lunedì 28 dicembre 2020

Maria Chiara, 26enne disabile e cieca, si laurea con 110 e lode al Suor Orsola Benincasa

Maria Chiara, ragazza 26enne non vedente e disabile, si è laureata con 110 e lode in lingue per la comunicazione e la cooperazione internazionale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Nata prematura a 6 mesi, a causa di un distacco di placenta, fin da piccola, purtroppo, è stata affetta da cecità e tetraparesi spastica. Ma non è mai data per vinta grazie alla passione per le lingue e la musica. Toni Nocchetti: “È un simbolo per tantissimi ragazzi”.

Una bellissima storia quella di Maria Chiara, la ragazza 26enne non vedente e disabile che si è laureata con 110 e lode in lingue per la comunicazione e la cooperazione internazionale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Maria Chiara, Mary come la chiamano gli amici, è una ragazza molto solare, dolce, simpatica e preparata. Nata a Pisa, ma napoletana d'adozione, parla tre lingue fluentemente: oltre all'italiano e al napoletano, l'inglese, il francese e lo spagnolo. Mary è nata prematura a 6 mesi, a causa di un distacco di placenta, e fin da piccola, purtroppo, è stata affetta da cecità e tetraparesi spastica. Ma non si è mai data per vinta, grazie alle grandi passioni per le lingue e la musica. Studia canto da quando aveva 13 anni ed è anche cantautrice. Dopo il liceo linguistico, ha deciso di continuare gli studi e si è iscritta all'Università Suor Orsola Benincasa, dimostrandosi subito una studentessa modello. Qui, ha conseguito prima la laurea Triennale con il massimo dei voti, 110 e lode. Poi, venerdì scorso, anche quella magistrale dove ha ottenuto ancora 110 e lode, questa volta in una situazione più difficile, a causa degli ultimi mesi di studio trascorsi durante il periodo del lockdown per il Coronavirus. Il suo professore relatore Ciro Ranisi:
Ragazza bravissima, pubblicheremo la tesi.

Una bella soddisfazione per lei e i suoi familiari. A cominciare dalla mamma Iaia Caputo. La tesi di laurea magistrale è stata tutta dedicata alla musica e alle lingue. Scritta interamente in francese, ha meritato il plauso della commissione. “Ringrazio i miei parenti ed i miei amici per essere con me - sono le parole di Mari in francese nel video alla festa di laurea – sono molto felice”. “La sua storia – commenta Toni Nocchetti, da sempre amico di famiglia e impegnato nell'associazionismo e nel terzo settore – è come una partita in due tempi: il primo riguarda lei e la sua famiglia e culmina con una laurea prestigiosa. Il secondo tempo interessa tutti noi, la società, che dovrebbe offrire un lavoro dignitoso a Maria Chiara”. Dopo la laurea, infatti, il desiderio di Mary è quello di trovare un impiego dove possa mettere a frutto le competenze acquisite all'università e utilizzare la sua formidabile memoria. Riuscirà sicuramente a raggiungere anche questo traguardo.


di Pierluigi Frattasi

21 luglio 2020

FONTE: Fanpage

martedì 22 dicembre 2020

Guerriera invisibile: il mio dolore e la mia forza nel silenzio

Ma non sembri malato’’, è una frase che molte persone che vivono con una malattia invisibile si sentiranno dire... Ed è un grosso problema che queste malattie non siano visibili perché ciò comporta delle enormi difficoltà quando si tratta di spiegare gli effetti che hanno nella vita delle persone, soprattutto se si parla con chi non sta vivendo una situazione del genere.

Purtroppo, viviamo in una società in cui moltissime malattie croniche continuano ad essere invisibili.
Solo chi vive con una patologia cronica può capire veramente cosa significhi averla e cosa comporti... si tratta di fare un viaggio lento e solitario dove la prima tappa è la ricerca di una diagnosi definitiva per “tutto quello che mi sta accadendo”. Non è assolutamente facile perchè possono passare anni prima che una persona riesca a trovare un nome per quello che ha. Dopo tutto questo, quando finalmente si ha la diagnosi, secondo me arriva la parte più complessa: trovare una qualità di vita con il dolore come compagno di viaggio.
È questa una delle sfide che le persone che convivono con queste malattie devono affrontare quando parlano in particolare con amici e familiari, che potrebbero non riuscire a comprendere facilmente una malattia di cui non vedono gli effetti. Anche perché magari rimani chiusa in casa imbottita di antidolorifici per un paio di giorni e poi all' improvviso ti vedono uscire e sfoggiare il tuo sorriso più bello... e cosí pensano che stavi facendo la vittima... E invece no!! Ogni giorno ci sono sfide nuove e diverse ed esiste una ragione dietro ogni azione.

Bisogna cambiare mentalità: non c’è bisogno di una ferita evidente perché il dolore sia autentico. E a questo mi collego a ciò che dice il mio specialista di endometriosi ai convegni:
L' endometriosi è come un tumore. Si tratta di una patologia benigna ma viene trattata come un cancro. Bisogna vedere questa malattia con occhi diversi. Chi vi dice che si guarisce vi prende in giro. La paziente deve uscire dalla sala operatoria senza endometriosi: deve mantenere le funzioni viscerali, riproduttiva e delle pelvi’’.

Non è stato facile accettare tutto ciò ma..... si diventa forti quando si impara ad accettare il dolore, altre scelte non ci sono, sei costretta! 💪💪 E se non è visibile agli occhi non significa che non esiste!

L' importanza di avere una diagnosi precoce, di essere comprese e non considerate delle pazze immaginarie in cerca di antidolorifici x sballarsi, o quelle che non sono in grado di sopportare "il classico mal di pancia a causa del ciclo".... E cosa fondamentale, non finire nelle mani sbagliate e vedersi poi la propria vita rovinata...

Ho iniziato a star male a 13 anni con i primi dolori durante il ciclo mestruale, ho dovuto convincermi che era tutto normale e che non ero in grado di sopportare nulla perchè così dicevano i medici... Vivevo chiusa in casa piegata, piangendo: anni di dolori senza essere compresa e creduta (mi sembrava di essere pazza, di esagerare. Mi sentivo dire ad esempio: “E' tutto nella tua testa, non hai niente” oppure “Non sai sopportare il dolore, non fare la bambina. Sii donna”,
Di cosa ti lamenti? dovrai partorire un giorno), assenze a scuola e saltare l' ora di ginnastica indipendentemente dalla presenza del ciclo perché​ stavo male sempre ed essere considerata dagli insegnanti pigra, nullafacente, una studentessa con una bell' immaginazione x saltare compiti, interrogazioni ed altre attività, innumerevoli corse in ospedale ed essere dimesse con una diagnosi errata, sentirsi diverse dalle amiche, rinunciare alla vita di una normale adolescente, difficoltà o impossibilità di urinare e/o evacuare, imbottirsi di antidolorifici... Ad un controllo di novembre 2011, chiesi per la prima volta se potesse trattarsi di endometriosi, avevo fatto una ricerca su internet in base ai miei sintomi e mi risultò questa malattia. I due dottori presenti mi risposero che poteva essere ma essendo seguita dal grande capo se ne sarebbe accorto.
A gennaio 2012 a causa di forti dolori tornai in ospedale e trovai uno dei due medici di novembre. Il primario, colui che mi seguiva, a dicembre era andato in pensione e chissà come mai quel giorno mi arrivó la diagnosi (avevo 26 anni): "Endometriosi profonda 4 stadio del setto retto vaginale". Finalmente, anche se dopo 13 anni di ritardo, il mio dolore aveva un nome. Da allora ho avuto 3 interventi per endometriosi (4 x la ricanalizzazione dell' intestino), sono passati 7 anni e i miei dolori sono cambiati, l' endometriosi non centra più e i miei sintomi sono neurologici (a causa dei danni permanenti ai nervi - da qui la neuropatia bilaterale del pudendo, vulvodinia e sacroileite -, vescica ed intestino neurologici con conseguenze di autocateterismo da 5 anni, selg e moviprep più ausilio x svuotare l' intestino una volta la settimana... a 28 anni ho perso la funzionalità di questi organi, non ho più la sensibilità e gli stimoli a causa di un medico che mi ha operato nel 2014, intervento durato 8 ore). Mi tolse entrambe le tube, sutura della vagina, messo stents bilaterali, shaving intestinale (lasciandomi però 2 noduli infiltrati nell' intestino ed endometriosi diffusa in altre parti). Sono uscita dalla sala operatoria con la bocca blu... ho rischiato... l' anestesista uscí 5/6 volte durante l' operazione x rassicurare mia mamma... e venne ogni giorno a controllare in stanza come stavo almeno 5 volte al giorno... e x 9 giorni, nonostante fossi attaccata ad un palloncino con morfina e altri antidolorifici, io urlavo e piangevo dai dolori. Il medico che mi aveva operato mi diceva di smetterla, che era tutto nella mia testa, che avendomi operato lui ero guarita dall' endometriosi. Mi disse di ritenermi fortunata perchè mi aveva lasciato la casetta ovvero l' utero che a causa dell' adenomiosi molto grave sarebbe stato da togliere ma non era il momento dato la mia giovane etá. Ed ebbe anche il coraggio di smentire tutto... ovvero che non era vero che mi aveva detto di aver visto endometriosi ai nervi e non toccata perché non era in grado, e di non credere a chi dice che può operare quel punto perché non esiste come intervento.... Sicuramente disse ciò per paura che scoprissi tutto quanto!!
A giugno 2015 ho subito il 3° intervento, chi mi ha operato doveva stare molto attento dato ciò che mi aveva causato il medico precedente un anno prima. Fu un intervento tosto di 7 ore: neurolisi, resezione intestinale con stomia, ovaia dx, vescica, rene dx, ureteri, vagina, legamenti utero sacrali, douglas, pelvi congelata. Ma grazie a lui sono pulita da allora dall' endometriosi! Tornare a casa con stomia è stato un trauma: tre mesi d’ inferno nei quali ho fatto fatica ad accettarla, per un mese e mezzo circa mi rifiutavo di pulire lo stoma e di cambiarmi il sacchetto da sola, lo faceva mia mamma. Ad agosto ho iniziato ad accettarla e a far tutto autonomamente. Non è facile adeguarsi a un ritmo di vita diverso, già l’endometriosi ti invalida tanto, e la stomia era un problema in più: star attenta che il sacchetto non si stacchi, svuotarlo spesso, cambiarlo, non sapere come vestirsi, far attenzione a ciò che si mangia ecc. In borsa avevo sempre il kit per le emergenze: sacchetto e maglia di ricambio, salviette, guanti... A settembre ho avuto l’ intervento di ricanalizzazione. Speravo fosse finita là ma la stenosi si era già riformata e così per sei mesi ogni settimana andavo in ospedale per le dilatazioni endoscopiche e dilatatori manuali.
A gennaio 2016 ho inserito mirena (la spirale medicata al progesterone) x posticipare l' isterectomia dato che in pazienti giovani non la fanno e in ogni caso, secondo il mio specialista, dato la mia situazione, non risolverei nulla. Sempre nello stesso mese ho ottenuto il 75% d' invalidità, soprattutto x gli ultimi due interventi molto complessi, ma in particolare x i danni e conseguenze permanenti del secondo intervento. Me l' hanno data con revisione a gennaio 2019 perché ovviamente essendo giovane x i medici della commissione inps posso guarire da tutto ciò.... assurdo!!
Ad aprile oltre a mirena hanno aggiunto Azalia come pillola... quindi doppia terapia ormonale... una bomba di ormoni!! Il 6 novembre 2018 ho effettuato una visita reumatologica e ho avuti la diagnosi di fibromialgia, ennesimo regalo dell' endometriosi.
Il 29 novembre ho subito il mio 5° intervento: il mio specialista di endometriosi, essendo anche neuropelveologo, con la tecnica LION appresa a Zurigo dal suo maestro, mi ha impiantato il neuromodulatore sacrale provvisorio sperando di recuperare almeno una parziale funzionalità vescicale e rettale, anche se mi hanno dato bassissime possibilitá di riuscita... Per l' intestino non c'è più nulla da fare, se va bene x vescica ridurrò solamente il numero di cateteri a 2 (da 4 anni e mezzo ne faccio almeno 5 al giorno).

