma ci hanno fermati».

Che cosa chiede oggi?
«Un incontro col prefetto. Che ci ascolti. Vorrei capire che cosa è stato fatto, perché è stato bloccato il licenziamento. Se mi devono lasciare a casa, avanti; si decidano. Poi sia quel che sia. Ma non lo fanno perché sono ammalata. Io, però, così non ce la faccio più. Sono un’impiegata fantasma, dimenticata nel nulla. E da fantasma, mi creda, non si mangia molto».

3 gennaio 2012

FONTE: ilrestodelcarlino.it
http://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cronaca/2012/01/03/646874-malata_anni.shtml


RISOLVIAMO IL DRAMMA MCS


Intervengo sul caso della signora Valentina Malagutti, pubblicato ieri perchè mi ha molto colpito in senso negativo. L’MCS è una malattia terribile che nei casi più gravi, e ce ne sono, taglia fuori una persona dalla vita, pur lasciandola in vita. A questo dramma già di per se rilevante se ne aggiunge un altro non meno grave perchè l’MCS non è considerata una malattia. Io sono uno dei pochissimi parlamentari tra Camera e Senato ad aver portato in Parlamento la questione sia con una proposta di legge che prevede, appunto il riconoscimento da parte dello stato italiano della Sensibilità Chimica Multipla come malattia grave e invalidante, sia con un question time in commissione sanità all’allora Ministro della Salute Fazio.

Inutile dire che nessuna delle due iniziative ha avuto esito positivo. La proposta di legge, come quella presentata dalla collega del Pdl Calabria, è chiusa un cassetto e non è mai stata neppure calendarizzata. All’interrogazione presentata la risposta del Ministro è stata la solita, ovvero che per l’Istituto Superiore di Sanità e di conseguenza per lo stato l’MCS non esiste e di conseguenza coloro che ne sono affetti non possono essere riconosciuti come malati. A fronte di questo quadro desolante, che ha portato uno di questi malati che risiedeva proprio nella nostra regione in provincia di Ravenna a togliersi la vita per disperazione, la vicenda della signora Malagutti da voi segnalata colpisce perché alla sventura della malattia si aggiunge quella della burocrazia. Infatti la signora che non percepisce più stipendio dalla Prefettura non può svolgere un altro lavoro, che pure le sue competenze gli consentirebbero di svolgere da casa, perchè non è stata ancora licenziata nonostante sia considerata assente ingiustificata dal posto di lavoro.

Mi auguro che l’appello lanciato al Prefetto per un incontro venga raccolto al più presto, ma soprattutto mi auguro che questo incontro possa essere utile a risolvere il problema burocratico, che come segnalato dal Carlino dura da oltre un anno. Per quanto mi riguarda, essendo la signora Malagutti una dipendente del Ministero dell’Interno, cercherò di offrire un piccolo contributo interessando alla questione il Ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri attraverso la presentazione di un’interrogazione, chiedendole di attivarsi quanto meno per troncare il limbo burocratico-amministrativo nella quale versa con pesanti ripercussioni economiche, come lo stipendio azzerato, la signora. Purtroppo e lo dico con sconforto al momento la questione MCS non sembra risolvibile dal punto di vista del riconoscimento clinico della malattia, anche a seguito di timori assolutamente ingiustificati sul fatto di aprire una strada molto ampia sul fronte della cause di lavoro. Ma almeno alla sventura che colpisce chi si ammala di questa malattia fantasma, non si aggiungano follie burocratiche come quella relativa al caso sollevato dal Carlino.

Silvana Mura, parlamentare Idv

4 gennaio 2012

FONTE: ilrestodelcarlino.it
http://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cronaca/2012/01/04/647249-risolviamo_dramma.shtml


A 2 giorni di distanza dal primo articolo, pubblico la II° parte della storia paradossale di Valentina Malagutti, paradossale perchè questa signora malata di Sensibilità Chimica Multipla non lavora e non percepisce stipendio da due anni e mezzo pur non essendo mai stata licenziata dal suo posto di lavoro, la Prefettura.
Al suo caso particolarissimo si è interessata la parlamentare Idv Silvana Mura, cui va il mio sentito ringraziamento per essersi occupata di lei, nonchè di tutta la questione inerente il riconoscimento dell'MCS. Purtroppo però, con grande amarezza, le sue parole lasciano poco adito a speranze: L'MCS per la nostra sanità non esiste e di conseguenza coloro che ne sono colpiti non possono essere considerati malati.

Perchè tutto questo, perchè l'MCS non viene riconosciuta tra le malattie croniche invalidanti? Forse perchè non è considerata una vera malattia? No, queste sono tutte scuse! Certo, ci sono ancora dei medici che sostengono questo, ma sono sempre meno, sempre più isolati, tanto più che l'MCS è perfettamente riconoscibile attraverso esami tossicologici e genetici mirati. Perchè allora non viene riconosciuta, a fronte di migliaia di casi in tutt'Italia?

Perchè riconoscere l'MCS significherebbe dover attribuire tante nuove pensioni d'invalidità.
Perchè riconoscere l'MCS obbligherebbe il nostro sistema sanitario nazionale a predisporre luoghi adeguatamente bonificati in ospedali e Asl.
Perchè riconoscere l'MCS significherebbe creare piani per l'inserimento al lavoro di questi malati, creando luoghi opportunamente bonificati in uffici o aziende statali e incentivandone la creazione presso esercizi e aziende private.
Perchè riconoscere l'MCS significherebbe includere dal nostro sistema sanitario nazionale esami tossicologici e genetici costosi che adesso sono quasi interamente a carico del malato facendoli pagare come ticket, nonchè assumersi l'onere di accollarsi, almeno in parte, le spese di cure adeguate come terapie disintossicanti o altro, che naturalmente sono ad oggi ancora e sempre a carico del malato.
Perchè riconoscere l'MCS (e le sue varianti, come l'EHS, cioè l'ipersensibilità elettromagnetica) significherebbe AMMETTERE che viviamo in un mondo inquinato, molto inquinato, e quindi dover predisporre più severe norme anti-inquinamento, sia per quanto riguarda l'inquinamento chimico, sia per ciò che concerne l'inquinamento elettromagnetico.

