martedì 30 ottobre 2012

Tutti insieme per Matilde


Matilde è una meravigliosa bimba affetta da encefalopatia epilettogena (patologia causata da un alterazione della massa bianca del cervello che comporta grave ritardo psicomotorio).
Nata il 6 settembre 2010. Da subito non rispondeva agli stimoli e non si muoveva come gli altri bimbi. Poi il 25 gennaio siamo entrati al Regina Margherita di Torino e li, la nostra bimba è stata sottoposta ad esami su esami (trasferiti anche al Besta di Milano per approfondire la diagnosi)... ancora aspettiamo esiti, nessuno ci ha saputo dire con certezza la sindrome di Maty e neppure se ha origine genetica. Noi però non molliamo e non ci arrendiamo, abbiamo riportato il nostro angelo a casa e ci siamo fatti addestrare ad accudirla... ora viviamo con ossigeno, ambu, sondino naso gastrico e terapie antiepilettiche. Ma non importa lei e' qui con noi in mezzo all'amore delle persone che ci vogliono bene. Speriamo, grazie al vostro aiuto e alla gara di solidarieta' che stiamo attuando, di portare Maty, di nostra iniziativa, in centri specializzati che utilizzano il metodo Thera-suit, un metodo per aiutare i bambini con paralisi celebrale infantile ma tutto questo è a pagamento.
Il servizio sanitario, ci aiuta molto, ma questo non basta, purtroppo. Il nostro obiettivo è anche quello di riuscire ad aiutare e sostenere altri bimbi bisognosi ed affetti da queste sindromi rare, per questo ci siamo adoperati nel fondare una Onlus che ha nei sui obbiettivi quello di aprire un centro Polivalente in Piemonte dove poter eseguire questi metodi. Per questo abbiamo aperto un conto su cui effettuare donazioni.

Vi ringraziamo di cuore.

Aiutateci a far vivere a Matilde e ad altri bimbi una vita migliore.


PER AIUTARE MATILDE CON UNA DONAZIONE:

 
Coordinate bancarie: Banca Sella filiale di Chivasso


conto intestato a Insieme per Matilde onlus

IBAN : IT82K0326830370052901203380

 

Sito internet:

http://www.insiemepermatilde.it/index.asp


Matilde su Facebook:

https://www.facebook.com/pages/INSIEME-PER-MATILDE-ONLUS/148301035267428



Posto la storia di questa bellissima bambina con molto piacere, invitando tutte le persone che leggeranno questa storia ad aiutarla a intraprendere quelle cure di cui ella ha bisogno.
Una donazione, un passaparola, una condivisione... tutto puà essere d'aiuto a Matilde e alla sua famiglia.
Un grazie sincero a chi vorrà aiutarla.

Marco

domenica 28 ottobre 2012

Disabili gravi, sospeso lo sciopero della fame

I ministri Fornero e Balduzzi intervengono e promettono un incontro e il ripristino dei fondi

I 60 disabili gravi e gravissimi aderenti al Comitato 16 Novembre Onlus, prevalentemente malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e i loro parenti, hanno annunciato sabato sera l'interruzione dello sciopero della fame dopo una settimana.
«Abbiamo avuto un lungo colloquio con il ministro Elsa Fornero - spiega a Corriere.it la vicepresidente del comitato Mariangela Lamanna, sorella di uno dei malati -. Il ministro ha assicurato il suo impegno per la definizione del Piano per la non autosufficienza» e il suo impegno in prima persona a incontrare malati e famiglie.

LA TELEFONATA DI FORNERO - Il 31 ottobre i ministri Balduzzi e Fornero, accompagnati da un sottosegretario all'Economia, saranno quindi a Cagliari, a casa del segretario nazionale del Comitato 16 Novembre, Salvatore Usala (malato di SLA e costretto a letto), per definire il piano. Ne dà conferma lo stesso Usala con una nota su Facebook: «Mi ha chiamato il ministro Fornero. Mi ha pregato di interrompere lo sciopero ed ha chiesto venia per il scarso interesse. Si è impegnata a sentire il presidente Monti per stanziare un importo importante per la non autosufficienza», ha spiegato.

LA STORIA DEL FONDO
- Il governo lo scorso aprile si era impegnato a fornire entro un mese un piano. A giugno il Comitato aveva già tentato un primo presidio, ma la mancanza di un piano aveva impedito uno stanziamento di fondi. Con il decreto del 6 luglio era stato previsto un intervento proprio destinato ai disabili gravissimi (il «fondo Letta»), che aveva tranquillizzato il Comitato 16 novembre, ma poi fino a ottobre non se ne era parlato. Con l'ultima Spending Review il fondo era invece rientrato nella disponibilità della presidenza del Consiglio per finanziare, più genericamente, il sociale, diminuendo l'intervento a favore della categoria interessata. Da qui la decisione dello sciopero, che si è protratto per sei giorni. Giovedì sera i primi contatti con il ministro Balduzzi: «Perseguiamo un unico scopo: vivere con dignità malati e famiglia, e per fare questo il governo deve intervenire in maniera incisiva», gli ha spiegato Lamanna.
Venerdì a tarda sera la promessa da parte del ministero della Salute di un incontro e sabato pomeriggio il contatto formale con il segretario Usala e la promessa di una visita.

di Maria Strada


27 ottobre 2012 (modificato il 28 ottobre 2012)

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/salute/disabilita/12_ottobre_27/disabili-gravi-sciopero-fame-sospeso_b9d81a5e-207d-11e2-9aa4-ea03c1b31ec9.shtml


Meno male, tiro un sospiro di sollievo per questo sciopero della fame dei disabili gravissimi che è rientrato. Se si fosse protratto ancora si sarebbe rischiato grosso per la loro incolumità.
Certo c'è da chiedersi perchè mai, quando si parla di tagli e riduzioni, vengano sempre tirati in ballo i disabili, persino quelli in condizioni più estreme. Non basta forse la croce che già hanno? Vogliamo togliergli anche la dignità della vita e la serenità, propria e delle loro famiglie? E' ora di finirla con queste cose, che portano poi a questi gesti estremi!
Si tolga a tutti, a tutti, ma non a loro! Non ai disabili e ai malati gravi!
Si guardino attorno i nostri "cari" governanti..... non le vedono quante belle ville esistono? Quante macchine di lusso circolano? Non sarebbe forse il caso, vista la crisi che c'è, di togliere qualcosa a loro, alle persone più benestanti, piuttosto che levare, ridurre, tagliare, ai "soliti" poveri e malati? E magari, perchè no, autoridursi qualcosa anche del proprio?
Un pò di buon senso ci vuole, di empatia.... sopratutto di umanità! Questo ci vuole!

Marco

venerdì 26 ottobre 2012

Alzheimer, oltre la solitudine

Il rapporto mondiale Alzheimer 2012 che, con il titolo significativo "Superare lo stigma della demenza", ribadisce come la malattia sia una priorità di salute pubblica globale puntando il dito, questa volta, contro lo stigma e l'esclusione sociale di cui sono vittime i milioni di pazienti nel mondo e le loro famiglie.

L'aggiornamento dell'autorevole Rapporto, diffuso ogni anno dall'Alzheimer's Disease International (Adi), denuncia così gli aspetti negativi che ben il 75% dei malati e il 64% dei loro familiari lamentano sul fronte dell'accoglienza sociale e interpersonale. Il 40% dei malati riferiscono, infatti, di essere evitati o trattati in modo diverso e quasi una persona con demenza su 4 nasconde la propria diagnosi a causa dello stigma che circonda la malattia.
«Demenza e malattia di Alzheimer continuano a crescere a un ritmo elevato a causa dell'invecchiamento della popolazione globale», dichiara Marc Wortmann, direttore esecutivo di Adi, la federazione internazionale di 78 associazioni Alzheimer nazionali che opera dal 1984. «La malattia ha un impatto enorme sulle famiglie che ne sono colpite, ma influenza anche i sistemi sanitari e sociali a causa del grande costo economico che comporta. I Paesi non sono preparati e continueranno a non esserlo se non superiamo lo stigma e non aumentiamo gli sforzi per garantire una migliore assistenza e trovare in futuro una terapia».

Oltre duemila fra malati e familiari di oltre 50 Paesi sono stati intervistati durante l'indagine. E hanno ammesso di rinunciare a stringere relazioni sociali per le difficoltà incontrate e, chi ha meno di 65 anni, di temere problemi sul posto di lavoro o con la scuola dei figli. Il Rapporto non manca di elencare ai governi dieci raccomandazioni per superare queste difficoltà che peggiorano la qualità della vita. Fra le prime, l'istruzione e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, il dare voce e ridurre l'isolamento delle persone affette.