L' intervento è durato più del previsto perché anche se sono pulita dall' endometriosi da giugno 2015, purtroppo, il mio addome è stra pieno di aderenze x tutti gli interventi che ho fatto in passato... tante ne ha tolte ma tante altre le ha dovute lasciare altrimenti avrei rischiato tanto soprattutto x l' intestino.
La sera prima dell' operazione mi aveva detto che ci poteva essere la possibilità che non riuscisse ad impiantare gli elettrodi sui nervi pelvici dato la mia situazione molto complessa e delicata e che rischiavo le stomia per la seconda volta... Ma ci è riuscito a mettermelo e mi ha evitato il sacchetto, altrimenti sarebbe stato ancora di più un casino!✌👌 Ho il neuromodulatore sacrale impiantato ed ora si spera dia le funzionalità di cui ho bisogno altrimenti tornerò in sala operatoria e sposterà gli elettrodi x vedere se cambia qualcosa. Prima di togliere tutto vuole fare un paio di tentativi x vedere se posso aver i benefici sperati e se fosse cosi si procederà con l' impianto del neuromodulatore sacrale definitivo... in caso contrario, come dicevo, si toglie e basta. Indipendentemente vada, lui rimarrà sempre il mio salvatore e non finirò mai di ringraziarlo!!! È stato l'unico, 4 anni e mezzo fa, a volermi prendere come sua paziente nonostante tutto quello che mi ha causato il suo predecessore, mi ha aiutato molto x quanto riguarda l' endometriosi, e ora sta cercando con tutto il resto di farmi avere una miglior qualità di vita perchè secondo lui la merito visto tutto quello che ho passato e sto ancora affrontando... X lui io sono una sopravvissuta!
Il post operatorio non è stato facile più che altro perché ho avuto un sacco di problemi con il neuromodulatore, il telecomando e l'elettrodo di destra che mi era uscito il 21 maggio dopo alcuni giorni che sentivo la pancia salire sulla pancia finché ha trovato il buchino ed è saltato fuori sentendo una scossa forte e mi sembrava che si stesse portando via un pò di pelle, bruciandola.
A febbraio ho avuto la revisione x l'invalidità e nonostante l'intervento di neuromodulazione sacrale e le nuove diagnosi di alcune patologie, la commissione non ha considerato nulla di tutto ciò riconfermandomi il 75% con revisione tra 3 anni.
Il 25 giugno ho avuto il secondo tentativo di neuromodulazione sacrale: oltre a rimettere l'elettrodo uscito, l' obiettivo era di aggiungere altri elettrodi a quelli che già ho per vedere se potevo avere dei benefici.
L' intervento è stato fatto a metà. La situazione da fine novembre è peggiorata. Se quella volta era riuscito in entrambi i lati, stavolta è riuscito solo a mettere gli elettrodi a destra, a sinistra impossibile a causa di un muro di aderenze e fibrosi che se toglieva poteva causarmi dei danni ed ha evitato. Il rischio era troppo alto. Questa volta il post operatorio è stato più duro, ho notato veramente delle grosse differenze tra questo intervento e quello di fine novembre. Ho avuto anche delle complicanze che per fortuna ho risolto.
Il 31 luglio mi è stato impiantato il neuromodulatore sacrale definitivo: pure stavolta l' intervento è durato un pò di piú perchè ha trovato un granuloma di pus che ha dovuto prima isolare dagli elettrodi e poi togliere.
Il 12 novembre, dopo 5 anni, mi hanno sostituito Mirena (la spirale), anche stavolta in anestesia generale x via della mia situazione complessa (da sveglia sarebbe impossibile mettermela).

A novembre 2019 mi hanno ridotto i cateteri da 5 a 1 e a marzo mi hanno tolto la terapia del dolore (da allora assumo antidolorifico solo al bisogno). X intestino, purtroppo, non ho risolto.

Cmq grazie all’evoluzione della tecnologia, della scienza e ricerca, oggi il neuromodulatore sacrale in molti casi può migliorare la qualità di vita. Si tratta di un trattamento che ha lo scopo di cercare di ripristinare la funzionalità del pavimento pelvico mediante la stimolazione nervosa. E' un'opzione che in genere si consiglia ai pazienti che non rispondono in maniera soddisfacente ai trattamenti terapeutici o che non possono assumere farmaci nel lungo periodo a causa di scarsa tollerabilità o di effetti collaterali importanti, e come scritto sopra a chi soffre di disfunzioni del pavimento pelvico (ritenzione urinaria, stipsi cronica, incontinenza urinaria e/o intestinale, cistite interstiziale ecc).
Ho imparato a convivere con il dolore cronico da quando ero adolescente, fa parte di me e l' ho accettato !!
Il passo più importante è l' accettazione della malattia e capire che noi non siamo Lei!!

Leggete bene queste parole e non giudicate piú chi vive con una malattia cronica ed invisibile:
Non cerchiamo attenzioni, né siamo ipocondriaci. Stiamo semplicemente cercando di vivere nel modo in cui il nostro corpo ce lo permette’’.

Michela Masat

martedì 15 dicembre 2020

Ventimiglia, convivere con il dolore. Laura, 31 anni, affetta da fibromialgia: «Per lo Stato siamo invisibili»

Malattia che causa dolore cronico, invalidante, ma per molti medici nemmeno esiste

Ventimiglia. Ha 31 anni, Laura Polizzi, e da quando ne aveva 28, cioè da quando la sua malattia è peggiorata, non ha un lavoro né un aiuto da parte di nessuno. Laura soffre di fibromialgia: una malattia cronica che provoca dolore diffuso in tutto il corpo, indebolimento, stanchezza, rigidità muscolare, emicrania. Una malattia di cui non si conoscono ancora con esattezza le cause e che ad oggi non è curabile. Ma non è tutto: la fibromialgia non è neanche riconosciuta dallo Stato come malattia invalidante, nonostante chi ne soffra sia impossibilitato a svolgere determinati (se non tutti) i lavori.

«Mi è stata diagnosticata un paio di anni fa – racconta Laura Polizzi -. Ma ne ho sofferto fin da bambina, perché sono sempre stata male. Pensavano che facessi i capricci, invece soffrivo. Da ragazzina pensavano che fossi depressa, perché parlavo poco e non avevo tanti amici: invece stavo semplicemente male». Dopo una giornata di lavoro in un bar, tre anni fa, Laura torna a casa, si mette a letto, a riposare. Quando si sveglia non riesce più a muoversi: resta bloccata a letto per cinque lunghi mesi. «Per farmi muovere un pochino mi hanno fatto delle epidurali, ma sono stata malissimo». Antidolorifici, morfina, farmaci vari sembrano solo peggiorare la situazione di Laura che alla fine ora è in cura da un reumatologo di Sanremo che le ha prescritto della Cannabis terapeutica: «E’ in gocce che devo mettere su un pezzetto di pane – spiega – E’ l’unica cosa che mi fa stare meglio perché i muscoli si rilassano, non restano contratti, e quindi il dolore diminuisce».

A rendere più difficile la vita di chi soffre di questa terribile malattia è il fatto che molti medici non credono neppure alla sua esistenza, non essendo “diagnosticabile”. «Eppure esiste e rende la vita un inferno – dichiara la giovane donna -. Provoca dolori a tutto il corpo, a tutti i muscoli, alle gambe e persino alla pelle. La notte è un incubo, non riesco a dormire, spesso sento la pelle delle gambe bruciare e devo mettere le gambe nell’acqua gelata o appoggiare sulla pelle delle pezze bagnate».

Non essendo riconosciuta dallo Stato, le persone che soffrono di fibromialgia, come Laura, non hanno diritto a una pensione di invalidità e nemmeno all’inserimento in categorie protette per accedere a un lavoro non faticoso che potrebbe consentire loro di vivere dignitosamente. «Quando sono andata all’Asl per fare la richiesta di invalidità – racconta Laura – Il medico si è messo a ridere. Mi ha detto che ero giovane e sana e che la fibromialgia non esiste. Queste sono cose che fanno davvero male».

