domenica 30 ottobre 2011

Discarica a Riano: la rabbia dei residenti. Giallo sull'istruttoria


Quadro Alto ospiterà la discarica. I residenti protestano e denunciano: "Il 6 ottobre sono stati nominati due esperti per svolgere l'istruttoria, il giorno dopo presa la decisione".

Riano è in protesta contro la decisione di realizzare una nuova discarica a Quadro Alto. La decisione è stata ufficializzata pochi giorni fa da Giuseppe Pecoraro che ha firmato il decreto, decreto che vede opporsi la popolazione del comune sulla Flaminia.
"Non possiamo accettare uno scempio del genere sul nostro territorio. Nell'ambito della legalità faremo di tutto per bloccarla". A parlare è Massimiliano Venditti, proprietario di un ristorante "a 260 metri dalla futura discarica", tra le centinaia di cittadini presenti all'assemblea nella sala consiliare del paese.

"E' scritto che il 6 ottobre sono stati nominati due esperti per svolgere l'istruttoria - afferma il portavoce Giorgio Coppola -. Il giorno dopo Pecoraro ha annunciato i siti. Quale ricerca hanno potuto svolgere in meno di 24 ore?". Oggi è stracolma la sala comunale dove la Cgil di Roma nord ha organizzato questo pomeriggio l'assemblea pubblica "Riuso, riduzione e riciclo". C'è il sindaco Marinella Ricceri con la giunta comunale, sindacalisti e tanti cittadini 'arrabbiati' che, sostengono: "Questa discarica distruggerà il nostro territorio". "Io abito a 400 metri da Quadro Alto - racconta Bruno Ghezzi -. Mio figlio voleva trasferirsi in un appartamento sopra il mio e ha deciso di andar via perché ha un bambino di un anno che non lo vuol far crescere in mezzo ai rifiuti. Io invece sono condannato, ma per impedire l'arrivo di questa discarica sono pronto a tutto".

Paolo Alfonsi, amministratore delegato della Quadro Alto srl, gli fa eco: "La nostra attività da oltre 50 anni si occupa di estrazione di blocchi di tufo. Se ci fanno una discarica saremmo costretti a licenziare tutti i nostri dipendenti. A Quadro Alto, oltre la nostra, ci sono altre tre cave in funzione dove lavorano circa cento persone. Se e quando ci verrà notificato il decreto come minimo faremo ricorso al Tar". "Il mio ristorante da oltre 50 anni attrae clienti da Roma e provincia sia per il cibo, ma anche per l'aria pulita - dice il ristoratore Venditti -. Con l'arrivo di questa discarica noi rischiamo di fallire".

Dal coordinamento 'Riano No discarica' la contestazione arriva 'carte alla mano': "Questa storia dell'istruttoria è un giallo - rincara Coppola -. Quale attività capillare di studio e di ricerca hanno potuto effettuare in meno di 24 ore i due supertecnici? Tutti ricordiamo la conferenza stampa di Pecoraro il 7 di ottobre, quali verifiche e sopralluoghi sono stati condotti in così poco tempo? Noi vogliamo chiarezza". Intanto monta la protesta anche a Fiumicino contro l'ipotesi "di una discarica definitiva a Pizzo del Prete", cioé la vera Malagrotta due. Nel corso di un'assemblea organizzata dal Pd, il capogruppo Esterino Montino spiega: "Alemanno ha voluto fare una prova di forza mandando i rifiuti fuori dalla Capitale ma ha toppato. La rivolta sociale a Riano è sotto gli occhi di tutti e anche la futura scelta di Fiumicino è sciagurata, perché Pizzo del Prete è un'area di forte presenza archeologica e a rischio sicurezza".

27 ottobre 2011

FONTE: romatoday.it
http://www.romatoday.it/cronaca/discarica-riano-assemblea-26-ottobre-2011.html


