mercoledì 30 luglio 2014

Papa Francesco telefona a una malata di Fibromialgia: «Mi ha dato la sua Benedizione»


Martedì pomeriggio Papa Francesco ha telefonato a Pia Zirpolo di Lodi, l’infermiera afflitta da una gravissima malattia, la fibromialgia, che provoca dolori costanti alle articolazioni muscolari.
«Prima della fine del 2013 avevo scritto una lettera al Pontefice, in cui parlavo della mia sofferenza e di quella del mondo» racconta la Zirpolo, ancora emozionata. «Il Papa mi ha dato la sua benedizione, io piangevo come una fontana per l’emozione e lo stupore. Gli ho detto che deve pregare per tutti noi, non solo per me».

9 luglio 2014

FONTE: Ilcittadino.it
http://www.ilcittadino.it/p/notizie/cronaca_lodi/2014/07/09/ABfoBlYE-lodigiana_papa_telefona_una.html



Lasciatemelo dire: che meraviglia questo Papa, così attento ai disagi e alle sofferenze degli uomini! Ed è bello sapere che si è interessato di una malata di Fibromialgia, patologia questa così bistrattata qui in Italia, tanto da non essere nemmeno riconosciuta.
Grazie Papa Francesco, grazie..... che il Signore ti benedica, ti assista e ti protegga da ogni male.

Marco

lunedì 28 luglio 2014

Siamo degli invalidi, non dobbiamo arrenderci


Caro Direttore, sono la malata FIBROMIALGICA che da tempo cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica su una malattia vera, e invalidante, non riconosciuta ancora dallo Stato italiano.
Ho dovuto affrontare tanti ostacoli e umiliazioni al lavoro... ancora adesso so che ci sono persone che sottovalutano la malattia! Ho lottato poiché sapevo di avere ragione e dei diritti veri come malata vera.... Ora sono migliorata tantissimo e sono contenta di questo, o meglio, avverto meno dolori e soffro meno. E comunque la mia vita è cambiata, mi limito giornalmente nei movimenti, nella vita quotidiana e al lavoro, e nello stress per ridurre al massimo lo stato doloroso.
In ultimo e più importante di tutto... sono stata spostata in un reparto idoneo a me. Tutto questo grazie solo ed esclusivamente al mio Direttore Generale aziendale che conoscendo perfettamente la malattia e con sensibilità si è adoperato a farmi finalmente spostare in tempi brevi! Insomma, lo ringrazierò a vita.
Dopo tante porte chiuse nonostante le limitazioni scritte dall'ASL, dopo il mio ricorso contro il parere del medico competente (e l'ASL di Varese ha riconosciuto limitazioni per una malata di fibromialgia), finalmente una porta aperta. Io lo definirei un PORTONE. Vale tantissimo per me. Perchè essere solo considerati per noi è già un miracolo, lo assicuro e sarei pronta a riscriverlo sempre e in maiuscolo!!!
Grazie e spero questo serva per non fare arrendere gli altri malati come me!
Mai arrendersi, perchè non siamo malati IMMAGINARI, ma siamo malati VERI.
E' frustrante accettarla ma si deve fare se si vogliono ridurre i dolori.
Siamo invalidi ed è invalidante!!

Patrizia Marchese

30 Novembre 2013

FONTE: Il cittadino di Lodi

venerdì 25 luglio 2014

Il cane che sa accendere luce e tv cambia la vita alla padroncina disabile


Francesca è in carrozzina. «Light» è un cane "speciale" addestrato da un altro bimbo malato che la scuola media Carini di Palermo gli ha affiancato


CARINI (Palermo) - Intravede solo ombre Francesca, ma un sorriso le ha illuminato il viso quando ieri mattina ha accarezzato per la prima volta la sua «luce», il suo Light. Un Golden Retriever pronto a scodinzolarle attorno, annusando la carrozzella che inchioda i suoi undici anni. Pronto a riconoscerla come padroncina. Pronto a fare scudo alla sedia a rotelle. A seguirne i comandi. Anche a pigiare alla parola «luce» con una zampata una pedana collegata a una lampada. Ovvero ad accendere con marchingegni simili la tv o lo stereo. O ancora, in prospettiva, a sostenere il braccio della piccola se ne perde il controllo. A proteggerla. A regalarle guizzi di autonomia.

Più che un cane, Light sembra una nuvola bianca da trenta chili,
il passo deciso di chi riconosce ambienti e bambini sbucando con la sua istruttrice, poco dopo Francesca, fra i corridoi della «Laura Lanza», la coloratissima scuola media di Carini, la città a metà fra Palermo e l’aeroporto, dove nel cuore di un disastrato quartiere popolare studenti disabili e normodotati, preside e insegnanti illuminati trasformano un esperimento didattico in una favola.
Accade che quest’anno fra le lezioni di una scuola vocata con provocazione e speranza dal preside Giampiero Finocchiaro alla «bellezza» sia stato inserito anche l’addestramento di un cane. Un modo per dare una mano ad alcuni dei 60 studenti disabili. In particolare a Franco, 13 anni, irrequieto, tutto scatti fino a tre mesi fa, diventato il vero istruttore di Light, insieme con Marianna Raneri, proprietaria a Castelbuono di un allevamento di Golden Retriever, addestratrice di cuccioli e collaboratrice della «Lanza» con contratto da 2.500 euro l’anno, tre giorni a settimana.

Per raccontare la giornata di ieri con Francesca e i suoi genitori arrivati dalla loro casa fra i vigneti di Menfi, con Franco seguito da papà e mamma, con psicologa e maestre commosse, con Light che non risparmiava baci alla nuova divertita padroncina, bisogna fare un passo indietro di almeno sette mesi. Quando la squadra del professore Finocchiaro si lascia tentare dall’idea che smania e agitazione di «Franco l’irrequieto» possano essere placate con una insolita terapia.
Ecco entrare in scena il cucciolo nato meno di un anno fa, diventato anche lui uno scolaro della «Lanza», a giorni alterni accanto al piccolo irrefrenabile Franco. Come ricorda Finocchiaro: «L’ipotesi di partenza era che se Franco avesse imparato a disciplinare movimenti e atteggiamenti del cane automaticamente avrebbe potuto dare un ordine ai suoi comportamenti». E così è accaduto, conferma Raneri: «Ha imparato a sussurrare anziché gridare, a premiare le movenze corrette, a distinguere il positivo dal negativo nel rapporto con gli altri». E il padre di Franco, un pensionato emozionato: «Risultato storico. Mio figlio sembra un altro, è sereno, parla, si muove senza scatti».