«Per le visite mediche o l’acquisto di terapie mi devo basare su mia madre, che è l’unica ad avere uno stipendio con il quale, però, deve pagare anche l’affitto», spiega Laura. Per racimolare un po’ di soldi, essendo appassionata di arte e molto brava nel disegno e nella pittura, la giovane realizza opere che poi vende a chi gliele richiede. «Cerco di tenermi attiva più che posso, faccio le commissioni per i miei, dipingo, tento di avere una vita normale con il mio fidanzato. Anche se le difficoltà sono tante». Anche solo raggiungere uno studio medico nella vicina Sanremo è doloroso: spostarsi in autobus con tutti i dossi e le buche della strada, o in treno, con le carrozze che scuotono i passeggeri, diventa un problema enorme per chi soffre di fibromialgia.

Per questo, tramite Riviera24.it, Laura Polizzi lancia un appello per far sì che lei e tutte le persone che come lei sono afflitte dalla malattia possano essere riconosciute dallo Stato, aiutate, supportate in qualche modo e non abbandonate a se stesse come invece accade ora.

Chi vuole mettersi in contatto con Laura, può farlo attraverso la pagina Facebook Laura Fibromialgia al seguente link: https://www.facebook.com/laura.polizzi.54 


di Alice Spagnolo

10 dicembre 2020

FONTE: Riviera 24

domenica 13 dicembre 2020

Melissa ha la SMA, rischia la vita a 9 mesi: può salvarla solo un farmaco da 2 milioni

Melissa Nigri è una bambina di Monopoli, in provincia di Bari, affetta da una gravissima malattia: la SMA di tipo 1, l’atrofia muscolare spinale, che causa la morte progressiva dei motoneuroni, le cellule del cervello che inviano ai muscoli "l’ordine" di muoversi. È la più comune causa genetica di morte infantile. Una speranza contro questa malattia è il farmaco Zolgensma: prodotto dal gruppo Novartis è il più costoso del mondo, 2,1 milioni di dollari il suo prezzo. Basta una sola somministrazione di Zolgensma per correggere il difetto genetico che causa la malattia, tuttavia si deve intervenire entro i 6 mesi dalla nascita del bambino secondo quanto stabilito dall’Aifa.

Rossana Mesa e Pasquale Nigri, i genitori di Melissa, hanno però scoperto che la loro figlia era affetta dalla SMA quando costei aveva già 6 mesi e 28 giorni di vita, troppo "vecchia" per l’Aifa, perciò è esclusa dalla somministrazione gratuita. Il Zolgensma deve essere quindi acquistato sul mercato, dunque è partita un’imponente raccolta fondi sia in lingua italiana che in quella inglese, poiché la cifra è altissima e vi è bisogno di raggiungerla il prima possibile.

Anche se venisse raggiunto il traguardo non è detto, però, che i genitori riescano a comprare il farmaco: c’è bisogno infatti della prescrizione di un medico, non facile da ottenere perché Melissa ha compiuto nove mesi e si ritiene che i rischi derivanti dall’assunzione tardiva siano troppo alti. Entro febbraio il Ministero della Salute dovrebbe decidere in merito all’assunzione anche oltre i sei mesi, a patto che il bambino non superi il peso di 21 chilogrammi. Nel frattempo la raccolta fondi resta l’unica speranza per salvare la vita alla piccola Melissa.

La corsa alla solidarietà si gioca soprattutto sui social. È stata aperta la pagina Facebook "Un futuro per Melissa", dove si trovano tutte le informazioni per dare il proprio contributo economico. Si può donare sul conto di Pasquale Nigri:

IBAN IT28F0326825801052113371850

Banca Sella

Causale: Un futuro per Melissa


Per bonifici dall’estero:

SWIFT CODE: SELBIT2BXXX

È possibile anche donare attraverso la piattaforma GoFundMe.

Volevamo avvisare tutti che le donazioni stanno continuando ad arrivare – dicono Rossana e Pasquale – siete tantissimi e non abbiamo più parole per ringraziarvi. Il pensiero che ognuno di voi stia impiegando il suo tempo ed i suoi soldi per aiutarci non ha prezzo, non c’è un modo per descrivere come ci sentiamo in questo momento. Non ci sentiamo più soli.





di Francesco Pipitone

25 novembre 2020

FONTE: Vesuvio Live


Carissimi amici,

come ho già avuto modo di fare altre volte sulle pagine di questo blog, invito tutte le persone che leggeranno questo post a dare il proprio contributo per aiutare la piccola Melissa a vivere! Ciascuno doni quello che può, secondo le proprie possibilità, e se non si ha la possibilità di donare denaro, anche la semplice condivisione della sua storia è molto importante. Inoltre raccomando, come sempre, di pregare per lei e per la sua famiglia.
Tutti insieme possiamo fare molto, possiamo essere quell'oceano di "Amore" di cui questa bambina ha tanto, tanto bisogno!

Marco

lunedì 7 dicembre 2020

Atrofia muscolare spinale, bambina salvata al Santobono di Napoli con il farmaco più costoso al mondo

Sofia, una bimba di meno di sei mesi, è stata curata all'ospedale pediatrico Santobono di Napoli grazie a una terapia genica particolarmente innovativa contro l'atrofia muscolare spinale Sma. Il farmaco che le è stato somministrato è il più costoso al mondo - 1,9 milioni di euro per singolo trattamento - ed è stato autorizzato in Europa a maggio scorso e in Italia il 17 novembre. Si tratta, spiegano fonti dell'ospedale, del primo trattamento di questo tipo effettuato nel nostro Paese. Il medicinale si chiama Zolgensma ed è prodotto da Novartis.

L'atrofia muscolare spinale di Tipo 1 è una gravissima malattia genetica neuromuscolare, insorge subito dopo la nascita e causa una progressiva debolezza muscolare che compromette respirazione e deglutizione, causando la morte entro due anni. La malattia è dovuta alla delezione o mutazione di un gene denominato Smn1 capace di produrre una proteina cosiddetta Smn (proteina di sopravvivenza dei motoneuroni) che permette alle cellule motorie del midollo spinale di sopravvivere e inviare informazioni ai muscoli e permetterne il funzionamento. Il farmaco corregge il problema genetico, determinando la completa regressione della malattia. Questa terapia si basa su un vettore virale reso inoffensivo e utilizzato come navetta per veicolare il gene umano mancante nelle cellule motorie del midollo spinale, permettendo di produrre la proteina mancante in questa malattia.

Lo scorso 27 novembre, a solo dieci giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana avvenuta in seguito all'inserimento della terapia genica (onasemnogene abeparvovec) nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Ssn (L. 648/96) per i bambini affetti da Sma con mutazione biallelica del gene Smn1 e fino a due copie Smn2 entro i primi sei mesi di vita, è stato possibile procedere al trattamento della piccola.

Grande soddisfazione per il risultato conseguito viene espressa dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca, e da Anna Maria Minicucci, commissario straordinario dell'azienda Santobono Pausilipon. Il rapido utilizzo di questo farmaco al Santobono è stato reso possibile «grazie ad un eccezionale lavoro di squadra che ha coinvolto il settore farmaceutico regionale, i servizi interni all'azienda ospedaliera: acquisizione beni e servizi, farmacia ospedaliera, direzione aziendale e sanitaria e tutta l'equipe dell'unità operativa complessa di neurologia diretta dal dottor Antonio Varone».

La bambina è già tornata a casa dopo che sono stati monitorati per una settimana gli effetti collaterali connessi alla somministrazione del farmaco. Il padre, Luigi, ringrazia i medici del Santobono che lo hanno sostenuto: «All'inizio sembra tutto nero, un tunnel senza fine, adesso grazie a questo farmaco arrivato prima dei sei mesi della piccola Sofia tutti possiamo sperare e vedere alla fine del tunnel la luce tanto attesa. Spero che la nostra piccola possa far da guida a tutti gli altri affetti da questa malattia. Un ringraziamento anche tutti gli infermieri del reparto neurologia».

«Negli ultimi anni l'introduzione di terapie innovative - rileva Varone, primario della Neurologia - ha contribuito a cambiare radicalmente la storia clinica della patologia, che rimane a oggi una tra le prime cause di mortalità infantile. L'avvento di tali soluzioni terapeutiche rende quanto mai attuale la necessità di una sempre maggiore sensibilizzazione nei confronti della diagnosi precoce realizzabile attraverso l'implementazione di progetti di screening neonatale».


7 dicembre 2020

FONTE: Il Mattino

giovedì 26 novembre 2020

«La Sla ti porta via tutto: speriamo nelle terapie sperimentali»