Il malatto di MCS, per tutte le ragioni esposte sopra, viene visto come una "patata bollente", come un "malato scomodo", come un malato che porterebbe a notevoli fuoriuscite da un punto di vista economico..... e allora si preferisce lavarsene le mani, fare finta di niente e continuare con la storiella (a cui neppure loro credono, ma che utilizzano come pretesto) che l'MCS in realtà non esiste.
E così tutto continua come è sempre stato.... e intanto i malati aumentano, si aggravano... e muoiono (!) abbandonati a loro stessi da uno Stato indifferente, omertoso e quindi colpevole, colpevole di non assumersi le proprie responsabilità dinanzi a una piaga sempre più grave e dilagante.

Marco

lunedì 23 gennaio 2012

Per una malattia rara perde il posto e lo stipendio

La storia di Valentina Malagutti: "Vittima della burocrazia". La donna, affetta da sindrome di Sensibilità Chimica Multipla, una forma particolare di intolleranza, da un anno esclusa dalla Prefettura

 


FERRARA - I primi sintomi sono iniziati nel febbraio del 1999; poi, in un crescendo di problemi fisici, per Valentina è iniziata una vera odissea. Sia di natura medica, sia nei confronti della burocrazia. La donna, madre di due figli dislessici, è dipendente della Prefettura da 24 anni; ma dall’ottobre del 2009 è senza stipendio, né lavoro. Le uniche somme che percepisce, sono quelle dell’assegno di assistenza erogato dall’Inps.

Il problema di fondo si chiama MCS, la ‘sindrome di Sensibilità Chimica Multipla’: una patologia inserita tra le malattie rare, causata dall’impossibilità delle persone che ne soffrono a tollerare un dato ambiente chimico o una classe di sostanze chimiche. Per Valentina, si è manifestata tra il 1999 e il 2000, poco dopo il trasferimento della Prefettura a palazzo Giulio d’Este, appena ristrutturato: «Accusavo frequenti spasmi alla laringe, poi broncospasmi — ricorda — e dolori muscolari fortissimi. In quel periodo non frequentavo nessun altro luogo oltre alla mia casa, che è sempre la stessa da quando avevo nove anni, ed avendo due bimbi di cui uno piccolo, non andavo neppure al cinema».

E’ iniziato così un confronto serrato su due fronti: quello medico, per tentare una soluzione alla malattia che, riconosciuta negli Usa ed in qualche Stato europeo, in Italia viene spesso considerata come un disturbo psicosomatico. Ma soprattutto quello con la Prefettura, per cercare di far attrezzare il proprio ufficio in modo tale da poter lavorare: «In famiglia siamo in quattro, mio marito lavora ma abbiamo due figli di cui uno con l’invalidità civile riconosciuta — racconta la donna —, non è certo possibile provvedere a tutto con un solo stipendio. Abbiamo dovuto rinunciare anche a terapie specifiche per i disturbi di cui soffre mio figlio. Con pochi soldi, come si fa?».

Il suo stipendio, infatti, le è stato definitivamente azzerato il 28 ottobre 2009, dopo una serie infinita di ricorsi, certificazioni mediche, esami da parte delle commissioni sanitarie, test nei laboratori e persino prove di... permanenza negli uffici del palazzo del Governo: nel giugno 2007, ed anche lo scorso 3 maggio (quando peraltro l’erogazione dello stipendio era già stata bloccata dalla direzione provinciale del Ministero dell’Economia) Valentina ha provato a utilizzare gli spazi messi a sua disposizione in Prefettura; ma si sono nuovamente scatenate reazioni asmatiche e bronchiali, e riemersi forti dolori articolari.

Da alcuni anni, comunque, Valentina aveva proposto una soluzione — anche attraverso esponenti del sindacato, oltre che con i legali che hanno seguito la sua vicenda —, rappresentata innanzitutto dalla possibilità di utilizzare un ufficio appositamente attrezzato, anche con l’impiego di speciali vernici (già studiate ad esempio in America e Germania) oltre che con un computer collegato agli altri uffici in modo da non doversi spostare per i vari spazi della Prefettura. Ma ciò non ha avuto buon esito: «La ristrutturazione del luogo di lavoro — sottolinea la donna — è stata attuata senza accogliere la nostra indicazione di utilizzare ditte specializzate e materiali idonei».

A quel punto, si sono aggravati i problemi di natura fisica, e dopo un lungo distacco per malattia nel febbraio 2009 il Ministero dell’Interno ha respinto anche la richiesta di pensione di inabilità e di equo indennizzo. Ed addirittura, all’inizio di quest’anno, le è stato notificato l’avviso di un «accertamento di un debito per assegni ridotti, di cui appena possibile verrà comunicato l’ammontare».

Insomma, senza uno stipendio né un posto (oltre agli spazi della propria casa), e con la minaccia di dover restituire anche le indennità percepite tra il 2005 ed il 2009. Ma Valentina continua a inseguire il sogno del proprio lavoro: «Sono stata fra i primi giovani ferraresi a svolgere un corso regionale per programmatore di computer — ricorda —, e nel 1985 avevo ricevuto esito positivo in ben quattro concorsi, da quello di dattilografa alla Pretura di Comacchio alla Pubblica Istruzione, dall’Ufficio del Tesoro di Bologna alla Prefettura, dov’ero stata assunta come operatrice del Ced ed in seguito, per dodici anni, ho lavorato come impiegata all’ufficio delle invalidità civili».

A questo punto la speranza si chiama ‘telelavoro’: grazie alle nuove tecnologie, ma anche alla conoscenza delle funzioni amministrative sviluppata in oltre vent’anni di attività, Valentina potrebbe ancora essere produttiva e guadagnarsi lo stipendio. Ma anche dimostrare di essere vitale («La situazione che si è venuta a creare in questi anni mi ha portato ad una pesante depressione», confida); tuttavia, dopo un ultimo incontro svolto a metà maggio, sul suo caso è sceso un silenzio tombale: «L’amministrazione non mi ha più contattato, e se non ci fossero mio marito, i miei figli e gli amici che mi aiutano, mi sentirei una specie di reclusa», chiude Valentina.

di Stefano Lolli

9 dicembre 2010

FONTE: ilrestodelcarlino.it
http://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cronaca/2010/12/09/426698-malattia_rara.shtml


"Classico" esempio di come una malattia invalidante ed estremamente limitante come l'MCS ti porta in poco tempo a perdere il lavoro e la vita sociale, e questo con la totale inerzia delle istituzioni che si dimostrano del tutto passive ed inefficenti. Una situazione triste che purtroppo si ripete sempre e che lascia i malati di questa patologia (e non solo), abbandonati a loro stessi.

