giovedì 29 luglio 2021

Farmaco creato per una sola paziente: é la prima volta. Sperimentato su bimba con malattia genetica rara

Il concetto di "medicina personalizzata" può diventare "ad personam", con trattamenti studiati e testati per un singolo paziente. Lo ha dimostrato il caso della piccola Mila, una bambina nata in Colorado e affetta da una malattia rarissima, descritto sul New England Journal of Medicine dai ricercatori del Boston Children's Hospital, che hanno realizzato un farmaco apposta per lei a cui hanno persino dato il suo nome.

La paziente, Mila Makovec, ha avuto a sei anni nel 2016 una diagnosi di malattia di Batten, un problema neurologico per cui non esiste cura. Un'analisi del Dna ha rivelato che la causa era un'unica mutazione di un gene chiamato Cln7, indispensabile a produrre una proteina necessaria ai lisosomi, che nelle cellule hanno il ruolo di rimuovere o riciclare la "spazzatura", le sostanze indesiderate prodotte dai processi cellulari. Una volta isolato il difetto, i ricercatori, anche grazie ai finanziamenti raccolti dalla fondazione "Milàs Miracle" fondata dalla mamma della piccola, hanno ideato un oligonucleotide antisenso, un piccolo frammento di Dna in grado di "mascherare" il difetto. Una volta testato sugli animali il farmaco, che è stato chiamato "milasen", è stato infuso nella bimba, dopo l'approvazione dell'Fda per il test.

Dopo un anno di cura, scrivono gli autori, la bambina ha mostrato una diminuzione delle convulsioni di cui soffriva, anche se su altri problemi, come la cecità, non ci sono ancora miglioramenti, e la terapia non sta mostrando effetti collaterali. Il procedimento, spiegano gli autori, potrebbe essere usato in circa il 10% delle malattie neurologiche ereditarie, e lo stesso gruppo, guidato da Timothy Yu, sta già lavorando ad un altro farmaco che si spera di poter utilizzare su un paziente a breve.

«La creazione di milasen in un tempo così ridotto - concludono gli autori - è uno straordinario precedente che può rivoluzionare come le malattie genetiche vengono trattate». Questo tipo di procedura, sottolineano in un editoriale di accompagnamento alcuni esperti dell'ente statunitense oper i farmaci Food and Drug Administration (Fda), non è priva di problemi etici. «Ad esempio i regolatori devono decidere quanti dati di laboratorio sono necessari per dimostrare che il trattamento può funzionare - scrivono - e come misurare se la terapia effettivamente può aiutare il paziente».


11 ottobre 2019

FONTE: Il Messaggero

lunedì 19 luglio 2021

La storia di Bia Cusumano: la lotta quotidiana di una donna fibromialgica

Bia Cusumano, originaria di Castelvetrano, dove risiede e lavora come insegnante di lettere e latino, da più di un anno è in congedo, in aspettativa a causa della fibromialgia, patologia cronica e invalidante che ultimamente è peggiorata.

Le abbiamo rivolto alcune domande per conoscere la sua storia di donna, madre, lavoratrice e fibromialgica.

Bia, quando hai scoperto di avere la fibromialgia?

Stavo male fin dal Liceo. Avvertivo un forte senso di affaticamento, astenia, crisi di emicrania, febbricola. Il mio primo ricovero al Niguarda di Milano risale ai miei 17 anni. Ho affrontato il percorso universitario e l’abilitazione all’insegnamento in condizioni pietose, con grosse difficoltà a sostenere l’ingente mole di studio. Mi ha sorretto la passione per la letteratura, per la poesia (scrivo da quando avevo 11 anni) e, naturalmente, l’amore per la vita, grazie al mio carattere determinato e forte.

Quando sono peggiorati i tuoi sintomi?

Dopo il matrimonio e la gravidanza a 29 anni, nei primi mesi post parto, la situazione si è acutizzata. Avevo già trascorso i miei 9 mesi incinta a letto ma la gravidanza ha risvegliato la fibromialgia che già conviveva in me da tempi remoti. Ero impossibilitata a fare le notti, a tenere in braccio mia figlia, a darle il latte, oltre alle mie enormi difficoltà a riposare. Non avevo un sonno ristoratore, insomma.