Andrea Caffo è malato ma non si arrende e ha anche lanciato una raccolta fondi per aiutare la ricerca

di Damiano Scala

Andrea Caffo, malato di Sla che non si arrende. Quante vite ci sono in un'unica esistenza? Tante, tantissime. Pure troppe. Sarebbe impossibile contarle tutte. Succede quando hai un lavoro, una famiglia, tanti sogni nel cassetto e molte legittime aspirazioni. Poi una terribile malattia – la Sla (sclerosi laterale amiotrofica) – e la vita ti cambia.
Per il trentanovenne catanese Andrea Caffo oggi lottare vuol dire lavorare senza sosta per sensibilizzare l'opinione pubblica e far conoscere quanto più possibile la malattia ed i suoi effetti, richiedere l'accesso alle terapie sperimentali e raccogliere fondi per supportare la ricerca scientifica. «A giugno – racconta – ho pensato di lanciare l'iniziativa “Post Fata Resurgo” (motto dell'Araba Fenice risorta dalle sue ceneri) e ho creato un sito internet all'indirizzo “www.postfataresurgo.org” corredato anche da pagina facebook (https://www.facebook.com/ResurgoMNDALS), da Twitter (twitter.com/Resurgo_M-NDALS) e da Instagram (www.instagram.com/resurgo_mndals/). Ho lanciato anche un crowdfunding per la raccolta dei fondi da destinare al ProjectMinE». Malattia del Monteneurone, malattia di “Lou Gehring” e malattia di “Charcot”: i nomi per descrivere la Sla sono tanti ma il risultato è uno: aspettativa di vita che va dai 2 ai 5 anni e un tasso di mortalità del 100%.
«La Sla ti porta via tutto – prosegue – ecco perchè la ricerca diventa fondamentale per trovare la causa di questa malattia e poter quindi lavorare ad una soluzione definitiva. Il problema di base è che sembra non esserci la giusta attenzione mediatica da parte delle istituzioni. Il risultato? Il tempo passa e non si riescono a raggiungere obiettivi concreti». Con l'emergenza Covid-19 il rischio è che i malati di Sla si sentano ulteriormente messi da parte. «In altri paesi si stanziano molti più soldi per la ricerca sulle malattie neurologiche rispetto al nostro – dice Andrea Caffo – negli scorsi mesi ho scritto alle istituzioni italiane ed europee chiedendo l'abolizione dell'utilizzo del placebo dalle sperimentazioni sui farmaci per la Sla e consentire sia all'Ema che all'Aifa di accellerare il processo regolatorio per tutti quei farmaci che abbiano dimostrato efficacia per tutte le malattie con rapida e violenta progressione come la Sla».
«In quest'ultimo caso, esistono oggi almeno tre trattamenti che possono giocare un ruolo determinante nella lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica. Uno di questi è il “NurOwn”, di un'azienda di biotecnologia israeliana, che è giunto a conclusione della Fase 3 (dopo oltre 12 anni di sperimentazione) i cui risultati sono attesi per novembre. E' di vitale importanza, per noi, attivare gli iter necessari ad una approvazione immediata di questi farmaci evitando altre lungaggini burocratiche».

29 ottobre 2020

FONTE: La Sicilia

martedì 17 novembre 2020

“A Piacenza l’inquinamento è alle stelle”: Giovanna scrive a due ministri del governo

Cari ministri, qui l’inquinamento è alle stelle. Suona più o meno così l’incipit della lettera che Giovanna Sivelli, residente nel quartiere Besurica, ha recapitato ai ministri Giulia Grillo (salute) e Sergio Costa (ambiente).

Qualche giorno fa, la piacentina ha scritto di suo pugno una missiva agli esponenti del governo per evidenziare i vari sforamenti di polveri sottili registrati questo inverno a livello locale. Poi l’ha spedita tramite posta raccomandata, sperando che – oltre alla ricevuta di consegna – possa tornare sul territorio anche “una sensibilità maggiore per il tema ambientale”.

La donna, infatti, vive in prima persona gli effetti dello smog: soffre di "Sensibilità chimica multipla", una malattia rara (e non riconosciuta totalmente dalla comunità scientifica) che non le permette di tollerare gli agenti chimici diffusi nell’aria, tra cui appunto gli elementi inquinanti.

Ho deciso di portare alla vostra attenzione la condizione in cui si trova Piacenza – si legge nel testo indirizzato ai ministri -. Si tratta di una zona altamente industrializzata e poco ventilata, nelle immediate vicinanze dell’autostrada A1. Negli ultimi anni, qui si sono insediati diversi insediamenti logistici e tanti altri colossi mondiali vorrebbero aprire i loro immensi magazzini, causando parecchio inquinamento. Piacenza è scivolata in basso nelle statistiche ambientali”.


7 febbraio 2019

FONTE: Libertà

mercoledì 11 novembre 2020

“Sei solo un numero”, così Fiat-Fca ha licenziato a Melfi un operaio malato

Alla Fiat di Melfi gli operai sono solo numeri, non sono persone. E lo testimonia la storia assurda di Michele, cacciato dalla fabbrica perché nessuno crede alla sua malattia. È a lui che hanno detto in faccia: “Sei solo un numero”. Michele ha 49 anni, una moglie e due figli, tutti disoccupati. A raccontare la sua storia, con un’intervista, è il quotidiano online Basilicata24. Dal 1994 alla Fiat di Melfi, un giorno non ce l’ha fatta più. È il 22 aprile 2016, va alla Stazione Carabinieri di San Nicola e denuncia tutto. “Sei solo un numero” gli ribadisce il responsabile del personale, il giorno in cui per l’ennesima volta Michele prova a spiegare le sue ragioni. Sta male, ma nessuno sembra credergli, eppure ha gravi problemi di salute.

Mentre è al lavoro – si legge nell’articolo – è costretto a fermarsi, anche per correre in ospedale. Più volte, da quando gli hanno cambiato reparto. Diagnosi mediche inequivocabili, ignorate dai dirigenti, dice lui, "anche dal medico del lavoro": asma, intolleranza alle polveri, insufficienza respiratoria. Poi la diagnosi definitiva di una malattia a cui nessuno credeva: Sensibilità Chimica Multipla ed Elettrosensibilità. Lo hanno licenziato, ma solo dopo l’operaio ha avuto un po’ di giustizia. Michele ha lottato contro un clima ostile in una fabbrica dove "sei un numero"”.

Nel 2015 inizia il calvario che porterà al licenziamento. C’è una riorganizzazione aziendale in atto, dicono, perciò Michele deve passare ad altri reparti dove a causa della sua malattia però non può lavorare. L’operaio prova a spiegarlo in tutti i modi, scrive lettere, affronta colloqui con i superiori, presenta certificati medici di specialisti, diagnosi ospedaliere. Nonostante queste evidenze, le mansioni a cui viene assegnato presentano controindicazioni e livelli di rischio incompatibili con le sue condizioni di salute: polveri, fumi, irritanti delle vie respiratorie.

Un giorno, il 21 aprile 2016, dall’infermeria dello Stabilimento si rifiutano di chiamare il 118. Fa da sé, chiama l’ambulanza e va in ospedale: dispnea. “L’11 giugno alle 4 circa del mattino il supervisor mi chiama alla scrivania per farmi presente che mi doveva notificare la contestazione del 7 giugno a mano, ma prima di questo, mi informa che se mi volessi licenziare l’azienda dava da 20 a 30 mila euro”. Michele racconta: “Gli rispondo che non avevo intenzioni di licenziarmi ma che è l’azienda che sta facendo di tutto per farlo e che la contestazione la doveva spedire a casa come la precedente”. Michele viene licenziato l’11 gennaio 2017.

Pochi mesi dopo il professore Genovesi, specialista accreditato a livello internazionale, certifica che Michele è colpito da una malattia rara: Sensibilità Chimica Multipla ed Elettrosensibilità. “Malattia rara già riconosciuta dalla Regione Basilicata nel 2006 e nel 2013. Nel gennaio 2019 anche la Commissione per l’accertamento di invalidità riconosce a Michele di essere invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa. Il 26 gennaio 2017 Michele impugna il licenziamento, ancor prima aveva fatto ricorso per essere spostato di reparto e di mansione, ma gli danno torto in tutti e due i casi. A questo punto l’operaio avrebbe potuto impugnare le sentenze, produrre nuovi ricorsi, ma ha mollato per sfinimento, si è arreso. Non ce l’ha fatta”.


10 ottobre 2020

FONTE: Il Paragone

domenica 8 novembre 2020

La fattoria degli animali che non fa sentire soli i bambini disabili


Una fattoria in Texas ha trovato il modo per aiutare i bambini disabili a sentirsi meno soli. Si chiama "Safe", è situata ad Austin, e fa conoscere ai bimbi con disagi fisici o psichici altri animali che come loro sono in difficoltà. C'è chi per esempio non ha una zampa, o ha bisogno delle rotelle per camminare. Quando i bambini incontrano altri cani, gatti o pecore con disabilità capiscono che questa condizione può colpire tutti, e per i più piccoli è un modo per trovare conforto e conoscere se stessi.

La fondatrice si chiama Jamie Wallace-Griner: «tutto è cominciato quando abbiamo adottato un cane di nome Angel per aiutare il nostro bambino autistico», racconta. Hanno sempre amato gli animali, ma da quando Angel è entrato nella loro vita hanno capito che altri cani avrebbero potuto aiutare altri bambini come suo figlio. «Gli animali possono fare miracoli. Angel ci ha dato forza e ha aiutato nostro figlio a superare molte paure e a capire meglio le sue sensazioni e i suoi pensieri».


Jamie e suo marito hanno così comprato un ranch ad Austin nel 2014 e da allora è diventato la casa di molti animali compresi maiali, volatili e conigli. All’inizio le spese per mantenerli venivano pagate dalla famiglia, ma a un certo punto non erano più in grado di sostenere da soli tutte le cure veterinarie. Così nel 2018 hanno deciso di creare questa organizzazione non profit in modo da poter accettare delle donazioni. «Ogni animale che salviamo ha una storia da raccontare - dicono - e i bambini che vengono da noi con dei traumi possono confrontarsi con la vita degli animali e scoprire di non essere i soli ad avere delle difficoltà».

La fattoria offre una casa definitiva a molti animali, ma è anche un centro di riabilitazione. Loro aiutano infatti quattro zampe che hanno subito abusi o maltrattamenti, li aiutano a vivere meglio, e poi in alcuni cani quando le cure sono finite vengono anche adottati da altre famiglie.


di Cristina Insalaco

24 ottobre 2020

FONTE: La Zampa.it

lunedì 2 novembre 2020

Ha una malattia rara, calabrese costretto a trasferirsi in Messico per le cure: «Aiutatemi»


L'ex poliziotto è affetto dalla sindrome di Cogan in forma atipica ma in Italia non sanno come gestirla. L'ultima speranza sono le cure in una clinica di Cancun: «Mi sto spegnendo lentamente»

«Sto male, molto male, ho difficoltà quotidiane sia fisiche che mentali. Sto perdendo molti chili senza spiegazione». Esordisce così via skype Maurizio Coluccio, 49 anni, nell'intervista in cui mette a nudo la sua anima e chiede aiuto affinché la sua malattia smetta di torturarlo. Maurizio, originario di Praia a Mare, ha scoperto un decennio fa di soffrire della sindrome di Cogan in forma atipica, una malattia autodegenerativa tanto rara che al mondo risulta l'unico ad esserne affetto. Lo ha appurato dopo una ricerca mondiale condotta in Messico in cui gli scienziati hanno esaminato altri pochi casi simili, sette in tutto. Prima di andare precocemente in pensione a soli 42 anni, era un agente della Polizia stradale in sevizio nel Casertano. Oggi ha deciso di trasferirsi all'estero per curarsi e chiede un contributo economico per affrontare le spese.