Marco

domenica 22 gennaio 2012

Diossine ed inceneritori: nuove evidenze di danni alla salute

Ancora storie di latte materno contaminato in Emilia Romagna in aree interessate dalla presenza degli inceneritori, mentre a Pisa i cittadini si organizzano per raccogliere firme a favore della chiusura delle attività dell'inceneritore di Ospedaletto. Ma perché la legislazione europea è incapace di fornire soluzioni efficaci?

Le diossine, i furani e i PCB (policlorobifenili) rientrano in diversi ambiti della politica ambientale come inquinanti organici persistenti (POP, persistent organic pollutants).

Al pari di altri POP, le diossine, i furani e i PCB vengono trasportati al di là delle frontiere e costituiscono una minaccia per l’ambiente e per la salute umana in quanto si bio-accumulano attraverso la catena alimentare. Possono danneggiare il sistema immunitario, quello nervoso e il sistema endocrino, provocare disturbi della funzionalità riproduttiva, oltre ad avere una sospetta azione cancerogena. I feti e i neonati sono i più sensibili all’esposizione a tali sostanze.

Questa preoccupazione a livello planetario ha trovato espressione nella convenzione di Stoccolma dell’UNEP (United Nations Environment Programme – Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) sugli inquinanti organici persistenti, di cui la Comunità Europea è diventata parte contraente nel febbraio 2005, nonché nel protocollo del 1998 sui POP della convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza dell’UNECE (Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa).

Nel 1993 il Consiglio Europeo aveva stabilito lo scopo di raggiungere la riduzione del 90% delle emissioni di diossina da fonti note entro il 2005 rispetto ai valori del 1985. Il 12 Dicembre 2001 il Consiglio appoggia la strategia proposta dalla Commissione sulle diossine, i furani e i bifenili policlorurati (strategia sulla diossina). La strategia è duplice: da una parte si propone di ridurre la presenza di diossine, furani e PCB nell’ambiente e, dall’altra, mira a ridurne il tenore nei mangimi e negli alimenti.

Ancora nella seconda relazione sull’attuazione della strategia, che sintetizza le attività intraprese dalla Commissione nel periodo 2004-2006, si legge però:

“Nel settembre 2006 è stata adottata una strategia tematica sulla protezione del suolo, comprendente una proposta di direttiva quadro che prescrive agli Stati membri di prevenire la contaminazione del suolo, compilare un inventario dei siti contaminati e risanare i siti individuati. Per quanto riguarda i rifiuti, il regolamento sui POP dispone la distruzione degli inquinanti o la loro trasformazione irreversibile in altre sostanze. Questo principio generale ammette alcune deroghe, per la cui applicazione sono stati adottati, nel 2006 e nel 2007, due regolamenti che fissano valori limite per le diossine, i furani e i PCB”.

Non soltanto gli obiettivi del 1993 non sono stati raggiunti, ma gli studi della Commissione non evidenziano il rapporto fra la produzione di diossine e l'incenerimento incontrollato dei rifiuti. Il monitoraggio delle fonti industriali da una parte e i controlli tossicologici dell'inquinamento alimentare dall'altra non sono integrati in una strategia operativa unitaria capace di raggiungere gli obiettivi per la riduzione completa delle diossine. Mentre si offrono delle deroghe e si stabiliscono soglie minime di POP, non si offrono incentivi per l'applicazione di buone pratiche che consentano di dismettere gli impianti inquinanti ed introdurne nuovi, efficaci e compatibili con l'ambiente e la salute umana.

Intanto, appena qualche settimana fa, il 18 Dicembre 2011, il Resto del Carlino diffondeva la notizia della presenza di diossina nel latte materno di due donne della provincia di Ravenna (Savarna e Porto Corsini), nell'area della ricaduta delle polveri dell'inceneritore Hera. Il problema è stato portato alla pubblica attenzione dal Movimento 5 Stelle, che un anno prima aveva chiesto al consorzio Inca di Marghera di analizzare due campioni di latte materno di due donne non fumatrici e residenti nell'area minacciata da più di cinque anni. Benché privi di valore statistico, i risultati colpiscono perché le concentrazioni di diossina in ciascuna donna superano rispettivamente di 3 e 4 volte il limite consentito per legge per il latte di mucca (pari a 6 miliardesimi di milligrammo).

Le verifiche sulla presenza di diossina nelle matrici biologiche hanno un precedente recente in Emilia Romagna: pochi mesi fa l'associazione Medici per l'Ambiente aveva condotto a Forlì degli accertamenti su dei polli allevati a breve distanza dagli inceneritori di Hera e Mengozzi. Le cifre sono inferiori rispetto a quelle di Savarna e Porto Corsini, ma difficilmente questi casi possono essere definiti 'eccezionali'. Come fa notare il Gruppo Consiliare del Movimento 5 stelle del Comune di Ravenna, è importante tener presente che “tutti i cittadini di zone industrializzate sono nelle stesse condizioni di esposizione”.

Senza spostarsi troppo dall'Emilia Romagna, un caso analogo è rappresentato dalla provincia di Pisa, dove il comitato NonBruciamociPisa ha raccolto cento firme nella sola giornata del 20 Dicembre a favore delle petizioni contro lo sforamento di diossine dell'inceneritore di Ospedaletto e contro il superamento dei limiti delle polveri registrato dalle centraline di Piazza del Rosso.

L'inceneritore dell'area di Ospedaletto è attivo da circa una ventina d'anni e nel 2003 ingenti somme sono state spese per la sua ristrutturazione (i Comuni della provincia pisana si sono fatti carico di 40mln di euro tramite l'azienda a capitale completamente pubblico Geofor). Tuttavia, solo pochi anni dopo sono stati necessari nuovi interventi che hanno comportato ulteriori spese, ultime quelle del 2011.

Numerose evidenze (nube viola del 2007; scoperta del conferimento di rifiuto radioattivi all'inceneritore nel 2008 ed infine gli attuali sforamenti dei limiti di emissione di diossina) confermano che ulteriori investimenti nell'impianto di incenerimento di Ospedaletto non sono giustificati a fronte degli alti livelli di raccolta differenziata ottenuti con il porta a porta (72% a Vecchiano e 65% a S. Giuliano T.).

