lunedì 29 marzo 2021

Il tenore Marco Voleri: “Canto la felicità, nonostante la sclerosi multipla”

Ciò che rende unico Marco non è solo il suo incredibile talento canoro, ma la sua testimonianza che ruota intorno alla parola "felicità"

Una storia che scalda il cuore e che dà speranza. Una storia di riscatto nonostante una malattia invalidante. Una storia unica, piena di felicità benché in salita. E’ la storia di Marco Voleri, giovane tenore livornese affetto da sclerosi multipla.

La mia vita cambia il 19 luglio 2006”, racconta Marco Voleri a In Terris. “Sveglia dopo una serata passata all’anfiteatro di Fiesole. C’era Gianni Schicchi, un’opera di Puccini, il mio compositore preferito. Apro gli occhi, l’aria che si respira sembra uscita da un phon. Mi alzo, un capogiro. Ricado sul letto. Mi tocco la mano destra, un formicolio incredibile. Gamba destra, lo stesso. Parte destra del viso, idem. Lì finisce la mia prima vita e inizia la seconda”.

Un "secondo tempo" segnato dalla sclerosi multipla, una malattia terribile ma che non doma il giovane Voleri che non smette di combattere per il suo sogno: continuare a cantare.

La sclerosi multipla

La sclerosi multipla (SM), chiamata anche sclerosi a placche, è una malattia autoimmune cronica demielinizzante, che colpisce il sistema nervoso centrale causando un ampio spettro di segni e sintomi. Può manifestarsi con una vastissima gamma di sintomi neurologici e può progredire fino alla disabilità fisica e cognitiva. Ad oggi non esiste una cura nota, ma alcuni trattamenti farmacologici sono disponibili per evitare prevenire e rallentare le disabilità: la speranza di vita è di circa da 5 a 10 anni inferiore a quella della popolazione sana.

Al fianco di Marco, la moglie Giulia. “Ci siamo conosciuti a Tivoli durante un convegno Aism – ricorda su l’Osservatore Romano – lei era invitata dalla sezione della nostra città e io ero uno degli ospiti d’onore”. Giulia – anche lei con sclerosi multipla – è il capitano della squadra nazionale di sitting volley, qualificata alle Paraolimpiadi di Tokyo. Dopo qualche anno diventa sua moglie e nel 2015 nasce Andrea. Una nascita, come racconta nella nostra intervista, benedetta addirittura da Papa Francesco.

Un curriculum di altissimo livello

Marco, classe 1975, vanta un curriculum ed una carriera professionale di altissimo livello. Ha deciso di inseguire il suo "sogno incosciente" come lui lo definisce, lasciando il suo lavoro a tempo indeterminato in un negozio di materiale elettrico e dedicando tutto se stesso alla passione della sua vita, il canto e la musica classica.

Tutto inizia con il diploma in canto al Conservatorio G. Verdi di Milano sotto la guida del Maestro Delfo Menicucci. Successivamente, viene selezionato per un corso di perfezionamento presso l’Accademia del Teatro della Scala di Milano, tenuto dal Maestro Carlo Gaifa. Studia dizione e recitazione con Enzina Conte e partecipa a Masterclass di repertorio operistico con maestri del calibro di Mietta Sighele, Veriano Lucchetti, Janos Acs, Bruno De Simone, Enzo Dara, Renato Bruson, Gabriella Ravazzi, Mariella Devia. Si è perfezionato presso l’Accademia del Belcanto di Modena seguito dalla Maestra Mirella Freni. Ha frequentato e preso parte alla prestigiosa Accademia Lirica del Rotary International sotto la guida del Maestro Montanari.

Nel corso degli anni, Marco si è esibito nei più grandi e prestigiosi teatri in Italia e all’estero interpretando più di 40 ruoli operistici e oltre 100 programmi concertistici oltre, come già detto, in Italia anche in Europa Sudamerica, Sudafrica ed Oriente.

