lunedì 30 dicembre 2013

New Dreams - Nasce il gruppo "Gli angeli di Adele", dal 29 dicembre parte il sostegno della Diocesi


La New Dreams, il sodalizio normanno presieduto da Donato Liotto comunica che, si è svolto un incontro tra la New Dreams e il gruppo di persone che nei prossimi giorni, vale a dire, dal 29 di dicembre 2013, si occuperanno di promuovere la “Campagna di Sensibilizzazione” davanti alle parrocchie di Aversa e non solo. Iniziativa volta a sostenere Adele Iavazzo, la giovane aversana colpita da MCS (Sensibilità Chimica Multipla).
Il progetto, ideato dalla New Dreams ricordiamo, è stato chiamato “La stanza di Adele”. Due sono gli obiettivi pertanto che si spera di raggiungere: raccogliere fondi per Adele Iavazzo, provare a dare dei segnali “forti” sul territorio affinchè si sappia cos’è la MCS, un male “oscuro” e sconosciuto ai più. Grazie al sostegno della Diocesi Aversana e di tutti i parroci delle chiese presenti sul territorio aversano, sicuramente si spera di raggiungere gli obiettivi posti. Un argomento, quello della MCS, che riguarda non solo chi ne è colpito, ma tutte le persone.
All’incontro, oltre a Donato Liotto erano presenti una parte “vitale ed essenziale” di coloro che, già da tempo, sostengono Adele con tante iniziative: Federica Barbato, 22 anni, Annachiara Andreozzi, 22 anni, Rossella Liguori, anni 22, Giuliana Ciriello, anni 22, Giusi Stabile e Giuseppe Andreozzi e per finire, Giuseppe Iavazzo (fratello di Adele). Tema dell’incontro: quello di pianificare e ottimizzare al meglio l’iniziativa in essere, e cercare di “inglobare” anche tutte le altre iniziative meritorie messe in atto da tante altre persone, associazioni etc. Unire tutte queste iniziative e dare un’unica “voce” e un unico appello: sostenere Adele Iavazzo e far conoscere la MCS. Chi volesse partecipare in sinergia con la scrivente può inviare mail a: associazionenewdreams@gmail.com

Ricordiamo che il progetto della New Dreams è patrocinato dalla Diocesi di Aversa e ha il sostegno di Sua Eccellenza il Vescovo Angelo Spinillo. Le locandine del progetto verranno distribuite già da lunedi (ndr 23.12.2013) in tutte le parrocchie e verranno consegnate ai responsabili di Ascom, Confesercenti e AversaNormanna. Loro provvederanno successivamente a distribuirle tra i loro altri associati.
Abbiamo stabilito il da farsi e questo a partire dal 29 dicembre”- dichiara Donato Liotto che aggiunge – “Ho incontrato ragazzi giovanissimi, tra qui, alcuni cari amici, miei coetanei. Tutti pieni di voglia di fare. Una "nota di merito" la voglio fare a questi giovani, sono encomiabili. Loro rappresentano il meglio! Sono sicuramente un valido esempio per tanti loro coetanei e, non solo. Un esempio anche per "noi" adulti. Fortunatamente in "giro" di giovani e anche di adulti come loro c’è ne sono tanti così. Ora questo gruppo ha anche un nome: "gli angeli di Adele". Spero che, a queste persone possano aderire tanti altri ancora e collaborare assieme per una causa nobile. Ringrazio di nuovo tutti coloro che ci sostengono, un grazie di cuore, a nome mio e di Adele, lo voglio fare ai parroci di tutte le parrocchie del territorio per la collaborazione e sostegno. Il loro apporto è sicuramente un aspetto importante.

di Donato Liotto

25 dicembre 2013 

FONTE: associazionenewdreams.it
http://www.associazionenewdreams.it/index.php?option=com_content&view=article&id=354%3Anew-dreams-nasce-il-gruppo-qgli-angeli-di-adeleq-dal-29-dicembre-parte-il-sostegno-della-diocesi&catid=1%3Ablog&Itemid=2


Una bella storia di solidarietà che ha al proprio centro Adele Iavazzo, malata di Sensibilità Chimica Multipla (MCS), e tante brave persone, associazioni e anche la Chiesa locale, che si stanno impegnando per aiutare Adele nella sua difficile battaglia contro la propria malattia.
E' bello rimarcare che tra le tante persone che si stanno stringendo attorno ad Adele, ci sono sopratutto molti giovani, pieni di entusiasmo e di voglia di fare Bene. Questa è certamente una nota molto positiva, che lascia veramente ben sperare per il futuro.
E con questa nota felice e carica di speranza, auguro a tutti un felice Anno Nuovo. FELICE 2014 A TUTTI !!!

Marco

sabato 28 dicembre 2013

Lettera di un MCS a Babbo Natale


Aversa.Una mia cara amica mi ha fatto una richiesta: se potevo scrivere per lei una letterina a Babbo Natale”.

A parlare è Donato Liotto, presidente della associazione "New Dreams" di Aversa, che spiega: “Mi ha detto ‘Caro Donato, tu conosci i miei pensieri e i miei desideri, son certa che saprai interpretarli e cosa chiedergli’. A questo punto, ho voluto esaudire il suo desiderio e scrivere per lei una lettera a Babbo Natale”. Lei è Adele Iavazzo, affetta da MCS, e la lettera è dedicata a lei e a tutti gli “invisibili” della “Sensibilità Chimica Multipla”. Per Adele, ricordiamo, è in atto una campagna di sensibilizzazione, a cui partecipa anche il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, volta a far conoscere questa malattia e a raccogliere fondi.


Lettera di un MCS a Babbo Natale

Caro Babbo Natale, ho visto tanti regali sotto il mio albero di Natale immaginario e non saprei, credimi, davvero da dove cominciare. Dentro i "pacchi" lo so, anzi, posso come tu sai, solo immaginarlo, ci sarà, forse un palmare, un computer, un televisore, un forno elettrico, un videogioco? Insomma, tanta roba. Caro Babbo Natale, scusa, sarà l'età, oppure, sarà colpa degli ‘Elfi’ addetti allo smistamento della tua posta, ma io, ti avevo scritto una lettera e chiesto una cosa, una cosa sola.

La mia lettera ti è arrivata o no? Vabbè… non fa niente, te lo dico a mezzo mail… visto che pure tu ti sei organizzato, adeguato alla tecnologia. Babbo Natale, io vulesse na cosa sola, vulesse ascì a chesta stanza, vulesse guarì! Vulesse comme a tutte quante pure je festeggià chistu Natale! Che bello, ‘nzieme a parenti, amici e a chille che me vonne ‘bbene o vere… a sera da Vigilia, rint’à chiesa, ringrazia ‘o Bambenielle e, ovviamente, pure a te! Nun zè po’ fa’?

Vabbuò, allora te chiedo nata cosa, è piccerelle, nun coste niente, anzi nun coste proprio: me putisse purtà ‘nzieme a te, e si pure sule co penziere, a notte e Natale ‘ncoppe a slitta? Vulesse saglì’ in alto, ma tanto in alto, e finalmente me vulesse levà stà mascherine, e a vocca spalancata, vulesse respirà! Pò vulesse che ‘a sera, a Capodanno, pe na vota, pe na vota sola, a gente ‘e core capesse e sapesse che vuol dire essere affetti da Mcs. Con sensibilità, invece ‘e sparà trichitracche e botte a mure, in coscienza, ce putesseme fa sapè, a tutt a gente, che, l’aria diventa “veleno” pè gente comm a me!

Caro Babbo Natale, che dice? Almeno cheste sè pò fà? Allora ti aspetto, e mi raccomando, nun me deludere nata vota. Nat'anne a t'aspettà, e cheste è certe, crireme… tò diche a core ‘mmane… nun cià pozze fa!
”.

14 dicembre 2013

FONTE:
pupia.tv



Dedicata a tutti gli ammalati colpiti da MCS (La Bastarda)

Donato Liotto - Presidente New Dreams -




Natale è appena passato, ma questa lettera, davvero carinissima (anche per il suo dialetto), indirizzata a Babbo Natale da una malata di MCS, non potevo omettere di metterla sul mio blog. E credo di poter dire con sicurezza che i desideri di Adele Iavazzo, espressi mirabilmente da Donato Liotto, rispecchino perfettamente quelli di tutti i malati di MCS. 
E allora tanti cari Auguri a tutti i malati di Sensibilità Chimica Multipla..... e che il nuovo Anno vi porti tutto il Bene di questo mondo. Vi sono vicino.

Marco

lunedì 23 dicembre 2013

Gli incredibili, una famiglia speciale

Rosalba e Bruno accolgono ragazzi disabili. Una scelta di vita apparentemente incredibile seguita anche dal primogenito e dalla moglie che hanno adottato tre “figli speciali”. Perché quando s’inciampa nell’amore è difficile rialzarsi 

Una scelta d’amore. Due genitori normalissimi compiono una scelta apparentemente fuori ogni logica, quella di accogliere bimbi disabili che nessuno vuole. Rosalba Gentile e Bruno De Luca hanno addirittura acquistato una casa in campagna, studiata proprio per ospitare figli speciali.

