martedì 30 aprile 2013

Carlo e la musica che cancella la disabilità


Carlo è emiplegico, ha conquistato lentamente e con difficoltà l’uso della parte sinistra del proprio corpo. Il danno neurologico che ha subito durante la gravidanza non è mai stato chiarito fino in fondo, ma è presto parsa evidente la sua disabilità. Come molte persone con analoghe patologie ha difficoltà di equilibrio, di logica, di socialità.

Carlo ha un dono: si chiama “orecchio assoluto”. Fin da piccolissimo ha mostrato un’attitudine particolare per i suoni, la musica, le lingue. A tre anni, ascoltando un brano orchestrale, era capace di sorprendere tutti dicendo cose del tipo “Senti il fagotto”… Alle elementari ha cominciato a suonare le tastiere e nonostante l’uso limitatissimo della mano sinistra, ha mostrato di non essere proprio negato. Al momento di scegliere con e per lui una scuola media è stato respinto alle selezioni previste per poter accedere all’indirizzo musicale; le professoresse dell’istituto statale di piazzale Axum a Milano dissero che non era pensabile insegnare pianoforte a un ragazzino che non usava la mano sinistra. Alla festa finale della terza media, dopo aver seguito l’indirizzo linguistico, fu l’unico a esibirsi al pianoforte.

Nel frattempo Carlo aveva avuto un secondo “colpo di fortuna”. Si era scoperto che proprio vicino a casa aveva sede Esagramma, un centro che si occupava e si occupa di coniugare due mondi apparentemente molto lontani: musica e disabilità. Carlo ha seguito il triennio di musicoterapia orchestrale che permetteva a tanti bambini e ragazzi con storie di disagio psichico e fisico di avvicinarsi alle note, a uno strumento e all’importanza che ha nella vita il sapere “leggere” i propri tempi e quelli degli altri. Per costruire qualcosa insieme. L’esperienza con Esagramma è proseguita con la specializzazione in pianoforte e con un ruolo nella loro Orchestra: in concerto Carlo suona vibrafono, marimba o glockenspiel. Nel frattempo si era iscritto a un liceo delle Scienze Sociali, il Tenca, dove esisteva un indirizzo di sperimentazione musicale; si è diplomato cinque anni dopo senza avere mai un “debito”.

A Esagramma Carlo ha conosciuto Marco Sciammarella, il suo insegnante di piano, che oggi dirige la Cooperativa AllegroModerato, nata da quella prima esperienza: con i suoi compagni disabili e con i musicisti professionisti che fanno da tutor nell’Orchestra di Esagramma e nell’Orchestra di AllegroModerato Carlo ha partecipato a decine e decine di concerti e workshop, in Italia e all’estero. Al liceo Carlo ha conosciuto Aldo Bernardi, allora coordinatore degli insegnanti di sostegno per i ragazzi disabili, promotore del corso di sperimentazione musicale e direttore d’orchestra. Pure lui, come Marco, ancora oggi è un amico di Carlo.

Finito il liceo si è posto il problema del da farsi: Carlo non sarebbe stato in grado di affrontare autonomamente un corso universitario. Franco Mussida, il chitarrista (PFM) che quasi 30 anni fa ha creato a Milano il Centro Professione Musica, ha incontrato Carlo e lo ha ammesso nella sua scuola d’eccellenza consacrata alla Musica Popolare (pop, rock, jazz). L’insegnante “di riferimento” che lavora con Carlo ormai da tre anni è Pablo Coniglio, docente di tecnologie (computer, synth, software per la creazione di musica) che prova a scommettere su un futuro professionale del suo allievo.

Carlo sa di musica: ha una cultura jazz/rock superiore alla media; suona con le due orchestre (repertorio classico) e a fine mese sarà a Washington per un workshop con Esagramma; ogni tanto, con amici o insegnanti, partecipa a qualche serata e se la cava anche come cantante. Carlo, mio figlio, non diventerà mai un musicista nel senso più pieno del termine. Ma chissà… La musica è la sua vita e (comunque) è la gioia della sua vita non semplicissima. Musica e disabilità si può. A patto di aver la fortuna di incontrare persone come Marco, Aldo, Franco, Pablo.

di Ariel Pensa

8 aprile 2013

FONTE: invisibili.corriere.it
http://invisibili.corriere.it/2013/04/08/lorecchio-assoluto-di-carlo-che-cancella-la-disabilita/



Storia bellissima questa di Carlo, ragazzo emiplegico con una grande passione per la musica, che dimostra ancora una volta tutte le potenzialità che sono insite nelle persone cosiddette "disabili".
Onore e merito a lui e a tutte le persone che lo hanno aiutato a tirare fuori queste potenzialità..... e tanti auguri per il suo futuro che, sono sicuro, sarà ricolmo di tante soddisfazioni.

Marco

venerdì 26 aprile 2013

Riprende la protesta estrema dei malati di Sla. “Impegni disattesi. Da oggi sciopero della fame”


Da oggi parte lo sciopero della fame dei “malati critici” (in maggioranza tracheostomizzati ed allettati). Alle 10.30 del 29 aprile comincerà un presidio permanente davanti all’assessorato alla Sanità in via Roma, a Cagliari. Una protesta analoga a quella messa in atto dai malati di Sla nell’autunno scorso a Roma, davanti al ministero dell’Economia. “Non chiameremo ambulanze – avverte Salvatore Usala in una lettera inviata ieri al presidente della Regione Cappellacci e all’assessore regionale alla Sanità De Francisci – Non potremo caricare le batterie: dovrà darci energia elettrica l’assessorato, se non si vuole il morto. Continueremo lo sciopero della fame”.

Salvatore Usala, segretario di Viva la Vita Sardegna Onlus e del Comitato 16 novembre Onlus, malato di Sla da otto anni, ancora una volta è costretto a utilizzare la minaccia estrema per sollecitare la politica e l’amministrazione a mantenere gli impegni. “Dovete mantenere la parola data”, è infatti l’incipit della drammatica lettera spedita ieri. Il riferimento è agli “impegni solenni” assunti lo scorso 31 ottobre dai ministri Balduzzi e Fornero nel corso della visita a Usala nella sua abitazione di Monserrato: “Il progetto della nostra associazione che dovevate tramutare in delibera – si legge nella lettera – è bloccato negli uffici dell’assessorato”.

Quindi il lungo e dettagliato elenco degli impegni presi e non rispettati. Dall’approvazione del progetto (che determinerebbe risparmi consistenti: un milione e 300mila euro nella sola Asl numero 8), alla possibilità di utilizzare i soldi risparmiati per estendere e migliorare l’assistenza ai malati, all’applicazione immediata delle procedure operative che, invece, sono state disattese da una circolare che rinvia il progetto al biennio 2013-2014. Fino al problema del ritardo nel rimborso ai comuni dei contributi della legge 162 e del “ritornare a casa” che determina disagi enormi per gli operatori e per le famiglie.

Con l’Assessore De Francisci – scrive Salvatore Usala – mi lega un rapporto di affetto e stima, ma deve assumersi le sue responsabilità politiche ed amministrative, non è accettabile un continuo rinvio o delega a funzionari di competenze decisionali della Giunta. Noi abbiamo solo la nostra vita da mettere in gioco, la nostra determinazione è infinita, non temiamo la morte”.

L’appello ad agire subito è rivolto anche ai consiglieri regionali della maggioranza e dell’opposizione: “Dateci una mano – scrive Usala – è una battaglia importante per modificare la sanità: eliminiamo sprechi dando efficienza ed efficacia”.