Ma ci sono anche segnali di speranza.
Uno studio del centro ricerche GlobalData, pubblicato in occasione della Giornata, annuncia che i prossimi mesi potrebbero essere decisivi nella lotta alla patologia. Un test clinico dell'Università di Santa Barbara cercherà di ricondurre la malattia a una specifica mutazione genetica, spiega il dossier. Inoltre nel 2013 il mondo della scienza approfondirà il sospetto rapporto tra Alzheimer e diabete che «potrebbe avere implicazioni enormi». Molto promettenti anche le ricerche sui biomarker della malattia che possono portare a una diagnosi precoce che darebbe benefici anche sui farmaci in sperimentazione.

E non va dimenticata la questione dell'assistenza, ricorda il Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici, che chiede al ministro della Salute Renato Balduzzi di «supportare le persone affette da questa patologia e i loro familiari, purtroppo abbandonati a loro stessi», dichiara con amarezza il responsabile del Coordinamento, Tonino Aceti.​

di Piero


25 ottobre 2012

FONTE: disabiliabili.net
http://www.disabiliabili.net/barriere-architettoniche-e-culturali/219-risorse_della_rete7/32219-alzheimer-oltre-la-solitudine

martedì 23 ottobre 2012

Con il colore sdrammatizzo il dolore

Dopo un incidente – e un caso di malasanità – che nel 1999 gli ha fatto perdere una gamba, Luca Moretto ha fatto diventare un lavoro il suo sogno di ragazzo e ora è un affermato artista, che ha esposto alla Biennale di Venezia, a Milano e anche in Cina. Ed è con le sue “esplosioni di colore” che combatte ormai da anni la sindrome da arto fantasma che lo tormenta 

L’arte, la creatività, il colore per sprigionare le proprie emozioni ed emozionare, per andare oltre quel dolore che da tredici anni, giorno dopo giorno, lo attanaglia e gli fa sentire come se qualcuno gli conficcasse un “cacciavite nel piede”, solo che quel piede non c’è.
Luca Moretto, trentaseienne di Jesolo (Venezia), è un apprezzato artista visivo. È stato il primo ad applicare su tela il silicone, le sue opere sono passate dalla Biennale di Venezia, in mostre a Milano, Montecarlo, fino in Cina. Ma prima di scoprirsi artista, Luca si è ritrovato senza una gamba, per uno spudorato caso di malasanità.
È successo nel 1999, quando a 23 anni ha avuto un incidente in motocicletta. «Ho perso il controllo – racconta – e mi sono rotto tibia e femore. I medici non si sono però accorti che si era recisa l’arteria femorale. Dopo dodici ore di emorragia, ho rischiato la vita e la gamba oramai era persa».
La gamba è quella sinistra e gli viene amputata sotto al ginocchio dopo nove mesi in cui svariati interventi falliscono nel tentativo di salvarla. «Speravo che con l’amputazione il dolore passasse, invece mi tormenta ancora oggi». Luca soffre infatti di quella che viene definita come “sindrome dell’arto fantasma”.
«Il dolore – spiega lui stesso – è nella memoria del nervo. Non è una questione psicologica, è un dolore fisiologico, che un po’ per la fatica, un po’ per la postura, si irradia anche all’altra gamba e alla schiena. Pur di vivere sereno, rinuncerei al ginocchio, amputando più in alto, ma non servirebbe a nulla». Né a nulla è servita la “via Crucis” di terapie, operazioni («in redici anni sono a ventiquattro interventi!») e morfina che Luca ha attraversato. Ha provato un impianto perinervoso, che rilascia analgesici direttamente sul nervo sciatico: «È un metodo collaudato, che ha curato moltissime persone, ma il mio corpo ha rigettato l’impianto». Ha provato agopuntura, l’ipnosi regressiva, la neuralterapia: nessun beneficio.
«Il mio – racconta ancora Luca – è un dolore che si evolve, si adatta alle terapie. Ora spero in un nuovo farmaco estratto dalla canapa, ma soprattutto spero nella ricerca del professor William Raffaeli e della Fondazione ISAL (Istituto di Ricerca e Formazione in Scienze Algologiche), da lui creata, perché non vorrei prendere più nulla».

Più che la medicina, è l’arte a dare oggi sollievo a Luca. Una cura per la mente, che gli permette di abbattere il muro della sofferenza attraverso un’esplosione di colori. «Nel dipingere mi sfogo, tiro fuori quello che ho dentro, che non è il male, è la voglia di vivere. Attraverso il colore sdrammatizzo il dolore, soffro ugualmente il male dell’inferno, ma invece di stare a letto, mi metto al cavalletto e dipingo».
Alla teoria dei colori Luca si è avvicinato nel 2001, frequentando un corso di arredamento. Nel 2005, un altro corso di pittura gli ha permesso di affinare quelle tecniche che già intuitivamente aveva fatto sue. «La mia prima mostra – dichiara – ha avuto un successo inaspettato. Chi vedeva i miei lavori raccontava di provare nuove emozioni, serenità, allegria. Ed è questo che voglio: emozionare, far vivere l’arte, voglio che la gente tocchi le mie opere. Il silicone è morbido, resistente, tiepido, regala una piacevole sensazione tattile che si aggiunge a quella visiva».
Pubblico e critica apprezzano, Luca inizia a “crederci”. Nel 2007 realizza settanta opere («ero una macchina, stavo chiuso in casa e non facevo altro che dipingere, attraverso l’arte affrontavo il malessere psicologico, uscivo dal dolore e mi ritrovavo»).


Nel 2010 quello che è forse il suo orgoglio più grande: una Vespa Special dipinta a mano con vernice acrilica in rilievo, che oggi fa bella mostra di sé nel Museo Piaggio di Pontedera, accanto a quella firmata da Salvador Dalì nel 1962. «La paura e il dolore sono grandi ispiratori, perché mettono in contatto con dimensioni sconosciute e affascinanti».

Non è stato semplice, però, rendere un lavoro quello che era il sogno di un tredicenne di fronte a un quadro astratto. Non è semplice dimenticare il dolore e prendere un pennello. «Per sei-sette anni ho vissuto nel buio. Ho fatto interventi che hanno solo peggiorato la situazione. I miei dolori sono quotidiani, posso essere la persona più serena e soddisfatta del mondo, ma li ho, incessantemente e spesso non riesco neanche a descriverli. Alcuni sono intermittenti, come scosse terribili che mi fanno mancare il fiato, urlare a volte. Altri sono costanti e sono quelli peggiori».
Ironia della sorte, se non ci fosse stato l’incidente, oggi Luca probabilmente non sarebbe un artista. Non avrebbe avuto il tempo di fare il corso di pittura, di prendere una pausa per immergersi dentro di sé e ritornare a galla con nuove aspirazioni. «Nei momenti creativi il dolore resta in sospeso. Come in un’apnea, manda segnali che io trasformo in colori, campi, confini di silicone».
Forse, senza l’incidente, sarebbe un agente di commercio, un imbianchino, un barista, una posatore di parquet o un altro dei tanti mestieri che ha fatto dopo aver lasciato la scuola («ero troppo giovane per capire l’importanza della cultura, ma col tempo ho cercato di rimediare»). Sicuramente, però, anche senza l’incidente Luca sarebbe sempre un ottimista, così come è.

«Io credo – conclude – che ognuno di noi, in questo mondo, abbia delle capacità e che con la determinazione si possa riuscire a raggiungere i propri obiettivi. È questa la mia testimonianza, che al dolore e alla disabilità si possa reagire e che – certo, con difficoltà – si possa trovare la propria strada nel lavoro, nella vita e non solo nello sport, come spesso si limita a far vedere la TV. Vorrei essere un piccolo esempio di come con la volontà si possa emergere anche in altro. Non si devono però guardare solo le cose negative, perché non si va da nessuna parte. E io, se penso al classico bicchiere “mezzo pieno o mezzo vuoto”, vedo prima di tutto un bicchiere, che aspetta solo di essere riempito».

15 ottobre 2012

Servizio curato in occasione della Giornata Nazionale contro il Dolore del 13 ottobre, organizzata dalla Fondazione ISAL (Istituto di Ricerca e Formazione in Scienze Algologiche)
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FONTE: superando.it
http://www.superando.it/2012/10/15/con-il-colore-sdrammatizzo-il-dolore/



Storia di dolore, ma anche di grande volontà, determinazione e fantasia. Ecco come da una situazione di grande difficoltà, sopratutto a causa del dolore che la malattia di Luca Moretto comporta, si può comunque uscire da "vincitori", utilizzando in maniera costruttiva quelli che sono i propri talenti, nel caso di Luca l'arte e la creatività.
Un bell'esempio e un insegnamento per tutti..... bravo Luca !

M
arco

lunedì 22 ottobre 2012

Liberi in barca a vela !