Cosa hai deciso di fare a quel punto?

Mi sono recata al Santa Chiara di Pisa, Centro reumatologico altamente specializzato sulla fibromialgia, grazie all’equipe multidisciplinare della dott.ssa Laura Bazzichi. Sono partita dalla Sicilia verso Pisa per cercare una risposta alla mia sofferenza, al senso di colpa per sentirmi una donna a metà. Non sono stata aiutata e compresa dal mio ex che ha sempre concepito la fibromialgia come malattia immaginaria, dicendo che ero eccessivamente ansiosa, ipocondriaca, insomma era convinto che fossi una malata mentale.

Quando è arrivata la diagnosi?

Dopo un Day Hospital di 3 giorni e dopo un calvario di 15 anni, ho avuto finalmente la diagnosi di fibromialgia. Mi è crollato il mondo addosso. Conoscevo bene la patologia dato che ne soffriva la sorella di mio padre, che si trova in Svizzera, dove la malattia è riconosciuta. A 46 anni lei è andata in pensione per invalidità, le è stato imposto il riposo assoluto, con cure mediche e farmacologiche sovvenzionate dal sistema sanitario.

Qual è stata la reazione alla diagnosi?


Duplice: da una parte ho avuto una risposta al mio dolore, ho capito che la mia malattia aveva un nome e portava con sé una serie di sintomi (dolori su tutto il corpo, irrigidimento muscolare, contratture, astenia, tremori, tachicardia, vertigini, sbandamenti, instabilità, gambe che cedono, sonno non ristoratore etc), dall’altro un grandissimo senso di frustrazione, impotenza, rabbia, grande incomprensione da parte degli altri. Come conseguenze reattive è inevitabile, per molti, avvertire ansia, depressione, gap mnemonici e flog mentali, testa confusa, che ci ottunde la percezione piena della realtà che ci circonda.

Cosa significa essere fibromialgici?

Per me è come se fosse un impegno, un momento di bellezza anche se è connotato dal dolore, invece che dalla spensieratezza. Mia figlia Giulia mi ha capita. Ha detto “Dietro questa bellezza che hai, mamma, c’è tanto dolore, ci sono tante lacrime dietro questo tuo sorriso”.
Con una gomma magica non si può mai cancellare la fibro. La malattia mi ha dato resilienza e necessità di trasformare il dolore in qualcosa di positivo.

In cosa hai convertito il dolore, Bia?

Ho costruito intere costellazioni di bellezza sul dolore, circondandomi di libri, poesie, persone che mi potessero dire “Ti comprendo”, “Sono dalla tua parte”. L’amore è cura e presenza, quindi ho trasformato il mio dolore in cura e presenza nella vita degli altri.

Hai subito pregiudizi per via della tua malattia?

Il mio ex mi definiva la “zavorra” della sua vita. A sentire quelle parole mi sono sentita trafiggere dentro. Come può una persona che dice di amarti, proferire simili parole? E poi “Sei pazza. Perché non ti fai un TSO? “, “Sei così bella, non è possibile che tu stia sempre male!”, “Sei così solare, così curata, cosa puoi avere?”. Mi sono sentita uccidere quando mi hanno detto “Se non sei buona per te stessa, che aiuto puoi dare agli altri?”. L’aiuto per me passa per l’empatia, la comprensione, la condivisione, un abbraccio, una parola di conforto, uno sguardo d’intesa.

Chi ti è stato vicino Bia dal punto di vista medico?

Ringrazio la psicoterapeuta Mancuso, a Palermo, che mi ha seguito per 7 lunghi anni, aiutandomi a gestire il dolore, canalizzandolo in positivo e insegnandomi che, per far questo, non occorrono gesti eclatanti. Mi ha aiutato ad accettare e rielaborare il dolore.
Voglio ringraziare il fisiatra Velardo, che mi ha sempre creduto, mi ha guardata come un padre può guardare una figlia. Mi dice sempre “Non mollare, hai tanta sofferenza addosso ma non mollare!”. E’ stato lui a dirmi che è come se il mio corpo fosse formato da muscoli di cemento che “tirano appresso le ossa” (portano con sé le ossa).