Soddisfazione e sorrisi smorzati dal ricordo di Simone,
uno scolaro bloccato come Francesca sulla carrozzella. A lui «Franco l’istruttore» avrebbe dovuto trasferire un mese fa Light. Ma Simone se ne è andato di colpo con la sua malattia. E, dopo le lacrime, Finocchiaro ha lanciato la proposta via Internet con la scuola pronta a donare il Golden Retriever a un altro disabile: «Fra tanti la scelta è caduta su Francesca». Appunto, arrivata ieri per la prima volta nella scuola di Carini con il fratellino di dieci anni, Luigi, con mamma Carmen e papà Vincenzo, commerciante e produttore di vino a Menfi. Una famigliola dove c’è già un altro cagnolino. Circostanza perfetta, per la Raneri: «Perché tutti potranno occuparsi del cucciolo già in casa. Lasciando che Light riconosca per i comandi solo Francesca, con i suoi limiti, i suoi suoni, i suoi scatti. Per costruire un loro linguaggio». Lei è pronta a seguire tutti per una settimana a Menfi, anche con Franco, anche per testare quei marchingegni: «Il tempo necessario per passare il testimone, perché Light possa fare con Francesca quanto già fa con noi, anche andare al supermercato, fra carrelli pieni di spesa, aspettando il turno alle casse, accanto alla carrozzella».
Felice mamma Carmen per questa nuvola bianca che entra nella vita di Francesca, una passione per la musica, «patita di Jovanotti»: «Se accende lo stereo, anche Light dovrà ascoltare tutto il giorno i cd regalati dalla zia Angela». E sorride la piccina, solare come la sua maglia con la scritta «Once upon a time», c’era una volta, l’incipit delle favole.

di Felice Cavallaro

30 maggio 2014

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/cronache/14_maggio_30/cane-che-sa-accendere-luce-tv-cambia-vita-padroncina-disabile-7561e57a-e7ba-11e3-bc61-842949f24f5a.shtml


Bellissima storia, di quelle che toccano veramente il cuore. Ed è una di quelle storie che ci fanno capire, una volta di più, quanto siano utili, preziosi, intelligenti, affidabili e amorevoli gli animali.
Una storia che ci deve fare riflettere e che ci deve fare capire, una volta ancora, quanto sia assurdo abbandonare i nostri cari amici animali per strada, come purtroppo avviene spesso sopratutto in questo periodo estivo. E dire che loro ci danno davvero tutto: affetto, compagnia, dolcezza, fedeltà... e tanto altro ancora. 
Se abbiamo preso un impegno con loro, non tradiamo la loro fiducia..... loro non lo farebbero mai con noi!

Marco

giovedì 24 luglio 2014

Simone Bottalico: «Scrivo poesie per combattere e riprendermi la vita»


di Nicola Paparella

BARI
– Come un grave incidente si possa trasformare in una possibilità. E’ quanto è avvenuto a Simone Bottalico (nella foto), che due anni fa, dopo aver rischiato la vita sulla strada, di strada ne ha scoperta un’altra, quella della poesia. E ha pubblicato il suo primo libro: “Etereo”. Lo abbiamo intervistato.

E così ti sei scoperto poeta…

Beh sì, due anni fa sono stato vittima di un grave incidente stradale che ha portato alla lesione del nervo peroneo e alla paralisi dell’arto sinistro inferiore. Dopo cinque mesi passati in ospedale, ho capito il senso della vita, ho capito che la vita mi era stata “ridonata” e quindi ho avvertito l’esigenza di riprendermela, di avere una rivincita su me stesso. Scrivere è stato un modo per combattere.

Hai pubblicato “Etereo”: perché questo titolo?

Perché la vita è eterea, impalpabile, intangibile. Esula da una dimensione fisica, non la possiamo afferrare. E’ lei che ti prende, lei che ti sceglie. Il libro è dedicato a mio fratello, che ho perduto. Infatti si apre con una poesia - preghiera per lui, che è morto 14 anni fa.


Quali sono i temi che affronti nei tuoi versi?

Nel mio libro a più riprese accuso la falsità del mondo che ci circonda. Quando vivi un’esperienza vicino alla morte come la mia e sei costretto a rimanere paralizzato su un letto d’ospedale, capisci tante cose. Questa storia mi ha portato a capire chi sono le persone che mi vogliono veramente bene, quelle su cui posso contare. Ho riscoperto il valore della mia famiglia e di alcuni amici che mi sono stati accanto. E poi parlo dell’amore, in tutte le sue forme e manifestazioni: verso i propri cari, verso una donna, ma anche della disillusione che nasce dal contrasto tra desiderio e realtà.

Quale forma poetica utilizzi?


Passo dall’ermetismo al flusso di coscienza, a seconda del momento. E credo che non potrei scrivere diversamente: la poesia non può seguire troppe regole, non si può spiegare. Ognuno filtra la realtà a modo suo e ci sono momenti in cui posso “vomitare” fuori fiumi di parole, altre in cui sento di esprimere un concetto anche con poche lettere.

Ci sono delle rime alle quali ti senti particolarmente legato?

Quelle di “Rinascita”. L’ho scritta su un letto d’ospedale. Quando sei costretto a stare immobile su un letto per tanti giorni hai molto tempo per pensare, razionalizzare e tirare fuori i tuoi veri sentimenti.
 
“Rinascita”…un inno alla vita?


Decisamente. Non c’è niente di più bello del sentirsi vivi. Anche solo il poter poggiare il piede sul pavimento al proprio risveglio, fosse anche sul carbone. A volte ci si sofferma troppe volte per riflettere e la vita ti passa davanti. Bisogna piantare la propria bandiera, perché prima o poi il vento passerà e quando la vedremo sventolare ci sentiremo soddisfatti, ci sentiremo vivi.

Lasciaci con dei versi, magari dedicati a Barinedita.

Certo, vi dedico una poesia: La voce della verità.