Andare in barca a vela mi da una sensazione di tranquillità, di pace. L'assenza di rumori, il vento che mi avvolge, la ricerca della sua direzione, il rumore dell'acqua contro lo scafo per me sono momenti di totale rilassamento. In realtà sono un pessimo velista, mi accontento di assaporare questi momenti con la massima serenità, per me è un modo per viaggiare con il pensiero oltre che con lo scafo. Queste sensazioni sono qualcosa di speciale, diverse da ogni altra sensazione”.

Queste sono le parole con le quali ci ha incantato Aldo Baudino, quando gli abbiamo chiesto di descriverci cosa prova quando va in barca a Vela.

Aldo è nato a Boves (CN) 48 anni fa, è sposato con Valentina da 15 anni e lavora come impiegato al Consorzio Socio-Assistenziale del Cuneese. E’ divenuto disabile a causa di un’emorragia spontanea alla spina dorsale avvenuta improvvisamente.

Anche Danilo Destro, paraplegico, ci descrive delle sensazioni incredibili quando parla di barca a vela: “la barca è un ambiente totalmente nuovo che mi stimola, si devono rispettare le regole del vento e saperle interpretare, si auto-produce movimento ed io mi lascio trascinare”.

Danilo ha 50 anni ed è in carrozzina dal 1983 per un incidente stradale. Da quando ha avuto l’incidente, ha sempre praticato sport sia per divertimento sia a livello agonistico, sia per riabilitare il mio corpo che per mantenere la mente attiva.

Aldo ha iniziato a dedicarsi alla vela (in modo amatoriale) tre anni fa quando era degente presso l'Unità Spinale di Pietra Ligure che lo aveva segnalato come possibile candidato alla Lega Navale di Savona. Da allora frequenta la Lega Navale di Savona, dove un gruppo di volontari mette a disposizione tempo e mezzi per consentire a persone con difficoltà di praticare questo piacevole sport.

La vela era un'attività che m’incuriosiva e mi attirava – dice Danilo - ma non ero mai riuscito a rendere concreto un approccio con essa, a luglio di quest’anno ho cercato in rete circa corsi di vela per disabili in Liguria e così mi sono messo in contatto con la Lega Navale di Savona che organizza corsi e attività anche per diversamente abili ed ecco realizzato il mio desiderio”.

La vela è una pratica aperta a tutti, a Savona i volontari della Lega Navale mettono a disposizione delle piccole imbarcazioni mono o bi-posto, facili e intuitive, oltre che sicure. Nelle uscite in mare si è accompagnati da volontari che seguono i velisti con gommoni, pronti ad intervenire qualora fosse necessario.

Poi Baudino ci dice: “Il mare affascina, anche se sono un pessimo nuotatore... mi tengo a galla e poco più, ma non mi fa paura, anzi mi regala sensazioni piacevolissime. Alle volte resto ad ammirarlo a scrutare l'orizzonte, sentendo il vento, per ore. In questa immensa distesa di acqua in movimento provo un senso di tranquillità, evado con la mente dai tanti pensieri di ogni giorno”.

Danilo invece è un abile nuotatore ed è affascinato dal mare e da tutti quei luoghi dove si respira l’aria di mare e con la vela riesce a vivere in pieno l'atmosfera marina.

Aldo Baudino e Danilo Destro si sentono di consigliare a tutti di andare in barca a vela, soprattutto alle persone con disabilità perché quando si è in mare con queste piccole imbarcazioni, non ci sono assolutamente differenze: è sufficiente regolare le vele per sfruttare al meglio il vento e lasciarsi cullare da queste emozioni. “Inoltre non ci sono controindicazioni, non servono superpoteri o chissà quali doti per provare, d'altronde se ci sono riuscito io che sono quel che sonoconclude ridendo Danilo.

di Dorotea Maria Guida


8 ottobre 2012

FONTE: disabiliabili.net
http://www.disabiliabili.net/sport/208-vela/32197-liberi-in-barca-a-vela

sabato 20 ottobre 2012

Ama la vita nonostante le gravi malformazioni fisiche: la storia di Clara

Clara Beatty è una bambina di nove anni nata con alcune anomalie genetiche che le hanno causato delle evidenti malformazioni estetiche: occhi fortemente asimmetrici, mascella molto piccola e un padiglione auricolare sottosviluppato.

Se il suo aspetto la rende diversa da tutti gli altri bambini, lo sviluppo cognitivo è il medesimo e chi la conosce la descrive come una bambina molto gentile, simpatica e altruista.

I genitori della piccola sapevano prima che lei nascesse a cosa sarebbe andata incontro, poiché già dalle ecografie si vedevano le sue malformazioni, ma hanno deciso di portare avanti la gravidanza e farla nascere nonostante la Sindrome di Treacher Collins (TCS).

Clara soffre anche di problemi respiratori e per questo è costretta a portare un tubo di plastica nel collo per non soffocare e respirare come gli altri.

Bisognerà aspettare che cresca ancora per poter effettuare degli interventi di chirurgia estetica ricostruttiva e fare in modo che possa iniziare a respirare normalmente. Operarla adesso non risolverebbe il problema, poiché si dovrebbe intervenire di nuovo. Dopo l’adolescenza, invece, i risultati potrebbero essere più efficaci.

Per il momento Clara sta affrontando la vita con molto ottimismo, come spiegano i genitori, ma il suo unico desiderio è di essere guardata come si guardano gli altri bambini.

Mi piacerebbe non essere più fissata così a lungo e vorrei che non mi facessero più domande… perché diventa così fastidioso a volte” sottolinea lei stessa. 



FONTE: yuorself.it
http://www.yourself.it/ama-la-vita-nonostante-le-gravi-malformazioni-fisiche-la-storia-di-clara/



Leggi tutto: http://www.yourself.it/ama-la-vita-nonostante-le-gravi-malformazioni-fisiche-la-storia-di-clara/?cp
Diventa fan: http://www.facebook.com/Yourself.itMi piacerebbe non essere più fissata così a lungo e vorrei che non mi facessero più domande… perché diventa così fastidioso a volte,” sottolinea lei stessa

giovedì 18 ottobre 2012

E' troppo bello vivere


Per respirare si aiuta con un ventilatore, per mangiare ha un sondino nello stomaco. Viaggia in carrozzina e dipende dagli altri. Ma questo non gli impedisce, nella sua doppia veste di medico e paziente, di far sentire con la voce che gli rimane la voglia di vivere anche con una malattia che porta alla morte.

Quanto rumore si è fatto attorno al dolore di Piergiorgio Welby, malato di sclerosi laterale amiotrofica che chiedeva di morire perché la vita, in quelle condizioni così dolorose, gli era diventata ormai insopportabile.
Ma ci sono molti altri malati di SLA che gridano il coraggio ed il diritto di vivere, anziché di morire. Simbolo di questa lotta è Mario Melazzini, primario al Day Hospital Oncologico S. Maugeri di Pavia, colpito quattro anni fa da questa cara “ragazza”: così chiama affettuosamente la sua SLA. Una malattia neurodegenerativa che lo ha inchiodato ad una sedia a rotelle ed ha ridotto il suo corpo ad un “contenitore”, togliendogli ogni possibilità di compiere gesti volontari. Da medico, ora anche paziente, dice che il problema reale da risolvere «è l’abbandono delle famiglie e delle persone che soffrono».
Un uomo dolce, un bell’uomo, con una carriera tutta in ascesa. Dopo aver scoperto il male che lo affliggeva ha compiuto un cammino tortuoso e passando per il libro di Giobbe ha capito che la vita è un dono e come tale vale la pena viverla sempre, ad ogni costo.

«Vivere è bello, in qualsiasi modo, anche in un corpo che non sento più mio».

L’abbiamo intervistato a Verona, presso una casa famiglia della Comunità Giovanni XXIII.


Sempre impegnato in questa battaglia per la vita?

«Attorno a questa malattia c’è il più totale abbandono e me ne sono accorto quando mi sono ammalato. Questo mi ha spinto a farla conoscere. Non è una malattia solo dell’individuo ma anche della famiglia. Il malato si scontra direttamente con le problematiche che questa malattia neurodegenerativa provoca, senza venire informato in maniera corretta, non tanto sul problema, ma sulle soluzioni».

Quali sono?

«L’80% dei pazienti decede entro tre anni dal momento della diagnosi perché non è sufficientemente supportato con strumenti che facilitano la vita. Come l’aiutarsi nella respirazione con la ventilazione, che io faccio con una maschera, e con una alimentazione adeguata tramite un sondino che mi permette di condurre una vita qualitativamente accettabile».

Prima di ammalarsi che persona era?