La tua patologia è peggiorata un anno e mezzo fa, dicevi… raccontami

Si, mi ha bloccato a letto, ho perso tantissimo peso, stavo sfiorando l’anoressia. Ero una candela che si stava spegnendo su se stessa. Avevo bisogno di aiuto per entrare in doccia, dovevo essere imboccata, non potevo stare né coricata né seduta.

Quanto ti ha tolto la fibromialgia?

Mi ha tolto la possibilità di crescere autonomamente mia figlia, per la quale sono dovuta ricorrere a babysitter a pagamento. Non potevo stare con lei sul tappeto dei giochi. Mi ha tolto la dimensione ludica, ricreativa, fare una semplice passeggiata con mia figlia. Mi sono ritrovata sola a crescere una bambina con il supporto solo del mio papà che mi aiutava a portare su la cassetta dell’acqua, la spesa, la frutta, capendo, da persona meravigliosa che è, le mie sofferenze. Ho fatto da madre e da padre, insomma. Non riuscivo a farmi una doccia da sola, a prepararmi una tazza di latte. Dovevo assicurarmi che mia figlia facesse i compiti e per questo ho pagato dei tutor per seguirla. Insomma, uno stillicidio economico. A ciò si aggiungevano i continui spostamenti, da precaria, girovagando per Pantelleria, Trapani, prima di Castelvetrano.
Per non parlare delle spese mediche: miorilassanti, antidolorifici, ipnoinducenti, antinfiammatori, magnesio, vitamina B ; le visite specialistiche a pagamento ecc.
La fibro mi ha tolto la femminilità, a volte. Sono sempre stata molto curata, mi piace donare agli altri il mio sorriso, prendermi cura del rosso dei miei capelli, mettere lo smalto sulle unghie, sono molto attenta al make-up ma, in alcuni giorni, mi sveglio in pigiama e vado a letto in pigiama.

Cosa vuoi aggiungere Bia a conclusione dell’intervista?

In tanti associano una malattia alla deturpazione fisica. In realtà non è così. La fibromialgia è una malattia invisibile, che può mascherarsi dietro volti bellissimi e si fa fatica a credere che siano malati. Uno scrittore polacco dice, su per giù, che “tutto ciò che brucia come uno schiaffo o un dolore può essere ancora o pietra”. Pietra che ti porta nell’abisso o ancora, alla quale ti aggrappi, in una sorta di riadattamento della malattia. Io ho scelto di essere “ancora”, raccontando la mia esperienza e dando voce a chi non ha le parole per dirlo… per vergogna, imbarazzo, colpa che altri hanno voluto trasporre sulla persona malata.
“Io non sono la voce di Bia Cusumano ma di tutti coloro che non hanno le parole per dirlo”.

Come vivi ora la tua malattia?

Faccio il mio massimo, in relazione all’accettazione della malattia e dei suoi limiti. Ho iniziato a non pretendere di più, a non alzare l’asticella in un continuo crescendo sfiancante, valorizzando ciò che ogni giorno riesco a fare, sia pure una doccia, una cena, una telefonata.


di Caterina Lenti

26 gennaio 2021

FONTE: Oncolife

sabato 10 luglio 2021

Jesi: si è spento Luca Bernardi, la commozione del sindaco Bacci: «Ci hai dato una straordinaria lezione di vita»

Il 35enne jesino era affetto da Distrofia muscolare di Duchenne. La camera ardente sarà allestita alla Casa funeraria di Santarelli da domenica

JESI – «Ciao Luca, grazie per la straordinaria lezione di vita che ci hai dato». Sono poche parole cariche di commozione quelle che il sindaco di Jesi, Massimo Bacci affida ai social per comunicare alla città la notizia più triste. Luca Bernardi, il 35enne affetto da Distrofia Muscolare di Duchenne, cittadino benemerito di Jesi nel 2018, da anni attivo nella lotta per i diritti delle persone con disabilità, si è spento questa mattina al reparto di Rianimazione dell’ospedale “Carlo Urbani” di Jesi dove era ricoverato da una settimana. A tradire questo coraggioso ragazzo, che ha sempre combattuto come un leone per raggiungere tutti gli obiettivi possibili, è stato il cuore. Gli è stata fatale una crisi cardiaca.

