giovedì 30 agosto 2012

Alla scoperta di Esther Vergeer, leggenda dello sport paralimpico


Sono moltissime le storie di persone che pur essendo disabili, sono riuscite ad ottenere risultati memorabili nello sport, diventando delle vere leggende per una determinata disciplina sportiva.
È il caso di Esther Vergeer tennista diversamente abile olandese indiscussa numero 1 del ranking mondiale.
Lo sport è sempre stata la sua passione, un amore che è andato ben oltre la paraplegia.
Cresciuta con la racchetta in mano, è la numero 1 del ranking mondiale dall’aprile 1999, ha vinto 42 prove del Grande Slam, 23 Tornei di fine anno e 6 medaglie Paralimpiche, di cui 5 d’oro. È considerata la giocatrice che ha maggiormente dominato uno sport. È imbattuta da 457 incontri e non subisce una sconfitta in singolare dal 30 gennaio 2003.

Esther è affetta da paraplegia da quando ha 8 anni a causa di un intervento chirurgico vicino alla spina dorsale per correggere un’anomalia alle vene che aveva dalla nascita. Le salvarono la vita, ma forse ci fu un errore. Smise di camminare, ma non di sognare: studiò, giocò, fece sport. Non si fece travolgere. “Cominciai a fare tanti sport differenti, dal volley seduti al tennis da tavolo, dalla ginnastica al tennis e, in particolare, al basket in carrozzina, quello che mi appassionava di più.” Giocò diversi anni a basket e venne invitata a far parte del team olandese di basket in carrozzina dove, con la nazionale olandese, riesce a vincere gli Europei del 1997.
Nel 1998 lascia perdere il basket e si concentra a tempo pieno sul tennis dove viene seguita dall'allenatore Marc Kalkman. Diventata un fenomeno e sceglie questo. E fa bene.
La sua prima grande vittoria fu agli US Open 1998 dove, dopo questa vittoria, passò dalla quindicesima alla seconda posizione mondiale. Nello stesso anno vince anche il Master di fine stagione. Fino al 6 luglio 2012 ha vinto 160 tornei nel singolare e 133 nel doppio, con un totale di 679 vittorie e 25 sconfitte nel singolare, e 436 vittorie e 34 sconfitte nel doppio.
Dal 2002 è stata nominata per cinque volte al Laureus World Sports Awards nella categoria Sportsperson of the Year with a Disability, riuscendo a vincere il titolo alla prima nomination e una seconda volta nel 2008.

Tornei dello Slam e Mastrer

In tutta la sua carriera ha partecipato in singolare a 21 tornei dello slam in singolare vincendoli tutti. In totale nei tornei dello Slam ha vinto 9 volte gli Australian Open, 6 volte l'Open di Francia e 6 volte l'US Open.
Nel doppio ha vinto 7 Australian Open, 5 Open di Francia, 3 Wimbledon, 6 US Open riuscendo a completare il Grande Slam per ben due volte nel 2009 e nel 2011, risultato che non le è permesso ottenere nel singolare vista l'inesistenza di un torneo a Wimbledon. Inoltre con la vittoria della medaglia d'oro è riuscita a totalizzare il Grande Slam d'Oro.
Se si fa un confronto globale nel tennis solamente due donne hanno vinto un numero maggiore di slam rispetto a Esther Vergeer, ovvero Margaret Smith Court (64 vittorie) e Martina Navrátilová (59 vittorie).

Nei master ha vinto un totale di 23 tornei di fine anno, 14 nel singolare e 9 nel doppio. Nel singolare ha vinto tutte le edizioni a cui ha partecipato, ovvero dal 1998 al 2011. Nel doppio non ha vinto il titolo in tre occasioni nel 2000, 2004 e 2010, ma può vantare però, come detto, nove titoli in dodici partecipazioni.

Paralimpiadi


Nel 2000 partecipa ai Giochi paralimpici di Sydney dove vince due medaglie d'oro, nel singolare vince il torneo senza mai perdere un set e nel doppio vince in coppia con Maaike Smit.
Nelle paralimpiadi 2004 ottiene nuovamente la doppia medaglia d'oro, mentre nei Giochi paralimpici di Pechino vince la medaglia d'oro in singolare e quella d'argento nel doppio.
In totale può quindi vantare 5 medaglie d'oro e una d'argento su sei tornei sommando singolo e doppio.
Esther partecipa come stella indiscussa anche alle odierne paralimpiadi di Londra, dove tenterà l’impresa di conquistare altre due ori per migliorarsi ancora.


In realtà la sua vittoria più grande Esther l’ha già ottenuta: quella di dimostrare al mondo intero che convivere con la paraplegia è possibile anche senza dover abbandonare le proprie passioni.

Esther, oltre a raccogliere numerose coppe e medaglie per le sue vittorie sportive in ogni parte del mondo, ha anche istituito una fondazione, la “Esther Vergeer Fondazione
. Questa fondazione si occupa di avvicinare e familiarizzare i bambini disabili allo sport. Esther Mytylschool organizza giornate sportive e lascia che i bambini vivano lo sport come puro divertimento, nonostante i problemi legati alla propria condizione fisica.

FONTI: wikipedia.org, lottimista.com, technogym.com, tennisticinese.ch


Sono appena iniziate le Paralimpiadi di Londra, e presento sul mio blog la storia di un vero mito dello sport paralimpico: Esther Veerger.
Penso che sia bello conoscere questi personaggi, questi uomini e donne che hanno saputo ritagliarsi successo e soddisfazioni nello sport, nonostante le proprie disabilità. Esther poi, oltre agli innumerevoli successi in campo sportivo (che si potrebbero accrescere a queste Paralimpiadi) è anche impegnata attivamente nel sociale con la sua Fondazione che si impegna ad avvicinare allo sport bambini disabili. Un esempio anche per questo.

Marco

martedì 28 agosto 2012

Paralimpiadi, a Londra s'accende la «fiamma» dello sport

Cento gli atleti italiani in gara. Da Napoli, Assunta Legnante: si cimenterà nel getto del peso

LONDRA - Lo stadio di Stoke Mandeville sarà la sede della cerimonia ufficiale dell'accensione della Fiamma Paralimpica che avverrà martedì 28 Agosto. Quattro fiamme provenienti da Londra, Belfast, Cardiff ed Edimburgo verranno unite nello stadio per formare la Fiamma Paralimpica prima della staffetta di 24 ore che terminerà il giorno dopo all'Olympic Stadium di Londra. Sir Philip Craven, presidente del Comitato Paralimpico Internazionale, ha detto: «Con l'annuncio del tragitto della staffetta della torcia paralimpica ci si sente più vicini all'inizio delle Paralimpiadi. È straordinario il fatto che cominci da Stoke Mandeville, la culla spirituale del movimento, e sono convinto che il pubblico inglese affluirà in gran numero a supporto di coloro che prendono parte alla staffetta». Il Locog (Comitato Organizzatore di Londra 2012) ha esortato oltre 15.000 autorità locali ad accendere la via verso i giochi paralimpici, raccogliendo le persone per formare alcune lanterne e partecipare ai Flame Festival o creare i propri cosiddetti eventi "Accendi una lanterna".

GLI ITALIANI IN GARA
- l’Italia sarà rappresentata da quasi 100 atleti che voleranno oltre manica per tentare di conquistare un’importante medaglia da aggiungere alle 28 portate a casa durante i Giochi Olimpici. Delle 20 discipline che si disputeranno nei prossimi giorni, gli azzurri si cimenteranno nella pallacanestro in carrozzina, nella vela, nella scherma, nel tiro con l’arco, nell’atletica leggera, nel tennistavolo, nel nuoto, nel tennis in carrozzina, nel ciclismo, nel tiro a segno, nel canottaggio e nell’equitazione. Nel tiro con l’arco saranno dieci gli atleti che scenderanno in campo: Gabriele Ferrandi e Fabio Azzolini gareggeranno nel W1 Compound nelle gare individuali, Alberto Simonelli e Giampaolo Cancelli in quelle del W2 Compound Individuale Open, mentre Oscar De Pellegrin, Mario Esposito, Vittorio Bartoli, Elisabetta Mijno, Veronica Floreno e Mariangela Perna saranno impegnati nelle gare a squadre. Sono invece undici gli azzurri che si sono qualificati per l’atletica leggera: Alessandro Di Lello e Walter Endrizzi faranno la Maratona T46, Andrea Cionna la Maratona T11/12, Alvise De Vidi i 100 metri T51, Riccardo Scendoni i 100, 200, 400 metri T44 e Davide Dalla Palma gli 800, 1500 metri T46. Tra le azzurre invece Martina Caironi sarà impegnata nel salto in lungo e nei 100 metri T42, Elisabetta Stefanini nei 100, 200, 400 metri T12, Oxana Corso nei 100, 200 metri T35, Assunta Legnante nel getto del peso e lancio del disco T11 e la cantante Annalisa Minetti nei 1500 metri T11/12.

DA NAPOLI - Originaria di Frattamaggiore è Assunta Legnante. In carriera ha vinto la medaglia d'argento ai Campionati europei di atletica leggera indoor 2002 e il titolo europeo ai Campionati europei indoor di Birmingham nel 2007. Nel 2006 si è posizionata al quinto posto ai Campionati europei di Göteborg. Soprannominata "Cannoncino" per la potenza delle braccia, la Legnante è alta 189 cm per un peso di 122 kg. Il suo miglior lancio all'aperto lo ha effettuato il 24 settembre 2006 alla Finale Oro dei Campionati italiani di società tenutasi a Busto Arsizio, è stato di 19,04 metri. Il suo miglior risultato indoor l'ha ottenuto nel febbraio del 2002 a Genova ed è stato di 19,20 metri, l'attuale record italiano. Nel 2009 ha deciso di concludere definitivamente la sua carriera a causa dall'aggravarsi dei problemi visivi (principalmente un glaucoma congenito presente fin dalla nascita) che già tempo prima le avevano fatto rischiare l'inidoneità. Il 10 maggio 2012, in una intervista, annuncia la sua volontà di raggiungere il minimo richiesto come misura per la partecipazione alle Paralimpiadi di Londra 2012, sia nel getto del peso che nel tiro del giavellotto. L'11 maggio 2012 ai campionati italiani assoluti paralimpici di atletica leggera batte il record del mondo nel getto del peso (categoria F 11-12) abbattendo il vecchio record di 11,84, per ben due volte con due straordinari lanci di 13,24 e 13,27 metri e si qualifica per le Paralimpiadi di Londra 2012. Sul numero di maggio di Comunicare il Sociale, intervistata per il reportage sul "Dopo di noi", ha dichiarato: "Nessuna ansia per la prima esperienza paralimpica, voglio arrivarci al meglio e sperare in una medaglia"

di Mirko Dioneo

27 agosto 2012

FONTE: corriere.it
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/sociale/2012/27-agosto-2012/paralimpiadi-londra-s-accende-fiamma-sport-2111581046196.shtml


Oggi martedì 28 agosto, sarà accesa la fiamma paralimpica di questi Giochi Paralimpici 2012 di Londra, che inizieranno ufficialmente domani con le prime competizioni.
Invito tutti quanti a guardare questi Giochi, trasmessi da Rai Sport e da Sky, con questi atleti, ma prima di tutto uomini e donne Veri, pieni di coraggio, volontà e determinazione, che non si sono ripiegati sulla propria invalidità o malattia, ma hanno fatto dello sport un modo per vivere pienamente la propria vita. Un esempio veramente per tutti. E con un pò di campanilismo lasciatemi dire..... FORZA ITALIA !

Marco

lunedì 27 agosto 2012

Scherma in carrozzina: Matteo Betti si racconta


Le telecamere di Ability Channel hanno intervistato Matteo Betti, campione Paralimpico della Scherma in Carrozzina durante il raduno della nazionale che si è svolto nei giorni passati presso il centro tecnico federale dell’Acqua Acetosa.

Chiediamo a Matteo Betti come mai ha iniziato a tirare in carrozzina?

“Ho iniziato a tirare di scherma nel 1991 e in carrozzina nel 2005 semplicemente perché prima non conoscevo la scherma in carrozzina e quindi la possibilità di poterla fare, una volta conosciuta ho fatto i primi campionati italiani, dopo di che non l’ho più lasciata.”

