venerdì 29 gennaio 2021

Quando la malattia di Lyme persiste

La storia di Marina, che dal 2017 combatte contro infezioni multiple. Senza riconoscimento, senza la legge 104 e, oggi, senza un lavoro.

È il 2017 e Marina è in aereo, durante un viaggio all’estero. A un certo punto, per caso, si accorge di questo puntino nero sulla pelle. All’inizio pensa sia un piccolo neo e lo fotografa: non si era mai accorta della sua esistenza fino a quel momento e chiede anche al compagno se lo avesse mai notato. Poi prova a toccarlo con le dita e dopo qualche minuto, ricontrollando, si accorge che il puntino nero non c’è più. Bene, non era un nuovo neo.

In realtà questo puntino era una zecca e quella fotografia scattata è l’unica testimonianza dell’origine di quello che, per Marina, di lì a poco sarebbe diventato un calvario: una forma di malattia di Lyme molto difficile da debellare.

Lo diciamo subito: oggi, a distanza di due anni e mezzo, Marina mi dice di stare meglio. Non ha più la valanga di sintomi che nel giro di poche settimane l’avevano costretta a letto, senza riuscire ad alzarsi, a parlare, a scrivere, a guardare fuori dalla finestra senza che la sua testa scoppiasse. Ma ancora non è finita: il batterio responsabile di questa forma così resistente di Lyme non se ne è ancora andato del tutto e a breve – mi dice speranzosa – verrà inserita in una nuova sperimentazione all’estero per una terapia che potrebbe apportare importanti miglioramenti per lei. Nel frattempo però ha perso il lavoro, una carriera importante guadagnata con anni di duro impegno e a cui teneva infinitamente: a causa dei vari limiti fisici, non era più in grado di far fronte agli impegni.

Lyme, la malattia dimenticata

La sua storia è molto importante, perché racconta aspetti meno noti di questa malattia di cui poco si parla, se non in territori montani. Quella di Marina è anzitutto la vicenda di una persona che da anni studia, si informa, anche perché – mi dice – è fortunata, ha gli strumenti per farlo, dato che lavorava nel settore sanitario. “Ci tengo a raccontare a più persone possibili quello che ho fatto, perché se solo io avessi avuto qualcuno come me – che mi avesse indicato da subito i luoghi giusti ai quali rivolgermi – avrei ricevuto tempestivamente un’adeguata terapia”.

Il problema è che sono rari gli specialisti esperti di malattia di Lyme e che sanno come comportarsi quando – come nel caso di Marina – accanto alla Borrelia la zecca è portatrice di altre co-infezioni. “L’idea dominante è che la malattia di Lyme abbia un decorso relativamente breve, se si fa correttamente la terapia, ma spesso non è così: ci sono forme persistenti, io stessa sono ancora positiva ai test, e in questi casi non è semplice trovare uno specialista che abbia seguito dei corsi di aggiornamento specifico su come trattare casi come il mio, che non è certo l’unico in Italia. Anche perché, in realtà, ogni persona ha reagito diversamente, anche in conseguenza dei tempi di diagnosi, alla malattia, e dunque reagisce diversamente alle terapie”.

L’iter di Marina dura molti mesi, e parte da Milano, dove viene ospedalizzata per un mese, dopo la comparsa di una serie di sintomi invalidanti nel giro di pochissimo tempo. “Tornata in Italia dal mio viaggio mi sono subito sottoposta al test e sono risultata positiva. Ho iniziato la normale terapia ma ho iniziato a stare sempre peggio: faticavo a respirare, non riuscivo più a fare le scale, avevo sempre un’emicrania potentissima che mi impediva di stare con gli occhi aperti, avevo nausee e iniziavo a perdere la vista e la memoria”.