È stato diretto da registi di fama mondiale come Franco Zeffirelli, Beppe De Tomasi, Antonello Madau Diaz, Pierluigi Pizzi, Renzo Giacchieri, Renato Bruson, Walter Pagliaro, Nall e direttori come Gianluigi Gelmetti, Bruno Bartoletti, Miguel Gomez Martinez, Michele Mariotti, Daniele Callegari, Elio Boncompagni, Patrick Fourniller, Gustav Khun, Marco Boemi.

Una carriera strepitosa che neppure la malattia ha potuto fermare. Ma ciò che rende davvero unico Marco non è solo il suo incredibile talento nel bel canto, ma la bella storia di vita che – insieme alla moglie – testimonia ogni giorno. Una testimonianza che ruota tutto intorno alla parola "felicità". Un concetto che, nella vita del tenore, è tutt’altro che astratto, come lui stesso racconta nell’intervista alla giornalista Milena Castigli.

L’intervista

Maestro Voleri, lei è uso dire che “la vera malattia è la musica”. Perché?

Perché la malattia può essere intesa come parola in tanti modi: sono "malato" di pianoforte, sono "malato" di quel film… per quel che mi riguarda è la musica. Io, infatti, senza la musica non potrei vivere e ho messo al centro della mia vita questa "malattia" anche se ne ho un’altra ben più antipatica e invalidante, ma cerco di dare più importanza alla musica”.

Nel 2006 la prima diagnosi. Era giovanissimo e soprattutto era all’inizio della sua carriera, che stava diventando internazionale. Come ha vissuto quei primi momenti dopo la diagnosi?

Al momento della diagnosi non ero esattamente contento, come è facile immaginare: ero un trentenne uscito dal conservatorio che si apprestava a debuttare con i primi ruoli da solista nel mondo dell’opera. E quella malattia era totalmente inconciliabile con la vita che facevo. La sclerosi multipla ha tra gli effetti indesiderati la stanchezza, l’instabilità e molto altro. Non sai mai come ti sveglierai la mattina seguente. Tutto sembrava distrutto, ormai impossibile. Poi, con gli anni, questa cosa si è trasformata in forza positiva. Avevo solo due strade davanti a me: o smettevo di cantare o trovavo un modo per farlo nonostante la malattia! Io ho scelto la seconda strada: essere felici”.

In che modo ce l’ha fatta?

Ce l’ho fatta rimodellando un pochino le mie aspettative e le mie abitudini quotidiane. Per questo mi sono messo a cantare in ruoli secondari dove mi potevo stancare meno fisicamente e a ritagliarmi uno spazio in quel repertorio…”.
Fino al 2013, anno in cui avviene un vero colpo di scena quando decide di alzare il sipario sulla sua vita privata scrivendo il libro autobiografico "Sintomi di Felicità – La mia passione per il canto contro la malattia" (Sperling & Kupfer editore). Prima di allora, nessuno sapeva della sua malattia. Con questa rivelazione cosa è cambiato?

Quando è uscito il libro qualcosa è successo. E’ stato un modo per raccontare una debolezza e prendere al tempo stesso maggiore consapevolezza delle cose. Raccontare e condividere la mia storia mi ha aiutato a condividere il peso della malattia. A sentirmi meno solo, e questo credo sia una cosa magnifica. Ci ho messo l’anima tirando fuori tutto quello che avevo dentro facendolo per me stesso ma soprattutto per dare un segnale di apertura, togliendomi quella maschera che fino a poco prima avevo indossato per paura dei pregiudizi, di perdere tutto ciò che avevo costruito negli anni precedenti con tanto sacrificio. E per far sì che la sclerosi multipla non venisse etichettata soltanto come una malattia invalidante…”.

"Sintomi di felicità" nel 2013 diventa anche un’associazione, che produce uno spettacolo fatto di testimonianze e musica. In questi anni ha viaggiato non solo in Italia, ma anche in Spagna, Grecia, Cina, Stati Uniti e Giappone. Inoltre, durante il tour del libro ha avuto un incontro fondamentale.