Ascoltano silenziosi le grida della gente. Cercano invano di dar voce alla disperazione. Follia ed oltraggio all’animo regnano sovrani. Nel mondo delle disillusioni.
Spazio all’arte. Spazio alla poesia. Spazio al debole. Spazio al forte.
Poche voci quelle parlano. Poche voci quelle narrano. Poche voci il coraggio hanno di denuncia. Poche le voci della forza di rivincita.
Spazio all’arte. Spazio alla poesia. Spazio al debole. Spazio al forte.
Scrivo pochi versi per voi che leggete. Scrivo poche righe per chi non capisce. Piovono notizie dal cuor di coloro che arte d’articolo hanno Illuminano le strade della conoscenza con raggi di realtà.
Spazio all’arte. Spazio alla poesia. Spazio al debole. Spazio al forte


29 aprile 2014

FONTE: barinedita.it
http://www.barinedita.it/giovani-artisti-crescono/n1312-simone-bottalico--%C2%ABscrivo-poesie-per-combattere-e-riprendermi-la-vita%C2%BB


Gran bella storia.... ed è proprio vero che spesso un incidente, un invalidità, una malattia, ti possono far riscoprire il valore e la preziosità della vita. Ed è quello che è accaduto a Simone, che nella sofferenza di una degenza ospedaliera, ha saputo tirare fuori la parte più vera e profonda del suo "io" ed esternarla in versi "scoprendosi" poeta.
Curiosa coincidenza, la poesia che ha dedicato a Barinedita si chiama proprio come questo blog..... una cosa che prendo come un buon auspicio.

Marco 
 

lunedì 21 luglio 2014

Nicholas, un bimbo meraviglioso e una diagnosi che non c'è: “I nostri figli meritano di vivere: svegliatevi!”


“Vorremmo solo la possibilità di poter curare i nostri figli. Di avere un posto in ospedale per qualsiasi grave problema. Vorremmo esser considerati e non dimenticati. I loro occhi per noi sono tutto!”.


Ci sono bambini che ti rapiscono per dolcezza ed intensità degli occhi, che vorrebbero solo vivere una vita normale, anche se la loro normalità è così lontana da quella della stragrande maggioranza.
Ci sono genitori che non soffrono nel capire che i loro figli siano disabili, anzi ne accettano l’essere “diversamente speciali”, dotati di sensibilità ed intelligenza sicuramente fuori dall’ordinario.

Uno di questi è Nicholas, apparentemente un bambino pieno di salute, realmente un bambino disabile (purtroppo già con tracheo e PEG) che chiede solo di avere diritti. Con il piccolo Nicholas, quattro anni ed una diagnosi che non c’è, mamma Veronica e papà Antonio (oltre ai nonni che lo riempiono d’affetto e di attenzioni).
Due genitori che mai si sono considerati sfortunati, anzi. Lottano quotidianamente in una situazione non accettabile per uno Stato che deve difendere i suoi figli più deboli.

I problemi per Nicholas vedono la luce con lui. Già alla nascita il bambino non piangeva: “Eppure ci dicevano che stava bene – racconta la mamma Veronica -, che tutto fosse andato per il verso giusto”. Ma “per il verso giusto” non era andato proprio niente.
Ricordo che Nicholas si addormentò poco dopo la nascita e non si svegliava più. Poi abbiamo scoperto che fosse in coma ipoglicemico. L’indomani aveva appena 20 di glicemia”. Eppure il medico ammetterà che “qualcosa non vada bene” solo dopo qualche giorno. “Nessuno ci ha saputo dire cosa avesse”.

Un rientro a casa “forzato” e la spiacevole sorpresa per i genitori di trovare Nicholas, dopo solo un mese, tutto nero, cianotico.A quel punto iniziò – racconta ancora la madre – il nostro calvario senza fine”.

Un calvario fatto da continui trasferimenti, arresti cardiaci, viaggi in autombulanza, ricoveri in ospedale e rifiuti medici. Si, anche l’insensibilità di chi avrebbe dovuto aiutarlo, ma non lo ha fatto. Sottraendosi vigliaccamente ad un giuramento, quello di Ippocrate, che alcuni medici hanno fatto solo per la gloria. Eppure il tempo per Nicholas, fatto di minuti, ore, giorni e settimane interminabili, di salite impervie e discese sempre meno frequenti, segnerà un dato certo: una voglia che mai mancherà. Quella per la vita!

Due le diagnosi che lo riguardano: la prima è una presunta malattia metabolica Mitocondriale, la seconda è una asfissia da parto.

La famiglia di Nicholas le prova tutte, davvero tutte. La forza e la determinazione di due “giovani” genitori sono tangibili. Fra queste prove anche “Telethon”. Tante promesse, pochi – anzi pressoché zero – fatti. Eppure questi genitori (tanti, siamo certi) vorrebbero soltanto avere una possibilità di vita per Nicholas e per i bimbi come lui.

A Modica, così come in tutta la (ex) provincia di Ragusa, non c’è una rianimazione pediatrica. “Vorremmo quantomeno un primo soccorso – afferma Veronica – per poter stabilizzare e mantenere i bambini in caso di emergenze e prima dei trasferimenti altrove (la più vicina è Catania). Qui, così, non possiamo stare”.
Mai una polemica dalle parole di “mamma” Veronica, solo voglia di dare a Nicholas un “oggi” migliore.


Il Comune, ad esempio, non offre personale competente e noi paghiamo tutto, qualsiasi servizio”. E tutto grazie anche all’attenzione del “Piccolo Principe” (un’associazione di volontariato senza scopo di lucro che opera nel settore della Disabilità Infantile) e di chi vi lavora. “Persone splendide
– commenta Veronica.

Un dato su tutti, che dovrebbe far riflettere: Nicholas consuma decine di sondini per aspirare e poter, quindi, respirare, la sanità pubblica ne “passa” ai genitori appena la metà.
Noi vogliamo poter continuare a curare nostro figlio. Cercheremo in tutto e per tutto, ma così non si può andare avanti. Facciamo appello alle Istituzioni: svegliatevi, perché Nicholas, così come tutti i disabili, hanno bisogno di poter vivere, non esser relegati a sopravvivere. Svegliatevi!




di Paolo Borrometi

25 giugno 2014

FONTE: laspia.it
http://www.laspia.it/nicholas-bimbo-meraviglioso-ed-diagnosi-non-ce-i-nostri-figli-meritano-vivere-svegliatevi/


Appello importantissimo rivolto sopratutto alle istituzioni ed in particolar modo alla Regione Sicilia. Non si può rimanere indifferenti a situazioni come queste!
Spero, mi auguro con tutto il cuore, che le istituzioni intervengano prontamente, affinche si possa garantire al piccolo Nicholas quello che gli è necessario, quantomeno la possibilità di poter essere ricoverato in assoluta sicurezza nella zona in cui vivono. Non credo sinceramente che venga chiesto troppo!