Che cosa ti è piaciuto in particolare della scherma in carrozzina?


“Innanzitutto la possibilità concreta, che prima non avevo, di partecipare a una paralimpiade e quindi raggiungere dei risultati di eccellenza, che erano un potenziale, poi certo sono stato bravo e fortunato a raggiungerli e che ho raggiunto finora e quelli che arriveranno in futuro.”

Che cosa è per te la scherma?


“Io ho iniziato a fare scherma a 5 anni, quindi non m’immagino la mia vita senza la scherma.”

Quando sei in pedana come ti concentri, come consideri gli avversari?

“Di fronte a me, penso sempre che ci siano degli atleti che daranno il 100%, e che comunque affrontare per loro un atleta italiano è sempre uno stimolo in più.”

Che cosa provi? Hai paura, hai rispetto, ci vuole un po’ d’incoscienza, di coraggio?


“Rispetto per tutti gli avversari, bisogna avere coscienza anche di chi sono gli avversari, quindi non sottovalutarli, ma nemmeno il contrario. Io paura? Ormai no, emozione ce ne stata tanta per tutte le mie prime tappe, europei, mondiali, Paralimpiadi, adesso c’è solo voglia di arrivare a quei traguardi che inseguo da tanto tempo.”

Se tu volessi lanciare un messaggio ad un giovanissimo che vuole avvicinarsi a questo sport, gli consiglieresti il tuo percorso? Che cosa dovrebbe affrontare? Quali sacrifici?

“Io ho dovuto affrontare tantissimi sacrifici, a partire da quello più grande che è l’investimento personale nel tempo che si crede giusto dedicargli, se una persona sa di avere delle potenzialità; per il resto mi sento di consigliare la scherma più di qualsiasi altro sport, perché è uno sport dove non ci si annoia.”

Si può dire che sia anche un’opportunità la scherma come lo sport in generale per integrarsi con nuove persone? Quindi fare amicizie, in genere un’attività sportiva tende poi a portarti via da quella che è la vita quotidiana, se una persona s’impegna ogni giorno con costanza sei costretto poi a rinunciare a quelli che sono poi i rapporti che ti sono più consueti?

“Se tu guardi ora dove ci stiamo allenando, siamo dentro il centro federale della nazionale assoluta normodotata e in carrozzina, per cui un altro motivo in più, per scegliere la scherma è quello che comunque le due realtà sono assolutamente coese e ben integrate, quindi l’integrazione è un cosa che noi conosciamo bene fin dal 2006 quando abbiamo fatto i primi mondiali e penso che la nostra disciplina sia una delle cose che realmente già adesso ha raggiunto questo risultato.”

Matteo, fuori dalla pedana chi sei, che cosa fai?

“Mi piace il cinema, mi piace leggere, tenermi informato leggendo giornali su internet o comunque blog, questo sono le cose che faccio fuori dalla scherma.

Si dice che ti piace molto il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick?

“E’ solamente il mio film preferito, gli altri cambiano a seconda dei periodi, il Dottor Stranamore è quello che rimane fisso sempre per me.”

C’è un motivo particolare?

“No, assolutamente però trovo che sia il film più bello, il film più bello della storia”

A scuola com’è andata?

“A scuola adesso con l’università è un momento di stasi, mi son sentito di dover interrompere, almeno per il momento, per raggiungere veramente i traguardi che mi sono prefissato, dopo di che avrò sicuramente modo e tempo di riprendere quando avrò più tempo. Io penso che se una persona deve fare una cosa con la serietà, come la sto affrontando io, ci deve mettere tutto se stesso, e quindi per il momento lo studio non riceverebbe questa serietà e allora preferisco affrontare una cosa per volta.”

Per quanto tempo pensi che sarai impegnato con questa intensità nella scherma?

“Non lo so! Sicuramente fino a Londra, dopo di che vediamo, io spero per tantissimo tempo, sicuramente fino a Londra sarò concentrato solo sull’obiettivo.”

Un giorno quando non tirerai più che cosa farà Matteo?


“Non lo so! Perché non mi sono mai trovato senza scherma, sicuramente so che tutto questo un giorno finirà e sicuramente avrò anche tempo di organizzare il mio futuro, dopo il mio presente da atleta. Mi piacerebbe rimanere nell’ambiente, perché comunque so che potrei dare molto, con il mio bagaglio di esperienza che ho fatto fino ad adesso e quello che riuscirò a fare in futuro, vedremo.”

Tu da Londra che cosa ti aspetti? Senza scaramanzie, senza scongiuri, fino ad oggi hai ottenuto dei risultati importanti, a Pechino non è andata proprio come si sperava, il 5° posto è sempre un risultato di prestigio anche se poi non è sufficiente?

“Non è sufficiente, soprattutto ad una Paralimpiade, certo mantenere fuori la scaramanzia per un atleta, per la persona che sono, è difficile. A Pechino non è andata molto bene, voglio comunque considerare che alla mia prima Paralimpiade si paga anche lo scotto dell’emozione, che non pensavo quando ho affrontato Pechino. I ragazzi me l’avevano detto e in effetti è vero, poi noi sappiamo che le potenzialità ci sono, c’è le abbiamo, noi lavoriamo tutti i giorni per tutto l’anno sapendo di avere queste possibilità, e già è un ottimo risultato, e sicuramente non è ancora abbastanza, quindi noi lo sappiamo e lavoriamo per questo.”

Che cosa stai facendo per controllare l’emozione?

“Mha, ormai, fare qualcosa in particolare niente, so che comunque, via via con le gare, affrontando tanti campionati europei, campionati del mondo, orami sono tre, tante coppe del mondo, si prende coscienza e consapevolezza che comunque diventano sempre più una bella abitudine, quindi affrontare una Paralimpiade, ora che sarà la seconda, sarà un po’ più facile.”

Spada o Fioretto?

“Io sono fiorettista, quest’anno in verità i risultati sono andati molto bene di spada e ho fatto bene di fioretto, per cui, so che questa è una grande fortuna, se una volta una gara va male nell’altra posso sempre prendere un bel risultato, quindi tutti e due.”

Il rapporto con i tuoi compagni di squadra?

“Noi siamo una grande squadra, basti pensare che questo argento che abbiamo preso a squadra, che ci ha qualificati a Londra 2012 prepotentemente, è arrivato dopo un anno in cui una squadra giovanissima formata da persone che hanno cominciato anche da poco a fare scherma è passata dal 10° posto nella classifica mondiale al 2° posto dietro la Cina che è ancora inarrivabile, per qualsiasi nazionale compresi noi. Per tutto il resto abbiamo fatto una squadra bellissima, un risultato bellissimo che non può essere solo dato dalla componente tecnica, perché c'erano squadre molto molto forti e forse tecnicamente anche più forti di noi, però noi abbiamo dimostrato di essere veramente una grande squadra.”

Ringraziamo Matteo Betti per l’intervista con l’augurio di un grande in bocca al lupo e a rivederci a Londra.

2 aprile 2012

FONTE: abilitychannel.tv
http://www.londra2012.abilitychannel.tv/video/scherma-in-carrozzina-matteo-betti-si-racconta/


Mancano solo 2 giorni all'inizio delle Paralimpiadi di Londra e trovo giusto presentare qualche atleta che parteciperà a questa grande manifestazione. Questo è Matteo Betti, campione di scherma che si racconta in questa bella intervista.

Marco

venerdì 24 agosto 2012

Io, cieca, ho ritrovato la voglia di vivere grazie allo sport

"Avevo perso il senso dello spazio e praticando il tiro arco ho potuto "sentire" l'ambiente che mi circonda ed ho imparato a rapportarmi con lui"

In questi giorni in cui lo sport, grazie alle Olimpiadi e le prossime Paralimpiadi, è sulla ribalta di tutti i media internazionali, e le imprese di questi fantastici atleti ci sembrano qualcosa di stra-ordinario, emerge con maggior più evidenza come lo sport possa essere motivo di impegno, soddisfazioni, riscatto.

Quella che vi proponiamo oggi è la testimonianza di Renata Sorba, donna cieca che ha trovato nello pratica del tiro con l'arco non solo uno sport, ma anche una sorta di "terapia" in grado di farle riacquistare la voglia di vivere e di stare bene. Di seguito, la sua lettera:

Ho 47 anni e sono affetta da sindrome di Usher di tipo 2. Soffro di ipoacusia bilaterale dalla nascita, a 30 anni si è manifestata anche la retinite pigmentosa.

Potete capire lo scoramento che mi colse quando il restringersi del campo visivo ed un precoce calo della vista mi obbligarono ad abbandonare gli sport che più ho amato: lo sci ed il nuoto. Per me, che fin da giovane avevo praticato basket, pallavolo, nuoto e sci fu un colpo durissimo. Non praticai più alcun sport sino a 7 anni fa, quando, una sera, accompagnai un amico, non vedente, ad un allenamento di tiro con l'arco.

Il primo impatto non fu favorevole, in quanto il mio residuo visivo emotivamente mi impediva di accettare l'ausilio della pedana e l'imposizione della mascherina, come da regolamento, anche perché sancivano la mia cecità, che non avevo ancora accettato.
Dopo un breve periodo, raggiunsi la cecità totale. L'accettazione di questa mia condizione risvegliò la voglia di praticare uno sport e, avendo superato le motivazioni che mi avevano reso antipatica questa disciplina, proprio ad essa mi rivolsi.
La cecità mi aveva obbligata ad acuire altri sensi come il tatto e l'udito, in un primo momento la poca sensibilità del mio udito non mi dava sicurezza, ma ho superato anche questo problema.
Avevo perso il senso dello spazio e praticando il tiro arco ho potuto "sentire" l'ambiente che mi circonda ed ho imparato a rapportarmi con lui. Inoltre, questa disciplina obbliga a mantenere una postura retta. Ciò mi ha permesso di annullare il dondolio classico dei non vedenti.

La pratica dell'arco richiede il massimo della concentrazione e la conoscenza del proprio corpo. Per poter ottenere buoni risultati la nostra mente deve essere libera da condizionamenti esterni ed emotivi. È necessario essere concentrati ed avere il totale controllo del nostro fisico.

Questo esercizio continuo mi ha consentito di ristabilire l'equilibrio tra testa e corpo e vorrei chiudere con una metafora: ogni volta che incocco una freccia nell'arco e punto sul paglione, ottengo un risultato. Poi, prima di passare alla freccia successiva, devo azzerare tutto, ricominciare da capo e mirare ad un nuovo obiettivo.
In questi ultimi quindici anni questo esercizio continuo, necessario per poter compiere gli atti quotidiani della vita, mi ha consentito di raggiungere l'attuale equilibrio e la mia serenità.

Renata Sorba

FONTE: disabili.com
http://www.disabili.com/sport/26613-io-cieca-ho-ritrovato-la-voglia-di-vivere-grazie-allo-sport


Ecco un bell'esempio di come la pratica di uno sport possa far ritrovare voglia di vivere ed equilibrio ad una persona che, a causa di una malattia o di una invalidità, rischierebbe di lasciarsi andare. In questo senso lo sport è davvero terapeutico.... e talvolta persino un vero e proprio "salvavita".

Marco

giovedì 23 agosto 2012

Georgia: Ashlyn Blocker affetta da insensibilità al dolore, una rara malattia che condanna a morte

GEORGIA – Ashlyn Blocker, 12 anni, è una ragazzina originaria della Georgia affetta da insensibilità congenita al dolore con anidrosi (CIPA), una rara malattia che condanna a morte tutti coloro che vengono colpiti. Ashlyn non avverte nessun dolore sin dalla nascita, ma ha rifiutato di soccombere passivamente alla malattia partecipando a concorsi di bellezza, suonando nella banda della scuola e aiutando altri bambini con la sua stessa malattia.

Tara e John Blocker, i suoi genitori, hanno detto che cominciarono a notare che c’era qualcosa di sbagliato nella loro bambina quando aveva otto mesi. La loro figlia non ha mai pianto quando aveva fame o aveva dermatite da pannolino. Durante una visita oculistica in tenera età il dottore aveva rilevato una grossa abrasione alla cornea e sembrava assurdo come non sentisse dolore. Da lì la diagnosi della malattia ben più rara e grave, che negli Stati Uniti colpisce 100 persone ogni anno.