Sì, durante il tour del libro ho conosciuto una donna, Giulia, che poi è diventata mia moglie e madre di nostro figlio Andrea, che ora ha 5 anni. Anche mia moglie soffre di sclerosi e insieme abbiamo deciso di vivere appieno la vita nonostante la malattia e quindi: matrimonio, figlio, progetti, obiettivi fino a quando sono diventato – un anno fa – anche direttore del festival Mascagni di Livorno”.

Una soddisfazione e un onore, immagino…

Sì, entrambe le cose ma anche un grande onere perché è un progetto che partiva da zero, al quale mi sono dedicato completamente e in questo periodo di pandemia non è stato facile”.

Il 2020 è stato un anno difficile per tutti, in particolare per le persone malate, sole, per i disabili e per gli anziani. Lei come ha vissuto il 2020?

E’ stato un anno che ho vissuto con grande disagio, ma al tempo stesso anche in modo intenso proprio per la nomina che ho ricevuto. Sono stato nominato direttore del festival Mascagni il 3 marzo, in piena crisi pandemica. Sono stato impegnato nell’organizzazione del festival, nonostante i limiti e le difficoltà, per mesi. Il festival dedicato al grande artista livornese Pietro Mascagni è andato in scena dal 9 al 19 settembre alla Terrazza Mascagni, con un’anteprima in Fortezza Nuova il 2 agosto, giorno in cui il musicista è morto nel 1945. Nel 2020 si è inoltre celebrato il 130esimo anniversario di quel capolavoro che è la Cavalleria Rusticana. Un’esperienza intensa, faticosa ma fortissima. Diciamo che ancora una volta la musica mi ha salvato. Anche dai timori legati al coronavirus”.
Il 21 giugno del 2015 lei ha cantato per Papa Francesco. È stato scelto come tenore solista per cantare l’Ave Maria di Vavilov durante la celebrazione a Torino per il bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco. Che ricordo ha di quell’evento?

Ho un ricordo indimenticabile perché, mentre cantavo per il Papa, nasceva mio figlio. Quando ho terminato, ho avuto l’onore di salutare il Pontefice, al quale ho dato la bella notizia e lui mi ha benedetto, dicendosi felicissimo per noi. Del Santo Padre ho il ricordo di un uomo molto accogliente, semplice, sinceramente cordiale. Non dimenticherò mai il suo sorriso gentile”.

Quale augurio farebbe ai nostri lettori e quale pezzo lirico dedicherebbe loro?

L’unico augurio che posso fare è che si possa celebrare la vita nei migliori dei modi, vivere la vita come dono nonostante gli ostacoli che si presentano. Spero che queste festività possano essere un avvicinamento delle anime, spero che tutto questo possa servire a farci apprezzare tutte quelle piccole cose che prima guardavamo con sufficienza o che non guardavamo proprio. Relativamente al pezzo lirico, non vorrei essere retorico perché l’opera rappresenta qualcosa di finto ma non di falso e dunque dedicherei, come augurio, "Nessun Dorma", romanza per tenore della Turandot di Giacomo Puccini: "Dilegua, o notte. Tramontate, stelle. Tramontate, stelle. All’alba vincerò. Vincerò. Vincerò!"”.


di Milena Castigli

3 gennaio 2021

FONTE: In Terris

martedì 23 marzo 2021

Fibromialgia. "Vi racconto la mia lotta quotidiana"

Francesca Bellini, parrucchiera, è referente nel forlivese per l’associazione nazionale: "Alcuni pensano sia una malattia immaginaria"

Forlì, 11 febbraio 2020 - Una malattia infida, che si palesa all’improvviso con una sintomatologia mutevole. Uno tsunami che stravolge la quotidianità umana e professionale di chi ne è affetto. Come Francesca Bellini, quarantenne forlivese titolare di un salone di parrucchiera, affetta da fibromialgia.