I sottoscrittori chiedono che venga data attuazione a quanto richiesto con la petizione del 2007 e che pertanto l'inceneritore di Ospedaletto non riprenda la sua attività e che il denaro pubblico venga utilizzato per estendere il sistema di raccolta porta a porta a tutta la provincia, per promuovere iniziative di riduzione dei rifiuti e per la costruzione di impianti a freddo per il trattamento meccanico biologico del residuo della raccolta differenziata.

di Elisa Magri

20 gennaio 2012

FONTE: ilcambiamento.it
http://www.ilcambiamento.it/inquinamenti/diossine_inceneritori_nuove_evidenze_danni_salute.html


Come e perchè si continuino a realizzare nuovi inceneritori, oppure a spendere ingenti somme per rimodernare quelli vecchi, per me rimane un autentico mistero visto che in tutt'Europa si tende a chiudere gli inceneritori e questo a vantaggio di una sempre più capillare raccolta differenziata, nonchè nell'incentivazione della riduzione degli scarti e nell'utilizzo di sistemi a freddo per il trattamento dei rifiuti residui non recuperabili. Tutto questo considerando anche che le risorse del nostro pianeta non sono infinite (petrolio in primis) e quindi l'obiettivo di ridurre al minimo possibile la produzione di rifiuti deve essere la LOGICA strada da percorrere per il futuro.
E invece in Italia non è così, si realizzano nuovi inceneritori come quello monstre di Brescia o come quello che sta sorgendo a Parma (la food valley italiana ed europea) e questo, come detto, in netta controtendenza con quanto sta accadendo dovunque. La cosa mi rammarica enormemente, perchè significa che da noi manca veramente una cultura ecologica e coloro che ci governano se ne infischiano grandemente di tutelare l'ambiente e la salute dell'uomo, approvando progetti come questi che sono OBSOLETI, SUPERATI, COSTOSI e sopratutto DELETERI. In una sola parola: ASSURDI!
Quanta delusione, quanta amarezza in tutto questo.... quanta mancanza di buon senso in chi ci governa e, lasciatemelo dire, molto spesso anche da parte del popolo, che fa salire al potere persone che non hanno a cuore le sorti del paese, e questo per mancanza di conoscenza e di voglia di menefreghismo. Purtroppo però gli sbagli si pagano, e la realizzazione di nuovi inceneritori sono uno sbaglio che pagheremo in tanti.

Marco

venerdì 20 gennaio 2012

Bimbo disabile senza casa da un mese: appello via facebook di Tiziano e dei suoi genitori al Comune di Roma

Tiziano ha 11 anni, è un tifoso della Roma e ha un piccolo grande sogno: una casa sicura per lui e per i suoi amorevoli genitori. L'appartamento in cui vivevano a Dragoncello, entroterra del XIII Municipio, non è più abitabile dopo l'alluvione del 12 dicembre scorso.

Dragoncello - Tiziano ha 11 anni, è un tifoso della Roma e ha un piccolo grande sogno: una casa sicura per lui e per i suoi amorevoli genitori. L'appartamento in cui vivevano a Dragoncello, entroterra del XIII Municipio, non è più abitabile dopo l'alluvione del 12 dicembre scorso. "E' stato un incubo quel giorno – racconta mamma Viviana con il fiato corto, negli occhi ancora le immagini di quelle ore terribili – l'acqua saliva sempre di più ogni minuto, la corrente è saltata, i macchinari di Tiziano si sono fermati". Non è nemmeno la prima volta che la casa comunale di via Ottaviani finisce sott'acqua, con la corrente che salta ogni volta mandando in tilt i macchinari che aiutano Tiziano a respirare. Il bimbo è affetto da una rara malattia genetica degenerativa, la Leucodistrofia di Pelizaeus Merzbacher, che non gli permette di camminare, parlare, mangiare da solo. A dicembre però senza l'intervento dei vigili del fuoco il dramma di questa famiglia poteva trasformarsi in tragedia.


"Eravamo bloccati in casa, nemmeno l'ambulanza riusciva a raggiungerci – spiega ancora Viviana Cuna, mamma-coraggio sempre col sorriso sulle labbra, nonostante i problemi, nonostante tutto, che ogni tanto si avvicina al suo 'principe' e gli da un bacio – tanto che i pompieri hanno dovuto caricarsi in spalla mio figlio per portarlo in salvo". Da allora è iniziato un altro incubo per questa famiglia. Un incubo replicato già nel 2004, 2006 e 2008, ad ogni alluvione, senza che nessuna istituzione abbia mai dato una risposta all'emergenza di questi genitori. Papà Patrick intanto rimane nella casa di Dragoncello per evitare sciacallaggi e occupazioni abusive, mentre Viviana e Tiziano vivono in un residence a Ostia Antica: troppo costoso per loro ma non vogliono riportare il bimbo in una casa dove non c'è sicurezza. Le pareti sono ancora umide, il sottoscala per oltre tre metri è finito sott'acqua e tutto il materiale medico di Tiziano è stato inglobato dal fango. Si attende quindi che il Comune di Roma trovi a questa famiglia un alloggio alternativo ed evitare di fargli trascorrere un altro Natale da alluvionati come l'ultimo. Una sistemazione alternativa era stata già richiesta negli anni passati, ad ogni alluvione, ad ogni allagamento.

"Il Comune sta lavorando per cercarci una sistemazione ma i tempi purtroppo sono stretti. – si appella Viviana – Tiziano deve vivere in un ambiente sereno, con ampi spazi dove si può muovere tranquillamente con la sua carrozzina attrezzata e dove il suo letto con tutti i macchinari salvavita attaccati può entrare. Speriamo in una rapida soluzione". L'appello però è rivolto a tutti: tramite la pagina facebook di Viviana Cuna https://www.facebook.com/profile.php?id=100001802449303&sk=info o attraverso il gruppo creato per Tiziano: https://www.facebook.com/pages/Per-Tiziano-un-Arcobaleno-tra-Amore-e-Speranza/210845185659428?sk=info 

Nel sito http://www.firmiamo.it/diamo-una-casa-a-tiziano---- si può, o meglio in questo caso si deve, aiutare questa famiglia, aggiungendo la propria adesione alla raccolta firme per dare una casa a Tiziano.

di Valeria Costantini

FONTE: ostiatv.it
http://www.ostiatv.it/bimbo-disabile-senza-casa-da-un-mese-appello-via-facebook-di-tiziano-e-dei-suoi-genitori-al-comune-di-roma-0008415.html