Distanze con i centri abitati, il Tevere e il Parco di Veio

Riano: Abitanti 9.902[1] (31-12-2010) distanze dal sito 150m

Castelnuovo di porto: Abitanti 8.886[1] (31-12-2010) 2000m

Monterotondo: Abitanti 39.588[1] (31-12-2010) 3000m

Morlupo: Abitanti 8.486[1] (31-12-2010) 3000m

Sacrofano: Abitanti 7.508[1] (31-12-2010) 2000m

Labaro: Abitanti 16.744 ab.[1] (2010) 4500m

Prima Porta: Abitanti 14.498 ab.[1] (2010) 3500m


Ecco un nuovo insulto ambientale che si prospetta nel nostro Belpaese.
Non solo nuovi inceneritori, ma anche nuove discariche sono all'orizzonte. Questa di Riano poi è ad appena 150 m dal centro abitato e, mi è stato riferito, ad appena 400 m da un asilo per bambini. Come scritto sopra, vi sono poi numerosi centri abitati con molte migliaia di abitanti nel raggio di appena qualche Km, tutti luoghi dove si pagherà caro lo "scotto" di questa discarica, a meno che non si ritorni sui propri passi e si scelgano altre vie per il trattamento dei rifuti. E per altre vie, io intendo quella della massimizzazione del
"riuso, riduzione e riciclo", quella stessa via che sempre più comuni stanno abbracciando in Italia e che porta il nome di "Strategia Rifuti Zero".
Presto illustrerò dettagliatamente su questo blog in che cosa consiste questa Strategia, nella speranza che anche questo possa essere un mezzo per farla conoscere sempre più alle persone e per spingere Comuni e Province a perseguire questa via, tralasciando ogni genere di trattamento dei rifiuti per mezzo di discariche e inceneritori, che sono sistemi ormai superati, obsoleti e sopratutto terribilmente inquinanti per la nostra cara Madre Terra.

Marco

venerdì 28 ottobre 2011

Il futuro degli inceneritori? Non esiste!