23 aprile 2013

FONTE: sardiniapost.it
http://www.sardiniapost.it/cronaca/riprende-la-protesta-estrema-dei-malati-di-sla-impegni-disattesi-da-oggi-sciopero-della-fame/

 
Come ho già avuto modo di scrivere per altre proteste fatte dai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), è veramente assurdo che si debba arrivare allo sciopero della fame, a minacciare di “staccare la spina”, per far valere i propri giusti, sacrosanti diritti.... diritti che sono rivolti, vorrei sottolinearlo bene, a malati di una patologia gravissima che ti porta alla TOTALE inabilità del corpo (ma non della mente), fin nei muscoli deputati alla deglutizione e alla respirazione.
Finora sono state fatte soltanto promesse, ma nessun fatto concreto si è poi realizzato, bloccato dalla solita “inerzia” di politici e funzionari che preferiscono “delegare” piuttosto che impegnarsi in prima persona per risolvere certe situazioni, e dalla solita burocrazia che rallenta ogni provvedimento. Adesso non ci rimane che aspettare il 29 aprile e vedere.... nella speranza che si arrivi veramente a qualcosa di CONCRETO!
Questi malati gravissimi non hanno molto da perdere, quindi non si può aspettare oltre.... per il Bene loro, delle loro famiglie, e di tutto un Paese che ha un disperato bisogno di vedere qualche segnale “forte” da parte di coloro che ci governano, a vantaggio sopratutto di coloro che, e non certo per colpa propria, vivono una situazione di grande difficoltà.

Marco

mercoledì 24 aprile 2013

Federica Maspero: correre per sentirsi libera

Federica Maspero, campionessa dei 100 e 200 metri piani, bi-amputata, quindi una freccia del nostro sport, ha cominciato grazie allo sport una nuova vita, è un tipico esempio di come lo sport veramente possa aiutare le persone a ritrovare fiducia, coraggio e voglia di vivere.



Si è vero, ho iniziato a fare sport circa due anni fa, e grazie a questo penso di aver ritrovato buona parte della mia vita, sia sociale e sia sportiva sicuramente, e poi credo che lo sport sia sicuramente una palestra di vita, penso che sia una parte fondamentale della vita di tutti.

Per cominciare a fare sport hai dovuto essere una ragazza parsimoniosa, perchè per correre servivano le protesi, e le protesi, ahi, non le regalano e l’ASL non le passa, e quindi che cosa è successo?

Ho iniziato a correre esattamente quando ho avuto la possibilità di pagarmi le protesi, per cui ho lavorato quattro anni in ospedale come medico e quando ho avuto i soldi da parte, una mattina ho deciso che era il momento, avevo quasi finito gli studi, quindi avevo i soldi a sufficienza per pagarmi le protesi e ad Aprile del 2011 me le sono comperate.

Quando è stata la tua prima gara?

I primi di maggio del 2011, esattamente un mese dopo che avevo indossato le protesi da corsa. Posso dire che è stato un inizio assolutamente non con la voglia di fare agonismo, poi l’agonismo ti viene, un pò perchè io caratterialmente c’è l’ho nel sangue e poi perchè di fatto ti viene, l’adrenalina che ti viene durante una gara non la provi in altre circostanze della vita e questo comunque ti aiuta a gestire anche altre situazioni al di la dello sport, molto difficili perchè devi avere self control.

Vogliamo spiegarlo cosa hai vissuto in quei momenti? Sei entrata in pista, hai messo le protesi, gli attimi prima dello start e anche gli attimi dopo, se hai pensato a qualcosa mentre correvi?

La cosa a cui penso sempre quando corro è che mi sento un persona molto libera, e quindi al di la dell’adrenalina che respiri che è una cosa abbastanza fastidiosa e insopportabile prima della gara, perchè hai l’ansia di non farcela, o di non arrivare o arrivare per ultima, magari succede qualcosa nella gara, tale per cui fai fatica ad arrivare in fondo anche se 100 metri o 200 metri sembrano pochi, in realtà quando li percorri ad alta velocità sono molto impegnativi. La cosa bella è che al di là di tutta quest’ansia e di questa adrenalina quando poi corri hai la sensazione di essere proprio libera e di avere la tua vita in mano proprio al 100% e questa sensazione, dopo che uno ha provato una malattia, come l’ho provata io, sinceramente è una cosa impagabile, e quindi ti da la forza di dire: va bene sopporto quel quarto d’ora di adrenalina, ma poi tutto quello che ti viene reso dopo e qualcosa di assolutamente grande.


Vogliamo provare a fare un salto indietro e raccontare che cosa è successo?

Il giorno del mio 24esimo compleanno sono entrata in coma a causa di una infezione batterica molto grave, nel giro di circa 10 ore sono stata ricoverata d’urgenza in ospedale con la diagnosi di setticemia e mi sono svegliata circa dopo 8 settimane, due mesi dopo, più o meno verso i primi di Gennaio senza le gambe, senza le dita, piena di cicatrici con una vita da ricostruire. Quindi, dopo ho iniziato un percorso di riabilitazione e ovviamente non potendo fare grosse cose, perchè ero sempre in casa o alla clinica per fare la riabilitazione, nel pomeriggio ho ripreso dopo circa 5 mesi a studiare e il mio obiettivo era quello di diventare un medico, nel senso che io ero sta male e quindi volevo comunque, siccome di fatto avevo mantenuto integra la parte più importante di quella che poteva essere la mia vita, cioè il cervello, ho detto: va bene, tanto vale che sfruttiamo quello che mi è successo per aiutare gli altri, e quindi alla fina ho deciso comunque di continuare a fare il medico, perchè comunque è la scelta della mia vita ed è quello che mi piace fare.




Quindi sei diventata un Oncologo?

Sono diventata prima un medico e poi sono diventata un Oncologo, ho ragiunto prima la Laurea e poi ho fatto gli studi di specializzazione in oncologia, perchè alla fine l’oncologia è sempre quel ramo che dici: oddio, fai l’oncologo spero di non aver mai bisogno di te! E’ vero, però alla fine dei conti è un confronto diretto con le problematiche serie della vita che io ho sperimentato esattamente 10 anni fa, per cui penso che non avrei mai potuto fare altro a livello di capacità lavorative, però di fatto quello che poi ho dentro, il paziente a cui posso dare di più è sicuramente il paziente che ha paura della morte.

Quindi è cominciato un giro per il mondo, abbiamo lasciato Cantù per Milano, poi siamo andati a Verona, fino negli Stati Uniti?

Si, ho proseguito gli studi, ho fatto un anno a Milano, sono stata un anno a Verono dove ho iniziato la specializzazione e durante la specializzazione mi hanno dato la possibilità di andare a studiare negli Stati Uniti e quella è stata una grande prova, nel senso che lì ho dovuto dimostrare a me stessa e a tutti che ero in grado di farcela da sola, perchè ho fatto praticamente otto mesi a Philadelphia da sola. Certo, poi li mi sono creata degli amici, facevo un lavoro che non era il mio, io solitamente lavoravo con i pazienti e invece lì lavoravo in laboratorio con le cellule, quindi anche la mia manualità è stata messa a dura prova, e in realta dopo questi otte mesi ho pianto tantissimo tornando in Italia. Ora sono contentissima di essere in Italia, però è stata una esperienza veramente formativa, lì ho imparato ad autogestirmi su quali potevano essere i problemi con le protesi, lì non avevo la macchina, dovevo camminare, prende i mezzi, fare comunque tutto a piedi, andare a far la spessa, portare le borse, tutto a piedi, e c’e l’ho fatta, è stata una grande rivalsa nella vita, proprio un successo.

Com’è Federica con gli amici e nella vita privata?

Sono esattamente come sono con i pazienti, sono sempre sopra le righe, nel senso che ho molta energia dentro da dare. Io tendenzialmente sono una persona poco quieta, molto poco tranquilla e abbastanza esplosiva, quindi nel bene o nel male questa cosa viene fuori, questo mi serve perchè credo che la vita vada vissuta veramente ogni singolo istante e questa cosa mi porta sempre ad essere una persona molto poco tranquilla e che cerca sempre di spronare gli altri a fare anche in situazioni difficili.