Invito tutte le persone che leggeranno questo post a firmare la petizione http://www.firmiamo.it/diamo-una-casa-a-tiziano---- affinchè venga data una nuova casa a Tiziano e alla sua famiglia, una casa che non sia più a costante rischio di allagamento come quella in cui hanno vissuto finora, ma che possa essere salubre, sicura e adatta alle sue esigenze dettate dalla sua grave patologia.
Sinceramente mi aspetto che il Comune di Roma si muova al più presto in questa direzione, poichè NON E' VERAMENTE POSSIBILE che non venga riconosciuta una sistemazione adeguata ad una famiglia che vive certe problematiche e che ha dovuto passare quello che ha passato in questi ultimi anni. Se siamo un paese civile certe cose NON DOVREBBERO MAI ACCADERE! Avanti allora, ognuno di noi faccia la sua parte firmando questa petizione.... l'obiettivo è quello di arrivare a 5000 firme. Un grazie sentito a chi lo farà.

Marco

giovedì 19 gennaio 2012

Francia, raddoppiano le leucemie infantili vicino le centrali nucleari


Le Monde, autorevole quotidiano francese, a pag.7 nell’edizione di ieri venerdì 13 gennaio 2012, dedica una bella mezza pagina allo studio francese condotto da Jacqueline Clavel a proposito dell’aumenti di casi di leucemia infantile nei pressi delle centrali nucleari. Lo trovate qui: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/ijc.27425/abstract

La ricercatrice è direttrice dell’Unità 754 dell’Inserm nonché membro del Cesp e ha dimostrato la correlazione tra la frequenza delle leucemie infantili e la prossimità di una centrale nucleare. Ma restano ancora sconosciute le cause.

Le leucemie acute rappresentano il 30% dei cancri che colpiscono i bambini. Dopo il ripristino nel 1990 in Francia di un Registro nazionale dei tumori infantili il numero dei casi annuali (l’incidenza) nella fascia d’età tra gli 0 e i 14 anni è restata stabile intorno ai 470 casi. Ci sono 80 casi tra i 15 e i 19 anni. I fattori di rischio per questo genere di cancro che va a colpire i globuli bianchi restano ignoti. La genetica spiega che il 5% delle leucemie acute dipendono da fattori ambientali e le radiazioni ionizzanti sono state messe sotto accusa.

L’équipe della Clevel che include anche scienziati dell’IRSN ha lavorato a partire dal Registro nazionale delle emopatie dei bambini dal 2002 al 2007 . Hanno realizzato uno studio comparativo tra casi di leucemia (2753 bambini al di sotto dei 15 anni) e un gruppo di età analoga di soggetti testimoni (popolazione generica pari a 5000 per anno), comparando le incidenze delle leucemie nella popolazione di bambini e adolescenti che vivono nel raggio di 5 Km da una centrale nucleare e nella popolazione pediatrica in generale. Ebbene il risultato è che la probabilità per un bambino o un’adolescente di soffrire di una leucemia è di 1,9 volte più elevata se vive a meno di 5 Km da una centrale nucleare. I casi osservati sono 14 contro 7,4 casi nella popolazione testimone. L’indice, se riferito a bambini al di sotto dei 5 anni è ancora più elevato con 8 casi osservati su 3,6 della popolazione testimone, dunque 2,2 volte in più.

Gli autori dello studio però prendono le distanze dalla possibile spiegazione di una crescita di rischio leucemia nei pressi delle centrali nucleari a causa del rilascio di radionuclidi nell’aria. Spiega Jacqueline Clavel:

Non abbiamo ritrovato alcuna associazione tra l’aumento del rischio di leucemia e la zona geografica stabilita in funzione della dose di radiazioni a cui i soggetti sono stati esposti. Le dosi sono mille volte inferiori della radioattività naturale. Sarebbe dunque necessario identificare i fattori che spieghino le nostre osservazioni. Il nostro studio mostra una correlazione tra le leucemie in prossimità di una centrale nucleare. Ma poiché non abbiamo identificato i fattori che le causano non possiamo giungere a conclusioni in termini di prevenzione.

Ovviamente gli scienziati autori dello studio invitano altri colleghi a approfondire con nuove ricerche le cause. Di certo è chiaro che non conviene vivere nei pressi di una centrale nucleare se non oltre i 5 km.

14 gennaio 2012

FONTE: ecoblog.it
http://www.ecoblog.it/post/14257/francia-raddoppiano-le-leucemie-infantili-vicino-le-centrali-nucleari

lunedì 16 gennaio 2012

«Rivoglio la mia vita» In tv l'odissea di Chiara allergica al mondo

di Mauro Zucchelli

LIVORNO. «Ho recitato, ho fatto l'animatrice: sono sempre stata una persona che ha cercato il contatto con la gente, adesso sono costretta ad evitare ogni contatto. E' veramente molto doloroso, credetemi».
La voce di Chiara Pantani esce dal televisore all'ora di pranzo: l'inviato di "I fatti vostri", il salotto tv di Giancarlo Magalli su Rai Due, ha portato telecamere e microfono nella casa della ragazza livornese "allergica al mondo" che nei mesi scorsi ha raccontato ai lettori del Tirreno la propria odissea di malata di "MCS", l'ipersensibilità agli agenti chimici. Chiara spiega come passa le giornate: «Scappando dagli odori». E cosa le manca di più della vita normale che faceva fino a pochi anni fa: «Lavarsi il viso, mettersi un abito e uscire». 