I genitori hanno scoperto la sua malattia quando Luca aveva solo 1 anno e mezzo. Nel 1995 lo ha costretto su una carrozzina, dal 1999 viveva su un letto attaccato a un respiratore. Ma per quanto difficili le sue condizioni di vita, non ha mai indietreggiato di fronte agli obiettivi di studio e di vita che si era posto, raggiungendoli con successo. Si è diplomato in Servizi sociali, ha frequentato in modalità online il corso di laurea in Storia e memoria delle culture europee all’Università di Macerata. Il suo sogno sarebbe stato quello di aprire un ristorante, appassionato di cucina e di territorio. Non ha potuto realizzarlo e il mondo, lo ha sempre osservato con attenzione e piglio, attraverso il computer.

Nel 2009 ha pubblicato un libro autobiografico, “Uno scrigno pieno di sogni”, amava scrivere e si occupava di rubriche di cucina e musica. Attraverso il suo sito internet ha creato molti contatti, aveva amici ovunque. Un guerriero per la sua vita e per quella di chi, come lui, deve affrontare gravi problemi: da questa voglia di lottare è nata l’iniziativa “Bollette d’aria” che porta avanti l’obiettivo vitale di fare in modo che le istituzioni si impegnino a compensare per intero la spesa per la fornitura di energia elettrica, corrisposta dalle famiglie con malati che utilizzano per vivere apparecchiature elettromedicali. Catechista alla parrocchia di San Giuseppe, socio onorario dell’Ente Palio di San Floriano e vice presidente del Comitato in difesa dell’ospedale di Jesi, Luca era un personaggio vero e proprio. Il letto su cui era costretto, il mouse che era il suo contatto con il mondo, erano solo apparentemente barriere. Lui aveva creato una rete magica di rapporti, che non si spezzano oggi con il dolore della perdita, ma anzi si rafforza solidale attorno alla famiglia.

«Avendo creato tante amicizie attraverso il mondo dei social, ci è sembrato opportuno, come famiglia, raggiungere i suoi amici anche qui. Stamattina è entrato nella pienezza della vita, lui che l’ha amata tanto, fino in fondo, mio cugino Luca Bernardi – scrive don Federico Rango – ha vinto la sua finale, giocando fino all’ultimo, e ora consegna a noi il suo scrigno pieno di sogni, pieno di lotte realizzate e alcune da portare avanti. Mai fermo al passato, sempre con lo sguardo al futuro. Un uomo dal cuore grande e dalla tenacia più forte della morte. Un cugino che ci ha insegnato come vivere la vita. Le lacrime siano accompagnate da tanta gratitudine».

La salma sarà composta alla Casa funeraria di Santarelli (a Monsano) e da domani alle 10 sarà possibile visitare la camera ardente. I funerali, lunedì 12 luglio alle ore 17 presso la chiesa di San Giuseppe.


di Talita Frezzi

10 luglio 2021

FONTE: Centro Pagina


Oggi quando ho acceso il computer e ho letto la notizia della scomparsa di Luca Bernardi, sono rimasto senza parole! Non ho mai conosciuto personalmente Luca, ma ero uno dei suoi tanti, tantissimi amici presenti su Facebook. Ho seguito la sua storia, ho visto quello che ha fatto e sono sempre rimasto meravigliato della forza di volontà e dell'attaccamento alla vita di questo ragazzo che, nonostante la sua invalidante malattia, ha ottenuto risultati straordinari. Oggi sapere che Luca ha "spiccato il volo" verso la Pienezza della Vita, mi ha addolorato, frastornato.... forse non mi sarei mai immaginato che potesse accadere una cosa del genere. Però sono anche sicuro che ora Luca ha raggiunto la piena Felicità e quella Libertà che le catene forzate della sua malattia giocoforza gli impedivano di avere, perlomeno fisicamente, dal momento che intellettualmente lui è sempre stato una persona estremamente libera e determinata.
Sii Eternamente Felice caro Luca, ora niente e nessuno ti potrà impedire di esserlo in pienezza. Il tuo "scrigno pieni di sogni" si arricchirà ulteriormente di altri sogni da inseguire e raggiungere. Noi non ti dimenticheremo mai!