A tutti consiglio di guardare il bellissimo, toccante video..... ci si renderà conto delle grandi difficoltà di salute di questo piccolo grande uomo, e dell'Amore meraviglioso della sua splendida famiglia.



Marco

sabato 19 luglio 2014

Mauro e Marta sposi: il grande passo di due persone con sindrome Down


Hanno celebrato domenica 6 luglio il loro matrimonio dopo dieci anni di fidanzamento e due di convivenza: è uno dei primi matrimoni fra persone con sindrome di Down. Lei: “Ho capito cosa vuol dire amare”. Lui: “E’ nata la nostra famiglia”

ROMA – Mauro e Marta si sono sposati. Quasi 30 anni lei, quasi 40 lui, domenica 6 luglio hanno deciso dopo dieci anni di fidanzamento e due anni di convivenza di coronare il loro sogno d’amore e di convolare a nozze. Il matrimonio di Mauro e Marta è uno dei primi in Italia fra due persone con sindrome di Down: è andato in scena a Roma ed è stato raccontato sui social network dall’Aipd, l’Associazione italiana persone down con alcune foto del matrimonio e un video, registrato qualche giorno prima delle nozze, in cui i due protagonisti raccontano la loro storia e esprimono tutta la loro gioia e tutta la loro consapevolezza rispetto al grande passo che hanno scelto. Tradizionale abito bianco lei, impeccabile vestito lui, una giornata emozionante durante la celebrazione in chiesa e nella grande festa con le rispettive famiglie che ne è seguita.

Nel video registrato prima del giorno del matrimonio e della partenza per il viaggio di nozze, Mauro e Marta raccontano di essersi conosciuti “alla festa di compleanno di un’amica comune”, e che è subito nata - “con grande timidezza”, precisa lui – un’amicizia che dieci anni fa, nel 2004, sfocia nella dichiarazione d’amore e nella decisione “di metterci assieme”.
Il loro è un legame forte, fatto di piccole tensioni, ma anche di tanta complicità, di affetto e sostegno, a tal punto che decidono di andare a convivere. “Qualche volta – raccontano del loro rapporto – discutiamo e per qualche minuto ognuno resta per conto proprio, ma subito dopo ci ritroviamo, riflettiamo su quello che abbiamo fatto, troviamo un punto d’incontro e facciamo pace”.

Nel 2012 vengono accolti a Casa Petunia, una casa famiglia a bassa assistenza rivolta a persone con sindrome di Down: l’unico operatore passa una sola volta al giorno, nel pomeriggio, per aiutarli nell’organizzazione domestica e nella risoluzione di eventuali piccoli conflitti interni alla casa. Oltre a Mauro e Marta ci vivono altri due ragazzi, in quasi totale autonomia. “Siamo entrati nel progetto di residenza in casa famiglia”, raccontano ancora i due sposi sottolineando le particolarità dell’esperienza di vita in comune in un piccolo gruppo (dai momenti di convivialità alla gestione della casa, e quindi la spesa, le pulizie, la cucina, il lavaggio della biancheria), “ma nel tempo abbiamo anche riflettuto molto su di noi e abbiamo pensato di arrivare al grande passo”.

Problemi con il lavoro, ed è una fortuna, non ne hanno: entrambi ne hanno uno, lei come segreteria all’Adecco, lui come impiegato alla Asl: “A casa mia l'hanno presa tutti tranquillamente, anche mio padre che è all'antica”, dice lui. “I miei sono rimasti spiazzati, non si aspettavano che la figlia più piccola si sposasse ora”, confida lei. Le loro parole sulla scelta rivelano una grande dose di consapevolezza: “Con Mauro – dice Marta - ho capito che cosa vuol dire amare: prima non l’avevo capito e quindi avevo paura, avevo paura di amare. “L’aiuto familiare – spiega a sua volta Mauro – è una cosa importante, anzitutto quella dei miei genitori e di fratelli e sorelle: col tempo ho costruito altre famiglie, l’associazione, la fondazione, ho conosciuto la famiglia di Marta. Ma la più grande gioia, una gioia immensa, ed è per questo che mi sono dichiarato a lei, è che adesso sto per creare il mio nucleo familiare, e io darò molta priorità a questa cosa bella che mi sta capitando”. “La mia prima famiglia sono i miei – aggiunge allora Marta – ma ora la mia famiglia è quella che sto per creare, la mia famiglia è lui”.

Il matrimonio di Marta e Mauro è uno dei primi tra persone con sindrome di Down a livello nazionale, e certamente il primo in casa Aipd: la coordinatrice nazionale dell’associazione, Anna Contardi, sottolinea a questa proposito l’importanza dei progetti di affettività e sessualità per persone con sindrome di Down. “L’amore è il sentimento più democratico del mondo e – spiega - ci sono percorsi che, sin dall’adolescenza, accompagnano i giovani a sviluppare una consapevolezza e una confidenza nei confronti del proprio corpo”. E’ fondamentale il lavoro di “accompagnamento” degli operatori che lavorano con le persone Down verso esperienze anche di coppia. Due i percorsi proposti generalmente: di informazione e di scelta. Si cerca, cioè, di mettere la persona con sindrome di Down di fronte all’immensità di dati che occorre sapere in quel campo, ma anche di guidarla verso scelte di partner e di azioni da intraprendere. “All’interno della rete Aipd sono tante le storie d’amore che nascono ma fino a questa di Marta e Mauro nessuna si era conclusa con un matrimonio: sono tanti però coloro che sperimentano la sessualità e la sfera affettiva”.

