mercoledì 29 gennaio 2020

Non sono malati immaginari


Marina è una giovane donna, dolce, gentile e più forte della sua malattia. Abita a pochi chilometri da Segrate. E' venuta a trovarci qualche tempo fa, ma non è potuta entrare in redazione. E' rimasta fuori, nel parco che circonda palazzo Mondadori: gli ambienti chiusi non “bonificati” per lei sono gravemente tossici. Quando ci siamo incontrate, non ci siamo strette la mano: Marina non deve avvicinarsi a persone che potrebbero avere sulla pelle o sugli indumenti sostanze che mandano in tilt il suo sistema immunitario. Bastano un ombretto, un profumo, tracce di fumo, di detersivi, di creme. Questa ex ragazza come tante da circa un anno vive una vita non vita, protetta (ma non abbastanza) da una maschera; prigioniera della Sensibilità Chimica Multipla. La patologia si è manifestata quando lei era poco più che ventenne e lavorava in ospedale come ortottista, ma negli ultimi 12 mesi è esplosa nella sua forma più grave. Le impedisce di usare il cellulare, mangiare cibi non bio, andare in vacanza, al cinema, abbracciare gli amici, accarezzare un bambino, dormire su un materasso, prendere un tram. Sono tantissime le sostanze che il suo organismo percepisce come nemiche reagendo con coliche, tachicardia, svenimenti, dolori, problemi respiratori. E il contatto prolungato con i “veleni” potrebbe provocare danni irreversibili. Abbiamo voluto raccontare la sua storia per portare sotto i riflettori una malattia fantasma: molti medici non la conoscono o non la riconoscono come vera patologia. E sopratutto, a differenza di quello che succede in altri Paesi, non la riconosce il Sistema sanitario nazionale, che non rimborsa le costosissime terapie. Ne parliamo nella speranza che Marina e gli altri italiani che come lei soffrono di Sensibilità Chimica Multipla (si stima l'1%, con vari livelli di gravità), possano presto curarsi, senza indebitarsi, senza essere bollati come malati immaginari.

Di Sabrina Barbieri

FONTE: Starbene

mercoledì 22 gennaio 2020

Giulio Berruti confessa su Instagram: “Ho la fibromialgia”


Giulio Berruti racconta per la prima volta la sua lotta contro la fibromialgia e commuove i follower di Instagram

Giulio Berruti si racconta per la prima volta su Instagram, svelando di essere affetto dalla fibromialgia.

Si tratta di una malattia ancora poco conosciuta, che fra i suoi sintomi ha un dolore cronico diffuso in tutto il corpo. Chi ne soffre ha la sensazione di essere coperto di lividi e spesso accusa anche astenia, stanchezza cronica e insonnia. La fibromialgia comporta inoltre rigidità muscolare, difficoltà di memoria, stato di annebbiamento mentale, cefalea, crampi e disturbi digestivi.

La patologia è così debilitante che il più delle volte i pazienti rinunciano alla vita sociale, cadendo facilmente preda di ansia e depressione. Lo sa bene Giulio Berruti, che da ben 12 anni combatte contro questa terribile malattia. In questi giorni l’attore, celebre per serie tv cult come Elisa di Rivombrosa e Squadra Antimafia, ha svelato per la prima volta la sua lotta contro il male.

Soffro di fibromialgia – ha spiegato Berruti, che è stato immediatamente sommerso di messaggi dai follower -, grazie per i vostri messaggi ragazzi. Ero convinto di essere tra i pochi ad avere questo disturbo di cui non si conosce la causa, ma siamo tanti”.

Giulio ha spiegato che combatte contro la fibromialgia ormai da tempo e che la diagnosi è arrivata dopo tante visite e un percorso difficile. Nonostante ciò l’attore è riuscito a non perdere il sorriso ed ha trovato anche un rimedio che riesce ad alleviare in parte il dolore cronico che l’accompagna per tutto il giorno senza dargli mai pace.