Marco

mercoledì 7 luglio 2021

"Lafora", malattia rara tra Sla e Alzheimer. "Ma troverò i farmaci per mio figlio 15enne"

All'adolescente è stata diagnosticata una malattia rarissima, la madre guerriera: “Raccolta fondi per un workshop: luminari in Umbria per elaborare un programma di ricerca”

PERUGIA - “Sono all’inferno e scatenerò l’inferno. E’ stato il mio proclama dopo la diagnosi del 22 aprile”. Lei è Margherita, mamma combattente e illuminata. Un’energia e una lucidità che quando l’ascolti dici caspita che donna! La diagnosi di cui parla è quella emessa dai professori Paolo Prontera del Creo di Perugia e da Pasquale Striano del Gaslini di Genova: “Suo figlio – mi dissero – è affetto da Lafora. Non ne sapevo niente. Ora posso scriverci una tesi di laurea. E’ una malattia neurologica progressiva caratterizzata da crisi epilettiche e deterioramento psichico, che porta alla disabilità. Un mix micidiale – sintetizza Margherita – tra la Sla e l’Alzheimer. Mio figlio, 15 anni, ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, spesso anche quando dorme. Non sa più scrivere, è rallentato nelle funzioni più banali, come lavarsi i denti. Un "mostro" metabolico devastante rarissimo: In Italia ci sono 25 casi, 22 negli Usa, 300 nel mondo. Dalla data della diagnosi si stima una sopravvivenza dai 4 ai 10 anni. Ma la qualità della vita è altamente compromessa: si tira avanti con la nutrizione e la respirazione forzata”.

Margherita combatte e studia.Sono più forte di lei. Nella tragedia che ha colpito mio figlio vedo una missione, che è quella di trovare una cura per tutti. I farmaci esistono e funzionano: uno sta a Dallas e lo ha la casa farmaceutica Ionis e l’altro la Enable. Il primo è frutto degli studi del professor Berge Minassian, l’altro del professor Matthew Gentry. Farmaci che se somministrati insieme – prosegue Margherita – possono fare miracoli. Si tratta dell’Aso e della terapia enzimatica. Entrambi sono stati sperimentati sui topi e funzionano”.

Il mio appello: passiamo alla sperimentazione clinica, velocizziamo le procedure come abbiamo fatto per i vaccini. Ma è chiaro che per fare questo servono soldi. Tantissimi. Dietro i brevetti c’è un business miliardario. Margherita sta "bussando" alle porte di tutti gli umbri amici e non per chiedere aiuti economici che finanzino l’impresa. Sta muovendo il mondo e spunta un progetto visionario. “La raccolta fondi che ho lanciato (per ora siamo a quota 50mila euro) serve a organizzare un workshop. Le date fissate sono il 4 ottobre a Perugia alla Notari (giorno di San Francesco) e il 5 ad Assisi. Ci saranno scienziati da tutto il mondo. Non verranno a dirci cosa è Lafora, ma come si cura. Vado dritta all’obiettivo: questi luminari dovranno partorire la cosiddetta "Tabula assisana", un progetto di ricerca che se Telethon riterrà valido potrà sponsorizzare senza pensarci due volte. Insomma Perugia come capitale della sperimentazione”.

Ci salutiamo. Tempo scaduto. Il ragazzo di Margherita si è svegliato e ha bisogno di lei. “Corro ad alzarlo ma mi congedo con una massima: "se hai un grosso problema che non puoi risolvere, trovane uno più piccolo che puoi risolvere". Io lo sto facendo... ”.


di Silvia Angelici

4 luglio 2021

FONTE: La Nazione Umbria

lunedì 5 luglio 2021

Paolo Scavo: aiutiamo il bimbo affetto da SMA di tipo 1

Paolo Scavo è un bimbo affetto dalla forma più grave di atrofia muscolare spinale (SMA di tipo 1) e necessita del nostro aiuto!