Allora tutta questa energia la mettamo nello sport, dove vogliamo arrivare?

Io quest'anno ho un obiettivo molto ambizioso, dato che l’anno scorso c'erano le Paralimpiadi ed ho raggiunto i minimi A per andarci, poi ovviamente c'era la ranking list, ero comunque dodicesima, non c’era spazio per me, anche perchè ero assolutamente immatura per andarci, in realtà. Questanno mi sento più pronta, sto facendo comunque degli allenamenti molto più costanti, più articolati proprio a livello di preparazione, mi stanno dando una mano molte persone in questo, spero di arrivare comunque ai minimi per i Mondiali di Francia e poi chissà, arrivarci ai Mondiali, questo mi piacerebbe proprio tanto.

Federica speriamo di vederti in queste grandi gare e in queste grandi manifestazioni e quindi di rivedere questo tuo sorriso bellissimo, ti facciamo un grandissimo in bocca a lupo e grazie per essere stata con noi.

FONTE: abilitychannel.tv
http://www.abilitychannel.tv/special-video/federica-maspero-correre-per-sentirsi-libera/


Gran bella storia quella di Federica Maspero, una donna che non solo ha acquisito autonomia e libertà attraverso lo sport, nonostante una grave malattia che da un coma profondo l'ha portata alla perdita delle gambe e delle dita, ma che si è anche dedicata professionalmente all'aiuto degli altri attraverso la sua professione di Medico oncologo.
Un bellissimo esempio, una storia da conoscere e condividere.

Marco

lunedì 22 aprile 2013

Pasqua speciale per Cristiana Di Stefano: “Dopo sette anni posso uscire di casa grazie al grande cuore dei maceratesi”

IL LIETO FINE - La raccolta fondi avviata da Cronache Maceratesi ha permesso l'acquisto del montascale e della carrozzina con cui la cinquantenne malata di sclerosi multipla potrà scendere la scala che dal 2007 l'ha esclusa dal resto del mondo.

La consapevolezza che i maceratesi hanno il cuore grande e una umanità senza confini e il sorriso contagioso di Cristiana Di Stefano sono i doni più belli che la Pasqua poteva riservare. A far sorridere Cristiana, 50enne maceratese malata di sclerosi multipla, è la consapevolezza di aver realizzato un sogno, grazie alla solidarietà e alle donazioni di centinaia di maceratesi, e non solo, che hanno aderito alla raccolta fondi avviata da Cronache Maceratesi per regalarle una carrozzina elettrica e un montascale che non poteva permettersi e che le permetteranno, dopo anni, di superare un terribile ostacolo che la teneva esclusa dal resto del mondo: una scala che non le consentiva di uscire di casa.
Emozioni forti e commozione hanno accompagnato la consegna della carrozzina, avvenuta ieri a Sforzacosta nel negozio Articolo Tre, il cui titolare Renato Arbuatti aveva da subito dato la sua disponibilità a riservare condizioni di acquisto vantaggiose.

Cristiana, salita con cautela sulla sua carrozzina, ha raccontato la sua felicità per la realizzazione di un sogno: «Sono tantissime le cose che non ho potuto fare in questi anni in cui sono sempre stata completamente dipendente dagli altri. Sono molto felice e non posso che ringraziare ancora una volta le centinaia di persone che mi hanno voluto aiutare». La sua testimonianza fa riflettere anche sul fatto che la disabilità è un lusso e che, oltre alle barriere architettoniche, ci sono quelle sociali e burocratiche, molto difficili da superare: «Quando lo scorso novembre ho pubblicato su Facebook il mio sfogo, perchè non potevo permettermi uno strumento adatto per uscire da casa e perchè non avevo alcun sostegno dagli enti pubblici, non avrei mai immaginato che sarei riuscita a superare l’enorme ostacolo della disabilità con l’amore di tanti».

La storia di Cristiana si intreccia con quella dei fratelli Porzi di Macerata che, dopo la scomparsa della mamma, hanno deciso di donare a Cristiana quello che la donna aveva lasciato. «Abbiamo pensato – racconta commosso Vincenzo Porzi – che quella somma a noi non avrebbe cambiato la vita ma invece avrebbe potuto essere fondamentale per qualcun’altro. Speriamo che serva alla felicità di Cristiana e che voglia ricordare nostra madre nelle sue preghiere».
Tra i donatori anche il maceratese Maurizio Mosca che sin dall’inizio della raccolta fondi aveva annunciato «Credo in questa causa, contate su di me» e ha dato il suo sostegno. «Il suo sorriso mi fa passare una Buona Pasqua e siamo noi che ringraziamo Cristiana. Con pochissimo ognuno di noi può fare del bene e il momento che viviamo ci fa pensare che la solidarietà è sempre più una necessità. E’ difficile accedere ai contributi ed avere sostegni ma sono convinto che le cose stiano cambiando».
E ora in attesa del bel tempo, quando «potrò passeggiare per Sforzacosta, tornare in parrocchia e andare a trovare la vicina nel suo giardino» Cristiana Di Stefano augura a tutti la sua Buona Pasqua.

Di Alessandra Pierini

31 marzo 2013

FONTE: cristianadistefano.it
http://www.cristianadistefano.it/forum/index.php?topic=1053.0




Splendido esempio di solidarietà, generosità e altruismo. Riporto sempre con grande piacere articoli del genere sul mio blog, articoli che sono veramente una "ventata d'aria fresca" in un periodo in cui la crisi economica sembra segnare la vita e l'umore di molte persone. Nonostante questo la generosità delle persone non è andata in "crisi" ed esempi come questo lo dimostrano. Evviva !

Marco

sabato 20 aprile 2013

Earthship. Le case costruite con materiali di riciclo


Michael Reynolds è una di quelle persone dal cervello talmente green che di esseri umani così non ce sono mai abbastanza. Cosa fa Michael? Michael Reynolds è un architetto del New Messico e suscita la mia ammirazione per il suo impegno nei confronti dell’edilizia ecosostenibile. Ma non si è limitato solo a pensare e progettare su carta, egli ha dedicato la sua vita alla messa in opera dei suo progetto che è veramente rivoluzionario. Costruire case con materiali di riciclo, quali copertoni, bottiglie ed altri materiali di scarto. 

Nel 1969 appena terminata l'università di Cincinnati thumb-house mette subito in campo il suo progetto di abitazione ecosostenibile costruita con materiali di riciclo. Già nel 1972 costruisce la sua prima casa chiamata Thumb House. Insieme ad altri partecipanti fonda la prima comunità costituita da persone che condividono il desiderio di vivere in questo tipo di casa eco, ed altre ne nascono. Le sue costruzioni hanno la caratteristica di poter essere costruite con materiali di riciclo come l’alluminio delle lattine, la plastica delle bottiglie ed anche pneumatici usati (che vengono assemblati con una malta di terra), dunque quasi a costo zero. E non solo, sono completamente autosufficienti per quanto riguarda l’approvvigionamento di acqua potabile, elettricità, trattamento delle acque reflue e produzione alimentare (vegetali coltivabili).

Egli battezza questo tipo di architettura "Biotecture" e brevetta la casa chiamandola Earthship (Naveterra).
Reynolds cominciò a vendere la sua creatura proponendola come progetto sperimentale, testando e migliorando il prodotto nel tempo. L’interesse crebbe ed anche alcuni attori famosi vollero la loro Earthship. Nonostante l’esplicito carattere sperimentale delle costruzioni, alcuni acquirenti cominciarono a lamentarsi. Chi per il tetto non perfettamente impermeabile, chi per la climatizzazione difettosa e avviarono lunghe battaglie legali. Spinto dalle lamentele il Consiglio di Stato degli Architetti del New Mexico tolse a Reynolds il titolo di architetto e le licenze di costruzione, giudicando le sue costruzioni illegali e non sicure.