Francesca, quando è iniziato il suo calvario?

"Due anni fa: da tempo pativo dolori muscolari sempre più invasivi. Avevo problemi alla schiena e ai gomiti ma pensavo fossero legati al mio lavoro. Poi un giorno mi si è annebbiata la vista e la mia ginecologa, in qualità di medico, mi ha invitato a fare un check up. Dagli esami effettuati è emersa qualche anomalia nei valori ematici".

E cosa ha scoperto?

"Il medico a cui mi ero affidata mi diagnosticò la leucemia, sulla base di un’alterazione dei globuli bianchi".

In seguito cosa è successo?

"Mi sono sottoposta a chemioterapia per via orale per un paio di mesi. Ma, stando sempre peggio, ho dovuto interrompere la cura. Un oncologo amico di mio fratello mi ha indirizzato a un bravissimo reumatologo di Lugano: è stato lui a diagnosticarmi la sindrome fibromialgica, per di più in fase avanzata".

Una diagnosi precoce avrebbe limitato i danni?

"Sì, il mio sistema immunitario ha pesantemente risentito della terapia oncologica. I sintomi della fibromialgia variano da persona a persona: io ho emicranie fulminee da non tenere aperti gli occhi, che si gonfiano, le gengive si infiammano, ho dolori agli arti. Ringrazio il Signore per ogni attimo in cui il dolore mi risparmia".

Esiste una terapia?

"Per migliorare la qualità di vita, è necessario assumere farmaci, che purtroppo su di me hanno effetto temporaneo, e sottoporsi a trattamenti: dai massaggi all’agopuntura e così via. Ma i malati devono pagarsi tutto, non esistono agevolazioni a livello sanitario né lavorativo. La fibromialgia è stata riconosciuta come invalidante ma non inserita nei Lea, livelli essenziali di assistenza. Mi sto battendo affinché qualcosa si muova".

In che modo?

"Sono entrata nel Cfu Italia (associazione fibromialgici riuniti) e sono referente per il territorio forlivese. Come associazione abbiamo depositato 60.000 firme in Senato per sensibilizzare il mondo della politica sulla vicenda. Purtroppo sappiamo come è finita a livello governativo e l’iter dovrà ripartire daccapo. Ai malati dico: fatevi avanti".

C’è ritrosia a parlare della malattia?

"Il malato teme di non essere accettato e apprezzato nella società. La fibromialgia causa anche problemi di umore, è facile cadere in depressione. Certe persone credono che si tratti di una malattia immaginaria, creata da chi è in cerca di attenzioni. Per questo spesso parenti e amici si volatilizzano".

A lei è capitato?

"A Natale del 2018 il mio ex marito mi ha lasciato una lettera in cui mi invitava a trovare una persona capace di sopportare la mia malattia. Alcuni amici pensano che non esca con loro perché ‘me la tiro’. Ma a volte capita di prepararmi per uscire e poi improvvisamente non essere in grado di farlo. Programmare è impossibile. Certe mattine non riesco neppure ad alzarmi. Ma c’è anche un aspetto positivo".

Quale?

"Il dolore mi ha aiutato a vedere al di là delle aspettative. Sono una ex pugile, ho molta grinta e mi faccio forza. Mi devo rimboccare le maniche: ho un figlio, una casa e un’attività".

Come riesce a gestire il salone?

"E’ molto difficile ma stringo i denti grazie alla passione che nutro per il mio lavoro. Rimango in piedi tante ore al giorno, ma per fortuna ho momenti di pausa. Vivo di ciò che incasso".

Non si perde mai d’animo?