«La mia è stata una vita dura, adesso lo è di meno. Mi sono posto degli obiettivi e li ho raggiunti dal punto di vista familiare e professionale. Ho una famiglia bellissima. Sono diventato primario oncologo a 39 anni. Ero proiettato in una tranquillità sia professionale che personale stupenda anche se non ero mai contento perché cercavo di raggiungere sempre qualcosa di più».

Quali progetti aveva?

«Dare un po’ di serenità pratica a me, ai miei figli e a mia moglie per goderci la nostra vita di coppia, dato che tante cose ce le eravamo perse. Avevo un progetto per il mio lavoro: creare un gruppo di oncologi clinici con una maggior attenzione ai bisogni dei pazienti terminali. Poi improvvisamente, a 45 anni compiuti, entrò in me questa “ragazza”».

I primi segnali della malattia?

«Strisciavo il piede sinistro. Facevo molto sport. Andavo in bici e non riuscivo a mettere il piede nello scarpino del pedale. Da qui decisi di farmi degli esami dai quali non risultò nulla se non una modestissima riduzione degli enzimi muscolari».

Quindi?

«Pensai ad un semplice problema di schiena. Fino a quando il problema si trasferì all’altra gamba. Per camminare dovevo aiutarmi con il bastone. Decisi allora di fare tutti gli esami di accertamento. E lì avvenne un brusco contatto reale da paziente con il mondo medico. Dopo ore di attesa chi mi visitò mi disse: “Ah! Ma lei è medico... perché non l’ha detto?”. “E perché avrei dovuto?”. “L’avrei ricevuta prima”. E poi con altrettanta grazia mi disse: “Fa sport?”. “Sì”. “Bene, se lo scordi!”».

Come si è evoluta la malattia?

«Da una stampella dovetti passare a due. “Lei dovrà cominciare a pensare di utilizzare la carrozzina”, mi disse il riabilitatore. Nel giro di un mese la situazione precipitò. Andai in montagna con i miei figli e, senza farmi vedere da nessuno, verificai quanto tempo impiegavo a fare la pista ciclabile a piedi e in carrozzina. Dal lunedì, tornando in ospedale, cominciai ad usare la carrozzina. Prima la consideravo una sconfitta, poi una vittoria nei confronti della malattia».

L’essere cosciente degli effetti degenarativi della malattia sul proprio corpo, come le ha fatto vedere la vita?

«Fu bruttissimo sapere la diagnosi. Con questa malattia non si può fare nulla, pensavo. Allontanai mia moglie, tutti. Volevo accelerare la malattia. Non accettavo l’aiuto di nessuno. Fino a quando toccai il fondo. Mi hanno aiutato due carissimi amici: Ron, amico fraterno, che con discrezione mi è sempre stato vicino, ed il mio padre spirituale, Silvano Fausti, un gesuita. Volevo stare lontano da tutti. Ho passato quattro mesi in montagna. “Portati la Bibbia – mi disse il mio padre spirituale –. Se hai voglia leggiti il libro di Giobbe”. La Bibbia rimase sul comodino per un mese, poi decisi di aprirla. Giobbe mi aiutò a capire l’essenza dell’esistere».

Qual è?

«Ho la fortuna di avere questa malattia che ti porta via tutto e tu sei prigioniero di un corpo. Un contenitore che è pieno di nulla ma è ricchissimo di emozioni. È questo il valore aggiunto di questa malattia. Ho la fortuna come malato di provare e di affrontare determinate problematiche: perché non mettersi a disposizione degli altri?».

Nell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica?

«Sì, e da dieci mesi sono diventato presidente nazionale, nonostante la mia malattia progredisca. Conoscendo le problematiche che la malattia può dare, puoi andare avanti in maniera dignitosa».

Il caso di Welby ha suscitato un bel vespaio. Lei hai denunciato che chi è nelle sue condizioni e vuole vivere fa meno notizia di chi invoca la morte...

«Credo nel valore della vita, la amo in tutte le sue manifestazioni. Mi sono reso conto di quanto sia importante, per una persona fragile, il sentirsi considerata, il sentire che esiste anche quando si trova a vivere in determinate situazioni. Gridare il coraggio di vivere e di far vivere è una cosa forte».

C’è invece molta disinformazione attorno a questo problema.


«In questo periodo si parla tanto di eutanasia, di accanimento terapeutico, suicidio assistito, autodeterminazione e autonomia del paziente, c’è una confusione mostruosa».

Cioè?

«Si sta strumentalizzando il problema. Si vuole normare un evento per arrivare all’eutanasia. Il messaggio che è passato è che i malati che si trovano in una condizione simile a quella di Welby hanno una sofferenza tale che è incompatibile con una dignità e qualità di vita accettabile».

La sofferenza, il dolore si può evitare?

«Ci sono tutti gli strumenti fisici per lenire la sofferenza fisica ma c’è anche la sofferenza psicologica che a volte fa molto più male di quella fisica. Ci vuole un rapporto personalizzato con il paziente, condividendolo con i familiari proprio perché è una malattia della famiglia. Così c’è una presa in carico del paziente e in questo modo non si parla più di accanimento terapeutico perché è un percorso che si compie insieme».

Quali cambiamenti le ha imposto la malattia?

«Dipendere dagli altri, adattarmi a tutte le situazioni. Sono passato dall’altra parte e questo mi ha insegnato a fare il medico. Mi ha fatto capire i valori reali della vita, apprezzare le piccole cose. Programmare ma non pianificare».

C’è spazio per la felicità?

«Alla sera sono molto stanco ma sono felice. Mi alzo felice. Con un po’ di pensieri perché mi sento delle responsabilità nei confronti dei miei compagni di malattia e anche dei miei colleghi medici».

Con i figli che rapporto ha?


«Loro sono la mia benzina, tutti e tre in modo diverso. Da questa nostra esperienza di malattia loro traggono un beneficio. Spero che la sofferenza che sto vivendo in modo positivo possa essere per loro una carica positiva. Sono maturati molto».

Che ruolo ha sua moglie Daniela?

«Lei mi dà forza e sicurezza. La malattia può sfasciare le migliori famiglie. Ci ha tentato ma Daniela è stata bravissima. Se fosse stato per la mia arroganza... Non si può affrontare sofferenza e malattia senza amore».

Vale sempre la pena di vivere?


«Sì! Perché la vita è un dono e come tale va accettata, va vissuta dall’inizio alla fine. Vissuta con amore e positività perché bisogna godere di ogni istante che si vive e ringraziarlo, per chi crede nel buon Dio. Chi non crede può ringraziare chi vuole, per il fatto di essere stati messi al mondo».

Lei è credente?

«Moltissimo».

La fede l’ha aiutata ad accettare la malattia?

«Soprattutto ad accettare la morte».


di Nicoletta Pasqualini


L’uomo delle stelle

Mario Melazzini è nato a Pavia 48 anni fa. È sposato con Daniela, 40 anni, conosciuta tra i banchi del liceo. Tre figli: Federica, 22 anni, studentessa di medicina, Michele, 18 anni, studente al Liceo scientifico e Nicolò, 12 anni che frequenta la scuola media. Si laurea a 24 anni e a 39 è già primario del day-hospital oncologico dell’Istituto Scientifico Salvatore Maugeri di Pavia.
A 44 compaiono i primi sintomi della malattia. La diagnosi precisa arriva nel 2003: Sclerosi Laterale Amiotrofica. Una malattia tanto difficile da riconoscere quanto da accettare. A lui Ron dedica una canzone al festival di Sanremo: L’uomo delle stelle.


L’amicizia con Ron

Si sono conosciuti più di vent’anni fa in montagna a sciare. C’erano 20 gradi sotto zero. Ron faceva la fila allo skilift senza giacca a vento e berretta. Il dottor Mario non resistette dal dirgli: «Guardi che si prende un bel mal di gola». «Non si preoccupi, sono abituato» fu la risposta. La sera lo chiamano, come medico, dall’albergo dove Ron alloggiava: aveva un ascesso tonsillare mostruoso. «Da lì abbiamo cominciato a condividere tante battaglie – racconta Melazzini –. È come un fratello e si è messo a disposizione per far conoscere la SLA. Ha realizzato un CD dal titolo “Ma quando dici amore” i cui proventi sono andati tutti all’Aisla. L’album riunisce grandi artisti italiani che non hanno voluto nessun compenso. Contiene anche una chiacchierata a tre fra me, Ron e Renato Zero».

FONTE: donbosco-torino.it
http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Attualit%E0/06-07/008-Dottor_Mario_Melazzini.html



Bellissima storia e bellissima intervista.
Anche in questo caso, come per la storia di Anicetto Scanu postata 2 giorni fa, c'è solo da togliersi il cappello di fronte al coraggio, alla determinazione, alla voglia di vivere e di dedicarsi al bene comune di quest'uomo, un medico malato di SLA al servizio di altri malati.