Dopo 17 anni di innumerevoli traversie Reynolds riebbe titolo e licenze, e ricominciò a costruire le sue Earthships. L’Istituto Americano degli Architetti gli chiese addirittura di tenere una conferenza nella sede in Colorado. Dopo lo tsunami del 2004 che colpì l’Indonesia e l’India, Reynolds venne anche contattato e andò sul posto avviando un progetto di costruzione al quale partecipò anche parte della popolazione sopravvissuta.
Adesso Reynolds ha prodotto una nuova casa dal nome Phoenix e garantisce la sua ecosostenibilità (come funziona), nonchè un mutuo irrisorio e costo zero per quanto riguarda le bollette di luce, acqua, gas, fognature e per i prodotti alimentari coltivabili nell’orto integrato in tutte le costruzioni. La speranza è che questa cultura ecosostenibile possa realmente diffondersi. Lo so, lo dico sempre, ma se tutti puntassimo verso la stessa strada “verde” sicuramente riusciremmo a rendere il nostro mondo migliore.


27 febbraio 2013
 
FONTE: pianetablunews.wordpress.com
http://pianetablunews.wordpress.com/2013/02/27/earthship-le-case-costruite-con-materiali-di-riciclo/#more-8389


Post un pò inusuale per le caratteristiche di questo blog, ma molto interessante a mio parere. 
Penso che tutto ciò che ha a che fare con l'eco-sostenibilità debba essere messo in risalto e valorizzato, e quella di costruire abitazioni con materiali di riciclo è una bellissima idea, veramente ecologica e con il chiaro obiettivo di ridurre al minimo il consumo di materie prime che, ricordiamocelo, non sono infinite. Del resto quelli che noi chiamiamo ancora "rifiuti" sono materiali riutilizzabili a tutti gli effetti, in 1000 modi diversi, basta avere un pò di fantasia ed inventiva.... caratteristiche queste che certamente non mancano a Michael Reynolds, bio-architetto dalla grande creatività e amante della natura.
Come per gli eco-villaggi di cui ho parlato nel precedente post, anche la bio-architettura rappresenta il futuro, la via da seguire per una società più rispettosa della natura, volta a ridurre al minimo il consumo energetico, l'utilizzo di materie prime e la produzione di scarti. Ben vengano quindi uomini come Michael Reynolds e come tutti coloro che hanno a cuore questi valori. 


Marco

giovedì 18 aprile 2013

Ripopolare Sadali: da comune abbandonato a ecovillaggio


Da borgo abbandonato a ecovillaggio.
Questo potrebbe essere il futuro di Sadali, località in provincia di Cagliari, al momento popolata da circa 1000 abitanti, per lo più anziani, dopo che le generazioni più giovani hanno scelto di abbandonare la Sardegna alla ricerca di una sede differente in cui costruire il proprio futuro.
E' probabilmente giunto però il momento di comprendere che la bellissima isola non merita di essere dimenticata e che può trasformarsi nella nuova terra di giovani e famiglie che vogliano lasciare la frenesia della città per adottare uno stile di vita slow.
Ecco dunque nascere l'idea di trasformare Sadali in un vero e proprio ecovillaggio, il più possibile basato sull'autosufficienza alimentare ed energetica, oltre che sul rispetto dell'ambiente. A Sadali è legato un progetto di ripopolamento, basato sul ritorno alla natura ed alla socialità. Ne è portavoce il blog "Ripopola Sadali", attraverso il quale una giovane coppia si rivolge ai sardi che vogliano traslocare in campagna o a chi ha intenzione di trasferirsi in Sardegna al fine di riuscire nel tentativo di ripopolare Sadali.

Viene sottolineata prima di tutto la collocazione di Sadali, un meraviglioso paesino di montagna definito come una vera e propria oasi naturalistica, che necessita di una rinascita che potrà essere effettuata soltanto grazie all'arrivo di nuovi e volenterosi abitanti. L'idea di base per la formazione di un ecovillaggio consiste nel riunire un gruppo affittando una casa ampia e riscaldata in paese, in cui vivere per i primi due anni e poter fare conoscenza, a fronte del pagamento di un affitto che si aggira attorno ai 150-200 euro al mese.
Nel corso di questi due anni, chi deciderà di trasferirsi o di formare una famiglia a Sadali potrà inoltre fare uso dei buoni messi a disposizione per iniziativa del Comune del valore di 200 euro, con i quali acquistare beni alimentari, legna e tutto ciò che possa essere necessario per vivere nella propria nuova casa.

Nei primi due anni di conoscenza gli interessati che si trasferiranno a Sadali potranno partecipare alla progettazione dell'ecovillaggio che li ospiterà successivamente. I buoni erogati dal Comune hanno una validità di due anni, proprio per agevolare tale processo. Nel corso di questo periodo i nuovi abitanti si potranno accordare sul luogo di realizzazione dell'ecovillaggio, sapendo di poter contare su costi piuttosto bassi per l'acquisto del terreno e di avere la possibilità di progettare abitazioni da realizzare con materiali naturali e da rendere adatte a poter sfruttare il sole come fonte di energia alternativa.



Le prime due coppie di sono già trasferite a Sadali ed hanno dato l'avvio a degli orti su di un terreno che generosamente è stato concesso loro in prestito da parte di alcuni contadini locali. L'ecovillaggio dovrà essere realizzato nel nome della solidarietà e dello spirito organizzativo e da parte di persone che siano realmente pronte all'apertura verso gli altri, al ritorno alla terra ed alla condivisione, al di fuori del contesto urbano. Per maggiori informazioni potete trovare i contatti dei diretti interessati visitando il blog "Ripopola Sadali", che riporta anche tutti i dettagli dell'iniziativa riguardante i buoni erogati dal Comune ai nuovi abitanti.

di Marta Albè

14 settembre 2012

FONTE: greenme.it

http://www.greenme.it/abitare/bioedilizia-e-bioarchitettura/8538-sadali-eco-villaggio


Con questo post non è certo mia intenzione fare alcun tipo di pubblicità a questa o a quella località, ma trovo che l'idea di progettare degli eco-villaggi a partire da delle località in stato di abbandono, o comunque in forte spopolamento, sia magnifica e certamente da condividere. Quanti paesi e paesini, sopratutto sulle nostre montagne, si presterebbero a progetti del genere? Molti.... e sarebbe davvero il modo giusto per ripopolare queste piccole "perle" abbandonate del nostro paese, oltre che creare le giuste condizioni per coloro che vogliono vivere a più a stretto contatto con la natura, nel pieno rispetto di essa.
Io mi auguro veramente che progetti come questo di Sadali (al cui Comune cui do il mio plauso, anche per l'idea dei "buoni" che si danno ai nuovi abitanti), possano veramente prendere piede, e non solo in Sardegna, ma in tutt'Italia, il tutto all'insegna della solidarietà e condivisione tra le persone e nel pieno rispetto degli ecosistemi.
Questa è la strada da seguire, questi sono gli esempi di civiltà da imitare..... per un futuro migliore nostro e dell'ambiente che ci ospita.