E' allergica a tutto ma non è rassegnata, arresa, sconfitta. Anzi, quando le chiedono cosa si augura per l'anno appena iniziato, dice chiaro e tondo il senso della battaglia che lei e la sua famiglia stanno facendo: «Spero che questa malattia venga riconsociuta dal sistema sanitario». Aggiungendo poi: «Spero di stare meglio così da poter essere anche di aiuto agli altri. E magari che qualcuno aiuti anche me. A fare cosa? A tornare su quel palcoscenico che tanto amo e che tanto mi manca. E poi a farmi una bella pastasciutta».
Magalli rileva che, nonostante l'estrema durezza della condizione di vita, dalle frasi di Chiara traspare un sorriso, una gran voglia di vivere. Anche se la trentenne livornese non può neanche vedersi in tv perché le fa male agli occhi. In studio ovviamente non c'è lei, impossibile pensare di affrontare un viaggio che l'avrebbe portata a contatto con una infinità di elementi chimici che la fanno soffrire. In tv è la madre Carla Compiani a spiegare quel che Chiara deve affrontare ogni santo giorno: come l'enorme sete che la brucia da dentro («è capitato che bevesse addirittura otto bottiglie d'acqua da un litro e mezzo, ora invece beve con il contagocce e "mangia" attraverso la "Peg" nella pancia»). E' una via crucis quotidiana che riguarda anche i familiari: basti pensare che, come ricorda mamma Carla, «quando tornerò a casa da mia figlia, mi spoglierò sul pianerottolo, andrò dritta nella vasca a lavare via tutti gli odori che possano "ferirla" e poi finalmente potrò entrare nella sua stanza a salutarla».
Ma nella "piazza" dello studio 1 Rai di via Teulada c'è anche il prof. Giuseppe Genovesi, endocrinologo del Policlinico Umberto I, uno degli studiosi che in Italia hanno approfondito questa malattia rara. La prima cosa che fa è cancellare proprio questa definizione:
macché rara, - afferma - è una patologia che, a differenti livelli di gravità e con una ampia varietà di casistiche, interessa probabilmente «il 2% della popolazione». L'avevano ripetuto anche i genitori di Chiara: negli Stati Uniti gli studi su questa malattia sono assai più avanzati, la definiscono la "sindrome del Golfo" perché ha colpito molti soldati al ritorno dalla prima guerra in Iraq. Di più: già negli anni cinquanta erano stati diagnosticati casi, soprattutto fra gli addetti dell'industria navalmeccanica, a causa del contatto professionale con tipi di vernice particolarmente tossica. In effetti, è considerata una patologia di reattività all'inquinamento: sono in tilt gli enzimi che nell'organismo hanno il compito di smaltire fisiologicamente queste tossine. La difficoltà - è stato ripetuto - è anche quella di arrivare alla diagnosi: a questa malattia viene imputata spesso una origine psicologica e questo finisce per farli curare a suon di psicofarmaci che, paradossalmente, accentuano l'intolleranza "allergica" del malato. Non è affatto semplice il rapporto con i farmaci: le case farmaceutiche non investono nella ricerca - dice la madre - perché non ne hanno il tornaconto. Il prof. Genovesi aggiunge che i pazienti sono spesso intolleranti anche agli eccipienti e questo raddoppia i problemi. Ma proprio il luminare romano apre la porta a una qualche speranza: nel suo ospedale sono state inaugurate alcune stanze adatte alla cura di questi malati, per i quali altrimenti è impossibile perfino essere ricoverati in caso di emergenza. E' quel che chiede Chiara: «Datemi la possibilità di sapere che l'ospedale non mi chiude la porta in faccia».

4 gennaio 2012

FONTE: iltirreno.gelocal.it
http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2012/01/04/news/rivoglio-la-mia-vita-in-tv-l-odissea-di-chiara-allergica-al-mondo-1.3039866





Un ottimo servizio quello proposto nella trasmissione "I fatti vostri" di Giancarlo Magalli, sulla storia di Chiara Pantani e, in generale, sulla MCS.
Mi auguro che altre trasmissioni come queste possano essere riproposte in televisione, ma sopratutto mi auguro veramente che l'MCS possa essere riconosciuta dal nostro sistema sanitario nazionale e i tanti malati di questa terribile e invalidante patologia possano ricevere l'aiuto e il supporto di cui hanno tanto bisogno, primo fra tutti l'allestimento di locali a loro idonei negli ospedali e nelle Asl.
Le parole di Chiara, il suo sorriso e la sua voglia di vivere tenacemente la vita, nonostante tutte le difficoltà della sua patologia, sono di quelli che conquistano, e da parte mia gli faccio tutti gli auguri di questo mondo di poter migliorare le sue condizioni di salute e, com'è suo espresso desiderio, di poter aiutare altri malati come lei. Tanti auguri per tutto Chiara.

Marco

domenica 15 gennaio 2012

La donna arlecchino: la storia di Nelly


La più rara e grave forma di genodermatosi (alterazione genetica della pelle) ha un nome che sembra innocuo: è la cosiddetta “ittiosi Arlecchino”. Eppure, dietro questo nome, si cela una patologia quasi invariabilmente fatale per il bambino.

L’ispessimento degli strati cheratinici della pelle porta alla formazione incontrollata di squame dure, dalla forma di diamante, e a un colorito generalmente rosso. Inoltre la bocca, le orecchie e gli occhi così come gli arti possono risultare contratti o permanentemente invalidati. Le scaglie di cheratina impediscono i movimenti del bambino, e poiché la sua pelle si spacca là dove dovrebbe piegarsi, le ferite sono spesso a rischio di infezione.
Con un simile quadro clinico, non stupisce sapere che i neonati affetti da ittiosi Arlecchino non sopravvivono normalmente più di qualche giorno.

Ma è qui che arriva la parte sorprendente. Nusrit Shaheen, Nelly per gli amici, è affetta da questa sindrome. Oggi, ha ben 26 anni.


Ogni mattina e ogni sera Nelly si adagia in una vasca da bagno riempita di paraffina liquida. E questo è solo un passo della rigida prassi terapeutica che deve seguire per impedire che le scaglie si formino sul suo corpo. Creme, scrubbing, medicinali sono la sua quotidianità, per mantenere le giunture della pelle flessibili e scongiurare il rischio che il derma si secchi. Colliri, addirittura, perché le scaglie potrebbero formarsi sul retro delle sue palpebre. Ma a parte questa routine inflessibile, Nelly scoppia di salute.

Nelly ha convissuto con la sua malattia per tutta la sua vita. Ogni volta che sbatteva contro qualcosa, la pelle tendeva a rompersi, e lei doveva fasciarsi per evitare infezioni. Per gran parte della sua giovinezza, la ragazza si è nascosta in vestiti abbondanti, cappellini con visiere per nascondere il volto, e via dicendo. Ma oggi ha imparato a reagire. Riesce a controllare il suo problema medico talmente bene che non viene quasi più seguita dai medici. Non ha più paura di apparire, anzi: ha deciso di diventare una sorta di testimonial per la fondazione britannica per le malattie della pelle (British Skin Foundation). Da sportiva qual è, ha partecipato alla maratona in Sutton Park organizzata a fini benefici, è stata intervistata in televisione, e ormai non sembra fermarla più nessuno. Dopotutto, è la persona affetta da ittiosi Arlecchino più longeva del mondo.