Il volo della speranza nel 2014

È il 2013. Maurizio vive da solo in un piccolo appartamento a Praia e la notizia sul suo stato di salute, all'epoca già precario, ci mette poco a fare il giro del circondario. Arrivano le telecamere e la sua storia diventa di dominio pubblico. Lo affiancano associazioni e volontari del posto e la sua storia, grazie al web, arriva fino a Cancun, Messico, nonostante il dolore ai muscoli e agli organi interni. Qui c'è una clinica che cura malattie rare, ma non quella del 49enne. Poco male, i medici, che si mettono in contatto con lui, vogliono visitarlo per tentare di rallentarne il decorso con un autotrapianto di cellule staminali. In Italia non si può. Pochi mesi più tardi Maurizio è un uomo nuovo. Deve sempre fare i conti con un problema di salute e l'altro, ma trova la forza di reagire, cammina meglio, i dolori si calmano.

Il secondo trapianto di staminali

Sembra andare tutto per il verso giusto. Maurizio si trasferisce a Siena, nei pressi dell'ospedale Santa Maria alle Scotte, perché in Calabria la sanità è un disastro e proprio in quegli anni l'ospedale della cittadina tirrenica dove l'ex poliziotto vive, chiude i battenti. L'ospedale senese, invece, si fa carico della sua situazione anche se non ha idea di come gestirla, ma può intervenire subito su eventuali conseguenze. Ha sette infarti e un'embolia polmonare che gli mette fuori uso il polmone destro, ma è ancora vivo. Poi però accade che gli diagnosticano l'herpes Zoster, meglio conosciuto come il "fuoco di Sant'Antonio", e il suo organismo già scombussolato va in tilt. I progressi del 2014 vanno in fumo e lui è costretto a tornare a Cancun per un altro autotrapianto di cellule staminali.

Il peggioramento delle condizioni di salute

Per i primi mesi va tutto bene. Maurizio recupera forze ed energie e ricomincia piano a vivere nuovamente una vita quasi normale. Ma il virus dell'herpes zoster non ne vuole sapere di lasciare il suo corpo, nonostante le cure, e in pochi mesi la situazione precipita. Ha appena la forza di prendere in mano una bottiglia d'acqua, per sorreggersi deve comprare delle stampelle speciali che si legano al braccio e deve comprare un materasso particolare che gli consenta almeno di riposare.

I ritardi nelle cure a causa del Covid

A gennaio scorso Maurizio, come ogni nuovo anno, deve sottoporsi alla trafila di esami per capire a che punto è il suo reale stato di salute. Ma tra malasorte e destino infame si inserisce anche la pandemia mondiale. Deve aspettare, gli ospedali sono travolti dall'emergenza sanitaria dettata dal Covid e oltretutto lui il coronavirus non può vederlo neppure da lontano, o è la fine. Passano i mesi e intanto l'uomo passa, senza plausibili spiegazioni, dal pesare 84 chili ai 68 attuali. I medici non sanno che fare, qualcuno gli dice di rassegnarsi: un solo malato in Italia non fa testo, i soldi per la ricerca non bastano a studiare ogni cosa. È lasciato solo al suo triste destino e per mettere a tacere quei dolori lancinanti che nessuno sa come lenire si inietta una fiala di morfina al giorno.

La decisione di tornare in Messico

Maurizio è quasi rassegnato alla sua fine, ma poi, in un afoso giorno di luglio, accade che la sua amica Maddalena, 41 anni appena, se ne va tragicamente nel giro di poche ore per le complicanze di una malattia, anche questa rara. Ha un tuffo al cuore e proprio in quel momento capisce che deve lottare per la sua vita, deve provare a reagire. Nel trambusto del caos mondiale, decide che vuole tornare in Messico, nella clinica dove lo hanno già curato e dove si sono resi disponibili a studiare il suo caso, anche se è l'unico al mondo. Decisione per nulla facile, perché per decine di motivi sarà costretto a partire da solo, senza amici e senza la sua compagna, che gli è stato sempre a fianco nonostante le atroci sofferenze. «Sono dispiaciuto, non è stata una situazione facile - dice Maurizio -. Mi hanno convinto i miei familiari, soprattutto mio figlio, che ha 19 anni. Mi ha detto: vai a farti curare papà, così quando torni possiamo stare insieme. Ha visto un padre diverso in questi mesi, non mi riconosce più».

«Aiutatemi a vivere»

«Io ho sempre combattuto - dice -. Rendermi conto che mi sto spegnendo non riesco ad accettarlo». Per questo ora chiede aiuto. «Ho bisogno di soldi per poter partire e sistemarmi lì a Cancun per i primi giorni. Prevedo di rimanerci molto tempo, ma io vivo della sola pensione». Il suo appello ha motivazioni ancor più profonde: «Può capitare a chiunque di ammalarsi e aiutarmi significa aiutare se stessi. Spero che il mio grido di aiuto serva anche ad altri. Quante altre persone si sono sentite dire che non possono essere curate in Italia?». Per aiutarlo basterà seguire le indicazioni che troverete sul suo profilo Facebook oppure al gruppo "Un aiuto per Maurizio", dove l'ex poliziotto, oltretutto, racconta quotidianamente la sua battaglia conto la malattia.


di Francesca Lagatta

5 ottobre 2020

FONTE: La C News 24

giovedì 22 ottobre 2020

EHS e MCS, le malattie dell’ambiente: «Necessario intervenire rapidamente, per i pazienti drammatiche condizioni di vita»


Una giovane vita si è spezzata pochi giorni fa e con essa i sogni e le speranze di poter vivere una vita normale.

Era affetta da due gravi malattie ambientali, la Sensibilità Chimica Multipla o Multiple Chemical Sensitivity (MCS) e la Ipersensibilità ai Campi Elettromagnetici o Electromagnetic Hypersensitivity (EHS) che causano gravi reazioni fisiche in seguito ad esposizione rispettivamente a Sostanze Chimiche ed emissioni Wireless di ogni tipo, entrambe non riconosciute come entità nosologiche dal SSN.

In Italia sono state riconosciute solo da alcune regioni come malattie rare, ma rare non sono! Indicarle come tali è l’unica via percorribile dalle regioni per riconoscerle in autonomia, in mancanza di un riconoscimento nazionale.

Non essendoci un riconoscimento nazionale, i medici non sono obbligati ad aggiornarsi e quindi non sono a conoscenza di questo problema sanitario, emergente anche nella nostra provincia a causa del crescente Inquinamento Chimico ed Elettromagnetico.

Per questo chi ne soffre viene ignorato, come ignorate sono le richieste di aiuto dei malati, che da anni, anche tramite le associazioni di riferimento sia locali che nazionali, denunciano la situazione critica nella quale si trovano.

I soggetti affetti dalle forme più gravi, dal riscontro sempre più frequente, vivono in stato di prigionia. Sono costretti a non lavorare, sono privi di ogni forma di aiuto o tutela pur invalidi gravi e non hanno fonti di sostentamento; sono costretti a rinunciare allo studio o a creare una famiglia propria; sono danneggiati da emissioni imposte loro da terzi e verso le quali sono impotenti.

Non hanno accesso alle cure mediche di base e di emergenza in quanto le strutture sanitarie sono ambienti saturi di Campi Elettromagnetici (CEM) e Sostanze Chimiche, e la classe medica come detto non è aggiornata.

I malati di EHS e i malati di MCS rischiano di restare senza servizi essenziali (corrente elettrica, gas, acqua e collegamento ad internet) a causa dei cambiamenti che stanno venendo apportati alle reti di trasmissione dei dati in termini di utilizzo di contatori Wireless (smart meter, imposti per legge) e fibra ottica costituita da reti ibride che utilizzano anche il Wireless (che presto sarà l’unico sistema di collegamento ad internet disponibile sul mercato poiché l’ADSL sta venendo dismessa). Queste strumentazioni emettono segnali che passano attraverso i presidi schermanti dei malati, sono totalmente incompatibili con la malattia, e costituiscono un danno anche quando utilizzate da terzi che risiedono in loro prossimità.

L’uso crescente delle App sugli smartphone, che forniscono servizi a prezzo di un continuo collegamento alla rete a mezzo telefonia mobile, WiFi o Bluetooth, determina l’emissione di segnali dalla portata in grado di invadere i loro ambienti di vita.

I 700 MHz che verranno utilizzati dalla rete 5G sono ampiamente in grado di attraversare i presidi schermanti (schermature ambientali e indumenti schermanti) e non daranno loro scampo.

I malati di MCS stanno ugualmente andando incontro ad uno scadimento delle condizioni di vita, perché l’emergenza Coronavirus ha portato ad un cospicuo utilizzo di disinfettanti i cui vapori sono deleteri per la loro salute già precaria, divenendo pericolosissimi specialmente per chi vive in condomini.

Di tutti i problemi di cui sopra, che chiaramente ledono molti dei diritti di questi soggetti come esseri umani e come cittadini, il più critico resta quello sanitario. Sono stati fatti dei disegni di legge a tutela dei malati ma che purtroppo sono fermi a causa dell’emergenza Coronavirus.

Esistono dei riconoscimenti regionali e qualche regione adotta dei protocolli ospedalieri, ma non è assolutamente sufficiente a tutelare i malati perché, in assenza di una accurata e stabile bonifica ambientale nei confronti di campi elettromagnetici e sostanze chimiche, nonché di adozione di quotidiane ed adeguate misure gestionali per la MCS (dieta rigorosamente biologica e trattamenti antiossidanti e detossificanti quotidiani), le malattie sono progressivamente ingravescenti: la persona affetta diventa sensibile a una gamma più ampia di frequenze e sostanze chimiche presenti nell’ambiente, e i sintomi diventano più gravi e potenzialmente fatali.