Marco
 

martedì 16 aprile 2013

"La Regione riconosca la MCS"


Il sindaco Bontempi scrive all'assessore Tomassoni dopo la denuncia di Patrizia Mirti

di Eleonora Sarri

NOCERA UMBRA - Qualcosa si muove. E sembra nella direzione giusta. Dopo la toccante storia raccontata da Patrizia Mirti al Corriere per urlare al mondo che la sua malattia, la Sensibilità Chimica Multipla, esiste e rende impossibile vivere a lei e alle altre persone che ne soffrono dal momento che la Regione Umbria non la riconosce, è stato il sindaco di Nocera Umbra, Giovanni Bontempi, a muoversi ufficialmente. Pochi giorni fa ha infatti scritto all'assessore regionale alla Sanità, Franco Tomassoni, per chiedere un incontro ufficiale. L'obiettivo è chiaro: fare sì che l'Umbria “prenda esempio” dalle altre Regioni del Centro Italia che riconoscono la MCS come malattia con tutto ciò che questo comporta, come il riconoscimento dell'invalidità, la pensione e le cure. “Con la presente, e alla luce delle notizie apprese dai quotidiani locali sulla condizione di salute della signora Patrizia Mirti – si legge nella missiva – sono a richiederle (all'assessore Tomassoni, ndr) un incontro urgente al fine di verificare una possibilità di intervento per alleviare, almeno in parte, le problematiche evidenziate e strettamente connesse alla patologia dichiarata. Una malattia rara, e per quanto espresso dalla signora Patrizia, non riconosciuta dalla Regione dell'Umbria a differenza invece di altre Regioni che si sono attivate per riconoscerne, a chi ne soffre, lo status e di conseguenza i benefici sanitari che ne derivano. L'incontro di cui sopra, potrà essere definito anche per le vie brevi”. La Sensibilità Chimica Multipla è una sindrome acquisita immunotossica, infiammatoria, multisistemica che colpisce vari organi e apparati del corpo umano intossicandolo.
A nuocere alla salute di chi ne è affetto concorrono metalli pesanti, sostanze chimiche, particolati fini che si trovano in profumi, prodotti per le pulizie e per l'igiene, scarichi delle auto, gas dei fornelli o colle per i mobili. La conseguenza principale della MCS è l'isolamento in cui costringe a vivere chi ne soffre, impossibilitato a frequentare luoghi non asettici e costantemente a rischio anche nella propria casa. Impossibile anche continuare a lavorare.
Una vera e propria cura non c'è dal momento che le medicine (dal costo che si aggira sui 200-300 euro al mese a totale carico del malato) servono più che altro a disintossicare il corpo.

21 marzo 2013

FONTE: Corriere dell'Umbria

 
Articolo che si collega direttamente con l'ultimo postato su questo blog e che parla della situazione di Patrizia Mirti, malata di Sensibilità Chimica Multipla (MCS).
Al di là di tutto è bello constatare l'interessamento del Sindaco del paese di Patrizia, Nocera Umbra, interessarsi in prima persona al suo caso e adoperarsi affinchè la Sensibilità Chimica Multipla possa essere riconosciuta dalla propria Regione. Sono quelle cose che a me, personalmente, fa molto piacere leggere, perchè significa che anche tra chi ricopre ruoli di primo piano esistono Valori come l'empatia, la sensibilità e l'altruismo (non ne ho mai dubitato, in verità) e questo è davvero fondamentale. Bè, un po' di ottimismo ogni tanto ci vuole, in tempi di crisi come questi in cui il pessimismo sembra regnare sovrano.
Come sempre, tanti auguri a Patrizia e a tutti i malati di Sensibilità Chimica Multipla, con la speranza che questi segnali “positivi” possano portare, prima o poi, a un riconoscimento ufficiale di questa patologia da parte del nostro sistema sanitario nazionale.

Marco

venerdì 12 aprile 2013

Sensibilità Chimica Multipla (MCS): "Una vita che non è più vita"


NOCERA UMBRA – Una vita che non è più vita. Per una malattia che la Regione Umbria non riconosce come tale, ma che rende impossibile non solo uscire di casa, anche starci dentro. E' un vero inferno quello che sta vivendo Patrizia Mirti di Nocera Umbra, affetta da una malattia geneticamente rara, la Sensibilità Chimica Multipla (MCS), una patologia che per alcuni esperti diventerà tra le più gravi del mondo negli anni a venire. Si tratta di una sindrome acquisita immunotossica, infiammatoria, multisistemica che colpisce vari organi e apparati. In pratica, il corpo si intossica quando entra a contatto con metalli pesanti, particolati fini e sostanze chimiche, tutte cose che si trovano in qualsiasi oggetto di uso quotidiano. E' proprio la signora Patrizia a raccontare il suo calvario che va avanti da due anni, da quando ha iniziato a sentirsi male senza una ragione apparente che i medici associavano a problemi nervosi. Niente di più di un esaurimento, dicevano, mentre Patrizia non riusciva più a muoversi. “Svenivo, perdevo la voce, avevo attacchi d'asma e choc anafilattici, perdevo le forze. Mi capitava ogni volta che respiravo un profumo – racconta da dietro la sua maschera per evitare di entrare in contatto con odori di tipo chimico come quello di una crema o di un sapone – ma ai test allergici non emergeva niente, così mi dicevano di mettermi a dieta e riconducevano tutto a un esaurimento. Ma io sapevo di avere qualcosa di fisico, perchè il mio corpo si stava svuotando e certi giorni non riuscivo ad alzarmi dal letto”.
Così la signora Patrizia non si arrende e cerca su internet una risposta al suo stato di salute. “Digitando i miei sintomi ho scoperto questa malattia, la MCS, e ho contattato il dottor Genovesi all'Ospedale Umberto I di Roma”. Dopo la prima visita con l'esperto di Medicina sperimentale, fisiopatologia medica ed endocrinologia arrivano le analisi effettuate in laboratori inglesi e americani, perchè in Italia non c'è la strumentazione. “Le risposte hanno confermato la natura genetica della mia malattia così ho iniziato la terapia”. Una vera e propria cura non c'è. In pratica la terapia consiste nella disintossicazione del corpo. “In Italia i farmaci non si trovano – prosegue – così li ordino in Svizzera”. Una spesa non da poco, con costi mensili che vanno dai 200 ai 300 euro, a totale carico della signora, così come le analisi che vanno ripetute un paio di volte all'anno e che costano quasi un migliaio di euro. Per non parlare dei saponi naturali per lavarsi, pulire e lavare i panni che si comprano in farmacia o su internet. La sindrome è talmente invalidante che non permette alla signora di lavorare, facendo venire meno un entrata essenziale per mantenere le cure. “Lavoravo in un calzaturificio ma da nove mesi ho dovuto smettere e sono troppo giovane per andare in pensione. Al momento sono in malattia ma una volta esaurita non avrò altra scelta che licenziarmi”. Una decisione dalle conseguenze economiche pesantissime. “Lavora solo mio marito, mio figlio al momento è disoccupato e con tutte le spese per la MCS sarà difficilissimo tirare avanti con un solo stipendio”. “Il problema vero – ribatte la signora Mirti – è che la Regione Umbria non la riconosce come malattia e al contrario di quello che avviene in altre parti d'Italia nessuno sa che cosa sia
. Marche, Toscana, Lazio, Veneto, Sicilia, Abruzzo, Molise ed Emilia Romagna si sono già attivate e chi è affetto da MCS si vede riconoscere il proprio status. “Noi malati umbri invece per la legge non lo siamo. Quindi ci dobbiamo pagare le cure, le visite, non possiamo lavorare ma non abbiamo diritto a rimborsi o pensione di invalidità perchè la nostra patologia in questi confini non c'è, mentre in tutto il resto del centro Italia sì”. Patrizia Mirti sta portando avanti la battaglia insieme ad altri malati umbri. “Al momento sono in contatto con tre persone, ma è impossibile sapere quanti siamo dal momento che non esiste un centro a cui far riferimento. Alla Medicina del lavoro di Terni pensano di star seguendo una quarantina di persone con sintomi simili, ma senza analisi la conferma non c'è”. Inoltre in molti potrebbero esserne affetti ma non saperlo: la MCS si presenta in modo diverso a seconda del grado di intossicazione del corpo e i sintomi non sono gli stessi.