Non avvertendo dolore la 12enne non può avere segnali di allarme sulla salute: ad esempio in caso di appendicite acuta non avrebbe nessun preallarme, così come in caso di ferite o infezioni. Dato che il disturbo colpisce il modo in cui i segnali viaggiano dal suo sistema nervoso centrale, Ashlyn ha lavorato con i ricercatori dell’Università della Florida per aiutare a saperne di più su dolore e nella speranza di trovare nuovi trattamenti contro il dolore cronico. Ashlyn ha anche fondato un campo estivo per gli altri bambini con CIPA con l’aiuto dei suoi genitori.

6 luglio 2012

FONTE: direttanews.it
http://www.direttanews.it/2012/07/06/georgia-ashlyn-blocker-affetta-da-insensibilita-al-dolore-una-rara-malattia-che-condanna-a-morte/

mercoledì 22 agosto 2012

E' morto il paladino dei disabili


Giorgio Ponzio si è spento a Roma. Tante battaglie per le barriere architettoniche

Senigallia. E' morto ieri mattina a 44 anni Giorgio Ponzio, esponente dell'Idv noto in città per la sua battaglia contro le barriere architettoniche. Lui che sulla sedia a rotelle era abituato a muoversi ma non per questo rassegnato dai limiti imposti dalla disabilità, si è spento nell'istituto “Regina Elena” di Roma dove lo scorso mese di luglio era stato ricoverato. Affetto dalla nascita dalla spina bifida e disabile motorio, è stato sottoposto a due interventi chirurgici. Ieri mattina, quando ancora i necrologi non erano nemmeno apparsi in città, ben 627 commenti di cordoglio hanno invaso la bacheca di facebook che Giorgio era solito aggiornare continuamente anche se, nelle ultime settimane, non aveva potuto fornire puntuali aggiornamenti dall'ospedale come avrebbe voluto. “Senigallia come barriere architettoniche ha ancora molto da dare – raccontava Giorgio Ponzio in una delle sue ultime dichiarazioni alla stampa -. Lungo Corso 2 Giugno la quasi totalità dei negozi è inaccessibile per chi come me ha difficoltà a muoversi, anche se devo dire che qualcuno ha messo una pedana di fortuna. L'estate scorsa poi, andando sul lungomare ho trovato un bar con lo scivolo per entrare, ma in corrispondenza della stessa hanno messo un tavolino che ne ostruiva l'utilizzo. Che senso ha agevolare e impedire l'ingresso in un locale nello stesso tempo? I marciapiedi hanno tutti lo scivolo anche se spesso e volentieri in corrispondenza degli stessi vengono parcheggiate autovetture che ne impediscono l'utilizzo. Io spesso mi fermo ad aspettare i proprietari e faccio notare loro la cosa ma come risposta mi dicono "scusa ma erano solo 5 minuti" ed io "sì ma per me quei 5 minuti erano importanti" mi giro e me ne vado”.
Una testimonianza di vita da disabile la sua, portata in giro per la città, dove il volto di Giorgio Ponzio era familiare a tutti i senigalliesi che spesso si fermavano a scambiare qualche parola con lui. Nonostante l'handicap era sempre in giro. Un esempio per quanti, costretti in sedia a rotelle, preferiscono rinchiudersi dentro casa. Giorgio era diverso, sempre in movimento anche se non poteva camminare. Andava anche al mare, ai Bagni Marta 55. “Giorgio grazie per tutti i momenti trascorsi quando venivi a trovarci in spiaggia – le parole dei bagnini – grazie per tutte le parole che ci scambiavamo nei momenti belli e brutti, grazie per aver condiviso con noi il tuo grande cuore e la tua grande sensibilità, grazie per essere nostro amico, non ti scorderemo mai. Un abbraccio Marta e Francesco”.
Un temperamento forte il suo che lo ha portato anche nelle scuole, dove recitava favole per bambini, tanto da diventare l'idolo dei più piccoli. Giorgio non ha mai visto la disabilità come un limite. E' stato un gran viaggiatore, girando mezza Europa e passando anche per la California e la Turchia insieme all'associazione Athla Onlus, che si occupa di organizzare viaggi per i disabili. Giorgio ha fatto anche l'interprete grazie alla sua ottima conoscenza del francese, inglese e spagnolo. L'esempio di come essere disabili non significa essere diversi.

10 agosto 2012

FONTE: Corriere Adriatico


Riporto questa notizia con qualche giorno di ritardo (e mi rammarico di ciò) e sentite condoglianze da parte mia alla famiglia di Giorgio.
Non ho sinceramente molto da dire.... tranne che chi semina bene durante la propria vita, lascia sempre un bel ricordo. E Giorgio, disabile a favore dei disabili, ha certamente lasciato un bel ricordo in tante, tante persone. E questa, forse, è davvero la cosa più bella.
Riposa in Pace Giorgio e continua a fare del Bene anche da Lassù.

Marco

martedì 21 agosto 2012

“Il mio bambino morirà se non lo portiamo in Italia”

Due torinesi in Egitto: «Non abbiamo più soldi e speranze qui»

Torino - L’idea era cambiare vita. Avere coraggio, buttarsi. Cinquantamila euro per rilevare una pizzeria sullo stradone centrale di Sharm el Sheik. Da Torino all’Egitto, tagliare fuori la crisi. È passato un anno, la pizzeria ha ingranato, ma Sara Peira e Luca Casanova sono disperati: «Nostro figlio sta malissimo. È nato con dei problemi, che poi si sono aggravati. Qui non riusciamo a curarlo, non capiamo neppure quello che dicono i medici e abbiamo esaurito la nostra disponibilità economica. Abbiamo già speso 20 mila euro in meno di tre mesi, ci serve aiuto, dobbiamo riuscire a farlo trasferire in Italia».

La malattia
I problemi di Samuele hanno nomi clinici che fanno paura: fibrosi polmonare e encefalopatia ipossico ischemica. È mancato ossigeno al cervello. La voce di Sara Peira, 28 anni, arriva dal reparto infantile del centro Dar El Fuad del Cairo, la cinica più moderna, attrezzata e cara della zona. E mentre racconta, sforzandosi di mantenere la calma, ogni tanto ha dei sussulti di ilarità nervosa: «Se non riesco a far ricoverare Samuele in Italia - dice - finisce che ricoverano anche me».
Samuele è nato il 17 maggio: «Era bello, in gran forma, quattro chili e mezzo. Ma quasi subito mi sono accorta che il suo respiro faceva come un fischietto, pensavo fosse un po’ di catarro. Per due volte sono andata dal pediatra, è il mio primo figlio e sono un po’ apprensiva. Ma mi ha tranquillizzato e rimandato a casa. Diceva che non era niente». Il 26 maggio Samuele ha la febbre alta: «Giriamo le due cliniche di Sharm, nella prima il medico non può vederlo, nella seconda lo ricoverano subito. Non mangiava, era cianotico, iniziano a fargli i controlli».

La crisi
E qui incomincia lo sprofondo. «Samuele viene intubato, ma non migliora. Il secondo giorno ci dicono che è necessario farlo ricoverare al Cairo. Organizziamo un’autoambulanza. Dobbiamo anticipare 2000 euro all’autista, cioè il guadagno medio di un mese con la pizzeria. Ovvio che li anticipiamo, per carità. Solo che durante il viaggio di sette ore, con Samuele sedato, le cose peggiorano. All’arrivo stava malissimo. Aveva crisi convulsive. Ed è a questo punto, quando gli fanno la Tac al cervello, che vedono la mancanza di ossigeno».

Il denaro

Da quasi tre mesi Samuele Canova è ricoverato. Spesso è tenuto nell’incubatrice in coma farmacologico. Respira grazie a un ventilatore. Sua madre l’ha potuto prendere in braccio soltanto pochi minuti. Suo padre continua a lavorare a Sharm per cercare di ammonticchiare un po’ di denaro. «Ma ormai il sogno è finito. Distrutto. Non ce la facciamo più. Abbiamo ricevuto aiuto dalle nostre famiglie, abbiamo speso tutti i risparmi, ora siamo a zero. E qui, ogni giorno, prima di salire in reparto, bisogna passare negli uffici amministrativi. Alla cassa. È una clinica molto americana, ma non ci sono alternative. E noi stiamo impazzendo...».
Ieri mattina stavano cercando di organizzare il viaggio di ritorno. Ma prima è necessario fare una tracheotomia per «mettere in sicurezza» il respiro di Samuele. «Mi hanno chiesto altri 65 mila pound, circa 10 mila euro, ma non li abbiamo. Chiediamo aiuto al ministero degli Esteri, all’ambasciata, a chiunque. Samuele deve essere curato in un ospedale italiano».

La paura
Giorni da incubo. I genitori non riescono neanche a capire bene le conseguenze che potrebbe portare nella vita: «È difficile spiegarsi in inglese... Io non capisco neanche cosa ha davvero il mio bambino».
Sul profilo Facebook di Sara Peira, che qui aveva frequentato l’istituto alberghiero Colombatto e gestito un locale che si chiamava «Miseria e nobiltà», ora c’è scritto: «Non chiedetemi amicizia. Sono piena di problemi».

di Niccolò Zancan

14 agosto 2012

FONTE: la stampa.it
http://www2.lastampa.it/2012/08/14/cronaca/il-mio-bambino-morira-se-non-lo-portiamo-in-italia-7DX6peeva0GrJ3QNXh8nVK/index.html


Gran brutta storia, che mi auguro abbia una pronta risoluzione.
Tanta solidarietà e auguri da parte mia al piccolo Samuele e alla sua famiglia, con l'augurio che tutto si possa risolvere per il meglio e in tempi strettissimi, per il bene del bambino che deve essere posto al di sopra di ogni cosa.

Marco

domenica 19 agosto 2012

L'incredibile storia di Bethany Hamilton, la surfista con un braccio solo


E’ forte, è bella, è giovane (22 anni), è una surfer di livello mondiale. E ha un braccio solo.

Bethany è nata alle Hawaii e vive con i suoi due fratelli nella baia di Kauai. Ha iniziato a fare surf prima che a camminare, ereditando la passione da entrambi i suoi genitori, surfisti provetti. A otto anni era la più forte surfista under16 dell’isola, a 12 era la più forte surfista under16 dell’arcipelago, destinata a diventare la numero uno assoluta in pochissimo tempo.

Bethany aveva una capacità innata e non comune: fluidità, equilibrio, unita a una grande sensibilità nata dalla sua capacità di sapere interpretare l’onda, intuendo il suo ‘gas’, la sua evoluzione. Un dono naturale incentivato da allenamenti di 5-6 ore che Beth dedicava quotidianamente alla tavola. La sua passione era il mare aperto perché quando vivi in un posto benedetto come le Hawaii la tentazione di vivere il mare nella sua completezza è troppo forte.

Ma a soli 13 anni l’elemento naturale di Beth si scatena contro la ragazza: alle 7.30 del mattino, dopo quasi un’ora di allenamento, Beth sta prendendo fiato sulla tavola con il braccio sinistro accoccolato sull’acqua. Uno squalo tigre di 8 metri la attacca, le strappa il braccio all’altezza della spalla e la trascina sul fondo. Due centimetri più in là e Beth sarebbe morta: la ragazza scalcia lo squalo sul muso e il bestione si allontana. Lei si arrampica fino alla tavola e chiede aiuto: sviene. Arriva in ospedale incosciente e quasi dissanguata, ha perso il 65% del suo sangue ma per il braccio non c’è niente da fare. La ferita viene ricucita, il moncone amputato.
Pochi giorni dopo un grosso squalo tigre viene catturato nei pressi dello stesso spot, ma non vi è certezza che sia lo stesso squalo che l’aveva attaccata.

Otto giorni dopo Beth è sulla spiaggia, due settimane dopo è sul surf a capire come mantenere l’equilibrio con un braccio solo: rinforza la sua muscolatura in modo asimmetrico per dare consistenza dove c’è bisogno e resetta tutto quello che aveva imparato per riprogrammare allenamenti, stile e sensibilità.
Gli sforzi sono grandissimi, Beth ha dovuto creare e imparare a utilizzare una tavola speciale, un po' più lunga e bilanciata diversamente. Ma quando il cuore ti dice ciò che è giusto fare così, non esistono ostacoli.