Sono malattie scomode per i notevoli interessi economici dietro a certe scelte politiche e dell’industria, per cui si cerca di negarne l’esistenza nonostante studi scientifici peer-reviewed (quindi approvati dalla comunità scientifica) correttamente eseguiti ne confermino plausibilità biologica e gravità, e i malati siano dotati di certificati medici rilasciati dai pochi specialisti a conoscenza del problema.

Ester racconta: “A causa della MCS grave, pur avendo una casa, per anni ho vissuto in auto, molte volte in zone montane. Avevo problemi a vestirmi perché ogni detergente mi causava reazioni gravi e ho vissuto al freddo più d’una volta perché non potevo accendere il riscaldamento.

Adesso mi trovo a dover vivere sempre vicina ad un ospedale e in caso di crisi respiratorie, dovute anche solo al profumo utilizzato da una persona, devo correre al pronto soccorso. Non potendo accedere in sicurezza per le gravi reazioni che potrei avere in posti non bonificati come gli ospedali (il più delle volte preventivamente avvertiti), ricevo assistenza in una camera di isolamento, ma non è sempre facile disporre della comprensione del personale, e questa cosa mette costantemente in pericolo la mia vita.

L’autonomia è sempre più ridotta, non posso spostarmi molto perché devo avere un medico vicino a me. Mangio solo 4 alimenti e non posso curarmi perché non posso usare i farmaci tradizionali
”.

Paola, una malata grave di EHS e MCS, racconta invece: “Ho subìto atti di bullismo dai vicini solo per aver chiesto di spegnere i WiFi almeno la notte, sono stata derisa, umiliata e molte altre volte semplicemente ignorata. Nei primi anni di malattia, a causa dei dispositivi Wireless utilizzati dai vicini, sono stata costretta a dormire in auto, poi in uno scantinato, e infine su una sedia nell’unico piccolo spazio riparato dai CEM che ero riuscita a trovare, in un calvario di segregazione e isolamento che sta durando da anni. Da due anni sono costretta a vivere permanentemente in una struttura schermante con meno di 2 mq a disposizione per muovermi. A causa del recente potenziamento dei ripetitori siti alla stessa altezza ed in prossimità del mio appartamento (definito “sito sensibile” dall’ARPA), questa struttura schermante ha perso di efficacia e non mi ripara più adeguatamente. Ho danni organici documentati nelle mie relazioni specialistiche, e con l’aumento dell’elettrosmog ho ricominciato a soffrire di dolori continui ed intensi. Quindi non solo sono costretta a vivere da prigioniera per un inquinamento prodotto da terzi, ma vengo pure torturata! Sono a carico dei miei genitori anziani e non ho i mezzi per ripararmi adeguatamente. L’esborso economico elevato per trattare le malattie ha impoverito la mia famiglia e presto non potrò più curarmi. Spero continuamente di non avere bisogno di un ricovero ospedaliero perché le strutture sanitarie sono luoghi impraticabili, pieni di onde elettromagnetiche e sostanze chimiche.

A causa della MCS, esordita 5 anni fa per un problema ambientale, ho avuto una crisi respiratoria violenta che ha determinato una frattura costale multipla: ho dovuto curarmi da sola perché non potevo recarmi in ospedale e sono stata ignorata dal mio medico di base di allora. Di medici di base ne ho cambiati altri due e la situazione non è migliorata. Al momento soffro di dolori addominali continui, la cui causa non posso indagare per l’impossibilità di recarmi in ambienti sanitari non bonificati. Sto cercando di impedire l’installazione dello smart meter per il gas, perché già sto male per quelli installati nelle vicinanze, ma mi sto scontrando con un muro di gomma. Quando vado a letto la sera non so se il giorno dopo sarò ancora viva
”.

Vania, anche lei affetta da MCS ed EHS grave dice: “C’è un gran vuoto di umanità quando si tratta di malattie ambientali. Quando mi sono ammalata il mondo mi ha voltato le spalle. Vivo sola, i genitori sono lontani, faccio fatica ad alimentarmi, e i danni organici derivati dalle malattie mi stanno prosciugando le poche forze che mi sono rimaste. Mi trovo senza risorse e non so come potrà essere il mio futuro. Sono una giovane che vive da vecchia”.

Roberto, affetto da EHS e MCS, racconta: “Ho dormito 2 anni in auto a causa dei vicini che avevano il WiFi. Ora, dopo un trasloco in un posto inizialmente migliore, mi ritrovo nuovamente con frequenze invasive che mi creano un dolore così forte da farmi svenire e per riprendermi ci vogliono giorni. Soffrendo di problemi cardiocircolatori, considerato che i CEM hanno effetti importanti a livello cardiaco, vivo come un condannato a morte in attesa della esecuzione”.

L’Associazione Obiettivo Sensibile OdV, nata per sensibilizzare le istituzioni verso questo problema e per aiutare chi soffre di queste gravi patologie è stata istituita da un gruppo di persone trentine affette da queste patologie ambientali, per dare aiuto e tutele agli altri malati che risiedono in regione e in Italia. “In Trentino – spiegano i vertici dell’associazione – le persone affette da tali patologie a conoscenza diretta dell’Associazione sono circa una quarantina, ma sono solo la punta dell’iceberg: molti di più sono i casi sommersi. E’ necessario intervenire rapidamente perché le loro drammatiche condizioni di vita stanno violando quanto sancito dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, essendo peraltro incostituzionale. Come Associazione chiediamo che queste persone vengano ascoltate se chiedono aiuto al sindaco o ad altre istituzioni, e che le malattie vengano riconosciute e curate in Italia”.

E ancora: “I medici di base e gli ospedali si devono attrezzare per poter accogliere in sicurezza questi pazienti, senza rischiare di danneggiarli ulteriormente specialmente ora con il grave problema del Coronavirus. Abbiamo stilato un documento di accesso alle cure per i pazienti affetti da EHS e MCS proprio per tutelare i malati, e contiamo di distribuirlo capillarmente ai servizi di assistenza. Servirebbero inoltre luoghi Elettrosmog e Chemical-Free, aiuti economici per terapie salvavita e schermature, e pensioni di invalidità congrue. Ciò porterebbe queste persone ad avere gli stessi diritti degli altri cittadini e ad integrarsi nella società”.


19 ottobre 2020

FONTE: La Voce del Trentino

martedì 20 ottobre 2020

Il “Codice Celeste” nella tesi di laurea. «Ora aiuteremo altri bambini»


Arianna, 26enne di Zelarino, ha creato il linguaggio per la piccola affetta da Sma

MESTRE Il nome può trarre in inganno, ma il “Codice Celeste” non è materia da astrofisici. E' un linguaggio, forse ancora (per poco) segreto, che una ragazza ha inventato un paio d'anni fa per parlare con una bambina malata di Sma 1, l'atrofia muscolare spinale. Quella bimba oggi ha 8 anni, e il codice lo usa per raccontarsi, senza la fatica di una speciale tastiera che utilizza per studiare o scrivere, quando è più istintiva o nei momenti più impensabili. Come poco tempo fa quando, per la prima volta in ferry boat in direzione Lido di Venezia, ha detto ai suoi genitori: «Che strana sensazione. Io sono ferma ma qui tutto si muove».

LA COMUNICAZIONE

A permetterle di esprimersi, in ogni momento, quel codice che mamma e papà hanno imparato con i loro tempi, ma che lei e Arianna usano con una disinvoltura tale da diventare, per gli altri, incomprensibili. Il Codice Celeste è stato premiato anche dalla commissione universitaria che mercoledì si è trovata di fronte proprio Arianna Natural, 26enne di Zelarino. Dopo anni di lavoro come assistente alla comunicazione di Celeste, ha trasformato quel codice che ha creato per lei in una tesi, che le ha fruttato il punteggio massimo nella discussione. In sala, a fare il tifo per lei, c'era anche Celeste che, con la sua famiglia, ha organizzato a Venezia una speciale festa.
Ora Arianna, con la sua laurea magistrale in Scienze del linguaggio sogna, insieme a Elisabetta e Giampaolo, genitori di Celeste, di mettere questo prezioso linguaggio a disposizione di tutte le famiglie di persone con gravi disabilità.

CREATO UN MANUALE

«I miei progetti ora sono quelli di continuare a seguire Celeste – racconta Arianna -, in futuro vedremo. In questi anni studiare e lavorare è stata dura, ma le soddisfazioni sono grandi». Ora che il percorso di laurea è concluso, parte quindi il progetto di realizzazione e successiva diffusione del manuale del Codice che ha permesso a Celeste di uscire dal guscio e sdoganare la sua personalità.
Il linguaggio, infatti, nasce da una combinazione di quei minimi movimenti degli occhi che la bambina riesce a controllare e i brevi suoni che emette con la voce. Linguaggio che, prima che imparasse a scrivere, le ha permesso di comunicare le sue esigenze e poi, passo dopo passo, di raccontare storie e confidare i suoi pensieri.

UN GRUPPO DI LAVORO

Solo attraverso il codice, per esempio, si è scoperto che Celeste era in grado di leggere: poche parole con cui ha corretto la maestra, che aveva volontariamente fatto un errore alla lavagna. «Il nostro grande sogno – conclude Arianna - È che il “Codice Celeste” possa essere utile ad altri bambini con la stessa specialità».
E' stata un'amica in comune a far incontrare la famiglia Carrer e la studentessa di Zelarino, un sodalizio da cui è poi nata anche la Onlus “Gli occhi di Celeste” in cui lavora, gratuitamente, un team di professionisti che si mette a disposizione per aiutare i bambini. Gruppo da cui stanno nascendo vari progetti, destinati a facilitare la vita delle persone con disabilità e le loro famiglie.