Di Eleonora Sarri

FONTE: Corriere Umbria

mercoledì 10 aprile 2013

Sensibilità Chimica Multipla: donna di Serramanna vola a Londra e vince la battaglia contro la Asl 6


Affetta da una grave e rara patologia vince la battaglia contro l’Asl 6 e ottiene il pagamento anticipato delle spese mediche che potrebbero salvarla.

Il "viaggio della speranza" di Maria Grazia Murru, 49 anni di Serramanna, della provincia sarda del Medio Campidano, affetta da MCS (Sensibilita’ Chimica Multipla) con elettro-sensibilita’, una grave patologia che la rende intollerante a ogni tipo di sostanza chimica e fortemente sensibile all’esposizione dei campi elettromagnetici.


La quarantanovenne, infatti, ha lasciato la Sardegna per essere ricoverata al Breackspear Medical Group, un centro specializzato non troppo distante da Londra, per una cura disintossicante. La battaglia con la malattia e con la sanita’ sarda inizia un anno fa quando a Maria Grazia Murru – che per sei anni si era rivolta a specialisti e centri medici – l’immunologo e allergologo del policlinico Umberto I di Roma, Giuseppe Genovesi, diagnostica la MCS.

"Una patologia che procede per stadi nella sua evoluzione – spiegava nel ricorso l’avvocato Roberto Cao che rappresenta Maria Grazia Murru – sino a quello finale, fatale d’irreversibilita’ dei danni organici". La 49enne a causa della patologia deve evitare qualsiasi tipo di inalazione e contatto con sostanze chimiche come detersivi e profumi e a causa dell’elettrosensibilita’ deve evitare l’esposizione a campi elettromagnetici, come la televisione, il telefonino e il frigorifero.

"Una patologia invalidante che compromette la vita quotidiana – spiegava nel ricorso il legale – non riconosciuta dal nostro Sistema sanitario a livello nazionale, per la quale non esistono in Sardegna strutture in grado di accogliere gli ammalati". Proprio per questa ragione a marzo dello scorso anno l’ammalata ha fatto domanda all’Asl 6 di Sanluri al fine di essere autorizzata al ricovero nell’unico centro europeo per la cura della patologia, la clinica londinese. Ma l’Asl ha rigettato la domanda. Il legale ha quindi presentato il ricorso e a dicembre il tribunale di Cagliari ha dato ragione alla 49enne, ordinando alla Asl di Sanluri di anticipare le spese necessarie al ricovero e alle cure, comprese le spese di viaggio e quelle per un accompagnatore, circa 27mila euro che la paziente non era in grado di anticipare.

Sono almeno 500.000 gli italiani affetti da MCS (Sensibilita’ Chimica Multipla) con elettro-sensibilita’, una grave patologia che rende intolleranti a ogni tipo di sostanza chimica e fortemente sensibili all’esposizione ai campi elettromagnetici, come quelli di Tv, telefonini e frigoriferi. La stima e’ dell’immunologo e allergologo del policlinico Umberto I di Roma Giuseppe Genovesi, che ha diagnosticato tale patologia nella donna sarda di 49 anni che ha vinto la battaglia contro l’Asl ottenendo il pagamento anticipato delle spese mediche per le cure in una clinica londinese, unico centro europeo per la cura di questa malattia.

"Anche se definita una patologia rara – spiega Genovesi - in realta’ la MCS e’ abbastanza diffusa: si stima che il 15% della popolazione in Usa ed in Europa soffra di qualche intolleranza chimica e almeno il 3% soffre di MCS; di questi ultimi pazienti, il 50% presenta anche elettro-sensibilita’. Questo significa che in Italia, le persone colpite da MCS con elettro-sensibilita’ sono stimate in 500.000, ma secondo vari esperti la cifra e’ sottostimata’. Al solo Policlinico Umbero I - prosegue - abbiamo avuto 300 diagnosi di MCS negli ultimi due anni, di cui una parte con elettro-sensibilita’, e circa l’8% dei casi ha riguardato bambini".

"Il problema - sottolinea l’esperto - e’ che spesso tale patologie non e’ riconosciuta o e’ scambiata per un disturbo psicologico; e’ quindi probabile che molti pazienti non sappiano di esserne affetti. La causa della MCS, associata o meno ad elettro-sensibilita’ - precisa - e’ legata a caratteristiche genetiche che predispongono alla malattia, ovvero una ridotta capacita’ genetica di eliminare le sostanze tossiche, ma una certa influenza deriva pure da fattori ambientali". I sintomi sono vari: svenimenti, disturbi respiratori, forti cefalee, manifestazioni cutanee. "Per la terapia della MCS con elettro-sensibilita’ - afferma Genovesi - esistono specifiche immunoterapie per la progressiva desensibilizzzione alle onde elletromegnetiche. In Italia, pero’, tali terapie non sono disponibili".

8 aprile 2013

FONTE: aserramanna.it
http://www.aserramanna.it/2013/04/sensibilita-chimica-multipla-donna-di-serramanna-vola-a-londra-e-vince-la-battaglia-contro-la-asl-6/#.UWXy9TfaGt9



E' certamente una bella notizia che a Maria Grazia Murru sia stato riconosciuto il diritto di potersi trasferire in Inghilterra per potersi curare dalla propria MCS...... tuttavia non si può fare a meno di chiedersi perchè una persona affetta da questa invalidante patologia debba andare all'estero per poter intraprendere un certo tipo di cure. Possibile che qui da noi certe terapie non siano disponibili? Perchè mai è così? Se queste terapie fossero disponibili anche nel nostro belpaese si eviterebbero questi lunghi, costosi e difficoltosi (per chi è malato di MCS... molto difficoltosi) trasferimenti, evitando in questo modo alle nostre Asl rimborsi così onerosi.
La vera conquista, da parte del nostro paese, avverrà quando queste cure si potranno fare anche qui da noi, evitando così questi lunghi "pellegrinaggi" all'estero. C'è speranza che questo possa accadere, prima o poi?

Marco 

domenica 7 aprile 2013

MCS sì alle cure. «Abbiamo vinto una battaglia»



MALATTIE RARE. La Regione riconosce la malattia ed esenta dal ticket

Bezze (Anfisc): «E' stato un segno di grande civiltà. Ora abbiamo sei mesi di tempo per decidere su quali strutture possiamo fare riferimento».

di Chiara Roverotto

Il consiglio regionale nei giorni scorsi ha approvato all'unanimità, un emandamento presentato dal consigliere di minoranza, Pierangelo Pettenò, che di fatto sancisce il riconoscimento ufficiale dell'MCS – Sensibilità Chimica Multipla – e quindi ribadisce anche il diritto alle cure da parte di coloro che fino ad oggi si sono visti sbattere le porte in faccia da ospedali e strutture. Senza dimenticare che molti malati si sono dovuti rivolgere all'estero per trovare il bandolo di una matassa che nel Veneto e in tante altre regioni non si trovava. Infatti in tutta Italia c'è solo un altra Regione che ha riconosciuto questa malattia e quindi ne ha concesso la cura, il Lazio.

IN REGIONE.
In questi mesi ci sono stati molti passaggi in Regione, il presidente Luca Zaia infatti aveva voluto una commissione all'indomani del caso di Camilla, la bimba trevigiana di cinque anni, arrivata a uno stadio gravissimo e costretta a curarsi in Inghilterra con un esborso notevole di denaro.
Ma i genitori della piccola non erano i soli a bussare alle porte della Regione.
Il nostro Giornale nell'estate scorsa aveva raccontato molte storie legate alla Sensibilità Chimica Multipla e alla Fm, Fibromialgia o Sindrome di Stanchezza Cronica.