I medici non si azzardano a fare una prognosi nel mio caso. Nessuno dice niente. La mia respirazione è ottima, e finché sto attenta e mi prendo cura di me, dovrei rimanere in salute”.

8 luglio 2010

FONTE: bizzarrobazar.com
http://bizzarrobazar.com/2010/07/08/la-donna-arlecchino/


Dopo la dolorosa storia del piccolo Luigi Pio affetto dalla rarissima "ittiosi arlecchino", pubblico ora la storia di Nelly, una ragazza colpita dalla stessa terribile patologia. Terribile sì, perchè è quasi sempre mortale dopo pochi giorni dalla nascita, ma Nelly è la prova vivente che anche con una terribile malattia come questa si può convivere e vivere la propria vita, sia pur con tutti gli accorgimenti e le precauzioni del caso.
Auguro a Luigi Pio e a Nelly una vita lunga e prospera.... vita che non sarà certamente facile vista la loro malattia, ma il coraggio e l'intraprendenza di Nelly ci dicono che nulla è impossibile a questo mondo.

Marco

venerdì 13 gennaio 2012

Luigi, tre anni e malato grave. Parte la gara di solidarietà

Di Benedetta Sangirardi

Francesco e Teresa sono giovanissimi e vivono a San Ferdinando di Puglia. Hanno un bambino di tre anni gravemente malato, sono senza risorse economiche e la Asl della Bat (Barletta-Andria-Trani) non paga le medicine, le pomate, e tutto quello che serve a lenire le sofferenze del piccolo. Lui bracciante agricolo, lei casalinga, sono i genitori di Luigi Pio, affetto da una malattia genetica rarissima, l'ittiosi congenita del tipo 'Harlequin' (ittiosi arlecchino).

La storia della famiglia di San Ferdinando di Puglia ora sta facendo il giro d'Italia. Una catena di solidarietà si è mossa per il piccolo. Privati cittadini stanno intasando con telefonate i centralini della redazione di Affaritaliani.it per aiutare la famiglia Memeo.

Dopo il clamore sollevato le istituzioni hanno cominciato a muoversi con promesse di risoluzione in tempi brevissimi. Si è impegnato anche il presidente della regione, Nichi Vendola: "Sono accaduti disguidi e ritardi nelle consegne dei farmaci che sono inaccettabili quando si tratta di pazienti con malattie rare e croniche" - scrive Vendola sulla sua pagina Facebook.

L'INTERVISTA - Affaritaliani.it ha cercato la famiglia per capire se qualcosa si è mosso dopo il clamore mediatico e dopo l'intervento del presidente Vendola: "Dopo tutto questo trambusto - spiega mamma Teresa al telefono - la Asl ci ha chiamato per dirci che ci mette a disposizione le medicine per Luigi. E che da oggi le medicine ci sono e ci saranno sempre. Non ce le toglieranno più, anche se a loro mancano i soldi per comprarle".

Ma prima voi ricevevate già l'aiuto dell'Asl. Poi che cosa è successo?
"Sì, fino alla scorsa estate non avevamo avuto problemi. Poi un giorno siamo andati e ci hanno spiegato che non potevano più darcele per problemi economici della Asl e che dovevamo comprarle da soli".

Ora siamo a gennaio. Come avete fatto in questi mesi per curare Luigi?
"Avevamo qualche medicina da parte. Invece di curare il piccolo 4-5 volte al giorno come avrei dovuto, lo lavavo ogni due o tre giorni o una volta al giorno per mancanza di pomate e creme".

Come sta adesso suo figlio?
"Il problema di Luigi è che ha una pelle sensibilissima, problema dovuto a questa malattia rarissima. Ha sempre bisogno di essere idratato con pomate. Si gratta in continuazione perché la sua pelle è molto secca. E purtroppo la situazione è peggiorata da quando non viene curato e lavato per 4-5 volte al giorno. Ora spero possa migliorare. La sua è una malattia inguaribile. Ci sono stati casi di ragazzi morti anche a 20 anni per la sua stessa malattia. E dovrà prendere medicine e sciroppi a vita".

Di che cosa ha bisogno?
"Il bambino è in cura presso la dermatologia pediatrica del policlinico di Bari e avrebbe bisogno oltre che dell'ordinario, di almeno quattro trattamenti al giorno, di interventi chirurgici per migliorare la limitata capacità delle mani, dei piedi, degli occhi, per poter parlare, cosa che non può fare. Ha bisogno di idratazione continua, perché la sua pelle si squama e si spacca".

Questo comporta che il piccolo non vada all'asilo e non riesca a vivere una vita come gli altri bambini della sua età?
"No, non può fare niente. Ha malformazioni alla bocca, agli occhi, al naso. Non può condurre una vita normale. Ha bisogno di interventi chirurgici. Siamo stati a Roma, a Bologna, al Gaslini di Genova. Ma gli interventi non sono possibili perché non abbiamo soldi. Neanche per prendere un treno, figuriamoci per pagare un intervento".

Avete una casa?
"Siamo in affitto, abbiamo due sfratti. Da due anni non riusciamo a pagare. Ci avevano promesso una casa popolare. Ma niente. Ci sono persone che hanno una casa di proprietà e gli è stata assegnata una casa popolare. Per noi solo promesse. Ce ne sono alcune nuove, mai abitate e mai assegnate. Perché non ce la danno? Ho un bimbo che non può uscire, non può prendere freddo, non può vedere il sole, non può andare al mare. Vive in una campana di vetro. Lo posso far uscire di casa solo per i controlli medici. Ha bisogno di un paio di occhiali particolari. Ma non ho soldi per comprarli".

Il presidente Vendola ha fatto "muovere" la Asl...
"Sì, e ora lancio un appello al presidente per avere una casa popolare, un lavoro. Luigi rischia sempre di prendere infezioni. Noi stiamo facendo tutti gli sforzi che possiamo. I medici mi dissero che non sarebbe sopravvissuto a questa malattia. E invece è qui e io devo lottare per lui. Vendola deve aiutarci".