E la sua positività nei confronti della vita possa essere di esempio a tutti: «La vita è un dono e come tale va accettata, va vissuta dall’inizio alla fine. Vissuta con amore e positività perché bisogna godere di ogni istante che si vive e ringraziarlo, per chi crede nel buon Dio. Chi non crede può ringraziare chi vuole, per il fatto di essere stati messi al mondo».
Parole di grande saggezza e valore che ognuno può fare sue in ogni momento della propria vita.

Marco

martedì 16 ottobre 2012

La SLA non ferma Anicetto Scanu. Grazie ad un computer, continua a dirigere dal suo letto la sua radio!

Anicetto Scanu, famoso speaker radiofonico sardo, ha la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). La malattia gli ha portato via la voce, ma lui non demorde e combatte la sua infermità, grazie anche ad un software del computer che traduce il movimento degli occhi in suoni e parole e riesce ancora a dirigere la sua emittente: la gloriosa Radio Sardinia, una delle prime radio libere della Sardegna, fondata da Anicetto nel lontano 1975.
Lo stesso Anicetto qualche anno fà fu il protagonista di una gara di solidarietà, che portò sul palco numerosi artisti sardi, i quali riuscirono a concludere positivamente una raccolta fondi per l'acquisto di un ascensore che consentì ad Anicetto di spostarsi liberamente nel suo appartamento. Oggi Anicetto non può più muoversi dal suo letto, ma come abbiamo visto la grinta e la determinazione sono sempre le stesse.

25 settembre 2012

FONTE: nientebarriere.blogspot.it
http://www.nientebarriere.blogspot.it/2012/09/la-sla-non-ferma-anicetto-scanu-grazie.html



Tanta, tanta, tantissima ammirazione da parte mia per quest'uomo che nonostante la sua invalidante malattia riesce a dirigere la sua emittente radio, Radio Sardinia, fondata ben 37 anni fa.
Giù il cappello.

Marco

lunedì 15 ottobre 2012

Giulia, più forte della rarissima malattia che sferza e deforma il suo corpo

Ha solo venti anni e tra un intervento e l’altro studia Scienze politiche, scrive poesie, gioca a bowling, parla inglese e francese
 
PADOVA - «Ciao a te che stai leggendo questa pagina forse per curiosità, forse per capire qualcosa di più dello strano mondo delle malattie rare, forse perché anche tu sei come me... diversamente normale. Io sono Giulia». Inizia così a raccontarsi, scegliendo come spazio virtuale il sito internet a lei dedicato: (http://www.sindrome-eec.it/giulia.php) Giulia parla della sua malattia, una sindrome non taciuta, nascosta, celata agli occhi del mondo, ma mostrata in tutta la sua cruda verità.

Giulia Volpato, ventenne padovana affetta da una patologia malformativa congenita rarissima, la Eec (ectrodattilia-displasia ectodermica-palatoschisi, legata a mutazioni del gene p63 deputato alla produzione di una proteina essenziale per lo sviluppo), frequenta l'Università di Padova, Scienze politiche e relazioni internazionali. Parla benissimo inglese e francese, è simpatica, intraprendente, piena di energia, ha voglia di autonomia.

«Amo il divertimento, la danza, i sogni e le sfide, sono molto creativa, adoro scrivere poesie e ho una fortuna nella sfortuna: ho una malattia rara chiamata Eec che comporta - racconta - malformazioni alle mani, ai piedi, complicazioni gravi agli occhi e al palato. Nella mia vita ho affrontato molte operazioni chirurgiche più o meno critiche; l'ultima, il 23 ottobre 2009, un trapianto osseo nella gengiva per i futuri impianti per i denti. Ho incontrato tantissima gente più o meno comprensiva. Purtroppo ci sono persone ignoranti e ottuse che ti giudicano, ti squadrano dalla testa ai piedi e ti allontano dai loro figli o dalla loro realtà senza averti conosciuta sul serio; ma, fortunatamente, esistono anche persone curiose, sensibili e intelligenti che ti chiedono spiegazioni per cercare di capire cos'è questa strana e rara cosa... e inizia una bellissima amicizia».

Non ha pudore Giulia, e sul sito web www.sindrome-eec.it mostra, postando fotografie, gli esiti della sua malattia. Per raccontarsi e stimolare la ricerca tramite l'associazione creata dalla sua famiglia, la "p63 Sindrome Eec International onlus". «Con me stessa ho un bellissimo rapporto: le mie mani mi piacciono così come sono... mi danno la possibilità di giocare con le amiche inventandoci ogni volta modi diversi per prenderci per mano; lo stesso vale per i piedi perché mi piace prendere gli oggetti con le dita, intrecciarle come per coccolarmi da sola... qualche volta mi sono immaginata con tutte le dita, ma dopo qualche secondo torno alla realtà».

Il vero grande problema sono gli occhi. «La mia indipendenza è pressoché impossibile; da sola non posso andare in bici, in moto, in macchina e a piedi è pericoloso sia per me che per terzi. Ci vedo a sbalzi e veramente pochissimo, tutto frastagliato e, in momenti di dolore acuto, tutto appannato e sfuocato. Nonostante questo problema sono uscita dal liceo delle scienze sociali con 85/100. Sarà difficile da credere, ma so giocare a bowling».

«Per salutarti - scrive Giulia sul web - ti lascio una riflessione: noi esseri umani ricerchiamo sempre la rarità in tutto; le collezioni di oggetti rari, i valori persi in gran parte e per questo rari, le emozioni rare, le sensazioni rare... allora perché quando ci troviamo davanti persone con malattie rare le evitiamo e le allontaniamo perdendo tutto ciò che possono insegnarci?».

di Federica Cappellato

23 luglio 2012 (ultimo aggiornamento 25 luglio)

FONTE: il gazzettino.it 

http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=209968


Una storia piena di positività quella di Giulia Volpato, che riporto con molto piacere sul mio blog.
E' bello vedere con quanta vitalità e allegria si può affrontare una patologia rara come la sua, senza lasciarsi sopraffare da essa, ma anzi, sapendola affrontare con il sorriso sulle labbra e vivendo la vita in pienezza, pur con i limiti che la malattia giocoforza ti impone.
La sua considerazione finale merita una riflessione da parte di tutti: "
Perché quando ci troviamo davanti persone con malattie rare le evitiamo e le allontaniamo perdendo tutto ciò che possono insegnarci?". Riflettiamo bene su queste sue parole e cerchiamo di assimilarle bene, perchè c'è sempre tanto da imparare dagli altri, sopratutto da chi affronta situazioni di vita particolari che aiutano a  temprarti e a farti essere una persona migliore.

Marco

venerdì 12 ottobre 2012

Lo sciopero della fame dei disabili

Le categorie deboli si ribellano ai tagli previsti al bilancio sociale. I disabili non sono un costo, sono persone.

Il bilancio sociale non si tocca, per questo dei disabili gravi stanno facendo lo sciopero della fame. Alcuni di loro vivono su una sedia a rotelle, altri sono genitori di persone con disabilità psichica e relazionale, meno visibili, ma altrettanto bisognosi di assistenza 24 ore su 24.

Sono i componenti del "Comitato 14 Settembre", nato per la difesa dei diritti delle persone disabili e delle loro famiglie, hanno iniziato il loro presidio in Piazza Montecitorio a Roma rifiutando di alimentarsi fino a che, il Presidente del Consiglio ed i Ministri coinvolti, non apriranno un tavolo di lavoro. "Lo scopo - spiegano dall'associazione - è quello di analizzare e risolvere insieme, in totale spirito di collaborazione, la drammatica emergenza di una delle fasce più fragili della popolazione, i disabili, tra le più colpite dalle recenti spending review".

"Siamo certi che, con spirito di servizio ed onestà intellettuale e politica, si potranno trovare soluzioni coerenti con l'austerità che il nostro Paese è costretto ad affrontare – dice il Presidente Michele Colangelo cieco e carrozzato - e perché alle persone disabili e alle loro famiglie, che non vogliono più essere considerati solamente un centro di costo, venga restituita la loro dignità di cittadini e, soprattutto, di persone".

di Gianluca Nicoletti

11 ottobre 2012



FONTE: lastampa.it
http://www.lastampa.it/2012/10/11/blogs/obliqua-mente/lo-sciopero-della-fame-dei-disabili-YEcWvlEwTJb3sMIm3odmRP/pagina.html

giovedì 11 ottobre 2012

A Taranto, la vita impossibile tra i veleni dell'Ilva


In ogni famiglia del rione Tamburi c'è almeno un malato con carcinoma. «Qui abbiamo il doppio di incidenza di leucemie acute nei bambini rispetto al resto d'Italia»


TARANTO - Ilva è grande due volte la città vecchia di Taranto. Ha un'attività incessante. Registriamo le immagini del servizio nel mese di agosto, proprio contestualmente al divieto di attività da parte della Procura di Taranto che pochi giorni prima ha sequestrato gli impianti inquinanti. Il procuratore Franco Sebastio infatti è stato costretto a chiarire: «Il sequestro degli impianti a caldo dell'Ilva impone l'eliminazione delle emissioni inquinanti e pericolose e inibisce qualunque attività produttiva degli impianti».