Quotidianamente Berruti si sottopone a 10 minuti di immersione in acqua fredda, un rimedio che con il tempo gli ha consentito di sopportare i sintomi della fibromialgia. “Presto farò un video che parla del problema e che potrà aiutare tutti – ha svelato in un video pubblicato nelle Stories di Instagram -. Questa è una cosa che mi ha aiutato tantissimo e che potrà fare lo stesso con voi, nel frattempo in bocca al lupo, tenete duro”. Tanti i messaggi d’affetto e di sostegno, anche da parte di chi soffre della stessa patologia a cui Berruti ha risposto con un cuore rosso e l’esortazione a non mollare. “Avanti tutta – ha detto -. Ce la faremo”.

15 dicembre 2018

FONTE: Di Lei

martedì 7 gennaio 2020

Casey Stoner con la sindrome da stanchezza cronica!


Nel corso di una trasmissione in podcast, l’australiano ha dichiarato di soffrire da oltre un anno per un problema di affaticamento cronico che lo fa soffrire. Non riesce ad allenarsi, si sta curando, ma la soluzione non è vicina

La brutta notizia rimbalza dall’Australia: nell’ultimo episodio del podcast Rusty’s Garage, un programma del giornalista Greg Rust, Casey Stoner ha dichiarato che sta assumendo dei farmaci per combattere contro un problema di affaticamento cronico, qualcosa che gli impedisce tra l’altro di dedicarsi agli hobby che ama come il kart e il tiro con l’arco.

Non vado più in kart da un anno – ha precisato Casey - e non ho proprio l’energia per farlo: se ci provo un giorno poi resto sul divano una settimana. E da dieci mesi circa con riesco a fare neanche tiro con l’arco”.

Come tutti ricorderanno, Casey Stoner aveva avuto un problema fisico del genere già nel lontano 2009: aveva interrotto la stagione di gare, era tornato in fretta in Australia, e dopo una prima fase di terapie e di indagini gli era stata diagnosticata una intolleranza al lattosio. Allora era stato del tutto recuperato, e il suo ritiro alla fine del 2012 dopo cinque vittorie e il terzo posto in campionato non era stato legato in alcun modo a qualche problema fisico, ma oggi la situazione sembra seria come allora.

Con questa fatica cronica - ha precisato Casey - non sono in grado di mantenermi in forma e in salute. Ho un problema, perché le mie costole vanno fuori asse, ed essendo collegate alle vertebre finiscono per generare dolore anche alla schiena. E’ una situazione che mette pressione sui dischi, facendo fuoriuscire un po’ di liquido. Questo a sua volta mette pressione sul nervo, genera spasmi e ci vuole anche una settimana prima che le cose tornino alla normalità”.

Tutto questo lo ha tenuto lontano anche dalle moto. L’ultimo test serio risale al gennaio del 2018 con la Ducati a Sepang. Un paio di settimane fa Casey è salito su una moto nel corso di un evento negli Stati Uniti, ma pur facendo soltanto pochi giri e senza spingere, si è dovuto arrendere.

In questi ultimi mesi - ha concluso Stoner - sto migliorando con alcuni farmaci, ma non sono ancora vicino a ricominciare ad allenarmi o a fare le cose che mi piacciono”.

E’ una notizia inquietante e vi terremo informati. Casey Stoner ha dimostrato di meritare tutto l’affetto di tanti appassionati italiani: ha portato in alto la Ducati nel 2007, ha vinto ancora con la Honda nel 2011, ha dato lezione di guida e anche se si è ritirato sette anni fa molti ancora sognano che possa cambiare idea e ci permetta di vedere la sua sfida con Marquez, che in MotoGP non ha mai incontrato. Ma disse che era stanco dell’ambiente e si sarebbe fermato. Una scelta che fece scalpore: di anni ne aveva soltanto 27 (come il suo numero di gara); ma era una decisione più che rispettabile e che tutti abbiamo rispettato. Dunque, forza Casey!