Mamma Francesca e papà Domenico sono i genitori di Paolo Scavo, un bimbo di 19 mesi affetto dalla forma più grave di atrofia muscolare spinale, la SMA di tipo 1. Come molti altri genitori di bimbi SMA, Francesca e Domenico stanno lottando per il diritto di scelta alle cure ma soprattutto lottano contro il tempo, il più impetuoso dei nemici.

La speranza del piccolo Paolo Scavo si chiama Zolgensma, il farmaco più costoso al mondo (il suo prezzo è di circa 2 milioni di dollari per la singola somministrazione), una terapia genica innovativa il cui uso è stato autorizzato nei paesi facenti parte dell’Unione Europea nel maggio del 2020, mentre in Italia ne è stato approvato l’utilizzo il 17 novembre 2020.

I problemi per Paolo Scavo, come per molti altri bambini affetti da SMA di tipo 1, sono legati all’esorbitante costo del farmaco che, secondo i parametri imposti dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), oggi può essere somministrato gratuitamente solo ai bambini affetti da SMA1 che hanno un peso inferiore ai 13,5 kg (inizialmente il limite era per i piccoli malati che non avevano superato i 6 mesi di vita).
Pur rientrando nel parametro “peso”, la corsa per avere l’accesso al farmaco in Italia viene interrotta da un’altra limitazione: la tracheostomia ed il supporto ventilatorio.
A causa della malattia infatti, il piccolo pugliese (la famiglia vive a Valenzano, Bari) necessita di assistenza venitolatoria e della PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea), un piccolo tubicino collegato allo stomaco che gli permette di nutrirsi.

L’atrofia muscolare spinale costringe i piccoli pazienti ad una lenta e progressiva ipotonia muscolare, ossia il rilasciamento dei tessuti e la mancanza del tono muscolare, dovuta alla perdita dei motoneuroni. Oltre a colpire gli arti superiori ed inferiori, il tronco, le spalle, ecc., la debolezza muscolare incide anche sui muscoli della respirazione e della deglutizione.
Nei casi più gravi di SMA 1, come quello di Paolo Scavo, i bambini necessitano per l’appunto di un supporto ventilatorio – spesso viene praticata una tracheostomia, ossia un foro (stomia) nel collo, all’altezza della trachea, per agevolare il passaggio dell’aria destinata ai polmoni – e di un supporto nutrizionale, come la PEG.

Negli Stati Uniti infatti, dove la piccola Melissa ha ricevuto finalmente il farmaco, la FDA (Food and Drug Administration, ente governativo statunitense che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici) consente l’accesso al farmaco Zolgensma a tutti i bambini con SMA che non superano i 21 kg di peso.
Paolo Scavo ha quindi ancora una speranza ma servono 2 milioni e 100 mila euro per poter aver accesso alla terapia genica, una cifra che la famiglia sta cercando di raggiungere attraverso la raccolta fondi “Aiutiamo il piccolo Paolo”.
Ma il tempo è tiranno e per il bambino affetto da SMA di tipo 1, per i suoi genitori e per il fratellone Francesco la fiamma della speranza inizia ad affievolirsi. Aiutiamoli!


Di Maria Corbisiero

6 maggio 2021

FONTE: Vita da mamma


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Aiutiamolo senza indugio allora, c'è poco tempo, ma tutti insieme ce la possiamo fare!

Marco

giovedì 1 luglio 2021

La storia di Bia, 42 anni, da 26 malata fibromialgica - vittima invisibile di una bestia silente

«Buongiorno, sono Bia Cusumano, 42 anni, originaria di Castelvetrano, madre single, docente, scrittrice, donna affetta da fibromialgia, una malattia reumatica cronica che segna la mia vita con dolore persistente, astenia, vertigini, tremori e altri sintomi invalidanti ma invisibili a occhio nudo. Io ho definito la fibromialgia una bestia silente che, da dentro, divora tutto. Vorrei raccontare la mia storia e il calvario di giudizi, colpe e condanne che accompagnano i miei giorni, unendo alla sofferenza fisica, un senso diffuso di incomprensione e abissale lontananza e abbandono. Ma resisto. Anzi, dirò di più, ho convertito il dolore in bellezza. Se vi interessa ascoltare la mia storia, contattatemi. Sarò onorata di dialogare a cuore aperto con voi».