Nonostante l’aumento di progetti che puntano alla sensibilizzazione sessuale, i numeri dei matrimoni, in Italia, così come nel resto del mondo, sono ancora molto bassi. Dall’Australia e dagli Stati Uniti arrivano cifre che farebbero sperare in meglio, ma si parla di cifre sempre basse. “Le esperienze di coppia e di vita coniugale sono iniziate a crescere mano a mano che aumentavano anche gli spazi di autonomia delle persone”, spiega Contardi, secondo cui, per arrivare alla costruzione di un rapporto a due c’è bisogno prima di fornire delle strutture adeguate, che seguano i singoli nei loro percorsi individuali. Nel caso concreto di Marta e Mauro, che sono persone che non hanno bisogno di una cura vigile e costante, per la coordinatrice nazionale Aipd l’autonomia di cui godevano entrambi ha probabilmente giovato anche al loro modo di stare insieme e di relazionarsi, l’una rispetto all’altro.

Particolare, nel contesto del discorso sull’affettività e sessualità, è il discorso sulla genitorialità, sul quale c’è una delicatezza maggiore da parte degli operatori nel momento in cui questi trattano simili tematiche. “Gli operatori cercano di mantenere sempre separato il campo della genitorialità, rispetto a quello della coppia o affettivo in genere”, sottolinea Contardi, che riporta un dato scientifico (sin qui contraddetto solo due volte in letteratura) secondo cui gli uomini con sindrome di Down sono sterili. E’ vero, sottolinea la coordinatrice nazionale, che solo da pochi anni sono iniziati per loro questi percorsi di formazione sessuale, ma il dato biologico è importante. Quanto alla reazione delle donne, invece, “loro sono già preparate alla eventualità di non avere figli e in genere non esprimono neanche questo desiderio, essendo molto più concentrate sulla coppia. In età adolescenziale – precisa Contardi - il loro desiderio di maternità è molto più profondo rispetto a quando diventano adulte e acquisiscono una diversa consapevolezza”. L’affetto e l’affettività delle persone con sindrome di Down, insomma, si esprime tutta all’interno di un rapporto a due.

di Maria Panariello

8 luglio 2014

FONTE: redattoresociale.it
http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/464340/Mauro-e-Marta-sposi-il-grande-passo-di-due-persone-con-sindrome-Down


Ecco una di quelle notizie che fa sempre un grande piacere riportare sulle pagine del mio blog. Mauro e Marta, ragazzi con sindrome di Down, che coronano il loro sogno: sposarsi e formare una famiglia! Una cosa bellissima, un passo certamente coraggioso, ma anche meraviglioso, che segnerà per sempre le loro vite.
E allora, tanti Auguri ai novelli sposi!

Marco

giovedì 17 luglio 2014

Chanel Bocconi, finalmente la partenza per Boston

Il 21 luglio la trasferta negli States per il ciclo di cure contro la rara forma tumorale

Finalmente la partenza. Per la famiglia Bocconi e soprattutto per la piccola Chanel, quella del 21 luglio è una data speciale perché segna la partenza per Boston per iniziare il ciclo di cure contro la malattia con cui convive e combatte.

Una malattia che prende il nome di fibromatosi aggressiva, rara forma tumorale, contro la quale esistono poche cure mediche ma soprattutto non esistono in Italia. Il delicato ciclo terapico inizierà infatti negli Stati Uniti e precisamente al Children’s Hospital di Boston, grazie a una lunga maratona di solidarietà che ha visto mezza Italia stringersi a fianco della piccola Chanel, della mamma Viviana Cunegondi e del papà Simone Bocconi, per una raccolta fondi che ha avuto dell’incredibile per la quantità e la bontà delle iniziative solidali messe in campo.

Si parte il 21 luglio – ci ha spiegato Simone Bocconi - anche se di preciso non sappiamo quanto rimarremo a Boston. I medici prevedono un minimo di 15 giorni di permanenza, fino ad un massimo di 30. Variano in base a come reagirà Chanel alle cure. Purtroppo di preciso abbiamo poche informazioni dato che dovremo sicuramente tornare in America perché lo sviluppo della malattia non è prevedibile”.

14 luglio 2014

FONTE: senigallianotizie.it
http://www.senigallianotizie.it/1327358793/chanel-bocconi-finalmente-la-partenza-per-boston


Finalmente la tanto attesa, agognata partenza è arrivata: ancora 4 giorni (oggi è il 17 luglio) e la piccola Chanel, assieme alla sua splendida famiglia, partirà alla volta di Boston per intraprendere il primo ciclo di cure contro quella rara forma di tumore, la fibromatosi aggressiva, di cui la bambina è colpita.
Da parte mia seguirò con attenzione l'evolversi della sua situazione, di come andranno le cure e così via..... ma intanto mi sento di ringraziare col CUORE tutte le persone che hanno permesso tutto questo, con la loro generosità e solidarietà, sviluppatasi innanzitutto attraverso un proliferare di manifestazioni benefiche a suo favore.

E adesso buona fortuna piccola Chanel..... e che il Signore ti benedica !

Marco

lunedì 14 luglio 2014

A 16 anni combatte con il sorriso una rara malattia che le provoca escrescenze sul corpo

Jordan ha solo 16 anni e da quando ne aveva 4 combatte con il sorriso l'Esostosi Ereditaria Multipla, una rara malattia che le provoca protuberanze ossee su tutto il corpo. La ragazzina ha deciso di raccontare la sua storia in un blog per aiutare e dare speranza ad altri come lei

Come ogni 16enne Jordan Daly ama il make- up e la nail art, ma dietro le sue passionie e il suo sorriso smagliante si nasconde un’estenuante lotta quotidiana contro una malattia rara e dolorosa. Jordan soffre di HME, l’Esostosi Ereditaria Multipla che provoca tumori ossei ed ecrescere su tutto il corpo. Le protuberanze si formano soprattutto sulle ossa più lunghe, per la precisione all’altezza delle giunture, e possono bucare muscoli e tendini provocando un dolore simile a quello di un taglio. Non esiste una cura per la malattia genetica e il minimo colpo può causare una crescita delle singole protuberanze.