Quando il malato si informa da solo

Per Marina, che fino a un mese prima arrampicava, è qualcosa di spaventoso. Ma lei continua a cercare in rete informazioni, a studiare, a iscriversi ai gruppi sui social media e alle associazioni che si occupano di Lyme. “I medici a Milano mi hanno detto che non si spiegavano questa persistenza della malattia e che probabilmente c’era qualcos’altro, anche se fatti tutti gli esami possibili per altre malattie non è risultato nulla. Sempre e solo Lyme. Allora mi hanno detto che forse ero depressa, ma non lo ero. Grazie all’ Associazione Lyme Italia e Coinfezioni sono stata quindi indirizzata a Trieste, presso la Clinica Dermatologica dell’Ospedale Maggiore, dove c’è un reparto con competenze avanzate specializzato nella diagnosi e cura della malattia di Lyme
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Inizia quindi per Marina e la sua famiglia un lungo periodo di viaggi a Trieste, dove viene presa in cura e sottoposta a una terapia combinata che riduce i sintomi, anche se la gestione è difficile. I tempi d’attesa sono lunghi poiché il reparto è piccolo, ma vista l’elevata competenza rispetto al resto delle regioni in Italia ci sono tante richieste. La cosa più importante è che a Trieste sottopongono Marina a nuovi esami e si rendono conto che oltre alla Borrelia ci sono altre tre co-infezioni in corso dovute alla zecca. Viene quindi richiesto di effettuare alcuni approfondimenti diagnostici, ma in Italia sono poche le strutture ospedaliere attrezzate per eseguirli. Ciò obbliga Marina a informarsi presso varie strutture ospedaliere e a doversi attrezzare, per casi in cui in Italia non sia possibile effettuare questi esami, a farli all’estero. A spese sue.

Anche se ci sono dei miglioramenti, le terapie svolte in Italia non permettono a Marina di risolvere la patologia. Per questo decide di andare all’estero, a malincuore, spendendo molto in pochi mesi per pagare una clinica privata dalla quale riceve una terapia che ha un buon effetto su di lei. Sta per un mese in Germania, prendendo in affitto un appartamentino, e intraprende delle terapie non disponibili in Italia. “Di giorno facevo le mie sei-sette ore di infusione e poi stavo male tutta la notte. Ma alla fine le cose hanno iniziato ad andare meglio, e sono potuta tornare a Milano per continuare la terapia”.

Problema: non tutti i farmaci che le sono prescritti sono in commercio in Italia ed è quasi impossibile trovare una struttura che ti prenda in carico per effettuare la terapia infusionale prescritta. Così, fra una cosa e l’altra, il percorso costa a Marina altre migliaia di euro. “Mi chiedo, chi non ha la mia determinazione e le mie possibilità che cosa fa”.

Poi, la difficoltà finale

Infine arriva il momento più duro di tutti, il giorno in cui è fissata la visita in commissione INPS per l’accertamento dell’invalidità e altre tutele previste dalla legge per le patologie invalidanti. “In quel momento stavo molto male, avevo anche problemi cognitivi, nel senso che non riuscivo a compilare il modulo, a capire che cosa leggevo e a rispondere. Non chiedevo pietà, ho sempre lavorato tanto nella mia vita e chiedevo solo un riconoscimento di quanto questa patologia sia invalidante dal punto di vista sociale, lavorativo e sanitario”.

Ma la commissione, dove non era presente alcuno specialista in malattie rare, minimizza la situazione e concede a Marina una minima percentuale di riconoscimento perché la malattia di Lyme non è considerata grave. “Ero lì con mia mamma ma nessuno mi ha fatto domande, non hanno guardato la documentazione richiesta, erano incompetenti sulla malattia di Lyme e mi hanno solo detto che se fossi stata lì con una gamba rotta sarebbe stato più facile. Te lo assicuro, io non piango mai, ma quel giorno ho pianto per un’ora in macchina. Mi sono sentita meno di zero, delusa e frustrata”.

Mentre Marina mi racconta questa sua giornata ho i brividi. Ho già sentito storie simili, raccontate da altre persone che hanno contribuito a Vite Pazienti, come Flavia con la distonia, Maria Grazia con il Lupus, Giuseppe con il Pemfigo. Persone affette da malattie rare che sono regolarmente inserite negli elenchi ufficiali degli aventi diritto, ma non riescono ad ottenere i riconoscimenti previsti dalla legge perché in Italia si trovano a dover fare i conti con le enormi difficoltà di un corretto riconoscimento sanitario e sociale.