Questo il testo di una lettera arrivata in redazione il giorno di Santo Stefano in cui appare evidente la voglia di questa donna eccezionale di accendere i riflettori su una sindrome dolorosa e altamente invalidante che colpisce dai due ai tre milioni di italiani (il 95% sono donne), ma ancora misconosciuta dai più. Una donna, Fabiana (ma chiamata da tutti Bia), che da 26 anni vive con estrema fierezza e tanta creatività una prova decisamente sfibrante anche per un giorno soltanto. Uno scenario di dolore fisico, di diritti negati, di accuse, di sofferenza dell’anima. E siccome è importante per chi ha in corpo questa “brutta bestia subdola e silente” - come la definisce lei - uscire dalla solitudine e rompere quell'isolamento che può sembrare la soluzione più semplice, Fabiana ha voluto condividere la propria storia convinta com’è che parlare aiuta a rendere più sopportabile il dolore, a trovare coraggio, magari a scoprire nuovi modi per curarsi.

Buongiorno Fabiana, da malata a malata: so cosa prova. Siamo pazienti impegnativi come pochi e con tutte le stigmate di malati immaginari, depressi o isterici come spesso l’ignoranza ci definisce, sminuendo così la nostra sofferenza nonché la capacità di stare a galla nella quotidianità. La sindrome fibromialgica in qualche modo è ancora figlia del silenzio e noi veniamo considerati malati di serie B.

Vogliamo rompere questo tabù e parlare di lei e di questa “inopportuna” compagna di vita?

«E’ una storia lunga, ma cercherò di sintetizzare. E’ una storia puntellata dal dolore cronico. Una lotta quotidiana, a cominciare dalle piccole cose che, banali e ordinarie per gli altri, per me sono insormontabili. Perché il dolore cronico sfibra, svuota, ti mette alla prova, ti pone limiti che devi imparare ad accettare».

Quando ha scoperto di soffrire di fibromialgia?

«Ero poco più che una ragazzetta di 14 anni quando apparvero i primi segnali: febbricola sempre più persistente, cefalea, tremori, astenia e stanchezza; tanta stanchezza. Alcune mattine non riuscivo ad alzarmi dal letto e, di conseguenza, saltavo le lezioni. Il primo ricovero a 17 anni: i miei genitori mi avevano portato al “Niguarda” di Milano nella speranza di una diagnosi precisa. In realtà i “medici del Nord” topparono. E mi liquidarono con la sentenza di “stress psico-fisico”. Intanto io crescevo, studiavo e, con estrema fatica, mi laureai in Lettere moderne all’Università di Palermo con una tesi su Alda Merini. Il dolore non mi lasciava mai. Gambe rigide, febbricola, un senso di sfinimento incomprensibile. Gli esami? Tutti negativi».

La diagnosi?

«Arrivò tardiva. Avevo 29 anni quando rimasi incinta. Giulia, la mia adorata bimba, nacque con il cesareo programmato. I dolori, manco a dirlo, mi torturavano e così i medici sconsigliarono il parto naturale. Da quel momento fu tutto un precipitare. Non riuscivo a tenere la bimba in braccio né ad allattarla al seno. Mi alzai dal letto dopo tre mesi. E fu allora che cominciò un vero e proprio pellegrinaggio sanitario. La diagnosi di fibriomialgia fu fatta in una clinica privata di Pisa dopo tre giorni di ricovero in cui mi rivoltarono come un calzino. Tutti e 18 i tender point erano compromessi. Ero devastata. Sia nell’anima sia nel corpo. Una giovane sposa e neo mamma colpita da una sentenza così terribile».

E i familiari, gli amici? L’hanno capita, confortata, aiutata?