"Come detto, sono un’ex atleta dallo spirito guerriero. Ma anche dietro un pugile si cela sempre una persona fragile".


di Francesca Miccoli

11 febbraio 2020

FONTE: il Resto del Carlino

domenica 21 marzo 2021

La storia del bimbo di 7 anni che ha vissuto 525 giorni senza cuore

Regina Margherita, attaccato a un macchinario per oltre un anno, ora ha ricevuto il trapianto

TORINO. Ogni trapianto è eccezionale, ma alcuni vanno oltre: è il caso del cuore trapiantato con successo al Regina Margherita a un bambino di 7 anni, dopo 525 giorni di ricovero in ospedale collegato ad un cuore artificiale. Tutto questo presso la Cardiochirurgia pediatrica.

Da un ospedale all'altro

Nato in Marocco, il bambino ha condotto una vita tranquilla fino all'estate 2019, quando ha iniziato ad accusare i sintomi di insufficienza cardiaca. Con la madre raggiunge il padre che per motivi di lavoro vive in Liguria e, dopo una breve degenza in un altro ospedale pediatrico italiano, viene trasferito in elicottero al Regina Margherita. Neanche il tempo di entrare nella Terapia Intensiva cardiochirurgica (diretta dal dottor Sergio Michele Grassitelli) che il suo cuore si ferma. Viene rianimato e sottoposto ad impianto di una circolazione extra-corporea Ecmo.

Cuore artificiale

Pochi giorni dopo, non evidenziandosi un recupero, viene impiantato un cuore artificiale Berlin Heart. Questo lo tiene in vita e gli consente di riprendersi. Inizia ad apprezzare la cucina italiana, cresce, impara la nostra lingua, sotto gli occhi vigili del papà e della mamma, che nel frattempo mette alla luce un fratellino. Tutto questo per 525 lunghi giorni, trascorsi tutti in ospedale, circondato dall'affetto del personale medico ed infermieristico, a cercare di superare le complicanze che un sistema così innaturale come un cuore artificiale può causare al suo corpicino. Il tempo di impianto più lungo tra i pazienti del Regina. Per rendere la degenza più confortevole, il piccolo ha trascorso alcuni periodi nei locali dell'Isola di Margherita, lo spazio identificato nel Regina Margherita per le lungodegenze dei pazienti dell'Oncoematologia diretta dalla professoressa Franca Fagioli, direttore Dipartimento Patologia e Cura del Bambino.

L'intervento

Poi, finalmente, grazie ad un incredibile gesto di generosità, viene sottoposto con successo al trapianto di cuore dall'équipe dei cardiochirurghi pediatrici, diretta dal dottor Carlo Pace Napoleone. Qualche giorno di degenza tra i cardiologi pediatrici e gli infermieri della dottoressa Gabriella Agnoletti, seguito con attenzione dal dottor Enrico Aidala, cardiochirurgo responsabile del Programma Trapianti, e nei giorni scorsi la dimissione. Ed un incredibile gesto di solidarietà di una volontaria dell'Associazione Amici Bambini Cardiopatici, che ha trascorso con lui alcune settimane durante la degenza per consentire ai genitori di allontanarsi temporaneamente, e lo ha aiutato a trascorrere il primo periodo dopo la dimissione, in attesa di poter riabbracciare i suoi fratellini.


di Alessandro Mondo

18 marzo 2021

FONTE: La Stampa

venerdì 19 marzo 2021

Joao Stanganelli, il nonno brasiliano che realizza all’uncinetto bambole con la vitiligine

Scoprire la passione per l’uncinetto in pensione e realizzare delle bambole speciali che possono fare davvero bene al cuore (e all’autostima). Joao Stanganelli ha inventato Vitilinda, la prima bambola con la vitiligine. Ha quasi 10mila follower sul suo profilo Instagram e riceve ormai ordini da tutto il mondo.

C’è chi va in pensione e inizia a giocare a carte con gli amici. Chi fa del volontariato. Chi fa il nonno e va prendere i nipoti a scuola. Joao Stanganelli ha imparato a fare l’uncinetto. E lo ha fatto per una buona causa. Questo intraprendente nonno brasiliano, infatti, ha creato Vitilinda, una bambola molto speciale, che ha una missione precisa: aumentare l’autostima nei bambini che soffrono di vitiligine.