Nel 2004 Bethany vince il Best Comeback Athlete ESPY Award. Nel 2005 ottiene il primo posto nel National Scholastic Surfing Association. Nel 2008 inizia a gareggiare nella Association of Surfing Professionals, coi migliori surfisti del mondo e arriva seconda. E questi sono solo alcuni dei risultati che ha ottenuto.

Il suo libro, “Soul Surfer” è diventato un besteller e nel 2011 è stato realizzato anche un film nel quale la giovanissima Anna Sophia Robb interpreta il ruolo di Beth mentre Dennis Quaid ed Hellen Hunt sono i suoi genitori.

Ai giornalisti che le chiedevano se era orgogliosa di quello che aveva fatto, e di essere lo spunto per un film, Bethany ha risposto con grande maturità: “Cosa dovrei fare… ringraziare lo squalo perché mi ha fatto diventare forse anche più famosa di quello che potevo essere diventando una surfista? Non sono orgogliosa né del film, né del fatto che mi chiedano di posare per una linea di abbigliamento o di firmare un profumo. Sono orgogliosa di essere quello che sono, e sono felice di poter vivere la mia vita con pienezza. Invito tutti i ragazzi che vivono un’esperienza traumatica come la mia, qualunque essa sia, a fare quello che ho fatto io: zittire la rabbia e dare sfogo alla propria energia positiva. Volevo solo fare surf, lo avrei fatto anche con una gamba sola e se non avessi avuto le gambe avrei trovato il modo di fare surf sulle braccia…”.

FONTI: vip.it, surfcorner.it, wikipedia.org


Dopo la storia di Philippe Croizon, un uomo senza arti che attraversa a nuoto lo stretto di Bering, pubblico ora la storia di Bethany Hamilton, surfista di livello internazionale che pratica lo sport che tanto ama senza un braccio!
A parte l'oggettiva difficoltà che si deve affrontare nel praticare uno sport come il surf
(in cui l'equilibrio è fondamentale) senza un braccio, ciò che stupisce veramente della sua storia, è il fatto che questo arto le è stato mutilato da uno squalo, e sopratutto di come Bethany si sia ripresa dall'incidente e dallo shock subito in tempi brevissimi e con coraggio e determinazione straordinari abbia ripreso a praticare il suo sport del cuore, con risultati eccezzionali considerando la sua menomazione.
C'è veramente di che rimanere ammirati di fronte alle storie di queste persone.... io perlomeno non posso non esserlo. Forse quando ci sentiamo scoraggiati davanti a certe avversità che si pongono dinanzi alla nostra vita, dovremmo per un attimo riflettere sulle storie di queste persone.... e chissà che il tutto non inizi ad apparirci sotto una forma ben diversa.

Marco

sabato 18 agosto 2012

L’uomo senza arti che nuota nello stretto di Bering

Il nuovo record di Philippe Croizon

Impresa davvero sovrumana del francese Philippe Croizon il quale, pur essendo privo di tutti e quattro gli arti, e’ riuscito a coprire a nuoto le 2 miglia nautiche e mezza, circa 4 chilometri, che attraverso la Linea Internazionale del Cambiamento di Data separano le isole di Ignaluk e Imaqliq, note anche come Little Diomede e Big Diomede, nel bel mezzo dello Stretto di Bering, uno dei tratti di mare piu’ gelidi e burrascosi al mondo. In tal modo il 44enne disabile ha idealmente collegato l’Alaska e la Siberia, cui rispettivamente appartengono gli isolotti, e dunque l’America e l’Asia.

E’ POSSIBILE – Croizon ha cosi’ completato il suo piano che, negli ultimi tre mesi a partire da maggio, lo aveva visto nuotare dalla Nuova Guinea all’Indonesia, collegando Oceania e Asia, poi attraverso il Mar Rosso, dal Sinai egiziano al porto giordano di Aqaba, dunque tra Africa e Asia; e infine nello Stretto di Gibilterra, dal Marocco alla Spagna, unendo Africa ed Europa. Non un exploit, ha tenuto a precisare, piuttosto un messaggio per tutti i portatori di handicap. “A loro dico, ‘Qualsiasi cosa e’ possibile, qualunque cosa puo’ essere compiuta quando si possiede la volonta’ di andare oltre se stessi’. Siamo tutti uguali, disabili e non disabili, su tutti i continenti”.

IL RECORD – Per realizzare il suo straordinario record Croizon e’ stato aiutato dal connazionale Arnaud Chassery, 35 anni, specialista del gran fondo. “Ce l’abbiamo fatta!”, ha esultato al termine di una nuotata durata circa un’ora e 20 minuti. “La piu’ dura della mia vita”, l’ha definita, a causa soprattutto delle fortissime correnti che imperversano nelle fredde acque dello Stretto di Bering. Il coraggioso nuotatore ebbe gambe e braccia amputate nel 1994, dopo essere stato fulminato da una scarica elettrica da ben 20.000 volt mentre stava tentando di rimuovere da un tetto un’antenna televisiva. Per spostarsi in acqua utilizza comuni pinne, fissate alle quattro protesi che gli sono state impiantate. (AGI)

18 agosto 2012

FONTE: giornalettismo.com
http://www.giornalettismo.com/archives/457649/luomo-senza-arti-che-nuota-nello-stretto-di-bering/


Notizia davvero impressionante, che riporto con molto piacere sul mio blog. Philippe Croizon del resto, non è nuovo a imprese "titaniche" come queste, ma al di là del valore intrinseco dell'impresa (grandissima), c'è sopratutto il valore del messaggio che rivolge a tutte le persone invalide:
"A loro dico, ‘Qualsiasi cosa e’ possibile, qualunque cosa puo’ essere compiuta quando si possiede la volonta’ di andare oltre se stessi’. Siamo tutti uguali, disabili e non disabili, su tutti i continenti".
Un esempio di forza, coraggio e perseveranza per tutti.

Marco

giovedì 16 agosto 2012

Roberto Valori: a forza di bracciate, dallo Stretto di Messina all'Olimpo del nuoto

Storia di tuffi e di vittorie, quella di Roberto Valori, veterano del nuoto paralimpico, campione dei 100sl e dei 50sl. In acqua dai 6 anni, ha scalato le vette del successo sportivo. Oggi, che è al vertice della FINP, non smette di porsi traguardi. Il primo in ordine di tempo è la patente di guida. Il secondo, da consegnare alla storia, è l'ingresso nella FIN, ma dalla porta principale.

ROMA - E' nato a Roma, in una calda giornata di fine luglio del 1963, Roberto Valori, quando le ecografie in gravidanza, per fortuna, erano ancora in una fase pionieristica di sperimentazione, e per l'impiego di massa avrebbero dovuto attendere ancora un decennio. All'epoca, i bambini nascevano gravemente malformati. A Roberto, mancavano le due gambe, ed il braccio sinistro. Caratteristiche che non gli hanno risparmiato sofferenze nel confronto con i coetanei, ma che Roberto, forte di una famiglia attenta e amorevole, e della sua personalità, ha saputo valorizzare comunque nella vita d'atleta, di grande agonista quale è stato. Sue tre edizioni dei Giochi Paralimpici (Toronto, Barcellona, Atlanta), più un Mondiale. Nel 1990, alle competizioni iridate di Assen, in Olanda, si mette al collo un oro nei 100sl e nella staffetta con gli amici Antognazza, Giussani e Pancalli, ed il bronzo nei 50sl. Ai Giochi Estivi del 1992, a Barcellona, la consacrazione nell'olimpo degli atleti disabili, con il bronzo nei 100sl, "in 1'29"65 - ricorda Valori -, quasi due secondi in meno del record del mondo che avevo segnato in batteria la mattina stessa, ma che non mi permise di andare oltre il terzo posto. Comunque ebbi la soddisfazione di scendere sei secondi sotto Assen".

Roberto Valori e l'acqua. Quando è cominciato questo connubio?
Un medico lungimirante mi consigliò di fare nuoto. Era il 1969, io camminavo in ginocchio, ho imparato a farlo subito, con la stessa naturalezza con cui un bimbo impara a stare in piedi, anche se da quattro anni avevo due protesi INAIL, fatte al Centro Vigorso di Budrio, che però mi raschiavano, mi tagliavano e mi facevano soffrire moltissimo. In piscina mi seguiva Giovanni Psiche, un reduce di guerra che aveva perso l'uso delle gambe. L'ho conosciuto al Santa Lucia quando ancora non era un centro cosi' grande. Le prime volte mi mise la ciambella e mi imbottì di galleggianti. Poi pian piano prendevo confidenza con l'acqua e i braccioli diminuivano. Imparai a muovere bene l'unico braccio. L'acqua era diventata il mio ambiente ideale

Il primo ricordo indelebile della tua vita sportiva
Sicuramente quando nel 1976 arrivai a Toronto, alle Olimpiadi per Handicappati, si chiamavano così, il termine ‘paralimpico' non esisteva affatto. Avevo 13 anni, ero il più piccolo tra tutti gli atleti. Per questo ricevetti anche una medaglia d'oro dal Console italiano, che sopra fece incidere "A Robertino". Fu un regalo graditissimo. Quella era la prima volta che dormivo fuori di casa. Mi ci portò Giovanni, anche se la mia categoria non esisteva. Mi fece gareggiare in quella superiore, per dimostrare al mondo che si poteva nuotare anche nelle mie condizioni

Come andò?
Arrivai in finale con l'ottavo tempo. Poi migliorai di tre posizioni, finendo quinto e siglando il record italiano

Ti senti in credito con la tua carriera sportiva? Pensi che avresti meritato di più?

Sicuramente ti riferisci alla medaglia d'oro paralimpica. Vabbè, certo, quello è stato un dispiacere puro, lo ammetto. Ma dal 1988 al ‘96, quando ero più maturo dal punto di vista sportivo, ho dato tutto per cercare di vincerla. Se ho vinto il bronzo a Barcellona, di più vuol dire che non potevo dare. Era il mio massimo

Al di là dell'agonismo, quali altri momenti della tua vita ti hanno lasciato il segno, a parte tua moglie Monica e le tue figlie Camilla e Viola, che dici sempre essere le tue medaglie più belle?

Mi viene in mente la volta che ho attraversato lo Stretto di Messina a nuoto. Era il 1987. E' stata la mia sfida con il mare. Ricordo una giornata di sole abbagliante, un'acqua calda. Ricordo un pescatore locale che prima di partire mi fece mangiare un sacco di arance, diceva che mi avrebbero fatto bene. E così è stato, ancora ne ricordo il sapore dolcissimo. Poi le mogli dei pescatori, che all'arrivo toglievano con l'acqua fredda delle pompe il grasso d'oca che mi ero spalmato per non sentire freddo in acqua. Un'esperienza indimenticabile

Ed il momento più significativo della carriera?
Ai Mondiali di Assen, senza dubbio. L'Olanda mi appariva come il paese delle meraviglie. Una grande civiltà, un posto senza barriere, con una radicata cultura dell'integrazione e dell'accoglienza. Nessuno dei bambini presenti attorno alle vasche si stupiva delle nostre disabilità. Per loro eravamo perfettamente normali. Poi, ripensando ad Assen, mi piace ricordare che in quel tempo CT nazionale era Franco Riccobello, che oggi è Segretario Federale della FINP.

La FINP, appunto, e la tua nuova avventura al suo vertice, come Presidente. Quanto ci hai messo in termini di passione, di esperienza?