di Cristina Da Rold

18 febbraio 2020

FONTE: OggiScienza

lunedì 25 gennaio 2021

Acqua anti-fibromialgia

Testati i benefici effetti della Acqua Debole

LEVICO – L'Acqua Debole di Vetriolo è un valido aiuto per la cura della fibromialgia; lo ha dimostrato la ricerca presentata alla sala conferenze delle Terme di Levico venerdì scorso, che ha coronato un percorso di collaborazione tra il Comitato Scientifico delle Terme di Levico e Vetriolo, l'UOC di Reumatologia dell'Ospedale S. Chiara di Trento e l'Associazione Trentina Malati Reumatici. Dopo l'Acqua Forte, anche quella Debole, per anni inutilizzata perchè meno mineralizzata dell'altra ma presente in natura in maggiori quantità, è stata valutata un valido supporto nelle terapie di cura. «Le Terme – ha ricordato in apertura la presidente di Levico Fin Donatella Bommassar – sono da sempre attente alla ricerca medica, allo studio e alla progressione scientifica per dare un valido aiuto ai malati di diverse patologie»: in questo caso si tratta di chi contrae la Sindrome Fibromialgica che causa, sopratutto nella popolazione femminile, dolori continui e diffusi spesso difficili da gestire e diversi per ogni paziente, come hanno spiegato i relatori dell'incontro, la dottoressa Antonella Fioravanti, Dirigente Medico UOC Reumatologia dell'Azienda Ospedaliera dell'Università di Siena, membro del Comitato Scientifico delle Terme di Levico e Vetriolo e il dottor Giuseppe Paolazzi, Direttore dell'UOC di Reumatologia dell'Ospedale S. Chiara di Trento, referente scientifico dell'associazione ATMAR. Lo scopo dello studio, finanziato dalla Provincia di Trento, era quello di verificare l'efficacia e la tollerabilità del trattamento balneoterapico con l'Acqua Debole di Vetriolo su cento pazienti volontari affetti da fibromialgia arruolati dal Santa Chiara di Trento; il trattamento prevedeva una singola immersione al giorno in vasche a 36° C per 12 giorni consecutivi. Per garantire una maggiore precisione e veridicità dei risultati ottenuti solo metà dei pazienti è stato trattato con acqua termale, gli altri con normale acqua potabile opportunamente mascherata; il gruppo trattato con acqua termale ha dimostrato la diminuzione del dolore da 7 a 5 su una scala di 10 fino a 8 mesi dopo il trattamento ed anche la tollerabilità è stata alta. «La fibromialgia è una sindrome per la quale ancora non esiste una cura – ha spiegato al pubblico il dottor Paolazzi – la medicina Termale non sostituisce la cura farmacologica ma dev'essere complementare ed è sicuramente più efficace su lungo termine, prova lo studio, di fisioterapia passiva e ultrasuoni». «Il risultato ottenuto da questa collaborazione – ha concluso la dottoressa Fioravanti – è stato notevole e non appena il Ministero della Salute validerà la ricerca avremo a Levico un'arma in più per aiutare i pazienti».

V. F.

Settembre 2016

FONTE: L'Adige di Trento

mercoledì 20 gennaio 2021

Celeste, la bambina del caso Stamina ha compiuto dieci anni. «Ci dicevano che non sarebbe arrivata a 18 mesi»

La piccola soffre per un’atrofia muscolare spinale. Frequenta la quinta elementare, naviga sul web e «parla» utilizzando due alfabeti. Il papà: fa passi da gigante

«Quella per il mio compleanno è stata una bella festa», racconta Celeste. «C’erano tutti i miei amici, in giardino. E tanti-tanti regali». Ha compiuto dieci anni, Celeste Carrer. A dispetto di tutti, anche di un destino che le ha dato in sorte una malattia terribile. Quando è nata, i medici dissero a mamma e papà che la loro unica figlia non avrebbe mai comunicato con loro, né sarebbe andata a scuola come i suoi coetanei, e non sarebbe neppure stata in grado di controllare la muscolatura quel tanto che basta a inghiottire un boccone di cibo. «Ma soprattutto, ci spiegarono che le prospettive della nostra bambina non superavano i diciotto mesi di vita, due anni al massimo», racconta Gianpaolo Carrer.