3 dicembre 2019

di Nico Cereghini

FONTE: Moto.it

venerdì 3 gennaio 2020

La ballerina senza più forze: «Io, malata di stanchezza cronica. Se mi lavo i capelli, non posso fare altro»


La storia di Lucia Libondi, 40 anni, ex insegnante di danza. «Mi dicevano che era depressione, la sindrome mi è stata riconosciuta in Belgio. In Italia siamo fantasmi»

«Oggi se faccio un giro di pista scendo dalla moto stremato e devo restare una settimana sul divano a recuperare». Lo ha confessato a inizio mese Casey Stoner, pilota australiano di 34 anni, ex campione del mondo di MotoGP, rivelando così la patologia che lo ha colpito: l’Encefalomielite Mialgica (ME), nota anche come Sindrome da Fatica Cronica (l’acronimo è CFS). Invalidante, subdola e non facilmente diagnosticabile. «Stoner mi ha ricordato le ultime lezioni di danza che sono riuscita a dare. Passai settimane a letto per recuperare». Vicentina, 40 anni, insegnante di danza e professionista-laureata nel mondo dell’arte finché la salute glielo ha permesso, Lucia Libondi è una dei centomila italiani affetti dalla stessa patologia, che, fra i vip, oltre al pilota australiano, riguarda il pianista jazz Keith Jarrett e Stuart Murdoch, leader della pop-band scozzese Belle and Sebastian.

«Devo sempre dosare le energie — ci dice — se mi lavo i capelli non me ne restano per le pulizie; inoltre seguo una dieta rigorosa e vado a letto prestissimo. Se me la sento, esco un po’, ma mi è capitato di crollare anche dentro un negozio». La incontriamo un pomeriggio in cui è in grado di uscire di casa. «Oggi è uno dei cinque giorni alla settimana in cui posso combinare qualcosa, negli altri due sono costretta a letto totalmente priva di forze, e a stento riesco a farmi da mangiare. Quando sono al massimo però studio, perché voglio prendere una seconda laurea in filosofia». Lucia ricorda: «È nel 2008 che inizio a stare male: affaticamento costante, perdite di peso, violente intolleranze alimentari, metabolismo alterato. Negli otto anni successivi, per reggermi in piedi, sono costretta a tagliare prima la vita sociale, poi la danza, e infine il lavoro nel mondo dell’arte. Nel frattempo i medici a cui mi rivolgevo, a volte anche al pronto soccorso, liquidavano tutto come depressione, diagnosi in cui non mi riconoscevo».

La svolta è in due fasi. «La prima nel 2016 — ricostruisce l’insegnante di danza — quando uno psichiatra intuisce che la mia è una depressione reattiva a qualcos’altro, e la seconda un anno fa, quando questo qualcosa trova nome all’ospedale universitario di Lovanio, in Belgio. Lì mi ero trasferita per studiare filosofia, e il caso vuole che il Belgio sia l’unico Paese europeo a riconoscere l’Encefalomielite Mialgica». Ciò significa una diagnosi formulata in un solo giorno, seguendo un protocollo che esclude altre patologie, e nello stesso tempo individua la compresenza di alcuni sintomi ben precisi.

Lucia Libondi è anche vicepresidente dell’organizzazione di volontariato "CFS/ME": «In Italia, dove i malati sono circa centomila, l’encefalomielite mialgica è ancora una malattia ignota a livello istituzionale — prosegue —. Per dire, in Veneto esiste una legge apposita, ma non è attuata in mancanza di un centro ospedaliero di riferimento. A me hanno riconosciuto un’invalidità al 14%, che è come dire zero. La strada, quindi, è ancora molto lunga e in salita». Quale speranza, allora? «Al momento attuale solo il 5% di noi guarisce senza un’apparente ragione, esattamente come quando si inizia a stare così — conclude Lucia —. Per fortuna in Paesi come gli Stati Uniti, dove i casi di ME sono oltre due milioni, stanno investendo milioni di dollari nella ricerca. Viene da lì la speranza che mi aiuta a continuare a studiare, e a non rinunciare all’idea che un giorno tornerò a danzare».

29 dicembre 2019

di Stefano Ferrio

FONTE: Corriere della Sera