Una scelta radicale che portano avanti da oltre vent’anni, senza curarsi delle difficoltà e delle critiche che sono arrivate anche dai familiari. Ora tra l’altro non sono più soli, perché Pietro, il loro figlio più grande insieme alla moglie Francesca hanno adottato tre figli speciali. Adesso in questo complesso di tre villette ci sono tre nuclei familiari: Bruno e Rosalba con tre figli (di cui due disabili gravi) Pietro e Francesca e Andrea con la moglie (fratello di Pietro). Hanno realizzato una piccola comunità dell’Associazione Papa Giovanni XXIII che vive queste intense esperienze di accoglienza in nome del reciproco sostegno.

Bruno e Rosalba hanno raccontato in un libro la loro bellissima esperienza “Un Camper XXL. Viaggio di una famiglia sovrabbondante... nell’amore” e ora alcuni di quei figli speciali sono cresciuti e sono ancora con loro.

Ernesto è un ragazzo autistico grave ed è stato accolto in tenera età; ora ha diciotto anni ha due occhi grandi, grandi che sembrano due lembi di cielo. Egli è in perenne movimento, nel giardino, poi si mette a giocare con la terra e mangia tutto quello che gli capita. Spesso emette urli, sia di giorno sia di notte, tanto che i genitori per attutire un po’ i rumori notturni hanno fatto foderare la sua camera di pareti fono assorbenti. E’ vietato lasciare qualsiasi porta aperta, specie quella della cucina, Ernesto, infatti, tocca ogni cosa e se sono alimenti fa sparire tutto, quello che può mangia e quello che non riesce lo nasconde per togliere ogni prova del misfatto. Il frigorifero è con serrature e tutte le porte hanno anche doppie serrature, una vita dove la noia non può esistere.

Ernesto come molti autistici gravi vive in un mondo tutto suo, quasi impenetrabile, ma ci sono momenti in cui decide di elargire e ricevere coccole. E’ un ragazzone ma non sembra averne cognizione, lui si siede in braccio a suo padre e lo inonda di baci, abbracci e di sorrisi che scioglierebbero il cuore più duro! Sono momenti infiniti dove Ernesto pare non stancarsi mai di elargire effusioni e di riceverne.

Poi c’è Mario, un ragazzo di 23 anni è affetto sia da autismo che dalla sindrome di down. Non parla mai, o meglio ha detto una sola parola dopo essere uscito dalla camera della terapia intensiva dell’ospedale. Aveva rischiato di morire (era ancora pieno di tubicini) e come vide la sua madre adottiva Rosalba, la guardò e disse con tutte le sue forze: “Mamma”! In ventitré anni della sua vita la parola “mamma” rimane l’unica pronunciata da Mario e solo in quell’occasione. Anche con Mario i genitori devono sempre stare allerta, il giovane ha l’abitudine di mangiarsi le mani, arrivando a farsi male. E’ un sistema che lui ha per verificare il suo corpo, però mette molta apprensione e i genitori escogitano ogni volta nuovi rimedi per limitare al massimo i danni dovuti a questa strana abitudine.

C’è anche M.R. una ragazza di ventun’anni con un passato difficile che in questo periodo si trova in Inghilterra per cercare lavoro.

Nella villetta accanto ai coniugi De Luca c’è il nucleo familiare di Pietro e Francesca che hanno tre figli in affido (e uno naturale) due sono piccoli e provengono da situazioni familiari difficili e una ragazzina di diciannove anni con ritardi mentali. Pietro è molto giovane (ha ventotto anni) e ha seguito la scelta dei suoi genitori di accogliere i figli che nessuno vuole. Pietro ama dire che è “inciampato” in questa decisione, la moglie Francesca ha scelto di adottare figli speciali e lui è “scivolato” in quest’avventura d’amore vero.
Sono tanti i motivi di questa decisione non comune di accoglienza di bimbi e ragazzi difficili, ma uno, quello fondante, è la Fede. Un credo profondo che mette in pratica le parole del Vangelo.

di Riccardo Rossi

26 aprile 2013

FONTE: goleminformazione.it



Una storia bellissima, stupenda, in cui l'Amore, quello Vero, regna sovrano.
Amore sì, ma anche coraggio, perchè per fare quello che hanno scelto di fare Bruno e Rosalba occorre avere anche tanto coraggio, il coraggio di intraprendere una scelta che è per i più irrazionale, fuori da ogni logica, con mille difficoltà da affrontare, una scelta che ha attirato loro infatti anche molte critiche. Ma evidentemente il gorgo d'Amore in cui si sono infilati è stato più forte di tutto e in questo vortice d'Amore sono finiti anche il figlio Pietro e sua moglie Francesca, anch'essi divenuti genitori di 3 figli "speciali".
"Chapeau" veramente a questa splendida famiglia, con tutta l'ammirazione di cui dispongo. E con questa meravigliosa storia, faccio il mio più grande augurio a tutti per un magnifico S. Natale, ricolmo di Pace, di Gioia e di Amore !
AUGURONI !!!


Marco

giovedì 19 dicembre 2013

Naoki è autistico e non sa parlare. Il suo libro è primo in classifica

Ha 21 anni, vive a Tokyo e sul suo blog ha commentato: «Sono così sorpreso che credevo di cadere per terra» 

PECHINO - C'è il libro di un tredicenne questa settimana in testa alla classifica dei bestseller stilata dal Sunday Times . L'autore è un ragazzo giapponese, Naoki Higashida, che oggi ha 21 anni. Titolo «The reason I jump» (La ragione per cui salto). Naoki è autistico e non riesce a parlare. Ma sa scrivere e si è raccontato in questo libro-testimonianza che comprende una storia breve e una serie di domande: «Perché un sacco di volte la stessa richiesta?» e «Perché non guardi i tuoi genitori negli occhi?».

Ci sono anche le risposte elaborate da Naoki, che danno un gran colpo ad alcune convinzioni, come quella che l'autismo porti necessariamente con sé l'impossibilità di capire gli altri e il rifiuto di stare in compagnia. Naoki scrive della bellezza, del tempo, del rumore, della gente che lo circonda, ma anche degli attacchi di panico, del senso di isolamento.
Il libro è stato scoperto da David Mitchell, l'autore famoso per «Cloud Atlas» (L'Atlante delle stelle, Frassinelli). Mitchell ha un bambino autistico e una moglie giapponese, Keiko Yoshida, che ha trovato online gli scritti di Naoki e ha cominciato a leggerli al marito. La coppia è stata conquistata e ha pensato di tradurli in inglese per aiutare le persone che curano il loro bambino a capire meglio i suoi problemi. Poi Mitchell ha deciso di suggerirlo al suo editore. Pubblicato due settimane fa a Londra, «The reason I jump» è in cima alla importante classifica del Sunday Times per la sezione non-fiction.
Naoki, che vive a Tokyo con i genitori, è felice, sul suo blog ha scritto: «Questa cosa mi ha sorpreso così tanto che credevo di cadere per terra».
I medici giapponesi si accorsero che Naoki era affetto da autismo quando aveva cinque anni. Il bambino fu mandato in una scuola speciale vicino a Tokyo e per aiutarlo a imparare l'alfabeto, siccome non era in grado di parlare, i maestri misero i caratteri in una griglia disegnata su un grande foglio di cartone e con molta pazienza riuscirono a insegnargli come indicarli uno ad uno e poi a formare frasi.

Il risultato, anni dopo, è stato «The reason I jump»: un salto che proietta il giovanissimo autore fuori dalla gabbia della sua condizione: «Quando ho appreso a scrivere frasi ho voluto raccontare storie da protagonista in un mondo di persone normali, così ho viaggiato libero nel loro mondo».
Ma anche Mitchell dice che da quando ha letto il libro-messaggio di Naoki si è liberato da una costrizione auto-inflitta, la relazione con suo figlio malato è migliorata: «Adesso lui viene spesso nel mio studio, mentre lavoro al nuovo romanzo; prima cercavo di farlo concentrare su qualche altra cosa, perché io dovevo finire il mio libro. Ora invece lo faccio sedere sulle mie ginocchia, apro una pagina e lo incoraggio a pronunciare le lettere che compongono le parole. E lui sta imparando a usare la tastiera».