«Scherza, vero. Né il mio ex marito né la mia famiglia (tranne mio padre e mia figlia che sono stati due angeli custodi), figuriamoci poi gli amici o i conoscenti, hanno compreso bene lo tsunami che aveva sconvolto la mia esistenza. Ero circondata da cinismo, indifferenza, superficialità, giudizi, pregiudizi, accuse e condanne. Prima venivo tacciata di essere scansafatiche e ipocondriaca. Poi, a malattia conclamata, di essere ansiogena e depressa. La fibromialgia non si vede. Non sempre comunque. Quindi per molti non esiste. C’erano giorni in cui mi sentivo meno peggio del solito e allora cercavo di tenermi su. Mi truccavo, andavo dal parrucchiere, mi sentivo viva e non chiedevo altro che tenerezze e dolcezze. E gli altri, invece? Mi colpevolizzavano. Credevano fossero tutte scuse per avere la vita comoda. In realtà la malattia proseguiva inesorabile la sua corsa. Diventava sempre più invalidante e aggressiva fino a quando non ha colpito la colonna vertebrale».

Andiamo avanti...

«Sì. E arriviamo all’anno scorso. Quando in agosto una risonanza magnetica evidenzia alcune ernie. Una in particolare ha colpito il nervo brachiale. Come dire, piove sul bagnato. La mia autonomia, quel poco che avevo, è andata a carte quarantotto. Quindi niente insegnamento, niente di niente e assistenza h24, per mangiare, lavarmi e vestirmi. Oggi l’ernia si è un po’ disidratata ma ancora non si è riassorbita del tutto. Operazione? Non se ne parla. Troppi rischi».

Parliamo di terapie. I medici, a ragione, sostengono che non esiste la fibromialgia ma le fibromialgie. E il ventaglio di sintomi è così ampio da prevedere una terapia personalizzata in base ai disturbi riferiti da ogni singolo paziente. In genere è un cocktail di farmaci.

«Infatti. Ora non importa se io prendo il prazene piuttosto che la Lyrica o la tachipirina o altro ancora. Ciò che va evidenziato è che l’approccio deve essere multidisciplinare e basato su tre tipi di intervento: fisico-riabilitativo, psicologico e farmacologico. Comunque sul mio corpo hanno la meglio i miorilassanti. Quindi protocolli calibrati sui pazienti e ovviamente non per guarire - una cura definitiva non esiste - ma per rendere gestibile il dolore».

Qualcuno - forse per consolarmi - un giorno mi disse che a volte certi inciampi potrebbero essere una rivelazione.

«Ma che sorta di peccati dovremmo mai scontare? Per 7 anni ho anche seguito un percorso di psicoterapia per imparare ad accettare il limite del mio corpo e a rispettare anche le cose che posso e non posso più fare. Risultati? Sì certo. Mi ha molto giovato dialogare con la dottoressa Mancuso. Ma il dolore fisico è una costante. Ora sono io che le chiedo, da malata a malata: “E’ vita passare intere giornate in pigiama perché non si ha né la forza né la voglia di stare in piedi e per giunta vedere la gente che ti guarda storto, come se il problema fosse solo nella tua testa?”. Ma smettiamola. Io, lei e tante altre donne nelle nostre condizioni siamo “malati invisibili”. Ecco cosa siamo».

Bia come si sente oggi?

«Sono serena. Sono positiva, credo che un giorno una cura si troverà. Per il momento nel mio piccolo cerco di fare tutto il possibile affinché la malattia venga conosciuta e venga riconosciuta la sua cronicità. In modo tale da essere tutelati dal servizio sanitario e magari compresi dalla società. Lo dico a denti stretti perché soffro tanto, ma il dolore non deve vincere. Non dobbiamo farci schiacciare e soprattutto, mia cara Giovanna, non dobbiamo nasconderci dietro la malattia».

E’ vero. Anche se il nostro corpo e il nostro io usurati e privi di forza sono a pezzi e le lacrime solcano la maschera che indossiamo contro l’ignoranza della quotidianità, troviamo la forza di alzare la testa e reggere lo sguardo attonito di chi non conosce o difficilmente comprende questa malattia.


di Giovanna Genovese

14 febbraio 2021

FONTE: La Sicilia