La vitiligine è una malattia che colpisce le cellule della pelle che producono melanina, vale a dire il pigmento responsabile della colorazione della pelle. Non è una patologia contagiosa, ma porta alla formazione di alcune macchie bianche sull'epidermide. Anche Joao soffre di vitiligine da quando aveva 38 anni e sa quanto chi ne soffre possa sentirsi a disagio in pubblico, anche a causa della reazione spropositata e ingiustificata che gran parte delle persone hanno nel momento in cui si imbattono in una persona affetta da questa patologia.

Così, una volta in pensione, Joao ha pensato di realizzare una bambola con tanto di vitiligine e, per farlo, ha chiesto alla moglie Marilena di insegnargli a lavorare all'uncinetto. Se all'inizio le cose non sono proprio andate per il meglio, con il tempo Joao ha preso sempre più dimestichezza con filo e uncinetto, fino ad arrivare a creare delle bambole davvero bellissime.

Bambola dopo bambola, Joao ha creato anche una bambola con l'alopecia e un'altra ancora sulla sedia a rotelle. Un modo per superare un taboo tra i bambini, e magari anche tra gli adulti, ma soprattutto per far capire ai bambini affetti da qualsiasi malattia che non sono meno belli rispetto agli altri.

di Gaia Cortese

26 settembre 2019

FONTE: ohga!

domenica 7 marzo 2021

Una lettera a Mattarella e a Draghi. Così il “combattente” Luca Bernardi lotta per i diritti

Il 34enne jesino, affetto dalla Distrofia Muscolare di Duchenne, da anni è attivo nella lotta per i diritti delle persone con disabilità. Ora lancia il suo appello per l'Assistenza Domiciliare Indiretta

JESI - Riesce a guardare il mondo attraverso il suo pc, attaccato sopra al letto in cui vive. Sposta il mouse con un millimetrico movimento residuo alla mano destra, scrive grazie alla tastiera digitale. Si chiama Luca Bernardi, ha 34 anni ed è jesino. È affetto dalla Distrofia Muscolare di Duchenne. E da anni è attivo nella lotta i diritti delle persone con disabilità: nel 2019 è stato eletto Consigliere e Vice Presidente del Comitato Cittadino per la Salvaguardia e Difesa dell’Ospedale di Jesi, è socio dell’Associazione Vita Indipendente delle persone con disabilità Marche Associazione di Promozione Sociale.

Poi è arrivato il Covid-19. E qualcosa è cambiato: «Ho capito ancora di più che noi disabili e i nostri coraggiosi e amati caregivers familiari non contiamo nulla, non esistiamo! Basti pensare che ancora ci devono fare le vaccinazioni! Noi non vogliamo crepare, anche se la società vorrebbe questo!».

Ma Luca Bernardi va avanti, e questa volta lo fa con una lettera a Sergio Mattarella a Mario Draghi, fino al Governatore delle Marche Francesco Aquaroli e alla sua Giunta, perchè «tutte le patologie gravi che c’erano prima della pandemia continuano ad esserci, e continueranno anche dopo che il virus verrà sconfitto».

Bernardi lancia il suo appello per la libertà di scelta: Obiettivo Adicaf è una lotta e un programma dettagliato nato nel 2014, volto ad ottenere l’Assistenza Domiciliare Indiretta, un supporto monetario che ha lo scopo di favorire la vita, la cura e l’assistenza delle persone non autosufficienti a domicilio.

Ecco le sue parole.