Mitchell spiega che anche per sua moglie
la lettura è stata un grande aiuto. E ricorda che la traduzione del memoriale di Naoki è stato un impegno duro: «Lei ha fatto la parte pesante di trasportarlo dal giapponese all'inglese, io ho cercato di dargli un ultimo tocco stilistico. Ma dovevo rispettare il fatto che quando Naoki ha scritto aveva tredici anni ed era un ragazzino, non un romanziere di quarantaquattro anni: ho dovuto fare molta attenzione a non trasformarlo in un saggio pensato per una rivista letteraria». Mitchell ha firmato la prefazione dell'edizione inglese e ha rivelato un segreto dell'autore giapponese: «Lo ha scritto indicando ogni carattere con il dito, sulla griglia di cartone. Un assistente raccoglie le parole, le frasi e i capoversi; Naoki sa usare una tastiera di computer, ma sente che questo sistema appreso a scuola contiene meno distrazioni, lo aiuta a concentrarsi».
Come in ogni bella storia di speranza e successo, c'è anche una polemica fastidiosa su Naoki: qualcuno sostiene che non può essere autistico, perché il suo lavoro è troppo sofisticato e ricco di immagini e metafore; sospettano che soffra della sindrome «locked-in».

15 luglio 2013

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/esteri/13_luglio_15/naoki-autistico_03fd8e2a-ed2e-11e2-91ec-b494a66f67a7.shtml


Dopo le storie di 2 ragazzi down che sono diventati l'uno un valente violinista e l'altro un Dottore appena laureato, ecco ora la storia di Naoki, un ragazzo autistico che diventa nientemeno che uno scrittore di successo. Certo, per arrivare a questo risultato è stato aiutato da una persona, David Mitchell, già scrittore di fama, che si è accorto di questo ragazzo, ne ha raccolto gli scritti e li ha trasformati in libro. Ma anche questa storia dimostra quali grandi potenzialità si celano dietro a persone considerate meno fortunate e "dotate" delle persone considerate normalmente abili, e come queste potenzialità aspettano solamente di essere scoperte, incoraggiate e valorizzate. 

Marco

martedì 17 dicembre 2013

La storia del Dottor Filippo Adamo


30 anni e una laurea in Scienze e tecnologie arte moda e spettacolo, conseguita nei giorni scorsi


Siamo stati ad incontrare il neo-dottore Filippo Adamo, laureatosi il 21 Ottobre scorso in Scienze e tecnologie arte moda e spettacolo alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Palermo, con una tesi dal titolo “L'arte del corallo a Trapani”.

Relatrice della tesi la professoressa Maria Concetta di Natale, co-relatrice la professoressa Stefania Terzo. Il voto finale, 108/110, un risultato esaltante raggiunto, come ci dice lo stesso dott. Adamo, dopo 23 anni di studi e due diplomi.

Perché ne parliamo? Perché Filippo è un ragazzo che ha la sindrome di down.

Ne parliamo perché non succede spesso che persone come Filippo riescano a conquistare la normalità. Ancora più raro è che superino questa normalità e conseguano la laurea. Il 21 Ottobre, ma già molto prima, Filippo ha dimostrato che le vere barriere sono quelle che noi poniamo, e che con dedizione e costanza si possono raggiungere grandi obiettivi.

Fin dalla scuola elementare volevo studiare quello che studiavano gli altri”, ci dice il neo-dottore, mentre mostra orgoglioso la sua tesi e le foto del giorno della laurea. “I miei interessi principali sono la lettura, il canto e la cultura in generale, e mi piace navigare su internet per scoprire nuovi stimoli.” Quella della lettura, aggiungono i suoi genitori, è una passione che Filippo coltiva da sempre, ed è molto geloso dei suoi libri, soprattutto dei grandi classici, dalla letteratura greca a quella italiana. Quella stessa letteratura che ha approfondito durante il percorso universitario, studiandone la storia, dalle lingue romanze fino ai giorni nostri.

Non dimenticare di citare la saga arturiana e la letteratura fantasy fra i miei libri preferiti”, mi ammonisce.

Nel suo percorso universitario, Filippo ha avuto diversi tutor, che ricorda con affetto e riconoscenza e che lo hanno aiutato nella preparazione delle materie, e alcuni “assistenti alla persona”, anch'essi disponibili e sempre pronti a dare un supporto anche oltre i propri “doveri”.

Ci parla entusiasta del CUD (centro universitario abilità diverse), del Cral dell'Università degli Studi di Palermo, grazie a cui ha fatto un viaggio a Medjugorje conoscendo tanti amici da tutta Italia, e di Giampiero Faraci, uno degli assistenti che, oltre a svolgere le sue mansioni, da Gennaio a Marzo scorso, in attesa del nuovo tutor, lo ha aiutato a preparare una materia. “Era «Storia della grafica», e ho preso anche 30!”. E ancora, ricorda l'aiuto fondamentale della tutor con cui ha scritto la tesi, delle professoresse che lo hanno coadiuvato, e del personale tutto della facoltà di Lettere.

Essenziale, nel suo percorso, anche la sua appartenenza all'Unitalsi, grazie a cui ha conosciuto il corso di laurea che ha poi seguito, su suggerimento di Silvia Plaia e Irene Gorgone, due volontarie dell'associazione.

In ultimo, ma non per importanza, naturalmente fondamentale l'aiuto della mamma Margherita, del papà Enzo e della sorella Ilenia, di 25 anni, studentessa della facoltà di Economia: i loro occhi brillano, mentre parlo con Filippo.

Il dott. Adamo, ha dato una grande lezione a tutti noi, una lezione che abbiamo il dovere di ascoltare e di non dimenticare mai.

di Gabriele Volpetto

1 novembre 2013

FONTE: filodirettomonreale.it


Una bellissima storia che si collega direttamente a quella precedente postata su questo blog. Come è stato per
Emmaunel Joseph Bishop, valentissimo violinista, anche Filippo Adamo ci dimostra di cosa sono capaci coloro hanno la sindrome di down e quali straordinari risultati possono ottenere.
Bravo Filippo..... anzi, Dott. Filippo !

Marco

mercoledì 11 dicembre 2013

Doveva essere abortito perché down: oggi è un vero e proprio genio


Ha 16 anni, parla inglese e spagnolo alla perfezione ma se la cava anche col francese e il latino. E’ un adolescente con un’incredibile capacità di suonare bene il violino e si è già esibito in concerti con orchestre sinfoniche. Tiene anche conferenze per gli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Si chiama Emmaunel Joseph Bishop e guardando alla sua storia si può dire senza esagerare che è alcune spanne al di sopra degli adolescenti della sua età. Questo giovanotto talentuoso ha la sindrome di Down; in alcuni paesi la legge permette di abortirlo prima della nascita, solo perché Down.

La sua storia è così impressionante che sta girando il mondo attraverso i social network.

E’ difficile trovare un talento come quello di Emmanuel in giro per il mondo, magari perché non li hanno lasciati nascere per il solo fatto di essere affetti dalla sindrome di Down; questo per il fatto di non avere i requisiti che la società occidentale afferma che si debbano avere, per essere degni di questa vita. E tutto questo protetti dalla legge.

Tuttavia, la storia di Emmanuel appare come una tempesta che distrugge tutti questi sofismi per giustificare l’aborto di decine di migliaia di bambini che non sono considerati adatti. Questo adolescente statunitense ha smontato tutti gli argomenti a favore dell’aborto dei Down, mostrando al mondo di cosa sia capace.

Un cattolico devoto

Emmanuel è anche un cattolico molto devoto, lo afferma orgoglioso, facendo le sue preghiere anche in latino, dirigendo la preghiera del Rosario e altre preghiere comunitarie in molte occasioni.

In questo senso, questo ragazzo, intende usare il dono che Dio gli ha fatto, per un fine più grande. I suoi sforzi sono per mostrare che i disabili sono uguali agli altri, che hanno i propri doni e abilità da mostrare al mondo. I definitiva, convincere il mondo che sono utili, proprio il contrario che quotidianamente il mondo insegna.


Un talento precoce


Emmanuel è nato il 21 Dicembre del 1996 nella città statunitense di Grafton. Cominciò subito a sorprendere tutti: a due anni già cominciava a leggere e a tre era capace di leggere parole in francese.

A soli sei anni lesse il discorso di benvenuto dell’Associazione Nazionale Sindrome di Down, e lo fece in tre lingue per una platea di più di seicento persone. A questa età cominciò ad apprendere a suonare il violino, uno dei suoi maggiori interessi.

La vita di Emmanuel prosegue a questa velocità vertiginosa. A otto anni andava in bicicletta e vinceva medaglie alle paralimpiadi degli USA, gareggiando anche nel golf e nel nuoto in cui vinse medaglie nei 200 e 400 metri in stile libero.

Il violino, la sua arma, il suo scudo

Un anno dopo faceva il chierichetto in parrocchia e l’anno successivo riceveva il sacramento della Cresima. Nel 2010 corona un altro suo sogno, suonando alla Giornata Mondiale per la Sindrome di Down in Turchia, insieme a un’orchestra sinfonica. A 12 anni suona il violino inun recital in Irlanda in occasione del Decimo Congresso Mondiale della Sindrome di Down.

Il suo obbiettivo: aiutare altri bambini

Emmanuel è stato educato da genitori che non hanno mai dubitato delle sue capacità. Con sforzo e perseveranza questo ragazzo ha potuto superare la sua disabilità.