Quando si discute di ambiente bisognerebbe porre alcuni punti fermi, bussole certe per non perdere di vista l'obiettivo finale, quello della salvaguardia del nostro Pianeta, l'unico che abbiamo a disposizione.
Così per cominciare chiariamo subito che ambiente non fa rima con inceneritore e quando il presidente del Centro di Etica Ambientale di Parma, don Pietro Ferri, dichiara pubblicamente di non essere contrario agli inceneritori, deve essere mancato qualche passaggio.
Visto che il Creato, come viene tradotto il pianeta Terra in linguaggio escatologico, viene deturpato e ferito proprio ed anche per mano di questi impianti, quindi è impossibile che questa sia la posizione della Chiesa, nemmeno di quella particolare di Parma.
Gli inceneritori vengono ancora oggi presentati come soluzione del problema rifiuti. Il concetto è stato ripetuto talmente tante volte, e talmente tanti sono gli impianti che sono stati costruiti nel mondo, che quasi ci siamo convinti della sua giustezza.
Invece è falso che gli inceneritori risolvano il problema, anzi, di per sé, lo complicano.
Questa chimera va sfatata, come un'oasi inesistente che sopravvive solo nella mente speranzosa di chi sta vagando in un deserto infuocato.
Cosa sono questi impianti se non dei trasformatori di materiali?
Gli inceneritori non disintegrano nulla, non fanno sparire nulla, non sono macchine fantasiose nelle quali entra qualcosa che poi, come per magia, sparisce all'interno dei suoi ingranaggi per non riapparire mai più.
Gli inceneritori trasformano i materiali ma non ne modificano la massa, che rimane invariata, un semplice principio della fisica, nulla si crea, nulla si distrugge. Trasformare i rifiuti ne fa ridurre l'ingombro, compattando i volumi che così occupano meno spazio. Purtroppo l'opera di trasformazione non è neutra e produce a sua volta nuovi e ben più spinosi problemi. Incenerire materiali eterogenei provoca dei residui, che possono essere classificati in sostante solide e volatili. Questi grandi roghi smembrano la materia e la riportano, sotto forme diverse, nell'ambiente.
Le grandi temperature a cui sono sottoposti i rifiuti, conducono a un rimescolamento chimico delle cellule ed alla formazione di innumerevoli nuovi composti, spesso molto più inquinanti e dannosi per la salute di ciò che è stato immesso nel forno.
Da una parte una grossa massa stabile (i rifiuti in entrata), dall'altra una piccola massa instabile e tossica.
Questo concetto è importante per conoscere da vicino come funzionano gli inceneritori.
E' questo il motivo per cui sono classificati dalla legge come impianti insalubri di classe prima, la più pericolosa. La normativa non nasconde il loro pesante effetto sull'ambiente e prevede una loro complessa gestione, nel tentativo di limitare i danni.
Purtroppo nella modernizzazione di questi impianti (miglioramento dei filtri, ottimizzazione della combustione) si è andati a peggiorare, nonostante le buone intenzioni di partenza, il loro impatto sulla salute e sull'ambiente.
Infatti sono identificati come impianti efficaci ed efficienti, mostrati con orgoglio e battezzati nell'acronimo di Bat (Best Available Tenchics), come se bastasse una sigla a pulire l'aria del camino.
Gli impianti Bat, aumentando le temperature di esercizio, per cercare di limitare la formazione di diossina, producono un particolato molto più fine dei vecchi impianti, una poltiglia invisibile di sostanze chimiche molto attive, che sfugge a qualunque filtro di ultima generazione.
Questo inquinamento chimico non viene nemmeno rilevato dalle centraline, che non sono tarate per delle dimensioni così infinitesime, che nemmeno la normativa prevede, e trapassando letteralmente i sensori, viene liberato nell'ambiente.
La scienza ci ha spiegato che la pericolosità di un composto aumenta con il ridursi del suo volume.
Un esempio che tutti possono verificare è quello della pentola d'acqua messa a bollire. Lasciata a una forte ebollizione, se si lascia cadere nell'acqua una manciata di sale fino, si assisterà ad una specie di esplosione improvvisa del sale. E' un esercizio pericoloso da condursi con precauzione perché capita che l'acqua fuoriesca dalla pentola, spegnendo la fiamma e rischiando di ustionare chi vi è accanto.
E' lo stesso problema dei silos di farine, fino a qualche tempo fa a rischio di esplosione per la finezza dei composti contenuti.
Le infinitesime sostanze emesse e non filtrate dagli inceneritori escono in ambiente e interagiscono con tutto ciò che incontrano. Sono spesso composti di nuova formazione, costruiti nel caos della combustione e nel salto delle temperature. Come si è visto dagli studi epidemiologici condotti sui residenti in prossimità degli inceneritori, sono capaci perfino di modificare il Dna degli organismi con cui vengono a contatto, causando un danno permanente che si trasmette alle generazioni future.
Come mai allora si continuano a proporre questi impianti come unica modalità di gestione dei rifiuti?
La risposta sta come sempre nella questione economica che sottostà a tutta la tematica.
Attraverso un sistema di incentivi statali, viene premiata la generazione di energia elettrica prodotta dal vapore fuoriuscito dalla combustione, così come si incentiva la combustione dei rifiuti organici con i Cip 6, per i quali il nostro Paese è sotto infrazione in Europa.
Il calore generato nella combustione viene poi anche utilizzato come acqua calda per far funzionare il teleriscaldamento nei centri città, con la scusa di spegnere le piccole e inquinanti caldaie domestiche, mentre semplicemente si allontana il punto di emissione dei fumi, ma la sostanza del problema rimane ed anzi si aggrava.
Gli inceneritori diventano un business per quelle società che li gestiscono, un danno per le popolazioni che li subiscono. Gli studi sui rischi sanitari, ma purtroppo anche sulle evidenze epidemiologiche legate all'impatto di questi impianti, si susseguono a ritmi sempre maggiori.
E' ineluttabile che la combustione dei rifiuti sia una modalità di gestione degli scarti oramai desueta e sul viale del tramonto.
Il futuro molto prossimo è il riciclo totale della materia, anche perché le risorse stanno finendo e non ci possiamo più permettere di sprecarne delle altre.
In Olanda, la società van Gansewinkel Groep, il locale gestore dei rifiuti, ha abbracciato la filosofia “Dalla culla alla Culla” di cui si è parlato a Parma lo scorso 10 gennaio. Nell'immediato futuro la Iren olandese andrà a smantellare i 3 inceneritori in gestione. L'azienda ha avviato progetti di collaborazione con le aziende locali per produrre i propri prodotti già nell'ottica del loro smaltimento senza produrre rifiuto.
Pare assurdo che in un momento simile a Parma si intenda costruire un nuovo impianto, quando la città invece potrebbe fare da apripista per la corretta gestione dei rifiuti che riporti valore sul territorio e davvero inneschi un nuovo modo di intendere il territorio e il suo sviluppo a misura di benessere.
Ci sono tutti i presupposti per farlo, questo salto. Le dinamiche di consenso, il vantaggio economico, la prospettiva anticipatoria, il grande effetto di immagine che non solo salvaguarderebbe i nostri marchi ma ne sottolineerebbe ulteriormente il valore.
Nessuno può sostenere con cognizione di causa che gli inceneritori avranno un futuro sul nostro pianeta. A meno che si voglia fare a meno del pianeta e delle sue risorse, ma pare ancora un problema irrisolto, e i lauti guadagni per i gestori degli inceneritore servirebbero a poco, visto che i soldi non si possono ancora mangiare.
La svolta ecologica non ha lati oscuri, incrementa le economie di tutti gli attori del territorio ed anche il gestore dei rifiuti potrebbe trarre grande vantaggio da una impostazione del servizio rivolta al riciclo.
Si ridurrebbero i costi, come si ridurrebbe l'inquinamento provocato.
La stessa università locale trarrebbe spazio nel riprogettare materiali del packaging rivolti al recupero totale della materia e al mantenimento del valore energetico intrinseco ai prodotti. La campagna riavrebbe dall'organico delle famiglie il prezioso humus necessario alla sua prosperità, l'educazione complessiva dell'intero territorio porterebbe con sé una netta diminuzione dei consumi ma anche della produzione di scarti, una nuova consapevolezza dell'importanza dei nostri atti quotidiani nell'economia del mondo.
E' dalla riflessione su questi temi che fuoriesce la visione del futuro, una visione aperta a tutti che non esclude nessuno, nemmeno coloro che fino ad oggi hanno difeso il forno, ma che in una prospettiva più ampia non potrebbero che riconoscere la verità, smettendo i panni dei silenzi stampa e del timore di esprimersi.
Lo stesso gestore degli scarti non ha motivo per mantenere posizioni ingessate in un territorio ostile, ma potrebbe trarre profondo giovamento, ed esperienza per altri territori operativi, da una sperimentazione così pragmatica e libera da direzioni imposte dal business fine a se stesso.
La svolta verso il riciclo totale della materia sarà presto imposta dalla mancanza di risorse, partire oggi significherebbe però risparmiare tanti denari ed anticipare ciò che arriverà tra pochi anni.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