LA LETTERA

Alla C.A. del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Presidente del Senato della Repubblica Maria Elisabetta Alberti Casellati, del Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, del Ministro della Disabilità Erika Stefani, del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando, del Ministro della Salute Roberto Speranza, del Presidente della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato della Repubblica Annamaria Parente, del Presidente della XII Commissione Permanente Affari Sociali della Camera dei Deputati Marialucia Lorefice, del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome Stefano Bonaccini, del Presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani Antonio Decaro, del Presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli, del Presidente del Consiglio della Regione Marche Dino Latini, dell’Assessore dei Servizi Sociali e della Sanità della Regione Marche Filippo Saltamartini e del Presidente della IV Commissione Consiliare Permanente Sanità e Politiche Sociali della Regione Marche Elena Leonardi.

Mi chiamo Luca Bernardi, ho 34 anni e vivo a Jesi, nelle Marche. Sono affetto dalla Distrofia Muscolare di Duchenne, che ho scoperto ad 1 anno e mezzo e che mi ha costretto nel 1995 all’utilizzo di una carrozzina e dal 1999 24 ore su 24 in un letto con un respiratore.

Chiedo a gran voce di garantire a tutti i disabili minori, adulti e anziani la piena libertà di scelta tra assistenza in istituto e l’assistenza domiciliare, in particolare l’Assistenza Domiciliare Indiretta.

L’Assistenza Domiciliare Indiretta è un supporto di tipo monetario che ha lo scopo di favorire la vita, la cura e l’assistenza delle persone non autosufficienti a domicilio. L’importo viene quantificato sulla base di un progetto personalizzato in sinergia tra disabile, famiglia ed unità multidisciplinari di Asur e Comune. Le figure assistenziali che dovranno affiancare e/o sostituire i caregivers familiari vengono individuate, assunte e formate direttamente dal disabile stesso, se può, o dalla famiglia dello stesso. Data la mia esperienza e la mia “convivenza” con questa Bastarda malattia, per attuare un efficace progetto personalizzato in forma indiretta bisogna tener conto e valutare 3 elementi fondamentali:

1) Condizione sanitaria
2) Condizione socio/ambientale
3) Reddito


In base a questi tre elementi si erogano da un minimo di 1.000 € ad un massimo di 80.000 € annui. Per rendere più l’idea: due disabili nella stessa condizione sanitaria, ma, uno con un godimento economico più alto e con una rete familiare forte (genitori, fratelli, figli e coniugi…) e l’altro economicamente più debole e con una rete familiare fragile, non hanno diritto allo stesso contributo poiché, il disabile più fragile necessita di un contributo più elevato rispetto al soggetto più forte, non per discriminazione ma solamente per il semplice fatto che chi è più debole non può permettersi le stesse risorse dell’altro andando incontro, di conseguenza, a criticità e difficoltà.

In tutto questo però, noi stessi e i nostri familiari dobbiamo anche “Vivere” in condizioni dignitose, ecco perché chiedo:

– Materiale farmaceutico ed ausili gratuiti. Rendere gratuiti materiali farmaceutici ed ausili in genere, di cui una persona disabile necessita per la sopravvivenza. Quotidianamente usiamo creme o pomate, spray ed altri farmaci che sono indispensabili per non aggravare la nostra situazione. E puntualmente ci ritroviamo a pagarli, perché non sono classificati come farmaci salvavita! Alcuni esempi: medicine salvavita e non, talco, detergenti, cotone idrofilo, amuchina, guanti sterili e in lattice, integratori, pc, bracci per pc, mouse e tanto altro.

– Incremento degli interventi e delle risorse per l’ospedalizzazione domiciliare. Un’altra cosa molto importante da ottenere è la possibilità di avere specialisti a domicilio per eseguire esami come ecocardiogramma, elettrocardiogramma, ecoaddome, broncoscopia, e visite varie specialistiche come quella cardiologica, oculistica, otorinolaringoiatrica, odontoiatrica etc. In questo modo possiamo evitare, quando non sia strettamente necessario, il trasferimento verso le strutture ospedaliere, cosicché si eliminano i rischi e lo stress dovuti allo spostamento e quelli di contrarre infezioni. Quindi è fondamentale poter avere nel proprio domicilio specialisti, andando a coprire a 360° quelle che sono le necessità diagnostiche e assistenziali di malati in particolare condizione di gravità.