Questo è il Conto Corrente per aiutare Luigi Pio e la sua famiglia:

Banco Posta - IT 63L0760115700001003087028
Intestato a - Memeo Francesco e Memeo Luigi Pio


12 gennaio 2012

FONTE: affaritaliani.libero.it
http://affaritaliani.libero.it/cronache/luigi-tre-anni-bari-bat-malato-asl110112.html?refresh_ce


Provo un senso d'inquietudine quando posto storie come questa.
Fino a questa estate l'Asl di appartenenza di questa famiglia aveva sempre provveduto alle cure del piccolo Luigi Pio, affetto dalla rarissima e quasi sempre mortale ittiosi arlecchino. Ora purtroppo non può più farlo per mancanza di soldi.... e così la famiglia di Luigi Pio non sa più dove sbattere la testa! Se questi sono gli effetti della crisi economica allora siamo veramente nei guai, perchè è veramente ASSURDO che a rimetterci siano sempre e sopratutto i più deboli e i più poveri, quando invece ci sono tanti, tanti sprechi che potrebbero essere evitati e tante persone che vivono nell'opulenza a dispetto di altre, come questa famiglia, che invece sono nell'indigenza e hanno bisogno di tutto. Sì perchè ora questa famiglia ha bisogno veramente di tutto: delle medicine per Luigi Pio (anche se ora la Asl ha detto che provvederà... speriamo), di far urgentemente operare il piccolo per la sua terribile malattia, di una casa.

Chiedo con il cuore a chiunque ne abbia le possibilità, di fare un offerta alle coordinate sopraindicate, per aiutare il piccolo Luigi Pio e la sua coraggiosa famiglia. Siamo in tempi di crisi, lo so, ma aiutare queste persone bisognose sarebbe un gesto bellissimo per chiunque, un esempio di altruismo e generosità di cui in questi tempi c'è molto bisogno. Grazie di cuore a chi lo farà.

Marco

mercoledì 11 gennaio 2012

«Io sono paralizzata, mia madre ha 102 anni»

«Non chiedo la luna, solo ciò che mi spetta». Franca Ghelardi ha 67 anni e combatte da sempre contro la distrofia muscolare. Le sono garantite solo 6 ore di assistenza domiciliare a settimana, «e nelle altre come faccio?»

di Juna Goti

LIVORNO. «Non chiedo la luna, ma solo ciò che mi spetta di diritto: più ore di assistenza domiciliare». Franca Ghelardi ha 67 anni e da quando era adolescente combatte contro una bestiaccia che si chiama distrofia muscolare: una malattia degenerativa che anno dopo anno si mangia i muscoli del corpo, fino a quando gambe e braccia non riescono più a muoversi. È lei stessa a raccontare la sua storia in una lunga lettera-appello alle istituzioni, «perché i servizi sociali mi garantiscono assistenza per 6 ore settimanali, ma nelle altre come faccio?».

«Sono completamente immobile - racconta - riesco con fatica ad alzare la mano destra e a muovere lentamente gli occhi e la testa, cose che per la maggior parte delle persone sono normalissime, ma per me restano l'unico sollievo». «La mano - scrive - mi permette di muovere il mouse e di tenermi collegata al mondo grazie al pc, gli occhi mi fanno guardare intorno, vedere i miei nipoti e la vita che scorre, anche se lenta e sempre uguale».

Franca non è sola, ha una famiglia che le sta vicina: il marito Franco (73 anni), la figlia e i tre nipoti piccoli, la mamma Amneris che «vive con me, è in salute, ma ha 102 anni e non posso certo pretendere che si occupi di me, in un contesto normale sarebbe il contrario». I muscoli hanno inziato a non ascoltarla più qualche anno fa, dopo che ha subito tre delicati interventi. «E pensare che ero una gran ballerina», dice con il sorriso e gli occhi lucidi mentre guarda la finestra della sua camera.

«Sei mesi fa - racconta - mio marito ha avuto un malore mentre eravamo in auto con nostro nipote e portato in ospedale gli hanno riscontrato tre infarti». Il Tirreno raccontò quei momenti drammatici e allo stesso tempo pieni di coraggio, con il nipote adolescente che riuscì a fermare l'auto in corsa senza controllo, al rientro da Tirrenia.

«Mi chiedo e vi chiedo: come può quest'uomo occuparsi di una moglie paralizzata che ha bisogno di essere cambiata, lavata, alzata?». Le assistenti della cooperativa Il Quadrifoglio, incaricata e pagata dal Comune, possono aiutarla solo sei ore a settimana: «Sono tre angeli, davvero. Ho chiamato in municipio e dopo che mi hanno rimbalzata da un ufficio all'altro, mi sono sentita rispondere che sei ore bastano e avanzano: ma avete la più pallida idea di come vive una malata di distrofia muscolare? Non chiedo la luna, chiedo solo ciò che mi spetta di diritto, ovvero più ore di assistenza domiciliare, visto che c'è anche chi ne ha fino a 18. Mi dicono di prendere una badante privata, ma non è giusto».

Alle difficoltà legate alla malattia si aggiungono le spese che devono sostenere tutte le famiglie, come il mutuo, e quelle di cui non si può fare a meno: i farmaci, i mezzi per spostarsi («abbiamo comprato su internet un'auto attrezzata, altrimenti non sarei più uscita»).

La donna e la sua famiglia chiedono l'aiuto delle operatrici «anche il giovedì e il sabato e almeno un'ora la sera, per l'igiene personale». «Spero che questo appello - chiude Franca - non resti inascoltato, perché io come molte altre persone nella mia situazione, meritiamo una vita più dignitosa».

31 ottobre 2011

FONTE: iltirreno.gelocal.it
http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2011/10/31/news/io-sono-paralizzata-mia-madre-ha-102-anni-5218371


Pensare che a una malata di distrofia muscolare come Franca vengano date solamente 6 ore di assistenza personale alla settimana, ovvero meno di un ora al giorno, è una cosa che stringe il cuore.... tanto più nella sua situazione famigliare, con un marito anziano e malato e una madre ultracentenaria. Mi auguro con tutto il cuore che il suo appello non rimanga inascoltato e le ore di assistenza a sua disposizione vengano aumentate, come lo stato della sua grave malattia richiede.
Non posso fare a meno di pensare come lo stato di crisi in cui è entrato il nostro paese possa finire per ripercuotersi anche sui malati gravi come Franca.... francamente la cosa mi spaventa molto, vista la limitatezza dell'assistenza che già ora lo Stato fornisce a malati e disabili gravi. Spero, spero con tutto il cuore che non siano proprio loro a doverci rimettere di più.... sarebbe una grandissima ingiustizia!

Marco