24 gennaio 2011

FONTE: ambienteparma.blogspot.com
http://ambienteparma.blogspot.com/2011/01/il-futuro-degli-inceneritori-non-esiste.html


Articolo molto bello e completo che riassume in una sola volta il principio di funzionamento degli inceneritori, cioè quello della "trasformazione" dei rifiuti in composti altamente tossici e quindi, ahinoi, assai deleteri per l'ambiente e la salute dell'uomo, riflettendolo nella situazione di Parma dove un tale inceneritore, purtroppo, sta realmente sorgendo, e questo contro ogni logica del buon senso, del rispetto dell'ambiente e dell'uomo, e anche dell'immagine stessa di Parma, che sarà notevolmente deturpata da tale assurda opera.

Ultimamente sto battendo molto su questo tasto in questo blog, e ancora lo farò, perchè quello degli inceneritori è un argomento che mi sta enormemente a cuore in quanto credo fermamente che l'uomo si dovrebbe impegnare al massimo per cercare di evitare qualsisi cosa che costituisca un insulto per il nostro pianeta, incentrando le proprie energie e la propria intelligenza in ciò che lo può migliorare, rendendolo più vivibile e bello. La via dell'incenerimento dei rifiuti è una via, per usare le stesse parole dell'articolo, "desueta e sul viale del tramonto", in un mondo in cui le risorse non sono eterne e in un paese sempre più volto ad abbracciare logiche ambientalmente sostenibili sugli scarti della nostra società andando nella direzione di un riciclo totale dei rifiuti. Che questo avvenga in tutta Italia e non a Parma, sede della Food Valley, è una cosa che va contro ogni logica razionale e non solo. Io ancora voglio sperare che ci sia modo e tempo per tornare indietro e non continuare in questa assurda opera dell'incenerimento dei rifiuti..... sbagliare è umano, dice un famoso detto, ma preservare nell'errore è diabolico. E a Parma si deve avere il coraggio di ammettere di aver sbagliato e di non proseguire in questo errore.... questo si deve fare, per il bene di tutti!

Marco

martedì 25 ottobre 2011

Dove c’è Barilla. L’inceneritore aliterà sulla pasta più conosciuta al mondo.


Dopo 97 giorni di stop, il TAR ha comunicato la decisione sulla sospensiva dei lavori al cantiere di Ugozzolo. Il cantiere verrà riaperto e ci preme attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su dove effettivamente verrà costruito quella che a nostro parere è un’opera evitabile. Negli ultimi mesi molto si è discusso sulla stampa e sul web sui pro e contro dell’inceneritore di Ugozzolo e il dibattito si è infervorato non poco.