LO SLOPPING - Ma le ciminiere sono sempre lì a sputare fumi. Rosa, rossi, arancioni. Il colore è indefinito ma all'alba è ben visibile. Copre come una cappa tutta l'industria e le zone circostanti. Il fenomeno si chiama slopping (letteralmente: rovesciare, traboccare, fuoriuscire). Dal cielo cadono frammenti di minerali che ricoprono tutto sotto forma di una polvere sottilissima. Al sole brilla, sembra argento o oro rosa. E' metallo. Si deposita ovunque. Soprattutto nelle aree più vicine alle ciminiere: il cimitero, le scuole e un intero quartiere residenziale: Tamburi. Entra nei polmoni. Li distrugge.

L'INCREMENTO DI TUMORI
- In questo quartiere attorno al quale è stata costruita l'Ilva, in ogni appartamento c'è almeno un malato di tumore. «E' solo la punta dell'iceberg» dice il dottor Patrizio Mazza, primario di Ematologia all'ospedale S. Annunziata di Taranto. I dati in suo possesso parlano di un incremento dei tumori di circa il 30% rispetto alla media nazionale. I più colpiti, secondo il professore, sono i bambini. «I bambini iniziano con malattie che coinvolgono il sistema respiratorio o il sistema immunitario ma sono solo il preludio per patologie maggiori che si scopriranno con il tempo». Non a caso la perizia tecnica ordinata dal tribunale parla di «emissioni che sono causa di malattia e morte». Una situazione che va avanti dagli anni '60 ma che ha provocato scandalo solo negli ultimi tempi. Da quando, cioè, si fece analizzare un pezzo di formaggio prodotto nelle fattorie adiacenti e si scoprì che era zeppo di diossina. Alcune associazioni di ambientalisti hanno calcolato che il 92% della diossina prodotta in Italia proviene dall'Ilva. Secondo le tabelle dell'Ines (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) l'Ilva sfora tutti i limiti di emissioni nell'aria e nell'acqua.

I MOSTRI - Diossina e benzo(a)pirene (un letale idrocarburo policiclico aromatico) sono i due mostri contro i quali una parte della popolazione combatte. L'altra parte chiude gli occhi preferendo tutelare il posto di lavoro. «Se ci danno una casa più lontana e un lavoro più lontano andiamo via, altrimenti meglio morire qui che morire di fame altrove» dice il personale della scuola media De Carolis, proprio a ridosso di una delle ciminiere più tristemente note. E' quella che ricopre di "rosa" anche il cimitero.

IL CIMITERO ROSA - Le tombe un tempo erano di marmo bianco. Ora sono tutte colorate. Non per un effetto romantico ma per il minerale ferroso che con il vento si deposita sopra. Ma anche al cimitero di Brunone sono in pochi a volerne parlare. «Il posto di lavoro è sacro». Un operaio ci fa vedere i cumuli di polvere ferrosa che si raggranellano fuori le finestre degli uffici o sulle panchine. Quando c'è vento sono costretti a chiudere tutto o a girare con le mascherine. In fabbrica sono in tanti quelli che sanno di questo disastro. Compreso il sindacato che molti operai accusano di essere sovvenzionato dall'azienda. «E' quanto di più falso ci possa essere - controbatte Luigi D'Isabella della Cgil regionale -. L'Ilva elargisce 600 mila euro l'anno ma non sono soldi che arrivano a noi direttamente ma ad una fondazione, "Vivere solidali" (che però è gestita dagli stessi sindacati, ndr), che si occupa delle attività dopolavoristiche degli operai. Tra l'altro, proprio in seguito a tali polemiche, stiamo discutendo se sia il caso di investire diversamente questi soldi».

IL MOBBING
- Eppure chi negli anni si è permesso di protestare è stato allontanato. O meglio, confinato. Come nel caso di Massimo Battista. Lavorava nei reparti Acciaieria 1 e 2. Poi quando iniziò a denunciare lo slopping hanno provato a licenziarlo. Tre volte. Non ci sono riusciti. Dal 2007 lo hanno "inviato" in una casupola sul mare di proprietà aziendale (che la gestisce tramite la suddetta fondazione) «a contare le barche che passano». Proviamo a chiedergli della famigerata palazzina Laf. E' uno stabile vuoto, senza nemmeno una sedia, in cui vennero rinchiusi per otto ore 60 operai che protestavano per le fuoriuscite inquinanti. Battista racconta che è solo uno dei casi venuti alla luce, uno di quelli in cui la magistratura ha messo le mani condannando 11 dirigenti per mobbing. «Ma nell'azienda si vede di peggio, c'è solo da togliere i paraocchi». (Finte prima parte)

TARANTO (Seconda parte) - Al rione Tamburi la gente preferisce non sapere. Ha paura di controllare la salute. Una volta su due gli accertamenti medici identificano un tumore, una leucemia, un polipo maligno allo stomaco. In ogni famiglia c'è almeno un malato con un carcinoma. In altri casi, come quello di Francesco Fanelli, il cancro l'ha praticamente cancellata la famiglia: madre, padre, nonni, i due fratelli, la prima moglie, uno zio, una zia... Quando è stato il turno della primogenita, di appena 11 anni, ammalata di leucemia mieloide, è scoppiato in lacrime. In 24 ore ha deciso di vendere tutto e scappare via dal rione. «Ho preferito accollarmi un mutuo di 100mila euro alla mia età piuttosto che vedere morire tutti davanti ai miei occhi impotenti» dice Fanelli. Ha fondato un'associazione. Si chiama 9 luglio 1960. E' il giorno in cui ai Tamburi hanno iniziato a costruire l'Ilva. Lo chiamano l'"anno zero", «il giorno in cui giardini, frutteti, ruscelli e una fresca aria curativa hanno lasciato il posto a questa grande industria». E' il ricordo di Ettore Toscano, attore e poeta tarantino che della trasformazione dei rione Tamburi ha impressa la violenza inferta al territorio. Prima, i bambini che soffrivano di asma o piccoli problemi respiratori li mandavano ai Tamburi per respirare aria fresca. Ora da qui si scappa.

I VELENI NELL'ARIA E NELL'ACQUA
- I veleni dell'Ilva si sono infiltrati in ogni casa, su ogni terreno, in ogni lembo d'acqua. «Già vent'anni fa prelevammo dei campioni di sedimento marino davanti agli scarichi dell'Ilva - racconta Fabio Matacchiera, attivista del Fondo Antidiossina Taranto Onlus -. Il responso clinico fu impietoso: si trattava di rifiuti tossico-nocivi». A distanza di 20 anni gli abbiamo chiesto di ripetere l'esperimento. Con un retino ha raschiato il fondale del mare ed è uscita un'acqua nera e densa come il petrolio, l'odore del mare cancellato da quello dell'olio. Un guanto di lattice usato per il travaso nei tester, si spacca a contatto la sostanza prelevata. I campioni sono poi stati inviati a un centro specializzato che si trova a Venezia. Quello che a noi sembrava petrolio in effetti era una miscela esplosiva di Pcb, idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti. «Tra questi spicca la massiccia presenza di benzo(a)pirene - precisa Matacchiera -. E' un contaminante categoria 1 presente nella quantità di oltre 92mila microgrammi per chilo di peso secco. Il contatto con questo inquinante, per dare un'idea, equivale a fumare circa duemila sigarette in un anno».