Jordan combatte con il sorriso la sua malattia

Jordan ogni giorno lotta con la dura malattia che le provoca escrescenze su spalle, braccia, gambe e piedi. Le azioni più semplici, come mangiare o respirare, le causano un dolore straziante. In più la ragazzina durante la sua infanzia ogni giorno a scuola ha duvuto sopportare i soprusi dei bulli che la prendono in giro per il suo fisico deforme. Oggi purtroppo Jordan è talmente debole da non poter frequentare la scuola, studia dunque a casa ed ha deciso di aprire un blog in cui raccontare la sua malattia e dimostrare al mondo di essere una ragazza normale e non un mostro da cui stare lontani. Il suo scopo è dimostrare ad altri ragazzi della sua età che la diversità non è un male.

Aveva quattro anni quando hanno scoperto la sua malattia

Jordan aveva quattro anni quando i suoi genitori, Gordon e Sheila, hanno notato per la prima volta delle protuberanze sulle articolazioni. Un anno dopo la piccola si è dovuta sottoporre alla sua prima dolorosa operazione per rimuovere la ricrescita ossea. Da allora ha sviluppato decine e decine di escrescenze che sono cresciute dopo l’operazione. Una semplice botta ad un braccio o un urto alla gamba possono provocare la fuoriuscita di protuberanze visibili dall’esterno. Per lei camminare o respirare diventano un’azione dolorosa e complicata. Spesso appena si sveglia non riesce a respirare perchè le ossa che fuoriescono comprimono muscoli e tendini.

Il blog per aiutare altri come lei

Nonostante il suo dolore ha scelto di aiutare altri ragazzi e bambini che sofforno della stessa malattia, vuole dimostrare loro che non sono soli. Nel suo blog http://souldert.blogspot.co.uk/ Jordan li esorta a leggere la sua storia per cogliere, nonostante la grave malattia, la bellezza della vita, per essere felici delle piccole cose. La ragazzina nei diversi posti racconta la sua esperienza e scrive delle prese in giro e degli sguardi che solitamente le rivolgevano i compagni a scuola. Racconta tutto ciò per dare fiducia ad altri come lei, li esorta a non farsi abbattare dalle prese in giro di persone che non capiscono e non comprendono la loro sofferenza.

10 marzo 2014

FONTE: donna.fanpage.it
http://donna.fanpage.it/a-16-anni-combatte-con-il-sorriso-una-rara-malattia-che-le-provoca-escrescenze-sul-corpo/


Leggendo questa storia, due cose emergono immediatamente all'occhio: da una parte la positività, la determinazione, la voglia di vivere e di rendersi utile di questa ragazza 16enne, Jordan Dali, affetta da una patologia estremamente rara.... dall'altra, quella triste realtà presente un pò in tutte le scuole che è il bullismo, ovvero subire prepotenze e canzonature varie, che, nel caso specifico di Jordan, sono causate delle deformazioni ossee innescate dalla sua malattia.
Fortunatamente, è il caso di dirlo, Jordan sa reagire col sorriso a questo tipo di provocazioni e forse proprio da queste è nata l'idea del suo blog, per aiutare altre persone come lei che magari subiscono lo stesso tipo di prepotenze. Onore e merito a questa ragazzina quindi, che dimostra una maturità ben superiore a quella della sua età anagrafica, ed è capace di apprezzare ogni aspetto della vita, sopratutto quello delle piccole cose, le più vere e genuine. Brava Jordan!

Marco 

venerdì 11 luglio 2014

"Il mio tumore": il blog di Eleonora, la ragazza con la chemio nella borsetta

Una giovane palermitana due anni fa ha scoperto di avere il cancro. Adesso ha deciso di raccontare tutto in un blog, che dopo pochi giorni ha già superato le 10 mila visualizzazioni: "Credo che la mia testimonianza possa essere importante per chi legge"

Eleonora sorride, scrive, racconta. Soffre, si rialza, combatte, distribuisce ottimismo. I suoi sguardi non sono richieste d'aiuto, sono segnali di forza. Sempre a testa alta. Eleonora spiega a tutti come si fa. E' una ragazza sveglia e gentile. Si rende conto che la sua esperienza può essere di aiuto ad altri che sono o si potrebbero trovare nella sua stessa condizione. Così Eleonora racconta, chiarisce, puntualizza. E involontariamente risponde senza ricevere domande. Senza farlo pesare. Prende in mano la situazione, come se fosse la prima volta che si sente chiedere come stai, cosa è successo, cosa hai provato, eccetera eccetera.

Eleonora è una ragazza palermitana di 32 anni,
che durante l'inverno di due anni fa ha scoperto di lottare contro un tumore bastardo all'intestino con metastasi a fegato e polmone. Un male arrivato all'improvviso e individuato quasi per caso, e che la porta a cambiare prospettive. Sostenere infiniti cicli di chemioterapia, a collezionare interventi chirurgici, e poi esami, riabilitazioni, lunghe degenze in ospedale. Abbandonare fegato e capelli. Appendice e cistifellea. Ma mai le speranze. Chissà quante volte Eleonora si sarà chiesta "perché proprio a me?".

Poi ha capito che forse prima si accetta la realtà meglio è. "E la realtà ho deciso di guardarla in faccia", spiega lei. Perché in fondo per guarire bisogna reagire ed essere positivi. Anche per questo Eleonora ha deciso di aprire un blog e raccontare cosa gli succede passo dopo passo. Per sfogarsi e trovare conforto nelle parole di chi la legge. "Mi piacerebbe che la mia esperienza possa essere d’aiuto a qualcuno - dice Eleonora -. Una persona che ha provato su di sé una malattia come il tumore cambia visione della vita, cambiano le priorità, gli affetti, le cose essenziali e le cose superflue, che praticamente si invertono in maniera inversamente proporzionale. Ancora non posso definirmi sana nel corpo, ma nell'anima, nello spirito e nella testa lo sono. Anzi, in quelle parti di me non sono mai stata malata. E forse questo è il segreto".