Tanto, ovvio. La nascita della Federazione, diciamolo, è stato un approdo naturale. Anche il CIP, non è nato nel 2005, ma è stato pensato e preparato molto prima. Già dal 1996 lo pensavamo, con Luca Pancalli, ed è nato quando già avevamo 9 anni di dirigenza alle spalle. Devo ringraziare la scelta strategica di creare i Dipartimenti sportivi, all'interno del Comitato. Quella è stata tutta esperienza maturata che ci ha permesso di costruire e gestire, oggi, la complessità di una vera Federazione sportiva

La FINP vanta un'età media degli atleti bassissima, e sta raccogliendo frutti con talenti molto giovani. Segno di una meticolosa programmazione.
Devo ammettere che abbiamo una fortuna, rispetto alle altre discipline sportive: i bambini ce li buttano in acqua, come dico sempre io. Il nuoto è considerato propedeutico e riabilitativo, quando si ha una disabilità. Ma abbiamo anche il merito di saper radunare tutti questi giovani nei diversi stage che facciamo e a cui partecipano ragazzi da tutte le società sportive italiane. Grazie al nostro staff tecnico nazionale, guidato egregiamente da Riccardo Vernole, il movimento sta crescendo moltissimo. Il prossimo stage con i piccoli nuotatori sarà presumibilmente a Brescia subito dopo i dopo i Giochi di Londra.

Sogni per il futuro, cose non ancora realizzate?
La prima è guidare, ma mi sto attrezzando, la patente di guida dovrei prenderla a breve. Il mio desiderio più grande, però, è che si riesca un giorno a ottenere un'integrazione vera con la Federazione madre, la FIN. E che questa sia una scelta condivisa, consapevole, non solo una strategia del governo mondiale degli sport paralimpici. Questo è il mio sogno: che noi, che abbiamo cominciato come ‘handicappati' a bordo dell'Hercules C130 dello Stato Maggiore, perché l'ANSPI non poteva permettersi il biglietto aereo per mandarci a gareggiare, entriamo di diritto, e come parte integrante, nel movimento olimpico. Sarebbe la giusta conclusione di un lungo viaggio, durato quarant'anni, che aveva come meta la piena integrazione. (a cura del Cip)

13 agosto 2012

FONTE: superabile.it
http://www.superabile.it/web/it/Paralimpiadi_2012/News/info530408634.html


Sono appena terminate le Olimpiadi di Londra, con grande spiegamento di mezzi e grande coinvolgimento di pubblico (e con l'Italia che si è fatta valere su tanti fronti).... ma la mia attenzione si volge alle Paralimpiadi che inizieranno a giorni, precisamente il 29 agosto.
E' mia intenzione dedicare su questo blog qualche bell'articolo su atleti disabili che parteciperanno a queste Paralimpiadi o che hanno partecipato in altre edizioni precedenti. Roberto Valori, il protagonista di questa intervista, è uno di questi, avendo partecipato a diverse edizioni di Giochi Paralimpici (o Olimpiadi per Hanicappati come venivano chiamate una volta) nel recente passato, ed oggi è Presidente della FINP (Federazione Italiana Nuoto Paralimpico).
Le storie di questi uomini possano essere di esempio e di sprone a tutte le persone con delle disabilità, affinche ciascuno non si arrenda ai propri limiti, ma ognuno possa trovare la propria strada nella vita, da percorrere con coraggio e determinazione. Perchè una strada, un percorso di vita c'è per tutti.

Marco

martedì 14 agosto 2012

Goletta verde analizza le acque italiane: il mare è inquinato ogni 62 Km. Maglia nera a Calabria, Liguria e Campania

Centoventi punti inquinati, uno ogni 62 km di costa: sul podio del mare meno pulito salgono, nell'ordine, Calabria, Liguria e Campania mentre le acque piu' incontaminate sono quelle di Sardegna e Toscana. Sono i risultati del laboratorio mobile di Goletta Verde di Legambiente, che quest'estate ha condotto 205 analisi microbiologiche scoprendo ben 100 prelievi fortemente inquinati, con concentrazioni di batteri di origine fecale pari ad almeno il doppio dei limiti di legge. L'86% dei campioni "positivi" sono stati prelevati alle foci di fiumi, torrenti e canali, ma anche nei pressi di scarichi di depuratori mal funzionanti.

Come lo scorso anno, guida la top del mare meno pulito la Calabria, con 19 punti (uno ogni 38 km di costa) su un totale di 24 campioni prelevati. Al terzo posto la Campania con 14 prelievi fuori norma su 20 (uno ogni 34 km di costa): la regione campana quest'anno cede il secondo posto alla Liguria che guadagna in negativo ben 3 posizioni rispetto allo scorso anno, con 15 punti inquinati su un totale di 18 e una media di un campione inquinato ogni 23 km di litorale. Il Lazio conferma la quarta posizione dello scorso anno con 13 punti inquinati su 15, uno ogni 28 km di costa. Le migliori performance sono quelle di Sardegna e Toscana, seguite dall'Emilia Romagna: l'isola con un solo punto critico ogni 433 km di costa precede la Toscana, che ne conta uno ogni 200 km, e l'Emilia Romagna, dove i biologi di Goletta Verde hanno registrato solo un valore fuori norma in tutta la costa. Anche il Veneto e' risultato in buona salute con un solo campione risultato fortemente inquinato, prelevato alla foce di un fiume, in tutti i suoi 159 km di costa. "Sul banco degli imputati - secondo Legambiente - la mancata o inadeguata depurazione dei reflui fognari che, stando alle nostre elaborazioni su dati Istat, riguarda ancora 24 milioni di abitanti, che scaricano direttamente in mare o indirettamente attraverso fiumi e canali utilizzati come vere e proprie fognature". Le regioni peggiori per numero di abitanti senza adeguata depurazione sono Sicilia (quasi 4 milioni e mezzo), Lazio (piu' di 3 milioni) e Lombardia (quasi 3 milioni).

Un problema ambientale e sanitario che sta per diventare anche economico - con multe milionarie - vista la condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia europea
arrivata a fine luglio perche' 109 agglomerati urbani medio grandi, distribuiti in 8 regioni, non si sono ancora adeguati alla direttiva europea sul trattamento delle acque reflue. Sono Sicilia e Calabria a ospitare il maggior numero di comuni fuori legge: 59 comuni siciliani (pari al 54% del totale dei comuni oggetto nella sentenza) e 18 calabresi (pari al 17% del totale). A seguire Campania (con 10 comuni) e Liguria (9). "Alla mancanza cronica di impianti di depurazione - denuncia Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente - soprattutto da parte dei comuni dell'entroterra, si aggiunge anche il carico inquinante dei reflui non adeguatamente trattati dagli impianti in attivita': una situazione davvero imbarazzante che va sanata una volta per tutte". Quest'anno il monitoraggio di Goletta Verde e' stato condotto anche grazie alle numerose segnalazioni arrivate da cittadini e bagnanti grazie al servizio SOS Goletta, che hanno contribuito per circa il 50% dei campionamenti effettuati in tutta Italia.

14 agosto 2012

FONTE: affaritaliani.libero.it
http://affaritaliani.libero.it/cronache/goletta-verde140812.html?refresh_ce

domenica 12 agosto 2012

Quando il corpo va in "Tilt"

Inizia come un'allergia. Diventa un'irritazione cronica nei confronti di ciò che ci circonda. Si chiama MCS, Sensibilità Chimica Multipla ed è stata definita "l'allergia del secolo": una malattia immunotossica causata dall'inquinamento e dall'esposizione ai prodotti chimici di sintesi, che colpisce migliaia di persone ma di cui non si parla. E costringe i malati a inventarsi una nuova vita


Inizia come un'allergia. Un naso "da segugio", ipersensibile. Diventa un fastidio continuo alla pelle, alle vie respiratorie. Un'irritazione cronica nei confronti di ciò che ci circonda. Si chiama MCS, Sensibilità Chimica Multipla ed è stata definita "l'allergia del secolo": una malattia immunotossica causata dall'inquinamento e dall'esposizione ai prodotti chimici di sintesi, che colpisce migliaia di persone ma di cui non si parla. Quando è in stato avanzato diventa una sorta di personale intolleranza al mondo. Nella sua fase iniziale, viene anche definita Tilt - Toxicant induced loss of tolerance (perdita di tolleranza indotta da sostanze tossiche) a sottolineare il "punto di non ritorno" che il nostro organismo raggiunge.
In Italia, secondo i dati dell'associazione "Amica
" (Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale) che riunisce e assiste le persone che ne sono affette, è stata diagnosticata a circa cinquecento persone. Ma i casi reali sarebbero molti di più: "E' una patologia "negata", non riconosciuta", dice Caterina Serra, giovane scrittrice e autrice di "Tilt", un romanzo-inchiesta edito da Einaudi che raccoglie le storie di vita di persone affette da MCS. "Solo 4 medici in tutta Italia la diagnosticano". Perché? "In genere viene scambiata per un'allergia cronica, asma, un problema del fegato, stanchezza cronica, addirittura problemi mentali". E' difficile accettare, credere che il mondo in cui viviamo diventi "ostile". Eppure le sofferenze, gli shock sono reali. I malati invecchiano precocemente. Muoiono per l'impossibilità di usare farmaci anche banali. Un'intolleranza alle sostanze chimiche industriali è un'intolleranza a tutto: niente profumi, macchine, vestiti, vernici, utensili, solventi. Il cibo? deve essere rigorosamente "bio". Le vesti, in fibra naturale. E anche l'aria, soprattutto l'aria, può far male. "Solo studiando come vivono loro ci si rende conto di quanto la chimica sia presente in ogni oggetto delle nostre vite: leggono libri speciali perché l'inchiostro è pericoloso, una cintura di cuoio può dargli uno shock perchè trattata con solventi".
"Convivo con questa malattia da vent'anni" spiega Anna, il nome è di fantasia, "mio marito ne è affetto: abbiamo comprato una casa davanti al mare perché potesse viverci: quando sta sottovento non gli arrivano odori. Per andarlo a trovare mi devo fare una doccia ore prima, non entrare in contatto con nessuno, indossare dei vestiti che mi dà lui".
La malattia è degenerativa, non ha cause facilmente classificabili, colpisce sempre in maniera diversa da caso a caso. Tutti elementi che la rendono poco classificabile e ancor meno curabile con la medicina tradizionale. "Queste persone sono terribilmente sole" spiega Serra, "Ma riescono a formare una rete, a condividere le loro esperienze e le strategie di cura e disintossicazione. Si vedono anche come soggetto politico: si battono perché la loro condizione venga resa nota, riconosciuta". Per incontrarli Caterina ha dovuto agire come loro, con estrema attenzione ai vestiti e agli oggetti che indossava, senza profumo per non irritarli. "Vivendo come loro ho iniziato a notare molto più gli odori, le sostanze chimiche in cui siamo immersi senza rendercene conto". A suo modo, la "disintossicazione" necessaria e le strategie messe in atto dai malati di MCS per "vivere" e non semplicemente "sopravvivere" possono far scoprire nuove facce del nostro mondo. Nella necessità si aguzza l'ingegno, si forma il carattere, si cerca di imparare dalle esperienze di chi è come te, di chi ci è già passato. "Proprio perché è così difficile avere una vita 'normale', queste persone hanno vite, interessi e un modo di vedere le cose straordinario. Inventano ogni giorno un modo nuovo di adattarsi all'esistenza". "Possiamo imparare molto, è come se ci avvertissero: occhio, non si può giocare troppo con la natura. Si definiscono 'canarini da miniera', come se avessero una visione più ampia, pur essendo in gabbia".
Pur non trovando una risposta nella medicina, esistono terapie e studiosi che si sono occupati di MCS. I principali centri di ricerca e disintossicazione sono a Dallas, dal dottor William Rea, o in Germania nella clinica universitaria di Friburgo. Le cure sono costose e ogni malato, mai come in questo caso, è "storia a sé". Eppure la comunità degli affetti da MCS non è afflitta nè senza speranza. Anzi, la mancanza di "esperti" fa sì che fondamentali si rivelino le comunità di aiuto, i consigli da paziente a paziente, l'ascolto reciproco. Perché alla fine vivere è tutto ciò che conta, come dice una delle persone intervistate da Caterina nel suo libro, con ironia: "Sono deodorata, decolorata, sprofumata, ripulita, struccata, degassata, svuotata, decontaminata, disintossicata... Malata, viva".

di Emanuele Rossi

26 ottobre 2008

FONTE: mytech.panorama.it
http://mytech.panorama.it/Quando-il-corpo-va-in-Tilt


Articolo del 2008, molto bello ed esauriente sul "mondo" dei malati di MCS, che merita di essere letto.
Voglio a questo proposito, fare i miei più sinceri ringraziamenti a Caterina Serra per essersi interessata a questo mondo, quello dei malati di MCS, così nascosto nella nostra società, ma formato da persone Vere con una straordinaria capacità di adattamento ad ogni situazione.... persone che si devono inventare ogni giorno una vita diversa per poter sopravvivere, ma che nonostante questo non si tirano mai indietro e vivono la propria vita con grande coraggio e dignità. Meritano tutto il nostro più profondo rispetto.