Non sono tanti però i cittadini di Parma che hanno presente dove è stato deciso di costruire un inceneritore rifiuti da 130.000 tonnellate. In questa pagina web (http://www.gestionecorrettarifiuti.it/pano/panorama/Panorama.html) diamo la possibilità a chi ancora non sia andato in pellegrinaggio a Ugozzolo, di capire di che cosa parliamo e di fare mente locale su dove sta crescendo il camino. Esattamente, dove c’è Barilla.
Parafrasando lo slogan dell’azienda orgoglio della nostra terra, vogliamo rendere percepibile e reale, utilizzando anche gli strumenti del mondo virtuale, il fatto che l’inceneritore sta per essere costruito, appunto, dove c’è Barilla. Il 1° settembre siamo andati sul cavalcavia di via Burla, abbiamo scattato una serie di fotografie per riprendere a 360° l’area circostante e rendere evidente che, a soli 1300 metri da una delle aziende più importanti del nostro Paese, sta per essere messo in funzione un forno inceneritore. Questo impianto erutterà 144.000 metri cubi all’ora di fumi da combustione contenenti anche diossine, furani e metalli pesanti, per 8 mila ore all’anno.

Una follia. Le tonnellate in più di PM10, il famigerato particolato fine, saranno 3,2, rappresentando solo un bilancio emissivo parziale a cui saranno sottoposti i fortunati 1800 dipendenti del mulino bianco che ogni giorno si recano a lavorare nello stabilimento di Pedrignano. Quest’area, fortemente antropica e produttiva, è stata considerata, dai miopi redattori del progetto del Paip, “a bassa densità abitativa”. Secondo alcune stime prudenziali accoglie invece, nel solo raggio di 2 km dal camino, quasi 10.000 lavoratori, di aziende grandi, e di aziende piccole (SPIP, Chiesi, Barilla, 3 caseifici del Parmigiano-Reggiano, solo per citarne alcune).

L’inceneritore è stato costruito dove c’è Barilla. Un’azienda multinazionale italiana del settore alimentare, leader mondiale nel mercato della pasta, fondata nel 1877, con 49 siti produttivi in 10 Paesi diversi nel mondo e con un fatturato di 4,17 miliardi di euro. Un marchio ed una reputazione riconosciuta in tutto il mondo, prima in Italia in una ricerca fatta dal Reputation Institute di New York sulle prime 600 aziende al mondo per fatturato, al 19° posto nel mondo e prima assoluta tra le aziende alimentari. Un marchio ed una reputazione costruiti con fatica dalla famiglia Barilla e dai suoi dipendenti, che oggi rischiano di veder andare letteralmente in fumo secoli di lavoro e di impegno, al primo segnale di malfunzionamento dell’inceneritore. Un impianto che continua ad essere venduto come perfetto, ma che mostra, nei territori dove è stata adottata una simile tecnologia, storie di sequestri, chiusure, procure in allarme, sversamenti di diossine 14 volte oltre i limiti, come nel caso dell’inceneritore di Pietrasanta, rinnovato secondo le BAT (Best Available Technologies) nel 2007. Noi ci continuiamo a domandare perché. Perché, alle porte della Food Valley, oggi, nell’ottobre 2011, ci siano ancore amministratori locali convinti che quella di costruire l’inceneritore “Dove c’è Barilla” sia una scelta giusta.

E non troviamo la risposta.

15 ottobre 2011

FONTE: reti.ilcambiamento.it/gestionecorrettarifiuti/
http://reti.ilcambiamento.it/gestionecorrettarifiuti/2011/10/15/dove-ce-barilla-linceneritore-alitera-sulla-pasta-piu-conosciuta-al-mondo/


E' bene che tutti sappiano dove si sta realizzando l'inceneritore di Parma!
Gli inceneritori, non mi stancherò mai di ripeterlo, non risolvono il problema dei rifiuti ma, anzi, bruciarli è il peggior sistema, il più inquinante e deleterio per l'ambiente e per l'uomo, che potrebbe esistere per trattarli. Scegliere poi di bruciarli a 2 passi dalla Barilla, da 3 caseifici produttori del celebre formaggio Parmigiano-Reggiano, da zone industriali con tante grandi e piccole aziende e quindi, con tanti lavoratori che vi passano gran parte della propria giornata, è una cosa assurda, addirittura FOLLE! Come si sia potuto partorire un simile progetto in una zona come questa (che oltretutto, è bene ricordarlo, è proprio alle porte della città) è un vero mistero, perchè, in tutta franchezza, peggio di questo posto c'era solo il centro della città.