La malattia

Colpa della malattia rara di cui soffre, l’atrofia muscolare spinale (Sma) di tipo 1, la forma più grave. Chi ne è affetto, produce pochissima proteina Smn e la patologia compromette l’acquisizione delle capacità motorie e la respirazione. In una situazione così complicata, nel 2012 Celeste e la sua famiglia finirono loro malgrado su tutti i giornali, diventando il simbolo di quello che passò alle cronache come "Il caso-Stamina". Fu un ciclone che trascinò quest’imprenditore di Tessera e sua moglie Elisabetta Orlandini in una battaglia politica e legale: dentro e fuori dai tribunali per costringere lo Stato a non interrompere le cure. Il tutto, mentre Davide Vannoni – l’ideatore di quelle infusioni di cellule staminali che venivano somministrate alla piccola Carrer e ad altri pazienti – finiva bollato come un ciarlatano dalla Scienza ufficiale, indagato e, nel 2017, arrestato. «Ma all’epoca pensavo soltanto a mia figlia, Vannoni non sapevo neppure chi fosse», ricorda il papà di Celeste. «Intorno ai sei mesi, io e mia moglie la portammo all’istituto pediatrico di ricerca “Burlo Garofolo” di Trieste, dove la sottoposero alle prime cure a base di cellule staminali». In quelle settimane notarono dei miglioramenti. «Si muoveva nel lettino, sembrava finalmente riuscire a controllare la sua muscolatura», assicura la mamma.

Il Metodo Stamina

Nel 2011 i genitori sentirono parlare di una nuova terapia appena autorizzata dal comitato scientifico degli Spedali Civili di Brescia, e chiesero che Celeste rientrasse nella sperimentazione. E fu così che la piccola Carrer divenne la prima paziente sottoposta, all’interno della struttura lombarda, al Metodo Stamina. Le iniezioni proseguirono per un paio d’anni, tra brusche interruzioni e giudici che ordinavano ai medici di riprendere le cure. «Quando però fu disposto il sequestro delle cellule - spiega il padre - fummo obbligati a continuare in una clinica all’estero. Infine, anche lì sospesero le infusioni». Da anni, quindi, Celeste ha interrotto ogni tipo di cura. «Noi abbiamo sempre seguito i protocolli ospedalieri, tutto è stato fatto in accordo con le Usl. Non so se funzionasse anche per gli altri malati, però di una cosa sono convinto: Stamina su Celeste era efficace», assicura Gianpaolo Carrer. «Lo dimostra anche un recente studio condotto su nostra figlia dai neurologi John Bach e Marcello Villanova». A chi gli fa notare che per i medici interpellati durante i vari processi, invece questo non è possibile, lui scrolla le spalle, ricorda che «nessuno di loro è mai venuto a visitarla» e indica la sua bambina.

I due tipi di alfabeto

Celeste è in cucina, seduta sulla sua sedia a rotelle che «pilota» per la casa premendo dei pulsanti con le dita. Un respiratore aiuta i polmoni a gonfiarsi e filtra l’aria: ogni virus potrebbe esserle fatale, se si pensa che è bastato un raffreddore a costringerla a un ricovero in terapia intensiva. È in collegamento video coi compagni di classe, con l’aiuto di una maestra messa a disposizione dal preside dell’istituto "Valeri" di Favaro Veneto: sta frequentando la quinta elementare. «È una bambina molto intelligente» sorride mamma Elisabetta, orgogliosa. Se dopo un lunghissimo silenzio lei e suo marito hanno accettato di raccontarsi nuovamente a un giornale, è proprio perché Celeste non solo è ancora viva (a dieci anni di distanza da quella diagnosi che sembrava non lasciarle scampo) ma ha fatto passi da gigante. «Soffre di una malattia neurodegenerativa, che quindi dovrebbe essere in continuo peggioramento – spiega il papà - ma ora pare aver raggiunto una buona stabilità. Sotto il profilo cognitivo, invece, i progressi sono incredibili: mia figlia oggi legge, scrive, naviga su internet…». La bimba utilizza due tipi di "alfabeto". Il primo l’ha inventato Arianna Natural, una giovane di Mogliano laureata in Scienze del linguaggio: è il "Codice Celeste". «Mette in combinazione le espressioni del viso, alcuni suoni, i movimenti degli occhi, delle sopracciglia e l’apertura della bocca, per formare le parole» spiega la trevigiana. Per chi, come i genitori, lo conosce, è un sistema molto rapido che permette alla bimba di esprimere i propri bisogni, fare domande «ma anche raccontare barzellette».

Il lettore ottico

L’altro modo di comunicare si basa invece su un lettore ottico che trascrive su uno schermo le lettere che guarda su un tabellone. «Così può inventare racconti e fare i compiti» racconta la mamma. In realtà riesce a fare anche molto di più: una voce meccanica, simile a quella di una bambina, legge quello che lei scrive. È così che Celeste ci parla della festa per i suoi dieci anni, compiuti in estate, e dei sandali con gli unicorni che ha ricevuto. «Tra tutti, è stato il regalo che mi è piaciuto di più». Gianpaolo ed Elisabetta Carrer se la ridono di gusto. Il futuro? «Abbiamo smesso di pensarci da un pezzo. Noi affrontiamo giorno per giorno, senza rimpianti. La forza ce la dà lei: è la nostra gioia più grande».