Nelle sue presentazioni parla della sua vita di adolescente con Sindrome di Down, che ha interesi, che ama gli sport, la musica, che nuota, che va in bicicletta.


I suoi obbiettivi si riassumono in quattro punti:


1 Evidenziare le competenze, talenti, doni e le potenzialità dei bambini con questa disabilità.
2 Contrastare le basse aspettative nella sindrome di Down.
3 Dimostrare che la gioia di vivere non si oppone a queste persone.
4 Attenuare la prevalenza di tutto ciò detto o scritto sulla sindrome di Down proviene principalmente da persone senza questa disabilità.

Un esempio per tutti

A Dicembre 2012, a Houston, in occasione della riunione annuale della trisomia 21, Emmanuel sorprende tutti raccontando le sue avventure e viaggi intorno al mondo, i loro studi e anche del suo violino. Parla anche un po’ in francese e delle opere d’arte che aveva visitato durante il suo soggiorno a Parigi. Risponde alle domande sulla sua vita e di dubbi che altre persone possono avere.

La sua formazione in casa ha dimostrato l’importanza dell’alfabetizzazione precoce.

La sua testimonianza, più per la sua capacità di superamento che per le sue abilità concrete, è uno stimolo e un impulso per molti bambini con Sindrome di Down e le loro famiglie. Non sono sole e sono utili molto più di quanto possano immaginare.

15 ottobre 2013

FONTE: lenovae.it

http://www.lenovae.it/doveva-essere-abortito-perche-down-oggi-e-un-vero-e-proprio-genio/


Una storia di una BELLEZZA straordinaria, tutta da leggere, da gustare, da apprezzare.
Personalmente la penso anch'io proprio come questo straordinario ragazzo: Dio lo ha scelto e gli ha dato tanti Doni, per un grande fine... quello di per mostrare a tutti che i ragazzi down, così come qualsiasi altra persona con disabilità o con qualunque tipo di limitazione, sono uguali a tutti gli altri, con i propri Doni, Talenti e Abilità da mostrare e da far valere, per sè stessi e per gli altri. 
Un GRANDISSIMO insegnamento per tutti !
Grazie Emmanuel !

Marco

lunedì 9 dicembre 2013

Bimbo autistico rinato grazie ad un gatto randagio

Meravigliosa storia quella di Fraser Booth, un bambino inglese di quasi cinque anni, che soffre di autismo, che fino a poco tempo fa, gli rendeva anche le cose più semplici nel quotidiano, come ad esempio aprire un libro oppure bere un bicchiere d’acqua, una vera e propria impresa ma… questo fino a poco tempo fa, perchè oggi, per Fraser Booth queste, sono cose semplici… all’ordine del giorno!!!

Ebbene si, perchè come raccontano i genitori di Fraser Booth al Daily Mail, mentre fino precisamente a un paio di anni fa, questo bimbo autistico, ogni volta che non riusciva a fare quello che desiderava, scoppiava in lacrime e si deprimeva, oggi, Fraser Booth è tutto un altro bambino!!!

Semplice, grazie a Billy, un gatto randagio, incontrato al gattile da Fraser Booth: un incontro magico, dal quale è scattato qualcosa… e dal quale, questo micetto e Fraser Booth, sono diventati inseparabili!

Un incontro ed un amico, grazie al quale Fraser Booth, ha capito, che la vita è bella e può essere bella anche per lui. Ebbene si, perchè la vita di Fraser Booth è cambiata, da quando gioca e cresce con Billy… insomma da quando Billy è entrato nella sua vita!

Billy, questo micetto randagio, è riuscito infatti a portare tanta gioia nella vita di Fraser Booth, come racconta la sua mamma “Se mio figlio è in giro o gioca nel giardino il suo gatto è sempre vicino a lui” e spiega “è come se lo controllasse e cercasse di calmarlo ad ogni suo turbameno, riuscendoci.” ed emozionata continua “Billy è sempre nelle vicinanza e ogni volta che Fraser si arrabbia sbuca dal nulla e lo rassicura, sono sempre vicini e si coccolano a vicenda”.

Questo micetto riesce in pratica a capire e a captare i desideri e le emozioni di Fraser Booth; quando vuole giocare, quando c’è qualcosa che lo turba… Billy arriva e racconta la mamma “si siede sempre su di lui quando lo vede giù.”.

Una vita ritrovata… rinata quella del piccolo Fraser Booth, grazie a questo micetto randagio, preso al gattile, come racconta la mamma: “Quando siamo andati al gattile si sono scelti da soli, praticamente, e da allora sono inseparabili.” confessando Billy ha completamente trasformato la vita di mio figlio, e la nostra ed emozionata rivelta che da quando Billy è entrato nella sua casa, è tornata la felicità, la gioia, perse allora quando ci fu la diagnosi della malattia di Fraser.

E proprio a riguardo dell’autismo, la mamma del piccolo Fraser Booth svela, che in cuor suo, aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava nel suo bambino. “Non si sviluppava come gli altri bambini, non reagiva quando gli davamo i giocattoli o gli parlavamo”, anche se di fatto, la diagnosi di autismo dei professionisti, è stata comunque un fulmine a ciel sereno… uno shock.

Una malattia, che non solo ha limitato Fraser Booth nel quotidiano ma che gli ha procurato tanta sofferenza, per l’impossibilità, di fare ogni giorno anche quelle che sono le “piccole cose”, spiega la mamma. “Per lui ogni cosa piccola della quotidianità diventa un’impresa, e ciò gli provoca grandi turbamenti”.

Insomma… una bellissima storia, di una vita rinata grazie ad un gatto: una vicenda, che ancora una volta, riconferma l’importanza della presenza degli animali nelle situazioni delicate, sia per i bambini che per gli adulti!

di Mamma Melacotta

27 giugno 2013

FONTE: bambinizerotre.it


Una bellissima storia che riporto con molto piacere sul mio blog.
Eh sì, quanto ci danno i nostri cari amici animali: affetto, compagnia, gratitudine, fedeltà, amicizia.... e talvolta, come in questo caso, sono in grado addirittura di cambiare completamente la vita di una persona e quindi anche di un intera famiglia. E non è veramente cosa da poco!
Abbiamo sempre rispetto dei nostri cari amici animali, trattiamoli bene, con tanto rispetto e Amore..... loro fanno lo stesso con noi, e anche di più. Vogliamogli sempre bene e siamo a loro fedeli così come loro lo sono sempre con noi.

Marco

venerdì 6 dicembre 2013

Riccardo: “Ho trovato la mia Oasi!”

Lo chiamavano mastino napoletano, per alcune inchieste che aveva fatto. Era tosto e non mollava facilmente la preda. All’epoca viveva sempre con l’affanno alla ricerca di scoop, al servizio di chi poteva offrirgli una vita sfavillante, soldi e, soprattutto, potere. Una carriera in ascesa. Sì, ma in cambio di cosa? “Scrivevo – racconta – menzogne, solo quello che piaceva a loro, ai potenti”.

Riccardo Rossi, 44 anni, napoletano, era un giornalista affermato. A lungo ha gestito gli uffici stampa di politici, istituzioni, associazioni molto note.

Ho seguito – spiega – i Verdi, il presidente della commissione agricoltura alla Camera dei deputati, un Ministero, ho fatto basi giornalistiche per servizi alla vita in Diretta alla Rai. Insomma, ero un giornalista in carriera e non avevo nemmeno 30 anni. Ad un certo punto tutto mi è diventato stretto, soffocante. Un giorno ero davanti alla televisione e sentii le parole di Giovanni Paolo II, che esortava noi giornalisti a non essere complici della cattiva informazione. Io di quel meccanismo facevo parte. Ero responsabile. Tante volte andavo alla ricerca di notizie vuote, inutili, ma ad effetto. Altre volte, al contrario, non davo notizie. E solo per compiacere qualcuno. Era raro che raccontassi storie autentiche”.

Nel 1999 iniziò quello che Riccardo chiama percorso di conversione. “Ero ateo, diventai cristiano. Tante cose in me cominciarono a cambiare. La svolta avvenne quando andai in missione all’estero in Kosovo, in Romania e in pellegrinaggio in Terra Santa. Fu nel viaggio in Romania che conobbi Giuseppe, un ragazzo missionario, che aveva una casa famiglia in Sicilia e che proprio in quei giorni salvò la vita ad un bimbo di strada romeno. Quel gesto mi scosse - ne fui testimone – e tornai in Italia. Decisi che avrei dato una svolta alla mia via e alla mia professione. Cominciarono i problemi. Fui messo da parte senza tanti complimenti e denigrato. Nel contempo ebbi anche un grande dolore familiare. Mio fratello, che aveva problemi di droga, scappò da una comunità terapeutica, senza lasciare traccia. Seguirono momenti di grande dolore. Io, che lo avevo sostenuto, mettendo anche da parte la mia carriera, non sapevo che fine avesse fatto. E’ stato il momento più buio della mia vita. Cacciato dai posti in cui avevo lavorato e senza sapere niente di mio fratello. Caddi in una profonda depressione. Mollai il mondo tante volte vuoto e ipocrita della stampa. Avevo perso quasi tutto. Un giorno mi accorsi, però, che una luce, seppure flebile di speranza, era ancora accesa dentro di me”.