Marco

venerdì 10 agosto 2012

Crociata anti profumo in Usa, fra salutismo e bon ton

In alcuni luoghi fragranze vietate, possono dare allergie

ROMA - L'America ha dichiarato guerra al profumo. Dopo il fumo e il grasso ora l'ultima crociata riguarda le fragranze, non piacciono più gli eccessi e rischiano di diventare off limits se non legalmente almeno nel nuovo bon ton.

Ma gia' in alcuni Stati da anni sono comparsi dei cartelli dove si invitano le persone che entrano in alcuni luoghi a non usare profumi. Il quotidiano Usa Today ha pubblicato un elenco di luoghi 'perfume free', dove e' fortemente consigliato di non profumarsi: dagli uffici comunali agli edifici pubblici, ai presidi medici e persino alcuni parchi. La motivazione è di salute pubblica, perché le essenze possano causare allergie, asma e disturbi respiratori. Secondo Anne C. Steinemann dell'Università di Washington circa il 38% degli Americani denuncia problemi dovuti all'esposizione ai profumi, anche a quelli cosiddetti naturali o derivati dagli oli essenziali e che i danni derivanti sono paragonabili a quelli del fumo di sigaretta. L'unica soluzione, secondo l'esperta americana, è quella drastica di usare prodotti senza fragranze per l'igiene personale e anche della casa. Il Centro per la Salute e la Sicurezza sul lavoro del Canada ha identificato molti sintomi: mal di testa, insonnia, perdita d'appetito, nausea, ansia e depressione. Il disturbo viene chiamato Sensibilità Chimica Multipla (MCS) e anche in Europa c'è molta attenzione in proposito. In Germania, addirittura, viene considerato un disturbo che riguarda la politica sanitaria nazionale e quasi dieci anni fa, Lady Mar, attivista inglese nelle campagne ambientali, aveva mobilitato la Camera dei Lord per proibire l'uso eccessivo di profumi e colonie. Negli Stati Uniti sono anni che la questione è nell'occhio del ciclone. In California, da sempre famosa per sua fama salutista, già dieci anni fa apparse un cartello nel celebre teatro Berkeley Rep con la scritta 'Per favore niente profumi forti'. Oggi la battaglia è più che mai agguerrita, dal momento che anche alcuni stati del Sud, conservatori per tradizione, partecipano alla ribellione con divieti anti-profumo a Jefferson City in Missouri, Windom in Minnesota e Bremerton, Washington. E, nonostante l'industria del settore per ora non sembri tanto preoccupata, la mobilitazione sta andando alla grande anche su internet: al prezzo di 16 dollari si può acquistare un pacchetto di dieci cartoline Fragrance Free Reminders (dalle scritte molto dirette, come 'chi si profuma avvelena anche te') da spedire a chi esagera con il profumo. In altre parole, oggi la campagnia anti-profumo sta diventando quella che fu la campagna anti-fumo negli 80. "Sarà molto più difficile - dice Mark Danohoe, specialista australiano in politiche ambientali - perché i fumatori, quando vennero formulate le leggi anti-fumo, erano già una minoranza ed era più facile metterli nell'angolo, mentre quelli che si profumano sono tanti e considerati chic ed eleganti. Ciò che semmai potrà spingere le autorità a prendere qualche provvedimento reale è il fatto che molte persone affette da Sindrome Chimica Multipla sono giovani, piene di talento e di energie che sarebbero perse se abbandonassero il lavoro per problemi di allergia o difficoltà di respirazione". (ANSA).

di Carla Tinagli

9 agosto 2012

FONTE: ansa.it
http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/stilidivita/2012/08/09/ANSA-Crociata-anti-profumo-Usa-salutismo-bon-ton_7320409.html

mercoledì 8 agosto 2012

Quando la vita vince sull'handicap

Essere madri è un diritto di tutte le donne. Tuttavia, spesso i pregiudizi e lo stigma radicati nella società inducono alcune a rinunciare a questa possibilità di realizzarsi pienamente. In particolare, molte donne con disabilità che potrebbero diventare mamme rinunciano a farlo per paura di non riuscire a portare avanti una gravidanza, per mancanza di assistenza, di conoscenze scientifiche, di sostegno psicologico e morale.
La storia di Gloria, una ragazza disabile di ventotto anni nata a cresciuta in provincia di Padova, dimostra anzi che diventare madri pur essendo portatrici di handicap non è un traguardo impossibile se si hanno a disposizione un’adeguata assistenza sanitaria e il sostegno della famiglia e di persone fidate.

Gloria è affetta da tetraparesi spastica, vive sulla sedia a rotelle da quando era bambina, ma nonostante questo non ha mai nascosto né a sé stessa né agli altri la sua volontà di diventare madre. E quando Gloria ha deciso assieme a suo marito che il momento era arrivato, la sua positività, forza di volontà e lucidità non lasciavano spazio a dubbi che ce la potesse fare, né presso la sua famiglia né presso l’équipe medica a cui Gloria ha deciso di affidarsi, quella del Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente del Policlinico Abano Terme.

L’équipe ostetrica guidata da Gianluca Straface, il responsabile dell’attività di neonatologia Vincenzo Zanardo e la ginecologa Marina Pace hanno accolto con gioia la decisione di Gloria, pur coscienti dei potenziali rischi che una gravidanza di questo tipo può porre per la madre e il nascituro. Gli specialisti hanno affrontato i “nove mesi di attesa” della giovane con la consapevolezza che pochissime tetraplegiche nel mondo hanno portato avanti gestazioni con successo. Gloria ha così coronato il suo sogno: una bellissima bambina, Alessandra.

di Simone Fanti

15 giugno 2012



FONTE: blog.ok-salute.it
http://blog.ok-salute.it/disabili-una-vita-a-quattro-ruote/2012/06/15/quando-la-vita-vince-sullhandicap/


Una splendida storia, tutta da vedere, da gustare e da sentire. Gloria, con la sua maternità, ci insegna che nulla può essere dato per scontato e che l'Amore, la volontà, la forza e il coraggio possono superare anche le barriere dell'handicap fisico. Davvero un bellissimo esempio. Grazie Gloria.

Marco

lunedì 6 agosto 2012

Aiutiamo Michele


LA STORIA

Michele è nato a Roma il 20 Maggio 1995 al Policlinico Gemelli, pesava 3,780 kg dopo una normalissima gravidanza, e senza complicazioni di alcun tipo. Al ventesimo giorno di vita Michele ha avuto delle crisi convulsive senza febbre ed è stato tempestivamente portato all’ospedale più vicino. E’ rimasto tre giorni al S. Sebastiano Martire di Frascati, un giorno all’ospedale Bambino Gesù da dove i medici lo hanno rinviato al Gemelli. Lo specialista del Pronto Soccorso ha evidenziato un problema cerebrale e lo ha ricoverato presso il centro di Terapia Intensiva Pediatrica. Il giorno dopo Michele era in una culla termica, al buio. Era attaccato a vari monitor, aveva il catetere e degli aghi nelle sue piccole braccia.
I giorni passavano in modo alterno: un giorno era grave, un giorno stava meglio, il giorno dopo in coma. Dopo venticinque giorni di terapia intensiva, e sottoposto a ogni genere di trattamento e accertamenti, Michele è stato trasferito nel reparto isolamento dello stesso nosocomio dove è rimasto sino all’11 Luglio, quando i medici del reparto dichiararono che il bambino non sarebbe vissuto molto a lungo. La diagnosi alla dimissione era: encefalite virale su probabile base erpetica.
Giorno dopo giorno Michele è cresciuto come tutti gli altri bambini. Oggi ha una tetraparesi spastica derivata da quella terribile malattia e vive a Grottaferrata. Viene sottoposto quotidianamente a fisioterapia e logopedia tre volte alla settimana in un centro riabilitativo di Roma. Ogni tanto Michele dice alcune piccole parole e spesso vocalizza. Riconosce le persone che gli sono intorno, ruota leggermente e con difficoltà gli occhi, e capisce tutto ciò che gli si dice, ma purtroppo non può esprimersi! Tutto quello che riesce a comunicare lo fa con gli occhi... due meravigliosi occhi azzurro cielo che guardano con immenso amore.

COME AIUTARE MICHELE

Michele è un bambino di poco più di 17 anni che ha UN GRAN BISOGNO DELL'AIUTO DI TUTTI NOI. Affetto da tetraparesi spastica derivatagli da encefalite virale ha una sola possibilità di ripresa attraverso una costosissima terapia praticata negli U.S.A.

La sua famiglia ha aperto ufficialmente una pubblica sottoscrizione perchè si raggiungano 200.000 Euro necessari per un ciclo di due anni di cure intensive da sottoporsi in Florida col metodo di Therasuit e con l'ausilio di una camera iperbarica.

Queste sono le coordinate per poter aiutare Michele a intraprendere le cure che gli sono necessarie:

Unicredit Banca n. c/c 000011091081

cod. IBAN: IT 07 R 03002 39100 000011091081

cod. BIC SWIFT:BROMITR174X

intestato a: Aiutiamo Michele

Oppure postepay n. 4023600467873552


Lo Stato Italiano non può sovvenzionare questo tipo di terapia ed ecco perché Michele ed i suoi genitori sono costretti a cercare negli Stati Uniti una possibilità concreta di miglioramento di questa drammatica situazione.

UNA TESTIMONIANZA


Sono insegnante in una scuola di Pomezia, ho conosciuto Michele casualmente, come spesso accade, ma nulla accade a caso…. Essendo referente di Educazione Ambientale per il mio Circolo Didattico e coordinandone la raccolta differenziata, due anni fa una dipendente del personale ausiliario mi ha chiesto se ci fosse la possibilità di mandare i tappi di plastica raccolti alla famiglia di un ragazzino che era su una sedia a rotelle. Solitamente mandavo i tappi all’Ufficio Ambiente del Comune di Pomezia, ma dopo aver immediatamente accertato di persona la veridicità del caso e con l’autorizzazione della mia Preside Guccione, da quel giorno invio i tappi alla famiglia di Michele che li vende. Ovviamente ho pensato di non fermarmi a quest’aspetto, ed ho portato a conoscenza di questo caso umano le mie amicizie e persone interessate al fine di raccogliere un contributo volontario. Ho organizzato pesche di beneficenza, mercatini di oggettistica e spettacoli d’intrattenimento musicale, remake e karaoke, i proventi dei quali sono stati interamente devoluti a Michele. Vi invito a visitare il sito web dove troverete notizie, foto, e numero di Postepay per eventualmente versare contributi volontari: www.aiutiamomichele.it (Ogni goccia contribuisce a formare un lago nelle situazioni di questo tipo). Ringrazio tutti coloro che interverranno, gli amici che mi hanno aiutata nella distribuzione delle locandine e tutte le persone che stanno divulgando il caso per una più estesa sensibilizzazione anche fuori provincia. Spero vivamente che la sensibilità verso le problematiche di coloro che si trovano a lottare quotidianamente in stato di sofferenza sia sempre viva.

FONTI: ilcorrieredellacitta.com, aiutiamomichele.it



Pubblico questo appello, contando come sempre sull'altruismo e sulla generosità di noi italiani. Chiunque pensi di poter contribuire a restituire a Michele una vita migliore e regalargli qualcosa di più del semplice "sognare", lo può fare concretamente donando un contributo alle coordinate sopraindicate, partecipando alle iniziative che vengono organizzate a suo favore o semplicemente divulgando la sua storia. Come sempre, ognuno di noi può fare molto.... basta solo un pò di buona volontà.
Grazie a tutti coloro che vorranno aiutare questo ragazzo e la sua famiglia.

Marco

domenica 5 agosto 2012

Taranto, lavoro e veleni. La cronistoria dell'Ilva.