Di Melody Fusaro

Luglio 2018

martedì 13 ottobre 2020

Trento, morta giovane elettrosensibile/MCS. Obiettivo Sensibile: “C’è rabbia, le istituzioni continuano ad ignorare la malattia”


Comunichiamo con dolore, e non nascondiamo anche rabbia, la notizia giunta ieri sera dalla mamma di una giovane donna, della morte della figlia affetta dalle forme gravi di Sensibilità Chimica Multipla ed Elettrosensibilità, nostra associata”. Con queste poche righe l’associazione trentina Obiettivo Sensibile ha reso nota l’ennesima tragica fine di un’ammalata invisibile, cittadina dellEra Elettromagnetica costretta al confino senza assistenza né cure del sistema sanitario nazionale, colpa l’ostracismo di un negazionismo infimo ostinato a privare chi ne soffre pure dei diritti inalienabili dell’uomo. Senza il riconoscimento nazionale e nell’elenco regionale delle malattie rare, infatti gli ammalati di questa sindrome immuno-neuro-tossica altamente invalidante sono relegati al confino, abbandonati soli, al loro destino, per una disperata lotta per la sopravvivenza che, come purtroppo già successo in passato, può concludersi nel peggiore dei modi, sconfinando nel punto di non ritorno. Nonostante il riconoscimento da parte dell’ONU e l’inserimento tra le classificazioni internazionale nell’ICD10 da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Inaccettabile: “Siamo vicini alla famiglia in questo momento di grande dolore – continua la nota di Obiettivo Sensibile – quanto successo ieri è uno dei non pochi casi laddove le istituzioni continuano ad ignorare queste patologie. Continueremo a batterci per i nostri diritti e per un riconoscimento delle patologie, affinché ci sia una tutela e quanto accaduto non debba più ripetersi.

Come già anticipato nella recente inchiesta di OASI SANA sul riconoscimento della patologia, per colmare la vergognosa lacuna del sistema sanitario nazionale Obiettivo Sensibile ha predisposto un protocollo per l’ospedalizzazione in sicurezza dei malati ambientali. Sottoscritto da numerosi medici e ricercatori, il documento "Accesso alle Cure per pazienti affetti da Ipersensibilità ai Campi Elettromagnetici (EHS) e Sensibilità Chimica Multipla (MCS)" è stato redatto in collaborazione con Justina Claudatus, medico specialista in medicina ambientale clinica. “Quanto proposto – affermano i promotori – è solo l’introduzione ad un problema tanto complesso quanto cruciale per la sopravvivenza dei soggetti affetti da Ipersensibilità ai Campi Elettromagnetici (EHS) e Sensibilità Chimica Multipla (MCS), il cui numero è in rapido aumento, attualmente impossibilitati ad avere adeguata assistenza sanitaria. Necessita di essere sviluppato in protocolli assistenziali integrati, e solo con il Vostro contributo potrà diventare un mezzo efficace di integrazione e possibilità di accesso alle cure mediche per questi malati”. Rivolto a tutti gli operatori in ambito sanitario e alle strutture sanitarie pubbliche e private, finora però i nosocomi interessati sono pochi, meno di una decina in tutta Italia: tra questi l’Ospedale Giovan Battista Grassi di Ostia a Roma ha adottato un protocollo per l’ospedalizzazione e le cure in sicurezza per malati di MCS, approvato grazie all’intervento dell’associazione A.M.I.C.A. quando la patologia era ancora inserita nell’elenco malattie rare della Regione Lazio. Altri protocolli, come segnala il Comitato Oltre la MCS, sono adottati anche nell’Ospedale San Filippo Neri (sempre nella Capitale) e al San Camillo De Lellis di Rieti.

Si sono poi perse le tracce della proposta formulata lo scorso anno dall’Associazione Italiana Elettrosensibili per redigere un protocollo diagnostico, terapeutico e prognostico per l’elettrosensibilità: “Potrà poi essere mutuato anche dal Sistema Sanitario Nazionale”, aveva promesso il presidente Paolo Orio. Ma non se ne è più avuta notizia, evidentemente troppo l’impegno per relazionare incontri informativi, promossa la raccolta fondi per il cortometraggio Elettra. Anche per questo l’Alleanza Italiana Stop 5G ha consegnato documentazione e dossier sull’EHS-MCS sia al Ministero della Salute che all’Istituto Superiore di Sanità, perché non c’è più tempo da perdere, servono fatti concreti, prima che sia troppo tardi: nel Parlamento Europeo è finita l’interrogazione a risposta scritta dell’eurodeputato Piernicola Pedicini e alla Camera dei Deputati l’interrogazione parlamentare a doppia firma On. Sara Cunial, On. Veronica Giannone indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per tutelare i malati d’elettrosmog nel riconoscimento della disabilità. L’associazione Emergenza Elettrosmog Abruzzo sta infine sostenendo la "Risoluzione per la tutela della salute dei cittadini" MCS-EHS presentata dal consigliere Domenico Pettinari, vice presidente del Consiglio regionale dell’Abruzzo, mentre al Senato il Sen. Giuseppe Pisani ha depositato un disegno di legge sull’MCS, però non ancora calendarizzato in commissione. E a Trento, purtroppo, da ieri si piange l’ennesima vittima. Invisibile, intollerabile. Mai più.

di Maurizio Martucci

7 ottobre 2020

FONTE: Oasi Sana


E' sempre una grande tristezza dover dare notizie come queste, ovvero della morte di una giovane ragazza affetta da Sensibilità Chimica Multipla (MCS) ed Elettrosensibilità (EHS). E' tuttavia doveroso farlo, perchè è bene che la gente sappia che razza di patologie sono queste e in che stato di abbandono sono ancora lasciate le persone che ne sono colpite.
Purtroppo la situazione di questi malati è ancora lontanissima dall'ideale, ed ora, come già successo in passato, piangiamo amaramente questa nuova vittima.

Marco

lunedì 21 settembre 2020

Giulia Centonze, la colletta delle amiche per curarla a Innsbruck: «Servono 100mila euro»

 

La studentessa 23enne è in stato di «minima coscienza» dopo un incidente stradale. La famiglia non può permettersi il ricovero nella clinica in Austria che potrebbe aiutare la ragazza. La sorella: «Sono disposta anche a fare l’elemosina»

Benedetta dice che «Se oggi tornasse a essere la Giulia di prima l’abbraccerei e le direi: bentornata, mi sei mancata tanto». Federica ricorda il bene che Giulia riusciva a dare a tutti, «c’era sempre, cercava di capire, di aiutare chiunque le ponesse un problema... vederla così è straziante». «Così» è in stato di «minima coscienza», per dirla con le parole dei medici. Giulia Centonze, 23 anni — vita e famiglia in provincia di Reggio Emilia, studentessa di psicologia con il sogno di diventare criminologa — il 3 maggio dell’anno scorso ha avuto un incidente. Per motivi che nessuno ha saputo ricostruire, ha perso il controllo dell’auto che guidava, è finita contro un’altra macchina e la sua vita si è ridotta al minimo. Lei c’è ma è un’altra Giulia quella che di tanto in tanto sorride dal suo letto d’ospedale, a Ferrara.

«Adesso tocca a noi»

La sua famiglia è in contatto con una clinica austriaca, ad Innsbruck, che ha già esaminato il suo caso, che ipotizza la possibilità di «piccoli passi avanti» e che sarebbe disposta a prenderla in carico. Le sue sorelle, Valentina e Serena, sono convinte che lì la sua situazione potrebbe davvero migliorare. Ma i costi per ricoverarla sono alti, inarrivabili date le condizioni economiche di casa Centonze. Così sono le amiche di Giulia a provare l’impresa. Federica, Benedetta, Gaia e Francesca — legate a lei dai tempi delle scuole medie — hanno deciso di aprire una pagina facebook per raccogliere fondi per le cure. «Adesso tocca a noi esserci» riassume Federica. «Vogliamo che niente resti intentato, lo dobbiamo a lei e alla nostra amicizia».

«Quel nodo che ci lega a Giulia»

Il gruppo si chiama "Quel nodo che ci lega a Giulia". Valentina, la sorella più grande, spiega che il nome viene da un regalo che proprio Giulia fece alle quattro amiche: «Era Natale del 2018. Mi chiamò e mi disse che per loro aveva pensato a un pensierino per tutte uguali: un anellino con un cuore annodato e un messaggio per raccontare quanto fossero speciali e legate l’una all’altra». Finora la raccolta fondi è passata dal conto bancario pubblicato sulla pagina facebook, nei prossimi giorni Benedetta, Gaia, Francesca e Federica lanceranno la raccolta con GoFoundMe, sperando «di riuscire ad aiutare lei e la sua famiglia a fare tutto quel che è possibile per vederla migliorare».

Quanto serve

«Per tre mesi nella clinica austriaca servono più di centomila euro» sospira sua sorella Valentina. «Noi siamo una famiglia modesta, molto unita. Giulia è la piccola di casa, aveva tanti sogni, tanto futuro davanti a sé e invece...». La voce è rotta dall’emozione e dal pianto. «Se servirà per vederla migliorare — promette Valentina — io andrò anche a fare l’elemosina, non mi vergogno a dirlo. Ogni tanto lei ci sorride, per noi è un modo per dirci: ci sono, sono qui. Non la lasceremo andare via».


di Giusi Fasano

30 agosto 2020

FONTE: Corriere della Sera


Per aiutare Giulia Centonze con un contributo:

IBAN IT49I0303266290010000399334
(Dopo il 49 c’è la i di Imola)

Intestatario: PATRIZIA OZZI

Causale: FONDO SOLIDARIETÀ CURE PER GIULIA.