Dopo un periodo travagliato, Riccardo decise di trasferirsi in Sicilia, nella casa famiglia “Oasi della Divina Provvidenza”
http://www.insieme.ct.it/ del ragazzo missionario catanese, conosciuto in Romania. “Piano piano mi ripresi – racconta commosso – Dopo poco arrivò una ragazza che si drogava. Me ne presi cura ed era come se fossi accanto a mio fratello.

E oggi? “Ora sono le braccia e le gambe di alcuni disabili – dice – sono io che li vesto, li lavo. Ho tante altre incombenze. Siamo più di quaranta nella casa famiglia e stiamo aumentando. Faccio le file negli uffici pubblici, mi occupo dell’accoglienza, di servire a tavola, di aiutare chi non ce la fa nei lavori pesanti. Per sei anni non ho scritto. Il giornalista era morto. Poi, un’ intuizione del mio amico missionario”. Riccardo ha ripreso a scrivere, ma cose diverse, storie di speranza e coraggio e si è impegnato a far nascere percorsi solidali. Ora ha due giornali di buone notizie, uno a Palermo “La Speranza” - solo cartaceo – il notiziario della Missione Speranza e Carità, che è arrivato ad oltre 15 mila copie e “La Gioia”, che è anche nel web
https://www.facebook.com/lagioiapage

Successivamente sono stato notato dal direttore di Golem Informazione 
http://www.goleminformazione.it/ - aggiunge – su cui ho una rubrica di buone notizie, scrivo recensioni e articoli. La cosa meravigliosa è che questa idea cresce ogni giorno. Tante persone danno il loro contributo di gioia, di belle notizie e nascono reti di solidarietà. Ogni giorno trovo nuova forza e rinasco. Ogni buona notizia, che trovo e divulgo, è rigenerante. I tempi bui sono ormai lontani. Ho trovato la mia strada. Le mie disavventure passate e le mie fragilità ora sono la mia forza. Quando intervisto e vengo a contatto con storie difficili ho la grande capacità di capire il dolore che mi viene raccontato e nel contempo di gioire per ogni piccola vittoria. Ho capito l’importanza delle piccole cose, di come sia più importante donare una mano ad un persona in difficoltà che fare un’interrogazione parlamentare o rilasciare mille interviste. Ora posso dirlo: la solidarietà, la bellezza della vita mi hanno indicato la via. Posso consigliare a chiunque abbia un momento no nella vita di non abbattersi e se occorre, di farsi aiutare. Lanciatevi nel servizio, cercate i veri valori e magari tornerete a fare quello che facevate prima, ma con prospettive totalmente diverse. Io ora mi occupo della vita vera, scrivo di chi lascia la droga e rinasce, di chi è nato disabile e ama la vita.

Ogni giorno aiuto disabili, cambiando loro il pannolino. So che le cose che faccio ora valgono molto di più di mille atti parlamentari. Scrivo di chi ha valori grandi e aiuto chi veramente ha bisogno e non ha nessuno nella vita. Sento di far parte di un progetto d’amore e che i miei sforzi vanno in una direzione importante. Come diceva San Paolo: "Sono forte nelle mie fragilità, la mia forza è questa". Non è stato un percorso semplice, ho sofferto molto, e ancora oggi capitano momenti difficili. Ma ho Aster (in foto), che soffre terribilmente, ma ha sempre una parola buona per tutti. E il sorriso di Nino (in foto), che imbocco e aiuto a vestirsi.

Anche i miei, che agli inizi non riuscivano a capire la mia scelta, ora sono dalla mia parte. E questo mi rende ancora più forte
”.

di Cinzia Ficco

3 maggio 2013

FONTE: tipitosti.it



L'articolo pubblicato prima di questo, intitolato "Gli occhi del buio", (che racconta la storia di Mirella Rappazzo), era un articolo firmato proprio da Riccardo Rossi, il protagonista di questa bellissima intervista.
La storia di Riccardo, della sua vita, della sua conversione, del suo donarsi TOTALMENTE a favore degli altri, è veramente SPLENDIDA, come splendide sono le sue parole ricche di insegnamenti e di significato. Il suo è un esempio luminoso di come si possa cambiare completamente il proprio modo di vedere le cose e quindi, come conseguenza di ciò, l'intera propria vita, e di come si possa rigenerarsi nell'anima attraverso la solidarietà, la Fede e l'Amore. Riccardo ci insegna anche che c'è sempre la possibilità di riemergere dopo periodi brutti, di vuoto e di buio..... come anche nella disperazione più grande esiste sempre una luce, una fiammella di speranza a cui possiamo aggrapparci..... e da questa poter ricominciare tutto daccapo, come e MEGLIO di prima.
Grazie Riccardo, per tutto !

Marco

martedì 3 dicembre 2013

Gli occhi del buio

A 32 anni è diventata cieca. Ma la vita si nutre delle immagini che ci portiamo dentro e grazie al centro Helen Keller di Messina, Mirella ha scoperto che il buio della rassegnazione viene cancellato dalla luce della volontà

Se facciamo un esame di coscienza, sai quante cose belle che abbiamo? A dire queste parole, cariche di vita è Mirella Rappazzo, giovane siciliana cieca da pochi mesi, dopo vari anni di calvario.

L’odissea di Mirella è incominciata a sedici anni, quando si è distaccata la retina dell’occhio destro e ha subito il primo intervento. A vent’anni la una recidiva e un nuovo intervento. Quando andarono a togliere il silicone dall’occhio operato, i medici si accorsero che l’occhio sinistro aveva subìto anch’esso il distacco della retina. Nell’ospedale provarono una nuova tecnica per sanare l’occhio sinistro ma l’operazione andò male e furono costretti a intervenire diverse volte chirurgicamente.

Quando Mirella compì ventidue anni, perse definitivamente la vista all’occhio sinistro a causa dei tanti interventi. Nell’occhio destro, dove Mirella ancora aveva un residuo visivo, comparve anche un glaucoma secondario (denominato il ladro della vista). Ormai Mirella faceva parte della categoria degli ipovedenti e tante cose le erano negate, non utilizzava né computer né telefonini, la vista non glielo permetteva. L’occhio destro continuò a peggiorare, tanto che a Pasqua di quest’anno è diventata totalmente cieca (da un occhio vede un po’ di luce, ma altro non distingue). Sulle prime, credeva si trattasse di un momentaneo abbassamento della vista, invece la diagnosi dei medici fu definitiva: non avrebbe visto più.

Mi sono scoraggiata per alcuni giorni – spiega Mirella - ma dopo essere stata dal medico, mi sono tranquillizzata, ho capito che dovevo farmene una ragione. Grazie a Dio ho reagito e per me la Fede è stata un grande punto di forza da cui ripartire. Io sono fortunata, ho perso la vista poco a poco, solo ora che ho trentadue anni non vedo più, ma ricordo chiaramente i colori, come il fucsia che adoro, il rosso, il verde. Ricordo anche chiaramente il mare, i paesaggi sono impressi nella mia memoria, so anche scrivere, ho guidato e ho fatto tante magnifiche esperienze e ancora tante belle cose farò”.

Ad aprile di quest’anno Mirella ha frequentato il primo corso al centro regionale Helen Keller della unione italiana ciechi e scuola cani guida di Messina, dove ha imparato i primi rudimenti per utilizzare un computer. Poco dopo si è iscritta (sempre al centro Helen Keller) a un corso di scultura per ciechi, dove ha realizzato due opere, una colomba che rappresenta la libertà e poi ha plasmato il suo volto che è sempre sorridente. “Ognuno di noi – racconta Mirella - al corso di scultura ha rappresentato un desiderio, una sensazione. Un ragazzo cieco e senza un arto ha realizzato un braccio di creta”.

Poco dopo, la giovane ha partecipato al corso di orientamento e mobilità, dove ha acquisito sicurezza nel camminare per strada e ha imparato a utilizzare il bastone bianco, che le consente di evitare gli ostacoli. “Questo corso – spiega - mi ha dato la possibilità di rinascere, ora posso andare da sola in un negozio per fare la spesa, posso prendere un bus e viaggiare e tante altre piccole cose che non riuscivo a fare più”.

In seguito è stata chiamata dal centro Helen Keller per partecipare all’iniziativa “Educare per mare” dove ha vissuto un’intera settimana in una barca a vela con un equipaggio composto da persone vedenti e non vedenti, dove tutti si rendevano utili . “E’ stato bellissimo avere il vento che mi “carezzava con forza” il volto – ricorda - avvertire la barca che frangeva il mare e alzare le vele. Ho fatto anche il bagno, per noi ciechi non è sempre facile farlo, abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci accompagni”.