– Aumento della pensione d’invalidità e dell’indennità di accompagnamento. Da sottolineare l’annoso problema dell’indennità di accompagnamento e della pensione di invalidità, le cui cifre non consentono lo svolgimento di un tenore di vita normale. Quindi sarebbe opportuno arrivare con le somme di entrambe a 1.600 euro mensili.

– Snellimento pratiche burocratiche. Dal punto di vista burocratico bisognerebbe snellire alcune pratiche, come ad esempio la richiesta per l’ossigenoterapia che deve essere presentata ogni sei mesi, la richiesta per il contributo disabilità gravissima da presentare una volta all’anno o la prescrizione dei farmaci per malattie rare da richiedere una volta all’anno, anche in situazioni stazionarie e\o irreversibili.

In questo modo sarebbe un’Assistenza Domiciliare Indiretta efficace e noi combattenti potremmo condurre una vita dignitosa insieme alle persone che ci amano e ci stanno accanto ogni singolo giorno».

di Carla Troiani e Carolina Mancini

3 marzo 2021

FONTE: Centro Pagina Ancona

martedì 2 marzo 2021

Tumori rari. «Colpa dei pozzi»

Casalguidi: l'oncologa Gentilini lancia l'allarme. «I sarcomi sentinelle dei danni ambientali»

di Michela Monti
PISTOIA

«A Casalguidi bisogna indagare sull'inquinamento ambientale, è questo quello che bisogna fare. I sarcomi sono tumori sentinella proprio di questo aspetto e c'è ampia letteratura scientifica che lo dimostra». L'oncologa ambientalista Patrizia Gentilini ne è praticamente certa. L'inquinamento dei pozzi a Casalguidi, la presenza della discarica ma anche un potenziale uso di pesticidi, potrebbero essere le cause alla base dell'abnorme numero di tumori rari registrati nel territorio. «Il cloruro di vinile monomero trovato nei pozzi si forma dai prodotti di discarica – spiega l'oncologa – Nel tempo, materiale come la plastica ad esempio, si trasforma in questa sostanza. Sono convinta che la presenza di questo tipo di tumori stia a significare che in quell'area c'è un significativo squilibrio ambientale. Non servono indugi su questo aspetto». Gentilini poi sottolinea come il cancro sia soltanto in piccola percentuale causato da una predisposizione genetica. «Si continua a presentare il cancro come una malattia genetica che trae origine da mutazioni più o meno casuali dei geni – tuona -. Si tratta di una visione obsoleta e stereotipata su cui sono intervenuta già in passato ed è desolante constatare che si continua a non tenere adeguatamente conto delle più recenti conoscenze scientifiche. In particolare di quelle che derivano dall'epigenetica. Questa disciplina infatti ha ormai ampiamente dimostrato che l'incontrollata proliferazione cellulare che caratterizza il cancro può essere scatenata non solo da mutazioni geniche, ma anche dai processi che alterano le loro funzioni. L'importanza di queste conoscenze è enorme perchè i meccanismi epigenetici sono sotto la diretta influenza degli stimoli ambientali di qualsivoglia tipo, e si attuano in assenza di mutazioni che coinvolgono il genoma. Oramai si ammala una persona su due, vogliamo continuare a parlare di genetica? E' l'inquinamento, l'ambiente che porta ai tumori, indagate su questo a Casalguidi».
Gentilini, medico oncologo ed ematologo, ha lavorato per oltre 30 anni nel reparto di oncologia di Forlì. Ha iniziato a interessarsi alle problematiche ambientali 10 anni fa, in occasione del raddoppio dei due inceneritori di Forlì.

18 ottobre 2019

FONTE: La Nazione