Il blog si chiama http://eleonoraletiziafutura.blogspot.it/.
Qua Eleonora si definisce scherzosamente la ragazza "con la chemio nella borsetta". Posta foto, testimonianze, ricordi da bambina, schegge di memoria. Dopo pochi giorni dalla sua apertura il blog ha superato le 10.000 visualizzazioni. "Credo sia un bel risultato e ciò mi fa pensare che vi è molta richiesta di leggere e sentire messaggi di speranza e di lotta come il mio. Credo che la mia testimonianza possa essere importante per chi legge e per me che scrivo anche perché credo sia fondamentale per qualsiasi guarigione la comunicazione e la condivisione delle emozioni e delle esperienze".
Iniezioni di fiducia. Punture di speranza. Eleonora fa la diretta dall'ospedale, racconta la crudeltà della chemio, le forbici che tagliano gli ultimi capelli. La vita che si affloscia. Ma come lei stessa sostiene "è proprio quando pensi che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio". E adesso Eleonora vuole solo sorridere.

di Alessandro Bisconti

26 marzo 2014

FONTE: palermotoday.it
http://www.palermotoday.it/cronaca/blog-tumore-eleonora-marsala.html


Ho appreso la storia di Eleonora per caso, in un programma televisivo, e mi sono subito ripromesso che ne avrei parlato sul mio blog. La sua è veramente una storia di quelle da conoscere, da raccontare, per il grande coraggio che Eleonora dimostra nell'affrontare una prova durissima come quella del tumore con metastasi, vissuta con ottimismo, tenacia, speranza, e con l'intento di aiutare altre persone che stanno affrontando lo stesso tipo di prova. E con il suo blog (http://eleonoraletiziafutura.blogspot.it/), che invito tutti a leggere, lei lo fa mirabilmente, affrontando tutti quegli argomenti che possono passare per la testa e per il cuore di coloro che stanno percorrendo la sua stessa, difficile strada. 
"Giù il cappello" mi sento di dire dinanzi a Eleonora e al suo modo di affrontare questo grande tabù che è il cancro..... sopratutto per il grande coraggio e la propositività che dimostra in ogni circostanza. 
Grazie Eleonora, di tutto!

Marco

mercoledì 9 luglio 2014

Quelle malattie rare ignorate. «Vogliamo avere assistenza»


IL CASO. La protesta di pazienti e familiari ieri davanti al San Bortolo per chiedere attenzione

La sanità ne riconosce solo poche. «Ci sentiamo soli e discriminati»

Franco Pepe

Sono i malati "invisibili". Uomini e donne che si portano addosso il peso estenuante di malattie rare. Misteriose anche per i medici, diagnosticate anche dopo vent'anni, etichettate come psico-somatiche, addirittura come psichiatriche. Ne esistono 7mila ma il nostro Ssn ne ammette solo 400 ed esenta dalla spesa dei farmaci solo chi rientra in queste categorie. Malattie ignorate, negate, dimenticate. Dallo Stato, dalla Regione, dalle istituzioni. Malati costretti a vivere ai margini, a lasciare il lavoro, a vivere una vita da esclusi, a pagarsi le cure o a interromperle perchè troppo costose.
In Italia sono 2 milioni. Nel Veneto migliaia. Un mondo di fantasmi addolorati. La Regione, nel 2013, ha finalmente riconosciuto come malattia rara la MCS, la Sensibilità Chimica Multipla, con una legge, la 2 del 19 marzo, che stabiliva, entro 60 giorni dall'entrata in vigore, di individuare un centro di riferimento veneto, dare il via a un programma di formazione medica, pianificare le risorse, coinvolgere gli ospedali. Sono trascorsi 433 giorni, e quella legge di estrazione sociale resta chiusa in un cassetto: non è stata mai attuata.
I malati si sentono traditi due volte. Per questo la protesta civile di ieri mattina davanti all'ospedale. Un sit-in organizzato da quanti, malati e familiari, sono stanchi di "restare al buio" e chiedono un azione immediata che assicuri alle persone colpite da malattie rare, il 5 per cento della popolazione, assistenza adeguata e strutture protette. C'è Andrea Bezze, referente provinciale dell'Anfisc, l'associazione nazionale che rappresenta tre di queste malattie croniche e invalidanti: fibromialgia, sindrome che attacca muscoli e ossa; encefalomielite mialgica benigna, patologia che coinvolge cervello e midollo spinale; sensibilità chimica multipla, intolleranza estrema a qualsiasi composto, che costringe a restare chiusi in casa, isolati, "come ergastolani".
Ci sentiamo soli, maltrattati – si sfoga Andrea -. E' stata riconosciuta anche la ludopatia. Le nostre malattie no”. C'è Claudio Fiori di Crespano del Grappa, promotore della raccolta firme che fece da trampolino alla legge sulla MCS lasciata nel limbo: “Non ci danno nessuna risposta”. E ci sono malati e genitori ad esprimere il dramma di malattie che diventano lunga agonia. Tamara, 40 anni, di Campolongo Maggiore, ha la mascherina. Ecco Nadia, 46 anni, di Merlara: “Ci mettono in un angolo come cani”. Messaggi rivolti a chi finora si è dimostrato sordo agli appelli. “Diamo voce alle malattie del silenzio”.

13 maggio 2013

FONTE: Il Giornale di Vicenza

lunedì 7 luglio 2014

“Farò lo sciopero della fame, almeno morirò per i miei diritti. Vi prego, condividete il mio appello, aiutatemi!”


“Non posso comprarmi da mangiare, pagare l’affitto, mi tagliano continuamente la luce, mi mancano le 10 euro e vivo con quelle che mi danno i miei amici che, però, non possono continuare così, c’è crisi per tutti. Non posso continuare, per tale ragione ho deciso per lo sciopero della fame, almeno se devo morire, morirò lottando per i miei diritti”.

Due occhi stanchi, una voce fiacca. Tanta voglia di vivere e lottare, nonostante tutto. Questa è Giusy Marazia, 56 anni, leccese, soffre di MCS – Sensibilità Chimica Multipla – una patologia rara scatenata dall’esposizione agli agenti chimici e non riconosciuta dal sistema sanitario nazionale.

Giusy non ce la fa più.

Sono una disabile riconosciuta al cento per cento – racconta – ma mi passano solo 280 euro al mese
.Ho venduto appartamenti, macchine, gioielli, mobili. Non ho mai chiesto niente a nessuno. Nel 2010 mi sono ammalata ed ho dato fondo a qualsiasi risparmio ma non riesco più a vivere. Andai a curarmi a Roma da sola con l’ambulanza, tutto a mie spese.
Pensate, mi recai all’Asp per chiedere se mi aiutavano per l’autombulanza e mi hanno chiuso le porte in faccia. Ho tutto documentato, mai avuto niente
”.