Dopo il secondo corso di informatica, la ragazza ora sa utilizzare word, mandare mail e ora ha anche un profilo facebook. Da che “rifiutava” il PC ora quest’ultimo è diventato per lei un mezzo importante. “Tutti questi corsi del Centro Helen Keller – racconta Mirella - mi hanno aiutato tantissimo. Ho capito di avere tanti doni: la forza, l’intelligenza, la bellezza, l’amore per gli altri, tutti mi dicono che regalo tanta serenità. La vita è difficile per tutti, ma è bella da vivere, tutti abbiamo problemi, chi familiari, chi di lavoro, chi non ha la vista. Se abbiamo queste difficoltà vuol dire che le possiamo affrontare”.

28 luglio 2013

di Riccardo Rossi

FONTE: goleminformazione.it


Gran bella storia, piena di positività, forza, voglia di vivere, Fede e Amore.
Grazie Mirella per il bellissimo esempio che ci dai..... e tanti Auguri per tutta la tua vita che, sono sicuro, ti riserverà tante bellissime cose.

Marco

venerdì 29 novembre 2013

«Ho 30 anni e vivo nel dolore. Ma per lo Stato non sono malata»

Varese - Il servizio sanitario non riconosce la sua malattia come tale e lei è costretta a vivere con dolori costanti e invalidanti e a pagare di tasca propria tutte le cure che, per quanto non possano risolvere il problema, servono almeno a soffrire meno.

Lei si chiama Claudia Canzani, è una bella e giovane donna di Varese affetta da fibromialgia «una sindrome caratterizzata da dolore muscoscheletrico diffuso e affaticamento cronico che colpisce più di due milioni di italiani» racconta in una lettera in cui sottolinea polemicamente la parola «sindrome».

Perché già da vent’anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce la fibromialgia come «malattia reumatica invalidante, mentre il sistema sanitario italiano continua a declassarla a sindrome e ciò significa che devo farmi carico di tutte le spese mediche, farmaceutiche, riabilitative e psicologiche che mi permettono di sopravvivere alla giornata», racconta.

«Peccato che da quando ho sviluppato la malattia io sia disoccupata, come molti altri fibromialgici, visto che le mie capacità fisiche e intellettive sono limitate», aggiunge raccontando di quanto sia difficile convivere con questo dolore costante che dalla mascella si estende alla cervicale e quindi alle spalle e ai lombi, dando luogo poi a fitte o bruciori più intensi in caso di attività fisica prolungata, stress o dal mantenere a lungo una stessa posizione, ad esempio seduti a una scrivania.

«Ho dolori accompagnati da rigidità diffusa, bruciore, contratture, emicrania, colon irritabile, parestesie, perdite di memoria a breve termine, disturbi del sonno, cambiamenti dell’umore, stati d’ansia e difficoltà di concentrazione».

6 novembre 2013

FONTE: laprovinciadivarese.it 

domenica 24 novembre 2013

Prigioniera in casa a causa di una malattia


IL CASO la manerbiese Albina Alghisi, 41 anni, è affetta da MCS – Sensibilità Chimica Multipla – e ora abita a Cadignano

Nell'appartamento non può entrare nessuno perchè odori estranei potrebbero, a lungo andare, causarle la morte

Quarantun anni, Albina, Alba per gli amici, un marito che la adora, una bella bambina, una casa a Cadignano e una compagna di vita, la Sensibilità Chimica Multipla, quarta inquilina di quella villetta in periferia. Scoperta poco meno di otto anni fa, grazie a qualche sospetto e tanta ostinazione, la MCS – in inglese Multiple Chemical Sensibility – ha lentamente modificato la vita di Albina Alghisi e di chi le sta vicino, a partire dalle cene separate in famiglia per arrivare agli attacchi d'asma e ai soffocamenti: passando per le pulizie di casa, quella casa in cui Albina si è dovuta trasferire qualche mese fa, quella casa dove ormai non può più entrare nessuno.
Nel concreto, Albina in quella casa si è dovuta trasferire perchè la biancheria dei vicini di una villetta a schiera e la prossimità con i fumi delle fabbriche qui a Manerbio le facevano mancare il fiato; in quella casa in cui nessuno può entrare perchè il suo profumo o il sapone per le mani potrebbero causare una crisi a chi ci abita; in quella casa in cui una figlia e un marito devono chiudere la porta di corsa e volare in bagno a lavarsi a ogni rientro, con bagnoschiuma scelti, chiaro. Alba poi, da quella casa non può nemmeno uscire: giusto mezz'oretta al giorno, quando le condizioni e la stagione lo permettono. Quella casa, dove le pulizie vengono fatte con l'unico detersivo che non la induca a strapparsi la pelle per il fastidio, dove può cucinare solo qualche cibo per la famiglia: qualcuno in più della triade di cui si nutre da un paio d'anni, grano saraceno, tacchino e patate bollite. E se dovesse sgarrare? “Non sgarro, ma mi capita di stare male comunque. L'inquinamento non è controllabile, ma sono fortunata: cortisone e antibiotici placano le mie crisi, c'è chi negli stadi più avanzati della malattia ha sviluppato anche un intolleranza ai farmaci”, ci ha raccontato Albina al telefono. Ospedali e Pronto soccorso poi sono luoghi da evitare per chi soffre di MCS: acqua santa per il diavolo. E il diavolo è lei, studiata fin dagli anni Cinquanta, ma non ancora riconosciuta come malattia invalidante se non da pochissimi Paesi, spesso accusata di essere un disturbo psicosomatico con una forte componente psicologica e autosuggestiva. Tutt'altra storia invece, una privazione di libertà e autonomie, che porta chi soffre di MCS a un graduale isolamento sociale, una mancanza di rapporti con l'esterno: uffici, ospedali, negozi e supermercati diventano barriere chimiche insormontabili anche solo per le profumazioni chimiche. Per non parlare delle patologie disabilitanti che, negli stadi più avanzati, interessano il sistema renale, l'apparato respiratorio, cardiocircolatorio, digerente, il sistema neurologico, muscolare ed endocrino, oltre a quello immunitario, il primo ad essere colpito. Pochi Paesi, dicevamo, riconoscono la malattia e l'Italia non è uno di questi. Qualche passo in avanti recentemente è stato fatto in alcune regioni, ed è sulla scia di queste evoluzioni che Albina ha deciso di lottare, coinvolgendo parenti e amici: saranno loro a presenziare ai banchetti nei prossimi mesi per raccogliere le nostre firme e cercare di spingere chi di dovere a sveltire le pratiche perchè anche in Lombardia – come in Veneto, Lazio ed Emilia Romagna – ai malati di MCS vengano riconosciuti almeno i diritti più elementari. Firmare il modulo per il momento, è già possibile passando per l'ufficio parrocchiale di Manerbio o richiedendo informazioni alla stessa Albina all'indirizzo alghisialbina@libero.it

Carolina Raimondi



Ecco cos'è la “Sensibilità Chimica Multipla”

(rcn) Sindrome infiammatoria simile all'allergia, spesso scambiata con essa per via dei sintomi che in molti casi appaiono e scompaiono con l'allontanamento della causa scatenante, la MCS – Sensibilità Chimica Multipla – è in realtà una malattia totalmente invalidante per chi ne è affetto. Chi ne soffre perde definitivamente la capacità di tollerare gli agenti chimici che, a lungo andare, danneggiano fegato e sistema immunitario eliminando la mediazione cellulare che controlla il modo in cui il corpo si protegge dagli agenti estranei.
Insetticidi, pesticidi, disinfettanti, detersivi, profumi, vernici, solventi, colle, materiale edile, carta stampata, inchiostro, fumo di stufe e camini e scarichi delle automobili, farmaci, anestetici, prodotti in plastica, tessuti e stoffe: sostanze presenti ovunque, anche nel cibo e nell'aria che respiriamo, che alcune persone non riescono a tollerare. Diversi gli stadi del disturbo, che variano a seconda dell'evoluzione della tolleranza e del tipo di sintomi: difficoltà respiratorie, dolore allo stomaco, vertigini, irritazioni della pelle e dermatiti, nausea e vomito fino ad arrivare – nel peggiore dei casi – ad amnesie ed attacchi di panico.

25 ottobre 2013

FONTE: Manerbio week

mercoledì 20 novembre 2013

Giuliana fuori dal mondo perché è malata di MCS

Ha 38 anni, secondo caso in Val di Cornia di Sensibilità Chimica Multipla la donna rilancia l’appello per ottenere le cure adeguate dal sistema sanitario

PIOMBINO. Un altro caso di Sensibilità Chimica Multipla in Val di Cornia. La piombinese Manuela Benevelli ha raccontato la sua difficile situazione d’invalidità per MCS, che l’ha portata alla quasi totale segregazione in casa sua, dopo la morte - calvario cominciato per un mal di denti e dalla prescrizione di antibiotici - di una malata come lei, di 36 anni, a Roma. E Giuliana Guerra, 38 anni, di Riotorto, affetta da MCS, trova il coraggio di parlare delle paure e del suo mal di denti che tanto la accomuna a Linda Sabatini (questo il nome della signora morta a Roma dopo due mesi e mezzo di agonia).