13 gennaio 2021

FONTE: Corriere della Sera

venerdì 15 gennaio 2021

Sara, la blogger 14enne costretta a letto viaggia con i libri: "Disabilità è l'arte di affrontare gli ostacoli con semplicità"

Ha una malattia rara ma soprattutto un blog da 550mila contatti e un profilo Instagram che ne conta 13mila: "In questi giorni con il Coronavirus per la prima volta mi sento uguale a voi"

Su Instagram non si vede mai il suo volto. Sarà per l'età - ha 14 anni - sarà perché ha deciso di calibrare la sua immagine su ben altro, a differenza di molti suoi coetanei. Sara Angela Ciafardoni è una ragazza di Cerignola (Foggia) che ha una sola passione: i libri. Non vuole che nascondano la realtà che affronta ogni giorno, ma che la aiutino a portarla dappertutto.

Ciafardoni è affetta da una malattia rara, riconducibile forse al fatto che sua madre, durante le gravidanza, fosse in chemioterapia, a causa di un tumore. Sara è costretta a vivere a letto, ma dalla sua camera vede benissimo il mondo, forse meglio di chiunque altro. Un po' come Emily Dickinson, la poetessa statunitense che scrisse i migliori versi dall'esilio della sua stanza. A creare un ponte fra sé e l'esterno ci hanno pensato i libri, quelli che ogni volta coprono il volto di Ciafardoni nelle foto che pubblica su Instagram. La 14enne ha un blog che sfiora i 550mila contatti - LaLettriceSognatrice - una pagina Instagram - lasarabooks - e un canale YouTube inaugurato da poco, e ha pubblicato un romanzo ('Tutto l'amore che so', edizioni Terra Santa) dove la protagonista Sofia un po' le assomiglia, costretta come lei ad affrontare la malattia nell'adolescenza, il periodo in cui tutto sembra possibile e il mondo è da mangiare in un boccone.

Quel mondo Sara Ciafardoni ha preferito farlo entrare dalla finestra della sua stanza, ed è da lì che muove i bottoni che le permettono di annullare le differenze, i limiti. A darle una mano ci pensa la famiglia: padre e sorella realizzano i fondali dove lei si mette in posa per farsi fotografare, rendendo concreta la sua fantasia e restituendo in immagini la profondità dei suoi post. "Vorrei far riflettere che la disabilità non è una coraggiosa lotta e neanche un insieme di inutili commiserazioni - scrive sul suo blog - bensì è una vita uguale a quella di centinaia e migliaia di persone, condita, però, dall'arte di affrontare gli ostacoli con una naturale semplicità".

E nei giorni del Coronavirus, l'aspirante scrittrice ha scritto una lettera alla coordinatrice nazionale per la scuola in ospedale e l'assistenza domiciliare: "Le misure che il governo ha messo in atto hanno penalizzato la mia vita. La chiusura delle scuole ci obbliga a farci molte domande. Bisogna trovare risposte adeguate e sperimentare soluzioni creative che siano inclusive per tutti gli studenti e non lascino nessuno indietro. Il Covid-19, forse, è l'opportunità per far sì che la scuola possa trasformarsi e fare un salto di qualità verso i ragazzi e verso i bisogni di ciascuno, al fine di essere più inclusivi verso le diversità". "Per la prima volta - conclude Sara - mi sento uguale ai miei compagni".

di Anna Puricella

24 marzo 2020

FONTE: la Repubblica




Ho conosciuto la storia di Sara da una trasmissione televisiva, ho fatto delle ricerche e quindi ho pubblicato questo post.
E' bello constatare quanta vitalità, voglia di fare e intrapendenza è insita persone, per sane, disabili o malate che siano. Sara non ha una vita facile a causa della sua malattia, ma non per questo ha rinunciato a vivere pienamente la sua vita e a inseguire i suoi sogni. E così, dalla sua passione per la lettura, è diventata una blogger di successo e una scrittrice. E questo è molto bello.
Un carissimo "in bocca al lupo" per tutto cara Sara, con l'augurio più vivo che tu possa inseguire e realizzare tanti altri desideri.