I MALATI. «Abbiamo vinto una battaglia di civiltà – spiega Andrea Bezze dell'Associazione Anfisc Onlus – ma la guerra non è ancora terminata. Abbiamo iniziato un anno fa con una manifestazione davanti al San Bortolo: una decina di malati del vicentino ci hanno messo la faccia, anche se coperta da mascherine, per far capire la loro preoccupazione e precarietà. Ora ci sono sessanta giorni dall'approvazione dell'emandamento per capire in quale modo la Regione intenda muoversi. Per individuare le strutture più idonee per venire incontro alle esigenze di questi malati – continua Bezze – che non sono pochi e che, sopratutto, stanno aumentando».

LA COMMISSIONE. La relazione della commissione scientifica voluta dal governatore Luca Zaia si era soffermata sugli aspetti generali dell'MCS, chiamando in causa una serie di studi internazionali che non supportavano il riconoscimento della Sensibilità Chimica Multipla come sindrome clinica, pertanto la Regione mesi addietro si era espressa in maniera negativa.

LA MOBILITAZIONE. Dopo quel “no” i malati si sono rimboccati le maniche, su tutti Claudio Fiori di Bassano del Grappa che da sette anni vive con la moglie malata di “MCS”. Quest'ultimo con Andrea Bezze di Montecchio Maggiore si è mobilitato prima con una raccolta di firme, sono state oltre duemila quelle consegnate al governatore. Intanto anche l'on. Daniela Sbrollini del Partito Democratico si muoveva in commissione per far sì che la malattia fosse riconosciuta. «Ma poi ci sono state le elezioni - ricorda Bezze – e tutto è rimasto fermo». «La commissione regionale – spiega Claudio Fiori – ha considerato solo gli aspetti pediatrici della malattia, non considerando quelli degli adulti, ora un pezzo di strada l'abbiamo fatta per chi vive segregato in casa». L'emandamento presentato dal consigliere Pettenò ha ricevuto il sostegno di tutta l'opposizione e del presidente della commissione sanità Padrin. Questo ha permesso di arrivare ad un voto unanime che permette di affrontare per la prima volta una patologia rara.

2 aprile 2013

FONTE: Il Giornale di Vicenza


Finalmente qualcosa si muove sul fronte del riconoscimento della Sensibilità Chimica Multipla (MCS), ed ora la Regione Veneto si affianca alla Regione Lazio nel riconoscimento di questa patologia che colpisce sempre più persone in tutt'Italia e nel mondo.
I miei più vivi ringraziamenti vanno ad Andrea Bezze e a Claudio Fiori che si sono adoperati con grande impegno per arrivare a questo risultato, ma anche a Pierangelo Pettenò che ha presentato l'emandamento sul riconoscimento della patologia e al consiglio regionale della Regione Veneto che lo ha approvato all'unanimità.
Di strada ce nè ancora da fare tanta, non c'è da illudersi, ma questo risultato è un segno di grande civiltà e forse, da ora in avanti, si può guardare al futuro di questi malati con un pò più di ottimismo.

Marco

venerdì 5 aprile 2013

Un Arcobaleno dentro una scatola bianca

Paola Giambellini è una donna di 45 anni che da 30 anni lotta contro una rara forma di tumore, la fibromatosi aggressiva detta anche tumore desmoide, che colpisce i tessuti molli. Ciò nonostante la gioia di vivere di Paola supera ogni sofferenza.

«Ho subito 45 interventi al ginocchio destro, chemioterapie, radioterapie e qualsiasi tipo di cura per arrestare la malattia, ma purtroppo l'8 maggio 2008 ho subito l'amputazione dell'arto» racconta Paola, che però non si è mai arresa: il suo animo tenacissimo l'ha sempre sostenuta in tutti questi anni. Negli ultimi tempi, con l'aiuto di famigliari e amici, Paola ha anche cominciato a muovere i primi passi con un arto artificiale.
Della sua storia parla nel libro “Un arcobaleno dentro una scatola bianca”, scritto nel 2009 con Maria Grazia Todesco, volontaria ospedaliera e scrittrice per passione.
Come emerge dal suo libro-testimonianza, Paola è una donna che ha una grande capacità di valorizzare le cose belle e viene voglia di conoscerla per abbracciarla e rubare un po’ della sua grande voglia di vivere. E' l’Amore l’elemento che contraddistingue la vita di Paola, amore per la vita e per se stessa, per la figlia con cui ha un rapporto simbiotico, per i genitori che lei stessa definisce i suoi angeli custodi, per i due fratelli che la sostengono. Uno dei grandi doni che hanno permesso a Paola di superare i momenti più bui è la Fede, una Fede grande che vive con profondità: “è un arcobaleno di colori, tutti quelli che fanno bene al cuore. Fede, per me, in una parola è VIVERE”.

In tutti i suoi interventi Paola ha incontrato tanti “angeli senza ali” che l’hanno aiutata nei suoi numerosi ricoveri: sono infermieri, medici e fisioterapisti, tante persone che non sono state solamente dei bravi professionisti ma uomini dal cuore grande. Ognuno di loro ricorda Paola con grande affetto, ciascuno mettendo in evidenza un aspetto particolare del suo carattere. Massimo la ricorda sempre con un sorriso per tutti; Ivan, anche lui infermiere, come una donna che non aveva mai una risposta sgarbata; Arianna, la ricorda molto materna; Licia la definisce solare. Delle tante testimonianze che raccontano di Paola c’è né una che racchiude un po’ lo spirito di questa donna speciale: “E’ un generatore di forza – racconta Ivana, l’infermiera - Mi è capitato più volte di sentirmi dire - "Ciao Ivana come va stamattina? Ti vedo un po’ giù! Dimmi…" Ed io dentro di me che pensavo: ma come, sei tu che ti preoccupi per me, tu che avresti di che lamentarti della tua condizione di paziente oncologica, e invece… Sì, Paola ci ha insegnato tanto, ed è per questo che le vogliamo tutti molto bene”.

I problemi di salute di Paola tuttavia continuano imperterriti: “Ultimamente è comparsa una massa nella schiena – ci dice - e dovrò essere operata di nuovo”. Possiamo tuttavia essere certi che la combattiva Paola affronterà questa ennesima operazione col piglio fiero di sempre.

Avevo due sogni nel cassetto – racconta Paola - scrivere un libro sulla mia storia e fondare un'associazione italiana sul mio tumore, e grazie all'aiuto della Fondazione Baschirotto per la malattie rare sono riuscita a realizzarli entrambi.
Voglio testimoniare – pone l’accento Paola - che la gioia di vivere supera ogni sofferenza, anche quando siamo messi a dura prova da un nemico che giorno dopo giorno ci riserva sempre nuove prove di vita”.

FONTI: goleminformazione.it, ilgiornaledivicenza.it


Una storia di dolore quella di Paola Giambellini, dolore per la sua rara forma di tumore che l'ha costretta a molteplici interventi per gran parte della sua vita, ma è anche e sopratutto una storia di Grande Amore, Fede, Coraggio, Volontà e Determinazione. "Giù il cappello" quindi di fronte a questa donna volitiva e ricolma di Amore per la vita, il cui esempio è uno sprone per tutti quanti noi affinchè possiamo trarre dalla nostra vita il "meglio" possibile, senza lamentarci delle nostre piccole e grandi difficoltà quotidiane.
Grazie Paola.


Marco

mercoledì 3 aprile 2013

La storia dell'amore di una mamma per la figlia gravemente malata...

Da quasi due anni Luigina vive in un camper per permettere alla figlia Michela, gravemente malata, di poter stare in un ambiente marino fondamentale per le sue condizioni di salute. La piccola ha una tetraparesi spastica con deficit respiratorio. Una condizione che la condannerà per tutta la vita a perdere anche la più minima autonomia...
Grazie alla solidarietà scattata su internet molte persone stanno aiutando la madre e la sua bambina. Ecco come sostenerle...