Perché la Sensibilità Chimica Multipla (MCS) è una gravissima forma di intolleranza per le sostanze chimiche (niente detersivi, disinfettanti, profumi, farmaci). MCS riconosciuta come malattia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, riconosciuta in Canada, Germania, Usa, ma non dal nostro sistema sanitario nazionale.

«Strada in salita da anni – rivela Giuliana – Lavoravo in una ditta d’importazione di bigiotteria a Follonica: con la crisi e visto che ero spesso malata, si è colto l'occasione per licenziarmi. Il mio evento scatenante? L'operazione di ernia iatale, nel 2007, a Grosseto – dice – è la goccia che ha fatto traboccare il vaso».

«A seguire – aggiunge – il mio disagio reale che è cominciato con un'allergia agli odori, che ha fatto saltare tutta l'alimentazione. Sono scesa in picchiata dai 58 chili a 41».

«Da mangiare di tutto mi sono ridotta, sin da dopo l'operazione, a un vasetto di omogeneizzato da neonati al giorno. Esami su esami , ma nessuno capiva perché – sottolinea – Ho fatto tutti i test possibili anche a Firenze, ma niente. Poi ho cominciato a togliere gli alimenti, dopo naturalmente aver eliminato i prodotti chimici, a partire dai medicinali. Via latticini, pomodoro, spezie, farinacei».

Adesso la dieta qual’è?

«Da due anni – risponde Giuliana – sono riuscita a riprendermi un po’ ma solo col verdura biologica, lattuga non condita, patate lesse cotte per forza nell'acqua in bottiglia... il cloro per me è veleno, tanto che anche lavarsi è un problema. Posso mangiare solo carne di maiale e per fortuna un po’ di cioccolato extrafondente. Ho mio marito che mi assiste, perché l’isolamento a cui sono costretta è terribile».

«Per fortuna – spiega – sono riuscita ad arrivare alla diagnosi definitiva di MCS grazie al Tirreno ed alla pagina dedicata, nel 2011, al caso di Chiara, una ragazza di Livorno. Mi ritrovavo in tante cose, che aveva passato e che i genitori raccontavano di lei. Li ho chiamati e mi hanno indirizzato dal professor Genovesi a Roma, endocrinologo all’Umberto I e da lì è partita la mia ricerca. Noi che abbiamo questa malattia, progressiva e degenerativa – conferma – che ha così tante patologie diverse da paziente a paziente, oltre a non riuscire a identificarla, dobbiamo scontrarci con un servizio sanitario che non la riconosce, senza trovare cure adeguate. Tutto ha un costo elevatissimo. Un esempio? Tramite ticket ho fatto di recente esami a Roma, pur spendendo 550 euro: tutti sul Dna, per l’MCS bisogna conoscere le alterazioni genetiche».

Nuovi timori. «Ora ho un problema ai denti e non so che fare, in ospedale mi dicono che mi devo procurare quanto mi serve da sola. Visto quello che è successo a Roma... ho davvero tanta paura».

di Cecilia Cecchi

26 marzo 2013


FONTE: iltirreno.gelocal.it

domenica 17 novembre 2013

LA STORIA - Suor Cecilia e Laura Salafia, la libertà di due strane "prigioniere"

Due donne libere. E liete. Anche se agli occhi del mondo appaiono come “recluse”. L’una, Laura, prigioniera del proprio corpo in una stanza d’ospedale. L’altra, Cecilia, prigioniera della propria vocazione, dietro le sacre grate della clausura in un monastero benedettino.
Eppure quanta letizia c’è nelle loro parole, quanta voglia di godersi fino in fondo la vita, quanta capacità di perdonare e di cogliere l’essenziale dei fatti e delle circostanze!
Laura e Cecilia si sono incontrate la prima volta il 29 gennaio del 2012, quando la suora benedettina ottenne il permesso di uscire dalla clausura e visitare all’ospedale Cannizzaro la studentessa di Sortino. Ma era già come se le due si conoscessero da tempo. Per lo meno da quando accadde “l’incidente” che portò il nome di Laura Salafia sulle pagine della cronaca nazionale (Laura lo chiama così quel terribile giorno degli inizi di luglio del 2010 in cui all’uscita dall’Università si ritrovò, vittima innocente, nel mezzo di una sparatoria e fu raggiunta da una pallottola che lesionò il suo midollo spinale paralizzandola dal collo ai piedi) e le benedettine di Catania cominciarono a pregare ogni giorno per quella ragazza, che neppure conoscevano.
Anzi, a mettere le suore sulle tracce di Laura era stato allora un ergastolano, che sconta la sua pena in una casa circondariale di Milano e che leggendo sul quotidiano La Sicilia la vicenda della Salafia aveva scritto alle monache benedettine perché pregassero per la guarigione della giovane. Da quel momento è nato un rapporto epistolare che ha coinvolto anche Laura e che, misteriosamente, ha prodotto nell’ergastolano un cammino di Fede.
Il secondo incontro di Laura e Cecilia, specialissimo e per nulla riservato, s’è consumato nei giorni scorsi in un teatro dei salesiani davanti a oltre duecento studenti del liceo classico statale “Nicola Spedalieri” di Catania.
Di questa singolare amicizia suor Cecilia dice: «Siamo due persone apparentemente diverse, ma accomunate da una mano misteriosa che ci ha fatto incontrare. Questa mano di cui vi parlo è la mano di Gesù vivo e presente».
Quanta fatica per realizzare questo secondo incontro, e quanta determinazione soprattutto da parte delle due protagoniste. Suor Cecilia ha lasciato il silenzio della clausura, col permesso della priora madre Giovanna, per immergersi nel caos della città e rendere testimonianza della sua vita. Per Laura c’era bisogno di una équipe medica e infermieristica che l’accompagnasse, di un permesso speciale per uscire dalla struttura ospedaliera e, perché no, del coraggio di affrontare a viso aperto giovani fra i 14 e i 19 anni pieni di domande, anche scomode.

24 marzo 2013

di Giuseppe di Fazio

FONTE: ilsussidiario.net


Due donne, Laura e Cecilia, 2 storie, 2 vite molto diverse tra loro, ma un unico comune denominatore: la grande Fede e il grande Amore per Gesù Cristo! E da questo comune Amore è nata un intensa amicizia che, sono sicuro, non finirà mai, neppure con questa vita.
Meraviglioso!

Marco

mercoledì 13 novembre 2013

La storia di Laura Salafia, colpita da un proiettile vagante e rimasta paralizzata


Un colpo di pistola esplode nelle vie cittadine catanesi. Il proiettile, sparato durante una lite, vaga impazzito e va a colpire Laura Salafia, una studentessa che poco prima ha sostenuto un esame universitario. La giovane, che usciva dalla facoltà di Lettere e Filosofia si accascia… la situazione è grave. La pallottola ha colpito la spina dorsale, la corsa in un ospedale di Catania e poi il trasferimento nell’unità spinale di Montecatone nei pressi di Imola. Ben diciotto mesi di ricovero per poi essere trasferita a Catania all’ospedale Cannizzaro nell’Unità spinale unipolare, altri diciotto mesi per curarla e donarle una vita più dignitosa. Il colpo di arma da fuoco, purtroppo, ha colpito un punto che l’ha resa invalida per sempre, è paralizzata dal collo in giù: muove solo la testa.

La vita di Laura, con la tragedia che è avvenuta nel 2010, è completamente stravolta, ma la giovane, che ora ha 36 anni, ha una voglia di vivere straordinaria e di donarsi alla gente. “Credo sia giusto occuparsi degli altri – spiega Laura- chi più di me può capire quanto sia importante donare se stessi! Far capire che c’è sempre un aspetto positivo in ogni circostanza, anche la più nera! Ho sempre amato la vita nella sua interezza, sia il bello, sia il brutto. Nulla è perduto anche quando si è nelle mie condizioni”.

Laura, più volte, quando era ricoverata all’ospedale Cannizzaro incontrava un giovane africano che aveva perso l’uso delle gambe, e gli parlava di speranza, di Fede. Quando era il momento delle visite dei parenti al loro reparto, lo coinvolgeva, poiché il ragazzo era solo, facendolo sentire amato. Il giovane, un ragazzone che faceva basket, piano piano, recuperò la voglia di vivere grazie anche a Laura, che gli aveva regalato amicizia e speranza. Laura ha una parola di fiducia per tutti e nel reparto ha dato conforto anche a una donna romena. “Ho cercato di rallegrare le loro giornate – spiega Laura - nei momenti delle visite coinvolgevo chi era solo, senza parenti. I miei amici la domenica venivano con gli strumenti musicali e diventava un momento di festa. I pazienti potevano fare qualcosa di diverso, non c’erano solo momenti di noia, di sconforto, ma anche spazi di gioia.