LEUCEMIE ACUTE NEI BAMBINI - E' probabile che le abbia respirate il piccolo Lorenzo. A 3 mesi di vita gli hanno trovato un tumore alla testa di 5 centimetri. «Era più grande il tumore che la sua testolina» - racconta commosso il padre Mauro Zaratta, anche lui costretto ad andare via da Taranto. «Qui abbiamo il doppio di incidenza di leucemie acute nei bambini rispetto al resto d'Italia - afferma il primario di Ematologia all'ospedale S. Annunziata di Taranto -. Come si fa a non rendersene conto? Provo sconforto perché sono dieci anni che denuncio l'aumento di queste malattie ma l'unica risposta che mi è stata data negli anni dalla politica e dalle autorità è che sono un medico terrorista. Ora dovrebbero sapere che il 40% di questi bambini affetti da leucemie acute non ce la fanno a sopravvivere. Muoiono dopo qualche mese. E spesso si tratta di bambini che non hanno nemmeno un anno di vita».

di Antonio Crispino

26 settembre 2012 (modifica il 11 ottobre 2012)



FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/inchieste/a-taranto-vita-impossibile-veleni-ilva-/86ea73ec-07e8-11e2-9bec-802f4a925381.shtml

martedì 9 ottobre 2012

Breve storia di una malattia invisibile da 60 anni, l'MCS

(Uno speciale ringraziamento all'aiuto fondamentale dell'amica Valeria Faa)

Il primo a diagnosticare la MCS (Multiple Chimical Sensitivity - Sensibilità Chimica Multipla) alla fine degli anni '50 è stato l'allergologo Theron G. Randolph (1906-1995), padre della ecologia clinica.
Il prof. Randolph capì che c'erano dei soggetti apparentemente allergici, ma con sintomi anomali e multisistemici, ma l'intuizione più grande del dr. Randolph è stata di aver correlato questi sintomi alle sostanze ambientali di sintesi chimica e/o tossiche. In aperto contrasto con gli allergologi, il prof. Randolph decise di studiare queste malattie (Randolph definiva la sensibilità chimica al plurale cioè "le sensibilità") dedicando loro tutto il suo operato e diventando così il fondatore dell'ecologia clinica. Svolse numerosi studi ed ebbe la geniale intuizione dell'unità ambientale, un luogo di osservazione in cui i pazienti erano allontanati da tutte le sostanze chimiche e/o tossiche (l’unità ambientale serviva soprattutto per una diagnosi certa, li si testavano le varie sostanze dopo un periodo di evitamento, che portava ad uno smascheramento dei sintomi ed anche a crisi di astinenza).

Gli ecologi clinici sostenevano che la sensibilità chimica era una vera e propria malattia, solo che ne erano sconosciute le cause eziologiche, mentre gli allergologi sostenevano che la sensibilità chimica non era altro che il frutto di sintomi di origine psicosomatica (....).
Con la scoperta delle ige-mediate, gli allergologi hanno avuto il sopravvento, ma gli studi e le osservazioni cliniche dei sapienti ecologi clinici (tra i più bravi ricordiamo il dr. Rea) hanno ribattuto che il meccanismo eziologico era ancora da scoprire e che c'era la necessità di una vera e propria ricerca che non ha mai avuto luogo..... e così sono andati avanti in una lotta senza fine per oltre 40 anni.

Nel 1990, in seguito all'occupazione del Kuwait da parte dell'Iraq, furono spediti in aiuto al Kuwait migliaia di soldati americani. Questi soldati furono vaccinati, con vaccini contenenti varie sostanze tossiche, spararono con proiettili ad uranio impoverito e, come ciliegina sulla torta, trovarono centinaia di pozzi di petrolio incendiati. La maggioranza di questi soldati (quelli che riusciroro a tornare a casa) si ritrovarono ammalati delle più brutte e disparate malattie: Leucemie, tumori, e tante altre, ma il 30% di essi presentava i sintomi della MCS accompagnati dai sintomi della fatica cronica, dalla sindrome da stress post-traumatico, dalla fibromialgia e dall'encefalomielite. Tutto questo si traduce in T.I.L.T (“Toxicant Induced Lost of Tolerance”, cioè “perdita di ogni tolleranza indotta da sostanze tossiche”). Questa malattia così crudele è chiamata (non a caso) anche Sindrome della Guerra del Golfo.
Nonostante le prove di questi poveri soldati, che non potevano essersi ammalati in tanti per un fatto psicologico, nessuna ricerca fu avviata in proposito sui meccanismi eziologici. Poi un bel giorno, un grande biochimico e medico ricercatore si è ammalato di MCS.... (per chi non ha Fede questo dovrebbe essere una prova dell'esistenza divina)..... Questo biochimico è il dr. Martin Pall.

Verso la fine del millennio il dr. Pall ha voluto capire perchè il suo corpo si comportava in modo anomalo ed ha cominciato una vera e propria ricerca. Non ci è voluto molto a scoprire il meccanismo della malattia, in quanto era stato già scoperto e, in parte, comprovato. Questo meccanismo eziologico si basa sugli alti livelli di ossido nitrico, di citochine ecc., ma il punto focale è il meccanismo di alti livelli di ossido nitrico e perossinitrico, il quale mette in atto un'ossidazione cellulare, danneggiando così la cellula spesso in modo irreversibile.
Le nostre cellule hanno un equilibrio chimico, esse sono impermeabili, o meglio, sono permeabili solo alle sostanze che servono al loro funzionamento, che vengono definite, per questo, trans-membrana (cioè possono attraversare la membrana cellulare). Invece l'ossidazione cellulare rovina la membrana cellulare e fa sì che nelle nostre cellule entrino sostanze che non dovrebbero esserci, ecco perchè i malati di MCS presentano elevati livelli di calcio intracellulare e tante altre sostanze dannose. Tutte queste sostanze non permettono il buon funzionamento della cellula e il primo organismo a risentirne è il mitocondrio (organo cellulare che permette l'ossigenazione dei tessuti e quindi la presenza di energia), infatti tra i primi sintomi troviamo la stanchezza cronica.
Man mano che la cellula si danneggia, si riempie di sostanze che dovrebbero essere estranee e queste vanno a causare altri danni tra cui la mutazione epigenetica del DNA e da qui tutta una serie di enzimi che non vengono più prodotti, carenze vitaminiche e mal funzionamento di più sistemi del nostro organismo.
In questo modo il malato di MCS si ritrova con svariati sintomi e con un'unicità patologica dei sintomi perché l'alterazione del DNA è causata da sostanze tossiche diverse e da un patrimonio genetico diverso da individuo ad individuo. I sintomi sono multisistemici, cioè riguardano diversi sistemi e apparati del corpo umano, come quello cardiovascolare, il sistema nervoso centrale, il sistema immunitario, ecc... (per approfondimenti sui sintomi riguardanti i diversi sistemi consultare questa pagina web: http://www.my-sensibility.com/diagnosi/index.htm ).
Purtroppo, questo meccanismo (messo in atto dall'inquinamento ambientale) è alla base di svariate malattie come: cancro, malattie autoimmuni, malattie endocrinologiche, linfomi, allergie, malattie multisistemiche ecc...

Quello che vorrei fare notare (soprattutto a chi non è ammalato di MCS) è che tutti siamo vittime di una sconsiderata guerra all'ambiente..... chi non ha tra gli amici e i parenti una persona che soffre delle malattie che ho appena citato? Questa guerra (chiamiamola) ecologica, fatta da alcune lobby di potere, non permette che si sappia la verità e, fateci caso, mette in giro la voce che noi siamo malati psicosomatici, senza tener conto di tutte le ultime scoperte scientifiche..... A queste lobby non conviene che si sappia la verità, cadrebbero troppi imperi economici....

Più che malati invisibili noi siamo malati scomodi, troppo scomodi affinché ci venga riconosciuto un ruolo dignitoso in questa società.
Ancora oggi (nel 2012) i medici italiani non conoscono l'MCS, e se si vogliono informare vengono presentati loro documenti scientifici risalenti al 1998, anno in cui era ancora in corso la lotta tra allergologi ed ecologi clinici.
Ancora una volta l'Italia risulta arretrata (nella verità) di almeno 30 anni rispetto a quelle nazioni che riconoscono la malattia, nazioni che prendono anche provvedimenti utili alla "salute nazionale" (per esempio, nel mese di agosto 2012, negli Stati Uniti d'America sono stati messi al bando i profumi, creando dei luoghi pubblici liberi da fragranze..... come si fa per i luoghi dove è vietato fumare). In Italia, oggi, pochissimi medici diagnosticano e conoscono l'MCS e questa ignoranza della malattia fa sì che muoiano malati di MCS non diagnosticata, con i medici che spesso scambiano i sintomi di questi malati per sintomi psicosomatici, prescrivendo psicofarmaci che peggiorano la situazione (perché negli psicofarmaci sono contenute sostanze altamente tossiche anche per le persone sane, ma veramente velenose per gli ammalati di MCS).

Questa grande tossicità diffusa è causa non solo dell'MCS, ma anche di malattie comportamentali quali l'ADHD e l'autismo, come pure la SLA e, non ultimo, di molti disturbi mentali. Queste ultime malattie sono aumentate a dismisura negli ultimi tempi ed i medici non prendono in considerazione l'inquinamento, quando è stato provato scientificamente che "certe sostanze" portano a squilibri mentali.

Non sono qui per fare polemica, ma vorrei solo informare le persone non ammalate affinché prendano provvedimenti per la loro stessa salute.
Noi ammalati veniamo spesso trattati come appestati, qualcuno ci definisce "quelli con la museruola", altri ci considerano pazzi, non conoscendo e non sapendo che in questa malattia si perdono tutte le barriere protettive dell'intestino e del cervello, e quando ci fanno inalare una piccola "sostanza" noi andiamo completamente in tilt.