Le conseguenze della patologia sono pesantissime. La signora Giusy Marazia non può entrare in contatto, ad esempio, con detersivi, deodoranti, profumi, inchiostro, farmaci e tantissimi alimenti. Ambienti e persone sono fonte di pericolo enorme, con tutto ciò che può derivarne.
Con la MCS, va ricordato, si può morire e ci sono stati diversi casi, purtroppo, di morte.

Non sto assolutamente bene, sono solo pelle ed ossa. Mi sono incatenata sotto al Comune tempo fa – commenta Giusy Marazia – ma sono stata ignorata, non è successo niente. Sto iniziando lo sciopero della fame perché ho percorso tutte le strade possibili ed immaginabili.
Speravo che mi riconoscessero una pensione adeguata o un posto di lavoro dove poter lavorare, seppur nelle mie condizioni
”.

E gli Enti locali? Il Comune? La Regione Puglia?

Il Comune mi palleggia alla Regione, la Regione al Comune ed io faccio la pallina da ping-pong
.

Oggi non posso praticamente uscire di casa e questo ha azzerato la mia vita sociale. Le istituzioni sono assenti: ho scritto a politici, al Papa, all’ex premier Enrico Letta, al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma niente. Siamo dimenticati.
Sono un pesce tirato su nella barca. Un pesce in barile
– sottolinea amaramente -, senza ossigeno. Se non me lo date, io muoio. Così tanto vale che faccia lo sciopero della fame. Nessuno mi aiuta. Cosa dico al padrone di casa? Cosa all’Enel?
”.

Non reclamo un favore, ma un diritto sancito dalla Costituzione Italiana. Lotto per sopravvivere. Questi diritti mi spettano, il diritto alla vita e quello alla salute”.

Per “tirare a campare”, Giusi se le è inventate tutte, iscrivendosi anche all’università.

Sono andata avanti iscrivendomi all’università, con la borsa di studio. Mi sono inventata qualsiasi cosa
.

Non ho più tempo – conclude -, lotto tutti giorni ma non ho più tempo. Non mi fate morire, vi prego”.


PER FARE UNA PICCOLA DONAZIONE:

Postepay: Intestata a Giuseppina Marazia – n. 4023 6006 6432 3161


di Paolo Borrometi

5 luglio 2014

FONTE: laspia.it
http://www.laspia.it/faro-sciopero-fame-almeno-moriro-per-i-miei-diritti-vi-prego-condividete-mio-appello-aiutatemi/


E' davvero incredibile che una persona, per farsi ascoltare, debba arrivare a tanto, debba arrivare a fare lo sciopero della fame! Ma è mai possibile una cosa del genere? E' possibile che si lasci una persona malata (con invalidità del 100%), sola, abbandonata a sè stessa, con un reddito di appena 280 euro al mese? E Giusy non chiede di essere mantenuta, ma di vedersi riconoscere, (com'è giusto che sia), un reddito che le possa consentire di vivere dignitosamente, da essere umano, oppure un lavoro che possa svolgere anche nelle sue particolari condizioni di salute, quindi in un luogo opportunamente bonificato, oppure anche da casa sua.

Non vorrei mai sentire cose come queste, persone che si incatenano davanti ai palazzi di coloro che ci governano o persone che fanno lo sciopero della fame (e mi auguro, di vero cuore, che Giusy non esageri in proposito... non deve rischiare la propria salute, già molto compromessa)..... ma mi auguro che tutto questo serva almeno a qualcosa, serva a smuovere le coscienze e a mobilitare chi di dovere per un pronto e risolutivo intervento.
La fasce deboli, malati, bambini e anziani, devono sempre venire al primo posto..... questo è quello che ci hanno insegnato i nostri anziani, e questo è quello che deve fare un paese veramente civile!

Marco 

venerdì 4 luglio 2014

Alessio, 17 anni, disabile grave: “Così sono diventato campione di scacchi”

Il ragazzo è "candidato maestro" di scacchi: Malato dalla nascita di amiotrofia muscolare spinale, non può muovere nessun arto, respira grazie a una macchina e muove le pedine comunicando con la madre

Lui si chiama Alessio Viviani, è un marchigiano di origini abruzzesi ed è un campione di scacchi che, ad appena 17 anni, è candidato maestro, uno dei titoli più prestigiosi. Fin qui nessuna notizia, se non fosse che Alessio sin dalla nascita soffre di una gravissima disabilità, l’amiotrofia muscolare spinale, che lo costringe su una carrozzina elettrica e che gli impone, per respirare, l’aiuto di un ventilatore polmonare. Si è appassionato agli scacchi quando aveva appena 5 anni e a indirizzarlo è stato il suo primo fisioterapista. “Giocare era un modo per farmi stare seduto per qualche minuto – racconta a Redattore Sociale – ed è lì che ho appreso le prime nozioni”. Poi ha prevalso l’elemento agonistico sul gioco, tanto che oggi Alessio è scacchiera di punta della sua squadra – il Nereto – per la quale milita in serie B.

Gli scacchi – spiega Alessio – sono un bellissimo gioco, fatto di strategia e intuizione. Io personalmente prediligo un approccio più creativo che analitico. Cerco il "gran colpo" sulla scacchiera, quella combinazione che si crea all’improvviso e dà il senso ad una partita intera… ma è difficile trovarla!”.
Per giocare Alessio ha bisogno di un supporto fondamentale. Non potendo muovere le braccia, comunica le mosse alla madre che poi sposta la pedina sulla scacchiera: “Giocare a scacchi è stressante – dice – e la tenuta fisica conta, eccome! Dopo 5 ore di partita ti senti davvero stremato, e non solo a livello di testa. Però debbo dire che, in generale, almeno per quel che riguarda i tornei, c’è una buona sensibilità e disponibilità degli organizzatori e degli arbitri a venire incontro alle esigenze di giocatori con disabilità. Che sono molto più di quel che si possa pensare… Peccato invece che, a livello locale, le sedi dei circoli spesso non siano in grado di accogliere ed ospitare degnamente un giocatore disabile. Troppe barriere architettoniche impediscono ancora una dignitosa accessibilità a queste strutture”.

di D. F.

6 aprile 2014

FONTE: fanpage.it
http://www.fanpage.it/alessio-17-anni-disabile-grave-cosi-sono-diventato-campione-di-scacchi/