La vicenda di Laura è molto nota a Catania, di lei si sono interessati in tanti, in particolare il quotidiano “La Sicilia” che l’ha sostenuta con vari articoli. Il comune di Catania nell’ambito di un piano integrato di “domicilio protetto” in collaborazione con l’Asp le ha dato una casa nel centro di Catania (per stare nei pressi dell’Unità spinale del Cannizzaro) e poi tante, tante, persone che sono andate a trovarla. “Io sento la mano del Signore sul mio capo - spiega Laura - che mi dà la forza di affrontare tutto questo. Ho sempre cercato di offrire gioia a chiunque, ogni persona che mi viene a trovare la accolgo con un sorriso”.
In tanti fanno visita a Laura, e quando si allontanano sono più ricchi dentro: la serenità che sprigiona, la semplicità e la profondità delle sue parole ci fanno interrogare sui valori importanti della vita.

6 novembre 2013

FONTE: disabilitasenzabarriere.it


Una storia che difinire "stupenda" è dire poco! Sono letteralmente ammirato dalla forza, dal coraggio, dalla Fede e dall'Amore dimostrati da Laura, così vivace, così positiva nonostante la grave e permanente invalidità che l'ha colpita. Più di ogni altra cosa comunque, contano le sue parole: "Credo sia giusto occuparsi degli altri... chi più di me può capire quanto sia importante donare se stessi! Far capire che c’è sempre un aspetto positivo in ogni circostanza, anche la più nera!"
Parole semplici ma meravigliose, che dicono veramente tutto!
Grazie Laura per lo splendido esempio che ci dai.... grazie di tutto!

Marco

lunedì 11 novembre 2013

Mosana e l'isola che c'è


La vita di Mosana Cavalcanti, brasiliana di 48 anni, di Recife, è cambiata un giorno di dieci anni fa quando uno sparo in pieno giorno l’ha resa paraplegica. «Ero da pochi minuti uscita dalla banca dove avevo prelevato. Lavoravo al ristorante di mio fratello e avevo cambiato le banconote in tagli più piccoli per poter dare il resto ai clienti», racconta Mosana. «Improvvisamente sbuca un uomo armato di pistola che mi intima di consegnargli i soldi. Io stringo forte la borsa al petto e dopo qualche secondo lui mi spara. Ricorderò per sempre il rimbombo dei proiettili e la sensazione di non sentire più le gambe».

Niente più notti passate nel locale del fratello tra le risate di amici e conoscenti, niente più notti trascorse a ballare (Mosana come molti brasiliani era un’ottima ballerina), ma solo lunghe giornate scandite dalla riabilitazione per la lesione alla spina dorsale e dal recupero delle funzionalità respiratorie (uno dei proiettili le aveva trapassato il polmone). Oggi, a dieci anni da quell’evento, Mosana è il volto del Brasile che si apre al mondo della disabilità nella veste di Coordenadora do Programma turismo Acessivel del Pernambuco. Invece di chiudersi nel suo dolore, Mosana decide di portare avanti una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei disabili, incominciando dal suo Stato, il Pernambuco (nel Nord est del Brasile) che vanta tra le sue perle Recife con le sue lunghe spiagge, e ben due patrimoni dell’Umanità: la città coloniale di Olinda e l’isola di Fernando de Noronha.

È in questa isoletta che Mosana mi ha invitato attraverso Embratur, l’ente brasiliano del turismo. «Prima dell’incidente mi recavo spesso a Fernando de Noronha (collegata da Recife con voli giornalieri) per trascorrervi le vacanze e momenti di relax. Ho provato a tornarci con la carrozzina ma l’isola che tanto amavo era piena di ostacoli e barriere. Così ho combattuto per rendere questo paradiso naturalistico accessibile non solo a me ma a tutti i disabili». L’iniziativa di Mosana è stata sostenuta dal governo brasiliano, e da alcuni enti privati che hanno investito più di 3 milioni di euro, per abbattere barriere architettoniche, costruire rampe e percorsi, attrezzare l’isola di tutti i macchinari necessari a renderla fruibile a tutti.

Certo non è facile parlare di una realtà che dista 15 ore di volo e almeno un paio di scali: prima di partire mi sono chiesto quale persona con disabilità si sarebbe spinta fin là, in un’isoletta sperduta nell’Atlantico, a 400 km di mare dal lembo di terra più vicina, Natal. Perché fare un viaggio del genere per poi fare da spettatore, magari senza neanche avere la possibilità di fare una nuotata in mare?

E invece, gli sforzi e la caparbietà di questa donna brasiliana, dal sorriso sincero, si vedono e si toccano con mano. Chiudo gli occhi e torno, con i ricordi, alle ore passate alla spiaggia del Sueste: rivedo l’arena finissima che attraverso senza difficoltà grazie alla sedia da mare a disposizione degli ospiti con disabilità, il sole caldo che accarezza la pelle e poi le onde che lambiscono il mio corpo: l’acqua è a 28 gradi. Mi propongono di fare snorkeling e accetto. Pochi minuti, poche parole, e gli organizzatori mi trasportano con dolcezza nel regno sommerso. Gli operatori sanno come muoversi e gestire le disabilità, sanno essere presenti, ma non invasivi, sanno di essere lì per far vivere a pieno un’emozione – per alcuni la prima della loro vita – e per mano ti conducono tra gli scogli di questo golfo naturale dall’acqua trasparente e verde smeraldo.

Una maschera, un boccaglio, l’istruttore che ti guida… tu devi solo pensare a respirare, a goderti quel mondo fatto di tartarughe marine, razze, polpi che si confondono con la sabbia del fondale, pesci dai colori sgargianti o banchi di sardine che riflettono con le loro squame argento il sole che filtra dalla superficie. Fluttui senza fatica e per qualche minuto ti dimentichi della sedia a rotelle che ti attende in spiaggia. Sorprende la naturalezza con cui le cose avvengono: non si deve spiegare a chi ti accompagna come fare. Mosana ha già istruito il personale su come gestire ogni tipo di disabilità.

Che strano che la parola naturalezza assomigli a naturaleza (madre natura in portoghese) che straripa su quest’isola dove mare, spiagge e foreste si fondono in un unicum che riempie cuore e occhi. E anche lo stomaco. L’isola pullula di prelibatezze tutte naturalmente a base di pesce. Basta poco in realtà per rendere il mondo più vivibile: rampe in legno per entrare nei locali e nei ristoranti (quasi tutti ne erano dotati – mentre non erano presenti percorsi tattili per non vedenti) un bagno un po’ più grande del normale con un lavabo sospeso… e una persona con disabilità può pensare a gustarsi le specialità del luogo senza preoccupazioni per l’accessibilità.

Una normalità che in Italia, dove spesso si sceglie il ristorante per l’accessibilità e non per la cucina, può sorprendere. Eppure basta poco. Lo sa Mosana che per far vivere a tutti un’emozione che vale il viaggio, ha lottato per ottenere una passerella di legno, sostenibile e non invasiva dell’habitat, lunga poco meno di un chilometro. Un lungo ponticello che porta in un posto magico, un sentiero quello del Golfinho, che conduce in un angolo di paradiso. Mosana, che lo aveva visto in passato e poi mai più perché inaccessible, lo voleva aperto a tutti. Ha lottato e ha convinto il governatore dell’isola a costruire un lungo pontile in legno che si immerge in una fitta foresta e porta sulla cresta di un faraglione.

Sotto lo sprone di roccia, a un’ottantina di metri, due calette di spiaggia fine separate da qualche scoglio, in mare un gruppo di delfini che giocano a rincorrersi e qualche uccello che si getta in mare per procacciarsi la cena. Si rimane a bocca aperta. Mosana non trattiene le lacrime pensando di poter condividere questo luogo del cuore con altre persone con disabilità. Un’emozione nell’emozione poi quando si avvicina un guardia parco che allunga un binocolo e mostra due lunghe strisce sulla sabbia… Sono i solchi lasciati da una tartaruga che si è trascinata sulla riva per depositare le uova che tra due mesi si schiuderanno. Troppo in là nel tempo. È ora di tornare alla quotidianità, di salire su una jeep non attrezzata (ci sono solo alcuni pullman adattati), salire la scaletta dell’aereo con un cingolato e prepararsi al lungo volo di rientro.

di Simone Fanti

24 maggio 2013

FONTE: invisibili.corriere.it


Questa è una di quelle storie per le quali provo sempre un piacere particolare nel venirne a conoscenza e nel riportarle sul mio blog. Provo piacere perchè è una vicenda intrisa di positività, intraprendenza, altruismo e anche coraggio. Provo piacere perchè Mosana, da una situazione di grande difficoltà come quella di rimanere improvvisamente invalida, ha saputo "ricostruirsi", ha saputo "convertire" il male che gli è accaduto in Bene, bene per sè stessa e per gli altri, creando in un oasi di pace e di bellezza come queste spiagge tropicali, dei luoghi dove anche le persone con disabilità possono vivere giorni indimenticabili, tra panorami meravigliosi e fondali incantati.
Grazie Mosana!

Marco