C'è un' Italia invisibile che lo spread o il Pil non possono raccontare. Un Italia nascosta nella sua provincia dove le parole della politica non sono solo lontane ma sembrano provenire da un altro pianeta. È da questa dimensione che arriva il grido di aiuto e di amore di Luigina. Da quasi due anni vive in un camper per permettere alla figlia Michela, gravemente malata, di poter stare in un ambiente marino fondamentale per le sue condizioni di salute.

ERRORE SANITARIO – Michela nasce 18 anni fa. Una gravidanza difficile per Luigina nonostante avesse dato alla luce già due figli perfettamente sani. Quando a sette mesi di gestazione viene mandata all'ospedale di Verona nessuno sembra accorgersi della gravità della situazione: in gergo si chiama oligoidramnios, ossia una ridotta quantità di liquido amniotico. Michela nella pancia della mamma soffre terribilmente e solo dopo una accesa litigata tra Luigina e il vice primario si decide finalmente per il taglio cesareo urgente. La piccola nasce in condizioni disperate: ha un'emorragia cerebrale, i ventricoli dilatati, vari ematomi. Ha una tetraparesi spastica con deficit respiratorio. Una condizione che la condannerà per tutta la vita a perdere anche la più minima autonomia. La mamma si è dedicata anima e corpo a lei ed oggi si ritrova sola nell'affrontare questa esperienza: si è separata dal marito e ha dovuto lasciare il lavoro alla Marzotto.

IN GIRO CON IL CAMPER - «Michela ha bisogno di assistenza totale – racconta Luigina – ha bisogno di me anche per girarsi nel letto. Non parla, non riesce a star seduta per molto od a tenere la testa alta. L'alimentazione avviene attraverso una siringa. Lei ora ha bisogno di poter stare in un posto di mare. Da quando siamo qui sulla pineta di Bibione non prende più farmaci e riesce a respirare bene. Solo la notte utilizza il respiratore per farle allenare i muscoli evitando che si atrofizzino completamente. Per questo con il camper siamo venute in un campeggio dove posso allacciarmi alla corrente elettrica. Noi avremmo bisogno di una residenza stabile ma al momento non rientriamo nei parametri economici per ottenere alloggi o contributi. Dedicandomi 24 ore al giorno a Michela non ho avuto tempo di stare dietro agli avvocati e così senza divorzio risulto ancora sposata, benché mio marito mi passi solo gli assegni familiari. È sempre più difficile andare avanti».

VIVIAMO IN SIMBIOSI
– Grazie alla solidarietà scattata su internet molte persone hanno aiutato Luigina. Anche l'ipotesi di trovare una casa in affitto da qualche privato non è molto percorribile. Molte erano inutilizzabili per la mancanza di un facile accesso e poi c'è il problema dell'affitto: «Percepisco solo 800 euro di mobilità e quando finirà sarò in gravissima difficoltà. Non posso tornare a lavorare. Tra indennità di accompagnamento e invalidità si arriva a malapena a pagare un affitto».
Luigina non si arrende e solo con un coraggioso amore incondizionato, tipico delle madri vere, riesce instancabilmente a prendersi cura della figlia. Nei mesi scorsi era arrivata ad incatenarsi sotto la sede del comune di Venezia quando aveva saputo la notizia che il camping dove si trovava avrebbe chiuso e dunque non ci sarebbe stata la possibilità di attaccarsi alla corrente per far funzionare il respiratore di Michela. L'amministrazione comunale conosce molto bene il problema e spera entro l'estate di fornire una soluzione: «nonostante tutto questa è per me l'esperienza più bella e più grande che potessi avere. Ho altri due figli ma quello per Michela è amore con la A maiuscola. Viviamo in simbiosi. Io vivo per lei, lei vive per me».

Chi volesse aiutare Luigina e Michela può utilizzare il c/c postale numero 2255259
intestato a Soldà Luigina. Causale: un respiro per Michela.
C'è anche la possibilità di devolvere il 5 per mille: codice fiscale 90006210281 dell'Associazione Erika.


di Fabio Frabetti

23 marzo 2013

FONTE: affaritaliani.libero.it
http://affaritaliani.libero.it/cronache/la-storia-dell-amore-di-una-mamma-per-la-figlia-gravemente-malata.html?refresh_ce
 

Una storia di grande Amore, ma anche di dolore quella di Luigina e della figlia Michela, quest'ultima gravemente malata.
Auguriamoci veramente che il Comune di appartenenza di questa famiglia intervenga al più presto per aiutare Michela nella sua difficilissima situazione... nel frattempo, chi ne ha le possibilità, può aiutare questa famiglia donando un piccolo aiuto alle coordinate sopraindicate.
Un grazie di cuore a chi lo farà.

Marco

martedì 2 aprile 2013

Allergie, vive segregata in casa. «Ma a San Candido sintomi azzerati»


Due settimane di totale libertà. Fuori dalle mura di casa, libera di passeggiare, entrare nei negozi, incontrare gente senza i sintomi della malattia che l'ha resa allergica a tutto ciò che è chimico. Sara Capatti, di Calusco d'Adda, 33 anni, affetta dal 2008 da Sensibilità Chimica Multipla (Multiple Chemical Sensitivity, MCS), ha trascorso come una persona normale il soggiorno regalatole da un imprenditore dell'Isola prima di Natale, quando L'Eco di Bergamo pubblicò la storia di Sara. Meta della vacanza: San Candido (Bolzano), la località suggerita dal professor Giuseppe Genovesi del Policlinico Umberto I di Roma perché è un posto incontaminato, ideale per chi soffre di questa malattia.

Sara Capatti ha partecipato anche a una conferenza stampa indetta dal sindaco di San Candido, Werner Tschurtschenthaler, con i giornalisti delle testate «Alto Adige» e «Dolomiten»: ha raccontato la sua storia e le difficoltà di convivere con la malattia. Il sindaco ha informato che a San Candido arrivano già diverse persone affette da MCS. Una volta per curare gli ammalati di Tbc c'erano i sanatori, ovvero case di cura poste in località con aria pura: l'idea del sindaco di San Candido sarebbe ricalcare quella esperienza del passato per curare la MCS, magari creando un reparto di MCS nell'ospedale di San Candido. Con il sindaco c'era pure la direttrice dell'Associazione turistica Hanna Erharter, con la quale Sara si è accordata per trascorrere, accompagnata dalla famiglia, una settimana a giugno offerta dal sindaco stesso.

«Sogno di vivere là»
«Ho chiesto al sindaco come potermi trasferire a San Candido - racconta Sara, che dal 30 gennaio è tornata nella sua casa a Calusco d'Adda -. Mi ha promesso che si informerà e mi riferirà. So che non è facile il trasferimento, ma è il mio sogno, perché a San Candido ho ritrovato la libertà così come altre due signore, tra cui una donna di Lecco, alla quale avevo suggerito San Candido per una cura disintossicante: è lì da quattro mesi». Sara era partita per San Candido la notte del 15 gennaio con l'intera famiglia: mamma Fiorenza Dalla Costa e il fratello Alessandro, per evitare esposizioni agli inquinanti, portandosi dietro le pentole, gli asciugamani, il piumone, il cuscino e altro, indispensabili per non scatenare allergie.

«Dopo nemmeno due giorni a San Candido i miei linfonodi si erano già "sgonfiati" e i dolori quasi scomparsi - racconta Sara -, ho vissuto quei quindici giorni come una persona normale, con limiti leggeri. Andavo a fare la spesa senza problemi anche se avevo sempre la mascherina. Il professor Genovesi mi ha detto in una delle ultime visite che a San Candido si può tornare a vivere normalmente per il 90%».

di Angelo Monzani

19 febbraio 2013

FONTE: ecodibergamo.it