Marco

giovedì 7 gennaio 2021

Il miracolo di Giorgia: guarisce da una malattia rara e si sveglia dalla sedazione. Valanga di doni

Lunedì (6 aprile 2020) sulla sua torta ci saranno cinque candeline. Compleanno speciale per Giorgia, una bambina di Trieste colpita da una malattia misteriosa che le impediva di camminare e di muovere le braccia, rimasta in sedazione profonda per 5 mesi all'ospedale di Padova, poi sottoposta a tracheotomia. Tre settimane fa la piccola è stata trasferita al centro di riabilitazione "La nostra famiglia" di Conegliano (Treviso), dove in queste ore sono arrivati decine di pacchi-regalo spediti dai follower della sua pagina Facebook, e consegnati dai corrieri Amazon.

La bambina e il papà stanno pubblicando un video di ringraziamento per ogni scatolone ricevuto: «Volevo tenerli nascosti fino a lunedì, ma sono arrivati tutti insieme e Giorgia li ha visti, così abbiamo dovuto dirle che erano per lei - racconta il padre - Oltre ai regali ci sono tante persone che scrivono per sapere come sta mia figlia, ci fa molto piacere». Nella stanza dove la bimba è degente sono adesso ammucchiati decine di scatoloni e confezioni regalo. Ci sono mattoncini Lego dedicati a personaggi e cartoon popolari, come Harry Potter e i Troll, peluche, tanti album da disegno, penne e matite colorate. Il papà e la sua compagna hanno potuto seguire la bambina più facilmente in questi mesi grazie ad un'abitazione vicina alla struttura sanitaria messa a disposizione gratuitamente da un benefattore.

Il male, una patologia rara, che tormentava la piccola sembra svanito: «Gli esami al midollo non hanno trovato nulla, l'infiammazione si è sgonfiata e i medici ci hanno detto che qualunque cosa fosse probabilmente se n'è andato via - spiega il padre - Ora le braccia e il cervello sono a posto, il problema principale restano le gambe; Giorgia sta facendo esercizi di fisioterapia e logopedia ma è rimasta a letto per tanto tempo, per riprendere la mobilità le serviranno almeno un paio di mesi». La routine della famiglia è condizionata dalle restrizioni anti-coronavirus: «Giorgia - continua il papà - è immunodepressa e può uscire dalla stanza solo per andare nella palestra della struttura, con l'obbligo di indossare la mascherina; ci sarebbe anche un giardino con gli scivoli, ma lei non ci può andare. Io e la mia compagna non possiamo portarle cibo confezionato, dobbiamo misurarci la febbre prima di ogni accesso e possiamo visitarla uno alla volta, quindi ci alterneremo anche domani».

4 aprile 2020

FONTE: Il Messaggero


Girando un pò per il web, sono venuto a conoscenza quasi per caso della storia della piccola Giorgia Kus, di cui l'articolo sopra, anche se non recentissimo, ne riporta la vicenda.
Per chi volesse approfondire ulteriormente la storia della piccola Giorgia, rimando tutti al suo sito internet
"Giorgia's world", al suo canale You Tube e alla sua pagina Facebook "La Forza di Giorgia Kus". Dalla sua pagina Facebook, tra l'altro, ogni tanto vengono filmate delle carinissime dirette nella quale si vede Giorgia con i suo genitori fare tante cose, molto carine, giocose e divertenti. E' un modo anche questo per poter conoscere meglio la bambina e la sua famiglia.
La piccola Giorgia, dopo tutto quel che ha passato, ha bisogno di fare molta fisioterapia per recuperare l'uso delle gambe e della schiena. Anche ora, nonostante siano passati diversi mesi, la bimba non ha ancora la DIAGNOSI della malattia che l'ha colpita. La famiglia della piccola Giorgia deve sostenere molte spese tra esami, spostamenti, fisioterapia ecc... per cui, per chi volesse aiutarli, lo può fare donando un offerta libera alle seguenti coordinate:


TRAMITE PAYPAL: https://paypal.me/pools/c/8j16x0YTi5

IBAN: IT34R0307502200CC8500704859 Intestata a Francesca Doretto

POSTPAY: 5333171058468196 Intestata Kus William CF: KSUWLM85P30L424G

Un grazie come sempre di vero cuore a chi vorrà e potrà aiutare la piccola Giorgia e la sua famiglia.

Marco