L'Ilva di Taranto nel 2011 ha fatturato 9,5 miliardi di euro con circa 15 mila lavoratori (11.600 dipendenti diretti, più 2.500 dell'indotto). Numeri di tutto rispetto che ne fanno l'acciaieria più grande d'Europa.
Ma Taranto, dove ha sede, ha anche un altro primato: è la città più inquinata d'Europa.
Per questo il patron del gruppo Ilva, l'imprenditore bresciano Emilio Riva che possiede 39 stabilimenti siderurgici in tutto il mondo, ed è il maggiore azionista di Alitalia, dal 26 luglio è agli arresti domiciliari. L'accusa è di strage e disastro ambientale ed è il risultato dell'inchiesta della Procura tarantina sull'inquinamento che vede imputati i vertici del siderurgico. Un impianto quello pugliese che ha una storia lunga e travagliata fatta di lavoro, inquinamento e responsabilità pubbliche e private. Eccone le tappe principali.

IL TEMPO DELL'ITALSIDER. Agli inizi degli anni '60 è stato inaugurato il colosso siderurgico Italsider, azienda di Stato, che aveva come obiettivo quello di colmare il divario tra il Nord e il Sud in termini produttivi e occupazionali. Il centro siderurgico venne realizzato a ridosso della città, progettatto alla rovescia: l'area a caldo, quella più inquinante, fu costruita a pochi metri dal quartiere Tamburi per risparmiare sui nastri trasportatori che portano la materia prima dal porto allo stabilimento.
Al momento dell’avvio del primo altoforno, nell’ottobre 1964, venivano prodotte 3 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, salite a 11,5 milioni nel 1975. L’occupazione massima raggiunta storicamente dallo stabilimento fu di 21.791 unità nel corso del 1980.

LE PRIME MANIFESTAZIONI AMBIENTALISTE.
Il 31 gennaio 1971 durante la manfestazione 'Taranto per un'industrailizzazione umana' organizzata da Italia nostra vennero esposti in piazza della Vittoria panni anneriti dal fumo per richiamare l'attenzione sul problema dell'inquinamento.

L'INIZIO DELLE AZIONI DELLA MAGISTRATURA
. Nel 1980 vennero avviate dalla magistrature le prime azioni legali nei confronti di alcuni stabilimenti industriali siti a Taranto, tra i quali Cementir, Ip e Italsider. Nel 1982 la pretura di Taranto ha messo sotto indagine il vertice dell'Italsider per getto di polveri e inquinamento da gas, fumi e vapori. Il direttore dello stabilimento fu condannato a 15 giorni di arresto solo per getto di polveri.

ITALSIDER IN LIQUIDAZIONE. Nel 1988 l'Iri avviò il processo di liquidazione volontaria di Finsider, Italsider, Nuova Deltasider e Terni acciai speciali. Nel 1989 venne costituita la nuova società Ilva spa.

TARANTO A RISCHIO. Nel 1991 il ministero dell'Ambiente dichiarò Taranto 'area a elevato rischio ambientale'. E nel 1994 Enea avviò il Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia tarantina.

Il passaggio di proprietà dallo Stato a Riva

Il 1° maggio 1995 si concluse la trattativa avviata qualche anno prima tra l'Iri e il Gruppo Riva per l'acquisto dello stabilimento di Taranto che in quel momento occupava 11.796 persone. A capo del Gruppo il fondatore e presidente Emilio Riva che riuscì a comprare lo stabilimento siderurgico più grande d'Europa per 1.460 miliardi di vecchie lire.

LA QUESTIONE AMIANTO. Nel 1997 ebbe inizio l'intervento per la rimozione dell'amianto dagli impianti produttivi. Furono molti gli operai a cui non venne riconosciuta l'indennità professionale per l'esposizione all'amianto, e che furono costretti a intraprendere una lunga guerra per vedere riconsociuti i loro diritti.

INQUINAMENTO DI STATO. Nel 1998, dopo quasi otto anni dalla prima definizione di Taranto come 'area ad elevato rischio ambientale' arrivò il piano di risanamento messo a punto da Enea per conto del ministero dell'Ambiente. Il piano prevedeva interventi che dovevano essere finanziati sia dal pubblico sia dal privato. Su 25 interventi 14 riguardavano gli impianti Ilva. La spesa prevista era di 208 miliardi. Ma le fasi di attuazione non furono mai rispettate.

MOBBING: LA PALAZZINA LAF. Nel 1998 i pessimi rapporti tra il management dell'Ilva e gli operai raggiunsero l'apice. Scoppiò il caso della Palazzina Laf. Circa 70 dipendenti che rifiutavano di sottostare a ricatti e soprusi vennero rinchiusi nel reparto punitivo. Molti entrarono in depressione, alti rassegnarono le dimissioni, alcuni si suicidarono.

INQUINAMENTO, DI NUOVO ALLARME. Nel 2000 la magistratura dopo aver letto le relazioni del Presidio multizonale di prevenzione della Asl che parlano del grave inquinamento causato dalla produzione del coke all'interno dell'Ilva, avviò una perizia e invitò le istituzioni competenti a intervenire. Il Comune di Taranto ordinò all'Ilva interventi migliorativi ai forni delle batterie 3 e 6 e la riduzione di produzione di coke. Scoppiò la 'vertenza ambientale'.

PARTONO GLI AVVISI DI GARANZIA.
Nel 2001 in seguito alla maxi perizia realizzata dalla Procura, i giudici mandarono avvisi di garanzia al presidente dell'Ilva Emilio Riva e ad altri due dirigenti dello stabilimento tarantino. Le confederazioni sindacali intente a difendere i posti di lavoro non approvarono la 'vertenza ambientale'.

ARPA SÌ ARPA NO. Nel 2001 in seguito alle decisioni del tribunale di Taranto si iniziò a discutere seriamente dell'attivazione dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa). Che a distanza di due anni dalla legge regionale di istituzione non era ancora operativa.

STORIA DI CONDANNE.
Nel 2001 il tribunale di Taranto dichiarò Emilio Riva, il figlio Claudio e altri dirigenti Ilva colpevoli di tentata violenza privata, per avere demansionato un gruppo di impiegati dell'Ilva nel 1998 (palazzina Laf). La sentenza venne confermata nel 2006 in Cassazione.
Nel febbraio del 2007 Emilio Riva fu condannato a tre anni di reclusione e Claudio Riva a 18 mesi per omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e violazione di norme antinquinamento, con riferimento alla gestione della cokeria dell'impianto tarantino.
Il 10 ottobre 2008 la Corte d'Appello di Lecce condannò alla pena di due anni di reclusione Emilio Riva e a un anno e otto mesi il direttore dello stabilimento tarantino, Luigi Capogrosso, entrambi accusati di getto pericoloso di cose, danneggiamento aggravato, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro nel reparto cokerie.

La stagione dei tavoli di trattativa

Nel 2002 il ministero dell'Industria istituì un tavolo da attivare a livello regionale per definire un accordo per il risanamento complessivo dello stabilimento. Venne siglato il primo atto di intesa sugli interventi necessari per il rilascio dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia).

IL COMUNE FA MARCIA INDIETRO.
Nel 2004 con la sottoscrizione del terzo Atto di intesa, Comune e Provincia ritirarono la costituzione di parte civile nel processo che vedeva condannati nel primo grado di giudizio i dirigenti Ilva per le polveri provenienti dal parco minerali che intossicavano il quartiere Tamburi.

ILVA LIGURE CHIUDE.
Nel 2005 venne spento l'altoforno Ilva. Finì così l'era della siderurgia a caldo in Liguria, che comportava un miglioramento delle condizioni ambientali. Nel 2006 iniziarono le demolizioni delle strutture presenti nelle aree da restituire alla città.

PEACELINK: FORMAGGIO ALLA DIOSSINA.
Nel 2008 Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione Peacelink, annunciò gli esiti di alcuni esami su campioni di formaggio risultati contaminati da diossina. Nel pecorino prodotto alla periferia di Taranto, la sostanza nociva era tre volte superiore ai limiti di legge.

ABBATTIMENTO DI CAPI DI BESTIAME. Nel 2008 l’Asl confermò la denuncia di Marescotti e decise di abbattere più di 1.200 pecore. Il pascolo libero venne interdetto nel raggio di 20 km dall’area industriale.

LA LEGGE REGIONALE ANTI DIOSSINA.
Nel 2008 dopo anni di tavoli inconcludenti e intese non rispettate, all'ospedale Testa di Taranto, il governatore Vendola presentò la legge regionale sulle emissioni da diossina. Che impose a tutti gli impianti responsabili di produrre la sostanza nociva a rispettare i limiti alle emissioni di 0,4 nanogrammi l'ora, in linea con quelli indicati dal protocollo Aarhus.
Nel corso della vita del polo siderurgico di Taranto le ciminiere hanno immesso in atmosfera 7,7 kg di diossina: ossia 3 volte il valore dell'incidente di Seveso.

Le proteste di piazza per la salute e il posto di lavoro


Nel 2008 l'azienda dichiarò di non poter rispettare i tempi previsti dalla legge anti diossina che vedevano la prima fase di applicazione entro l'1 aprile 2009. E annunciò ripercussioni sul piano occupazionale.
Il 28 novembre il comitato cittadino Altamarea che riunisce 18 fra associazioni e movimenti ambientalisti scese in piazza al grido 'Vogliamo aria pulita!'. Il centro di Taranto fu invaso da 20 mila persone esasperate.

LEGGE REGIONALE OSTEGGIATA.
Nel 2009 il ministro dell'Ambiente minacciò il ricorso contro la legge regionale anti-diossine per «incostituzionalità». Il 19 febbraio venne siglato a Roma un protocollo d'intesa che rinivia di tre mesi, al 30 giungo 2009, l'entrata in vigore della prima fase della legge regionale.

DIVIETO DI GIOCO PER I BAMBINI. Nel luglio 2010 il sindaco di centrosinistra, Ippazio Stefano emise un'ordinanza con cui vietava ai bambini di giocare d'estate nelle aree verdi del quartiere Tamburi confinante con l'acciaieria per la presenza nell'aria di sostanze cancerogene.

ILVA E LA CONCESSIONE AIA.
Nel 2011 l'Ilva ottenne l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che permise l’aumento della produzione di acciaio a 15 milioni di tonnellate. La decisione, sottoscritta anche da Vendola e dal sindaco di Taranto Stefano, scatenò la rabbia delle associazioni ambientaliste. Nel frattempo arrivò la perizia ordinata dal gip Patrizia Todisco sui danni che l’inquinamento da siderurgia stava causando ai tarantini. La procedura dell'Aia venne riaperta e riesaminata.

I DATI DELL'ARPA NEGATIVI. L’ennesima conferma dell’impatto ambiatale dell’Ilva arrivò, nel frattempo, dagli ultimi dati dell’Arpa, resi noti proprio nel giorno della concessione dell’Aia. «La concentrazione di benzo(a)pirene sottovento nei pressi delle ciminiere è pari a 4.46 ng/m3, molto più alta di quella sopravento (0.06) e di quella con calma di vento (0.27). Se ne deduce il contributo praticamente esclusivo di Ilva», si leggeva nella nota diffusa dall’Agenzia regionale per l’ambiente.

I guai giudiziari e l'inchiesta per disastro ambientale

Il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio informò Regione, Provincia e Comune dei risultati della perizia chimica sulle emissioni inquinanti dell'Ilva disposta con incidente probatorio nell'ambito di un'inchiesta che vedeva Emilio e Nicola Riva e altri due dirigenti dell'Ilva indagati. Le ipotesi di reato erano quelle di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.

ORDINANZA DEL SINDACO. Il 25 febbraio 2012 il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, in seguito alla lettera di Sebastio, ha firmato un'ordinanza intimando all'Ilva di eseguire una serie di lavori per ridurre l'inquinamento e l'impatto ambientale, pena la fermata degli impianti. Il 12 aprile la sezione di Lecce del Tar di Puglia ha accolto la richiesta di sospensiva dell'ordinanza su ricorso dell'Ilva.