lunedì 14 settembre 2020

Giò verso l'ultimo intervento ma servono altri 150mila euro


L'appello di mamma Erika: «Un'opportunità, ma c'è la paura di non farcela»
Donazioni dirette o acquistando dolci, biscotti, magliette e infine la raccolta tappi


di Paola Pilotto/Piazzola

Doppia sfida per il piccolo Giò: l'ultimo intervento per consentirgli di correre come gli altri bambini e 150mila euro per poterlo sostenere.
La data del nuovo intervento sarà il 23 marzo, sempre in Florida nella clinica del Dottor Paley, la St Mary's Medical Center di West Palm Beach dove Giovanni è già stato sottoposto in quest'ultimo anno a 3 operazioni. Nelle scorse settimane mamma Erika Molinarolo ha versato la caparra di 10mila dollari per confermare l'operazione chirurgica alla gamba destra di Giò, 3 anni e mezzo, affetto da emimelia tibiale. Mancano dunque 140mila euro per regalargli la normalità di giocare e correre come gli altri.
«L'emozione è grande nell'avere questa grande opportunità per nostro figlio» confessa mamma Erika rinnovando l'appello «ma altrettanta è la paura di non farcela. Sono con il cuore in mano, stretto in una morsa, tante lacrime, quello strascico di dignità che mi resta, e quell'accenno di sorriso che non posso perdere, a chiedere di aiutarci, di rendere possibile questo miracolo. Aiutateci a non perdere questa battaglia».
Niente asilo per Giovanni, quest'anno dove anche l'emergenza sanitaria è un grosso ostacolo per il sogno di raggiungere una normalità. La sua storia ha commosso tutti. Giovanni Piccolo è un bimbo dolcissimo, vivace, con due occhioni scuri che fanno una tenerezza unica. Dopo un primo intervento non riuscito in Liguria, la prospettiva era l'amputazione. Mamma Erika però non ci sta e smuove il mondo per trovare una alternativa dignitosa. Parte la raccolta fondi, vengono organizzati eventi e donazioni che in pochi mesi consentono di arrivare ad un obiettivo enorme: 400mila euro per sostenere 3 interventi in Florida dal luminare dottor Paley. Giò passa un anno oltreoceano assieme alla famiglia, entrando ed uscendo dalla sala operatoria per recuperare l'articolazione del ginocchio e 4 cm di lunghezza. Prima battaglia vinta, ma arriva il Covid che li blocca a Miami. Tornano in Italia a luglio e dopo un mese arriva la data del quarto, probabilmente ultimo intervento dove verrà affettuato l'allungamento, che attualmente ha una discrepanza di 6 cm. Inizia la nuova battaglia. Giò continua costantemente a fare fisioterapia in Italia con il suo paladino Federico Pierpaoli dell'Osteomed da sempre in contatto con i colleghi americani. Nei giorni scorsi la gambina però era dolente: ha dovuto fare i raggi e inviarli a Paley che ora è in Polonia: «Nessun ingranaggio si è spostato», ha assicurato il luminare, ma nel caso il dolore tornasse si devono fare le valigie per Varsavia. «Giovanni non si è più lamentato, speriamo continui così con la fisioterapia fino a marzo». Per aiutare Giovanni, ci sono i biscotti, la pasta, i cioccolatini, le magliette, le caramelle e la raccolta tappi. Oppure versamenti al conto corrente IT14G0760112100001045433644 intestato a Molinarolo Erika con la causale “Diamo il meglio a Giovanni”

Agosto 2020

FONTE: Il mattino di Padova


Come tante gocce formano il mare, ciascuno di noi può donare il proprio contributo al piccolo Giovanni, tanto desideroso di poter camminare e correre come tutti i bambini sani del mondo. Non facciamoci mancare la possibilità di fare questo grande Bene a questo bambino, che necessita, come scritto nell'articolo, di quest'ultima delicata, importantissima operazione.
Grazie di vero cuore a chi lo vorrà aiutare.

Marco

mercoledì 9 settembre 2020

La puntura di un tafano e la tua vita è sconvolta per sempre


Donata Rotondo colpita dalla Borrelliosi. Da Baldissero lotta per impedire che dilaghi

BALDISSERO E' bastata la puntura di un tafano a sconvolgere per sempre la vita di Donata Rotondo, nove anni fa. Aveva 56 anni. Era a letto. Lì per lì non diede molto peso a quel fatto. Non sapeva che stava iniziando la sua lotta contro una malattia subdola: la Lyme. Oltre a combatterla dentro se stessa, Donata Rotondo ha deciso di darle battaglia anche in campo aperto, raccontando cos'è e come la si può affrontare.
«Per il primo anno non mi sono accorta di essere stata infettata. Però mi sentivo strana, avevo sbalzi d'umore inspiegabili. Circa un anno dopo la puntura, ha iniziato a gonfiarmi un braccio e, nei giorni successivi, la stessa cosa è successa anche ad altre parti del corpo».
Non capisce di cosa si tratta fino a quando, un giorno, una dermatologa, da cui va per altri motivi, ha il sospetto che possa trattarsi di Lyme: identificata nel 1975 in una contea del Connecticut, negli Stati Uniti, è una malattia infettiva di origine batterica, provocata dalla Borrellia burgdorferi. Si trasmette in prevalenza attraverso il morso della zecca, ma altri vettori di contagio possono essere insetti come tafani, zanzare, pulci.
«Il problema maggiore di questa malattia è proprio la diagnosi: spesso i sintomi che provova vengono scambiati per altro e non si riesce ad intervenire quando è necessario farlo», racconta Rotondo.
Il primo classico sintomo della malattia è un eritema migrante, cioè un arrossamento della cute localizzato nella zona del morso, che però si presenta solo nel 30-40% dei casi, rendendo più complicata la diagnosi.
La signora Rotondo viene sottoposta al test per la Borrellia, a cui risulta positiva. Così inizia la terapia per contrastare la malattia.
La Lyme si manifesta attraverso febbre e sudorazione, problemi intestinali, dolori al collo e alle articolazioni e uno stato di malessere generale, che rendono difficile vivere una quotidianità normale. «Ma non solo: spesso ho anche mal di testa, pelle sensibile, soffro di amnesie e ho difficoltà di concentrazione – racconta – Mi sono poi rivolta all'Ospedale Maggiore di Trieste, dove sono stata ricoverata una prima volta a Natale del 2012 e una seconda nel 2015, quando ho scoperto dell'esistenza di possibili coinfezioni collegate alla Lyme».
Dopo i trattamenti comincia a stare meglio: «Non è stato facile, ero in continuazione sotto antibiotici: se non si debella la malattia, appena vengono smessi gli antibiotici, i sintomi possono ripresentarsi e c'è bisogno di un continuo confronto con il medico curante».
La battaglia con la malattia costringe anche a cambiare le proprie abitudini alimentari, per ridurre i rischi di complicanze da farmaci.
Adesso Donata Rotondo è nella fase di remissione della malattia: ha sconfitto le coinfezioni. «Sto meglio e conduco una vita dignitosa, prima non era vita. Anche se per due anni ancora i sintomi potrebbero ripresentarsi».
Per permettere ad altre persone di conoscere la malattia, ha creato su Facebook il gruppo “aggiornamento ricerche sul Lyme”, dove pubblica materiale informativo. Per saperne di più sulla Lyme, esiste inoltre l'Associazione Lyme Italia e coinfezioni, una rete di malati, familiari e professionisti sanitari che si occupa di sensibilizzazione (per informazioni: infoassociazionelyme@gmail.com, www.associazionelymeitalia.org o 338.18.43.725, il sabato in orario 10-13).
Sul sito dell'Istituto superiore di sanità , si legge che “la malattia di Lyme è oggi la più diffusa e rilevante patologia trasmessa da vettore con diffusione nelle zone geografiche temperate, ed è seconda, per numero di casi, solo alla malaria fra le malattie che richiedono un vettore artropode per la diffusione”. Rotondo sottolinea che ormai la Lyme è endemica su tutto il territorio italiano. «E il problema diventa più grave se si considera che le zecche sono in aumento: è necessario fare quindi attenzione e prendere le dovute precauzioni».
Ma è possibile prevenire la Lyme? «Purtroppo non esistono vaccini: si può solo cercare di evitare la puntura delle zecche». L'Associazione Lyme Italia consiglia, quando si fanno passeggiate in aree verdi, di usare repellenti per insetti sulla pelle scoperta, di indossare indumenti chiari per meglio individuare le zecche e coprire gambe e braccia.
E' inoltre utile camminare al centro dei sentieri e, al termine dell'escursione, controllarsi su tutto il corpo, dato che la presenza delle zecche non è percepita sulla pelle. «Se per caso si viene punti, è meglio non rimuovere da soli la zecca, a meno che non si sia esperti. Conviene recarsi al pronto soccorso e poi far analizzare la zecca: a Torino ci si può rivolgere all'istitutozooprofilattico per capire se è infetta».

di Vladimire Labate


Dall'eritema migrante ad artriti, cefalee e disturbi neurologici

Dr. Maria R. D'Alterio

La malattia di Lyme o Borrelliosi, è causata dal morso di una zecca infettata da un batterio detto Borrelia Burgdoferi. L'infezione, nell'uomo, procede attraverso vari stadi che si manifestano con un'eruzione cutanea: eritema migrante, artriti, artralgie o mialgie migranti, rigidità o dolore del collo; problemi neurologici: sensazione di “annebbiamento”, amnesie, difficoltà di concentrazione, cefalea, parestesie, paralisi facciale, meningite, neurite multipla, encefalite, sintomi neuropsichiatrici; cardiologici: arresto cardiaco, pericardite; oculari: uveite. cheratite. L'eritema migrante, che ricorda la forma di un bersaglio, costituito da cerchi concentrici di zone più rosse alternate a zone di cute più chiara, è la reazione della pelle caratteristica della malattia e si manifesta dopo il morso della zecca. Purtroppo questa lesione non sempre è presente, notata o riconosciuta.
Può comparire da 1 settimana a 3 mesi dopo il morso e perdurare per diverse settimane. Non provoca prurito, né calore, né dolore.
La diagnosi della malattia di Lyme si fa attraverso un test a elevata sensibilità, l'Elisa. Quando il risultato è positivo o dubbio, si approfondisce con un altro test, più specifico, l'Immunoblot. In caso di conferma, si procede con la terapia. Doxiciclina o amoxiciclina per almeno 3 settimane sono gli antibiotici maggiormente efficaci.
La prevenzione delle punture delle zecche è l'arma più valida per proteggersi dalla malattia di Lyme. E' consigliabile usare spray repellenti da spruzzare su pelle e abiti quando ci si avventura, maggiormente in primavera ed estate, in zone boscose, tra l'erba alta, in prossimità di corsi d'acqua dove si abbeverano gli animali selvatici che possono trasportare questi insetti.
Al rientro dalle escursioni, è bene controllare abiti e scarpe. Ispezionare accuratamente il corpo durante la doccia e contattare il medico in caso di presenza di zecche, di comparsa di lesioni eritematose a/o di febbre e malessere generale.


25 aprile 2019

FONTE: Corriere di Chieri