Forse noi siamo abbastanza forti per superare tutto questo, ma voi "sani" proteste essere i prossimi, e questo personalmente mi fa stare male, soprattutto se penso che oggi sempre più bambini si ammalano di MCS.
Credo che dovremmo fare tutti uno sforzo per migliorare la qualità delle nostre vite, ripulendo questo mondo e rendendolo migliore (vivendo nello stesso ambiente malsano siamo tutti predisposti ai danni epigenetici!!!).

Vorrei concludere con una frase del dr. Martin Pall presa dal suo sito ufficiale, con la speranza che vi inviti a riflettere:
"Sono queste malattie vere? Sì, anche quelle che sembrerebbero un pò insolite. A causa della natura fondamentalmente locale del ciclo NO/ONOO, abbiamo le possibili variazioni pressoché infinite di malattie causate dal ciclo NO/ONOO. Cioè abbiamo un ampio spettro di malattie e ciò che abbiamo fatto nella definizione di tali malattie specifiche, più o meno arbitrariamente, è quello di definire una specifica sezione di questo spettro come, ad esempio, la Fibromialgia, e in un'altra sezione si sovrappongono come CFS/ME. Se si utilizza una definizione diversa per la CFS/ME, si definirà una sezione un pò diversa di questo ampio spettro. La medicina vede comunemente malattie specifiche qualitativamente diverse tra loro. Ad esempio, i casi di tubercolosi sono sempre causati dal bacillo della tubercolosi, mentre altre malattie infettive sono causate da diversi agenti infettivi. Tuttavia, con le malattie del ciclo NO/ONOO, l'intero concetto di diagnosi differenziale, su cui si basa tanta parte della medicina, viene rimessa in discussione." (http://www.thetenthparadigm.org/).

Il corpo umano è come un laboratorio chimico, in cui tutti gli strumenti funzionano in determinati parametri..... quando uno di questi viene alterato, tutte le funzionalità del laboratorio saranno compromesse. Non è il singolo sintomo che bisogna guardare, ma è tutto l'insieme che ci rende sani o vulnerabili.

di Mariagiovanna Liguori,

con l'aiuto e la supervisione di Valeria Faa
 
26 settembre 2012

FONTI:
- Sensibilità alle sostanze chimiche di Ashford e Miller
http://www.thetenthparadigm.org/

- Malcom Hooper, impegnarsi per la sensibilità chimica
http://it.scribd.com/doc/70887897/Le-Basi-Molecolari-Della-Multiple-Chemical-Sensitivity-Myalgic-Encephalomielitis-CFS-Deficit-Mitocondriale-Second-a-Rio-Neuro-Immune-Cross-Talk-Nell

- MCS, La fine di una controversia - Martin L. Pall

domenica 7 ottobre 2012

Da Roma può arrivare una speranza per Daniela

Ci sarebbe un modo di curare la rara forma di intolleranza di cui è affetta la ragazza di Angri. Adesso servono soldi 

Potrebbe venire dall’Inghilterra la cura per Daniela Vitolo.
La ragazza è affetta da una rara malattia, la MCS, Sensibilità Chimica Multipla che ad oggi non è però riconosciuta come invalidante. Da qui l’assenza di cure specifiche e di reparti ospedalieri attrezzati.

A fornire spiegazioni il padre della ventinovenne: «Ringrazio la città per quanto sta avvenendo», ha quindi esordito.

«Ci sono delle novità per mia figlia e per tutti i malati di Sensibilità Chimica Multipla. Sono stato invitato dal professore Genovesi dell’Università La Sapienza di Roma che ha appreso le notizie relative al caso dai giornali e dai siti internet», ha continuato.

L’obiettivo dell’incontro è stato quello di verificare quali strade potrebbero essere percorse per avviare ricerche finalizzate alla cura della malattia.

«Il professore ha dichiarato che una soluzione ci sarebbe sebbene è anche da dire che da almeno cinque anni sta cercando di attrezzare un reparto per i pazienti affetti da MCS. Il vaccino potrebbe essere ricavato dalle urine dei pazienti: una pratica già sperimentata in Inghilterra. Infatti, il professore vorrebbe avere una consulenza con la collega inglese». Poi, ancora: «Il professore mi ha riferito che per dare inzio a questa terapia occorrerebbe comprare due apparecchi specifici». Infine, una esortazione «Chiedo un intervento del ministro Balduzzi affinchè prenda contatti con il professore Genovesi».

L’amministrazione ha promosso una raccolta fondi. Di seguito le informazioni per effettuare la donazione:
c/c 15076847 intestato al Comune di Angri Servizio Tesoreria IBAN IT 76 Q 07601 15200 00001 5076847.
Causale: Tutti insieme per Daniela.


di Pippo Della Corte

02 ottobre 2012

FONTE: lacittadisalerno.gelocal.it
http://lacittadisalerno.gelocal.it/cronaca/2012/10/02/news/da-roma-puo-arrivare-una-speranza-per-daniela-1.5792527


Da Agropoli un aiuto a Daniela
«Ospedale pronto a ospitarla»

 

Il direttore del reparto di Allergologia: «Siamo attrezzati per curarla». La ragazza di Angri vive in isolamento ad Acerno perché affetta da una rara allergia. Il caso sollevato da “la Città”

«Siamo attrezzati per curare Daniela Vitolo». È quanto ha affermato il direttore del reparto di Allergologia e Immunologia clinica dell’ospedale di Agropoli (Salerno), Vincenzo Patella, a proposito della giovane di Angri, nel salernitano, affetta da una rarissima forma di allergia, la MCS, Sensibilità Chimica Multipla, e verso la quale è nata una vera e propria gara di solidarietà. Nei giorni scorsi, la famiglia aveva lanciato un appello affinchè la Regione Campania riconoscesse almeno la malattia come invalidante, per poter sostenere le enormi spese mediche.

Da anni, infatti, Daniela è costretta ad una vita quasi da «reclusa», per evitare di entrare in contatto con sostanze chimiche che scatenerebbero reazioni allergiche dagli esiti imprevedibili, mentre negli ultimi tempi le sue condizioni sono drammaticamente peggiorate. «Siamo pronti ad accogliere e curare Daniela - ha affermato il dottor Patella - Il reparto vanta una struttura idonea per le malattie rare e da tempo seguiamo almeno tre pazienti affetti dalla stessa forma allergica di Daniela.». È infatti indispensabile che Daniela trascorra l’inverno in una struttura idonea, lontano da sostanze chimiche con le quali ogni giorno tutti entriamo in contatto. «Attendiamo la risposta della famiglia di Daniela», ha concluso il dottor Patella.

Nei giorni scorsi il padre di Daniela aveva lanciato un appello dalle colonne de “la Città” e con un video da questo sito internet per chiedere aiuto.

4 ottobre 2012

FONTE: lacittadisalerno.gelocal.it
http://lacittadisalerno.gelocal.it/cronaca/2012/10/04/news/da-agropoli-un-aiuto-a-daniela-ospedale-pronto-a-ospitarla-1.5803038?fb_comment_id=fbc_412697198794539_3792846_413450135385912#f420e7684755a8

 



Daniela su Facebook:

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Riporto questi 2 articoli usciti recentemente sulla storia di Daniela Vitolo, malata grave di MCS e costretta, per questa ragione, a vivere isolata da tutti e tra mille precauzioni. Riporto anche il video trasmesso proprio ieri dalla Rai, in cui lei stessa si racconta e parla della sua situazione.
La storia di Daniela riporta come sempre alla ribalta il problema del mancato riconoscimento di una patologia come questa: è mai possibile che una patologia del genere, che ti limita in questa maniera, impedendoti di fare praticamente tutto, non abbia un riconoscimento ufficiale dal nostro sistema sanitario nazionale? Che cosa devono fare questi malati per farsi riconoscere come tali dallo Stato? Questa è un autentica VERGOGNA !!!
Grazie al Cielo, nonostante l'invalidante malattia di cui Daniela è colpita, si sta creando attorno a lei una notevole catena di solidarietà, la sua famiglia l'appoggia in pieno (ma non per tutti i malati di MCS è così) e, non ultima cosa per importanza, a questa ragazza non manca il sorriso e il buon umore per affrontare con coraggio e determinazione la sua difficile situazione.
Tutto questo però non deve cancellare le responsabilità che il nostro Stato deve avere nei confronti di malati come lei.... questi malati non possono e non devono essere lasciati soli a loro stessi, questa sarebbe un ingiustizia che in un paese che si dichiara civile come l'Italia non può assolutamente accadere !

Marco