LE PERIZIE DEL TRIBUNALE DI TARANTO.
La perizia medico-epidemiologica commissionata dal tribunale di Taranto diceva che è possibile una connessione tra le malattie, le morti causate da tumori e l'inquinamento prodotto dall'Ilva. Il pool di esperti scelti dal tribunale ha rilevato 174 decessi per tumore nell'arco di sette anni. In particolare nei quartieri Tamburi e Borgo, a ridosso dell'Ilva, sarebbe stato registrato il quadruplo di mortalità e il triplo di ricoveri per malattie cardiache rispetto al resto della città. I tumori infantili sono aumentati del 25%.

CLINI E L'EMRGENZA TARANTO. Il 14 marzo 2012 il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini ha incontrato a Bari il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, quello della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, e il sindaco della città di Taranto, Ippazio Stefano. Il 28 marzo altro incontro a Roma: Vendola e Stefano hanno chiesto l’adeguamento alle migliori tecnologie di prevenzione e riduzione delle emissioni industriali dell’Ilva, proprio sulla base della perizia epidemiologica.

INCIDENTE PROBATORIO CHIUSO. Il 30 marzo 2012 al Palazzo di giustizia di Taranto si è chiuso l'incidente probatorio su due perizie (una chimica, l'altra medico-epidemiologica) disposte dal gip nell'ambito dell'inchiesta della Procura tarantina sull'inquinamento che vede imputati i vertici del siderurgico.

SETTE MILA OPERAI IN PIAZZA. Mentre al tribunale di Taranto era in corso l'incidente probatorio, 7 mila lavoratori dell'Ilva sfilavano in corteo sotto la Prefettura e il Municipio di Taranto per difendere il loro lavoro. Era la prima volta che così tanti operai dell'acciaieria scendevano in piazza. La giornata di sciopero è stata ugualmente retribuita dall'azienda.

PATTO PER TARANTO. Il 19 luglio 2012 governo, regione, parlamentari, sindacati ed enti locali si sono riuniti a Palazzo Chigi per stilare un protocollo di intesa che assicuri la continuità aziendale nell'area dell'Ilva di Taranto nel quadro delle compatibilità ambientali. Si parla quindi di bonifiche e interventi tecnologici sugli impianti.

SOTTO SEQUESTRO L'AREA A CALDO. Il 26 luglio, mentre a Roma è in corso il secondo appuntamento istituzionale sul caso Ilva, il gip di Taranto Patrizia Todisco ha firmato il provvedimento di sequestro senza facoltà d'uso di tutta l'area a caldo dello stabilimento siderurgico. I sigilli sono previsti per i parchi minerali, le cokerie, l'area agglomerazione, l'area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi.

OTTO INDAGATI AGLI ARRESTI DOMICILIARI. Oltre al sequestro sono stati arrestati otto dirigenti ed ex dirigenti della fabbrica indagati per disastro ambientale: tra loro il patron Emilio Riva, presidente fino a maggio 2010; il figlio Nicola che gli è succeduto nella carica e si è dimesso a metà luglio 2012; l'ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, ma anche il dirigente capo dell'area del reparto cokerie, Ivan Di Maggio e il responsabile dell'area agglomerato, Angela Cavallo.

OPERAI IN RIVOLTA. Il 26 luglio, appena appresa la notizia, circa 8 mila operai Ilva sono usciti dall'azienda e hanno marciato verso la città bloccando qualsiasi via di accesso. È sciopero a oltranza per difendere il proprio lavoro.

27 Luglio 2012

di Antonietta Demurtas

FONTE: lettera43.it
http://www.lettera43.it/economia/aziende/ilva-lavoro-e-veleni_4367559333.htm

venerdì 3 agosto 2012

Ilva, l’ematologa: “I miei 400 pazienti per un lavoro rischiano la vita”

La dottoressa Barbara Amurri lavora all'ospedale Moscati di Taranto e racconta perché lavorare in questa città è la sua missione: "Qui muoiono come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una ‘sistemazione’ all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. É la dannazione di questa terra: il non pensare al futuro"

Se li ricorda uno ad uno i suoi 400 pazienti ammalati di linfoma. Le storie, i nomi, la loro indole. Perfino il carattere. Per lei non sono mai un numero. Anche perché nella città più inquinata d’Italia, fino a poco tempo fa non c’era un registro tumori. “Una vergogna”, è l’unica parola dura che usa Barbara Amurri, 56 anni, gli ultimi dieci trascorsi tra le mura del reparto di Ematologia dell’Ospedale Moscati di Taranto, che ha fondato nel 1993 insieme all’allora primario Patrizio Mazza, ora consigliere regionale dell’Idv. Quando torna a casa, nel quartiere San Vito, quartiere della marina, e il vento gira, “è come respirare direttamente con la canna del gas in bocca”. Come si può vivere lì? L’accento marchigiano cede alla cadenza dolce delle vocali aperte del tarantino solo quando pronuncia la parola “casa”. E si capisce che Taranto è la sua “missione”, come quelle che ogni estate porta avanti in Sudamerica. Perché non va via? Sorride. “É la mia vita. La mia battaglia culturale, la mia trincea, la mia responsabilità, che mi porto dietro 24 ore su 24. Non voglio tirarmi indietro. Qui muoiono come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una ‘sistemazione’ all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. É la dannazione di questa terra: il non pensare al futuro. Si vive cercando di allontanare il problema, poi domani il problema torna, ma l’importante è re-spingerlo adesso”.

L’Italsider prima, l’Ilva poi, sono state per gli operai una fonte di benessere reale. “Se uno aveva voglia di lavorare, poteva fare anche tre o quattro turni di seguito e con gli straordinari venivano fuori stipendi più alti di quello un primario, di un professionista. Dov’erano allora i sindacati, l’Ispettorato del lavoro? Chi agiva in armonia con la società riversando nel mare, la notte, i veleni?”. Poi quel benessere ha cominciato a vacillare, perché la diossina, il pcb, hanno la capacità – spiega – di agire a livello cromosomico, per cui la dottoressa Amurri e il suoi colleghi hanno cominciato a registrare un dato inquietante: sono i figli e i nipoti degli operai ad ammalarsi sempre più spesso. L’Ilva è entrata dentro di loro fino a divenirne parte.

Enza, è la prima bimba ad ammalarsi di leucemia. Abitava nel quartiere Tamburi, a 500 metri dalla fabbrica. Aveva cinque anni e l’età di sua figlia, che portava spesso in ospedale, nel difficile gioco di equilibrismi di tutte le donne per conciliare il lavoro e la famiglia. Enza era debole e non riusciva a tirarsi su per le scale, troppo piccola anche per arrivare al passamano: “Non ti preoccupare, tu sei sana, come me. Anch’io ho fiatone – la incoraggiava la sua compagna di giochi – Un gradino alla volta e ce la fai”. Un gradino alla volta. É la rivoluzione culturale che Amurri cerca di incuneare in un background culturale fatto di rassegnazione: “Quando sanno di essere ammalati, soprattutto gli anziani, danno per scontata la morte. Invece ci sono degli obiettivi intermedi che è giusto raggiungere, per migliorare la qualità della vita”. I più giovani dei suoi pazienti, cresciuti sotto un cielo plumbeo dai fumi, hanno come obiettivo intermedio la bellezza, l’armonia. Un ragazzo appena saputo del sequestro ha pubblicato su facebook una foto dell’Ilva trasformata in un parco dei divertimenti: dalle ciminiere uscivano fuochi d’artificio. Una foto che ha strappato più di un applauso in reparto.

L’obiettivo intermedio di Paola, 35 anni, è decorare torte. Si è ammalata di linfoma di Hodgkin dopo aver avuto il suo primo bimbo: “Proporrei alla cittadinanza di fare un giro al padiglione oncologico e di ematologia dell’ospedale Moscati. Siamo tutti preoccupati per questi lavoratori, ma io come tanti ho pagato e stiamo pagando a caro prezzo le atrocità di quella che per decenni è stata una forma di pseudo ancora di salvezza per tante famiglie tarantine”. Leandra è “il nostro orgoglio”, afferma trionfante Amurri. A 14 anni è stata curata da una leucemia che non lasciava scampo. Ora ha 24 anni, il 16 giugno si è sposata.

Di chi invece non ce l’ha fatta, la dottoressa preferisce non parlare. “Se ne cito uno mi sembrerebbe far torto agli altri”, sembra parlare di eroi, di caduti in guerra cui si deve memoria. Però una le è rimasta nel cuore. Gianna. Aveva 19 anni, era sola. Una situazione famigliare drammatica. Rimane incinta e subito dopo scoprono la malattia. Gianna decide di tenere il bambino, per cui viene sottoposta ad una chemioterapia mirata in base allo sviluppo del feto. “Era una ribelle, una scugnizza”, ricorda Amurri. “Mi prendeva in giro, saltava gli appuntamenti, diceva le bugie sulle medicine, che non prendeva. Io interpretavo questa spavalderia come un’espressione della sua vitalità, la sua anima che reagiva”. Poi il bimbo è nato, a sette mesi. E Gianna dopo poco se ne è andata, quando il suo fisico non ha più retto alle intemperanze della sua anima. É accaduto due anni fa. Ma il ricordo brucia, sotto le polveri di Tamburi.

di Maria Luisa Mastrogiovanni

29 luglio 2012

FONTE: Il Fatto Quotidiano


La questione "Ilva" è sotto i riflettori di tutti in quest'ultimo periodo, da quando lo stabilimento è stato messo sotto sequestro dal Gip di Taranto, Patrizia Todisco.
Personalmente vedo questo provvedimento come la conseguenza "fisiologica" di anni, decenni, di "soprusi" verso l'uomo e verso l'ambiente causati da questo colosso siderurgico (il più grande d'Europa)..... prima o poi doveva capitare una cosa del genere, ed il momento è arrivato proprio ora. Ad onor del vero non posso proprio dire di essere dispiaciuto per tutto quello che sta accadendo, anzi... io vedo con molta speranza i fatti di questi ultimi giorni, la speranza che questi siano i primi passi verso un futuro diverso e migliore, in cui Taranto e i tarantini possano liberarsi da tanti vecchi scheletri e tornare a respirare aria pulita, come è loro sacrosanto diritto.
Detto questo, non ho neppure gli occhi bendati sulla situazione che coinvolge le 12 mila persone impiegate all'Ilva e che rischiano seriamente di trovarsi senza lavoro e con una famiglia a carico dall'oggi al domani. Nutro la massima solidarietà verso queste persone e mi auspico che si possa trovare una soluzione per ciascuno di loro.... sono altresì convinto che la strada iniziata debba essere portata avanti fino in fondo, fino alla chiusura e scioglimento totale della fabbrica, che veramente troppe, troppe MORTI ha causato nel corso degli anni tra la popolazione di Taranto e non solo. Le parole della Dott.ssa Amurri devono farci riflettere: non si può continuare a fare come gli struzzi ed andare avanti, senza preoccuparsi delle conseguenze di quello che si sta facendo e che avranno le ripercussioni peggiori proprio tra le future generazioni. Bisogna guardare al domani, bisogna capire che "dinosauri" come l'Ilva sono destinati all'estinzione, perchè superati, obsoleti, dannosi e inquinanti. Se vogliamo un futuro migliore, ed io mia auguro che lo vogliamo tutti, dobbiamo procedere in una direzione che ci possa portare verso lo sviluppo di una società più rispettosa dell'ambiente e della salute dell'uomo. E verso questo tipo di società, un "dinosauro" come l'Ilva, non può veramente esistere!
Purtroppo sistemare la questione Ilva non sarà indolore, tutt'altro, me ne rendo perfettamente conto.... sarà un pò come fare un operazione senza anestesia, ma d'altro canto non esiste alternativa. I 12mila occupati dell'Ilva possono essere impiegati per un certo periodo di tempo per lo smantellamento degli impianti e per la successiva bonifica dell'ambiente, inquinato e deturpato da decenni di emissioni inquinanti di ogni genere. Poi mano mano che si andrà avanti, si provvederà alla sistemazione di tutte queste persone in altro modo, presso altre aziende e in altri luoghi. Come detto, ci vorrà tempo e un impiego di mezzi, anche economici, molto grande.... ma bisogna farlo, bisogna iniziare, proseguire e andare fino in fondo. E se questo avverrà, come mi auguro, allora potremo veramente guardare verso l'orizzonte con uno sguardo differente.... lo sguardo di chi crede che un futuro diverso e migliore sia veramente possibile.

Marco