Io dico solo una cosa..... se questo forno andrà in funzione, tutte le persone che lo hanno voluto, che lo hanno avvallato, che lo hanno difeso, sono tutti, e dico TUTTI, responsabili dei danni che questo "mostro" causerà.... danni all'ambiente, danni alla salute di una moltitudine di persone (come è per tutti gli inceneritori, senza eccezzione), danni anche all'immagine della città, perchè Parma, sede della Food Valley, culla della Barilla, della Parmalat, del Parmigiano-Reggiano, del Prosciutto di Parma, della buona cucina in generale, tanto da essere stata dichiarata la città "culinaria" per antonomasia in Europa, avrà un ENORME DANNO DI IMMAGINE e quindi, di conseguenza, anche economico.
Tanta gente (io per primo), non fidandosi più, smetterà di comprare i prodotti culinari di Parma che tanto hanno contribuito a rendere conosciuta questa piccola città in tutta Europa e in tutto il mondo, e di tutto questo i soli e unici responsabili saranno i fautori di questo assurdo, obsoleto, inquinante, antieconomico progetto.
Altro che Mulino Bianco..... Mulino Grigio si dovrà chiamare, grigio come i fumi che usciranno dall'inceneritore e che anneriranno la grande industria alimentare, così come tutte quelle circostanti, così come il futuro dell'intera città e dei loro abitanti. Grigio come le coscienze di tutti coloro che hanno voluto questo assurdo inceneritore.

Marco

domenica 23 ottobre 2011

Muoiono gli operai all’inceneritore di Terni

Ne muore un altro. Sì, di quegli operai che lavoravano all’inceneritore di Terni, su cui è stata svolta una indagine della magistratura tesa a verificare la connessione tra le condizioni di lavoro e le malattie mortali che hanno colpito alcuni operai. E’ accaduto il 5 dicembre scorso – come riportato mercoledì 19 gennaio dal Giornale dell’Umbria – ma si è saputo soltanto oggi.

E questo nuovo decesso, quello di Ivano Bordacchini, potrebbe allungare i tempi del deposito delle richieste di rinvio a giudizio da parte dei magistrati che, a questo punto, potrebbero volere approfondire eventuali ulteriori connessioni tra l’ambiente di lavoro e la condizione di salute degli operai. Richieste di rinvio a giudizio che, qualora gli elementi di indagine dovessero dimostrarsi consistenti, riguarderanno gli indagati, tra i quali figurano anche l’ex sindaco di Terni Paolo Raffaelli e numerosi dirigenti della municipalizzata, come l’attuale presidente Stefano Tirinzi e i predecessori Porazzini e Secchi.

Prima di Ivano Bordacchini, che è deceduto a causa di un tumore, è toccato al capoturno dell’inceneritore Asm, Giorgio Moretti, deceduto nel giugno del 2008. Ad indagare sulla vicenda è il pm Elisabetta Massini che ha messo nero su bianco l’accusa di omicidio colposo, in relazione alla morte di Moretti, mentre per altre 10 persone si procede sul filo delle lesioni colpose. A causa del nuovo decesso si potrebbe dunque appesantire l’impianto accusatorio, sulla scia degli ulteriori eventuali approfondimenti, nonostante una perizia eseguita da tre luminari, durante le indagini preliminari non aveva dato per certo il legame tra le mansioni lavorative di Bordacchini e l’insorgere del cancro, pronunciandosi come legame «incerto» e «improbabile». Nel dispositivo di conclusione delle indagini firmato nell’agosto scorso dal pm Massini è scritto: gli operai dell’Asm avrebbero respirato veleni «a causa di omissioni e cautele in violazione delle norme di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro» commesse da 10 indagati che non avrebbero adottato «le cautele doverose a fronte della presenza di materie cancerogene nell’impianto» non avrebbero fornito «ai lavoratori adeguate informazioni» né fatto «formazione agli stessi».

21 gennaio 2011

FONTE: spoleto5stelle.it
http://www.spoleto5stelle.it/muoiono-gli-operai-allinceneritore-di-terni/


Articolo che si collega all'ultimo postato su questo blog. Se vi sono morti a causa dell'inquinamento prodotto dagli inceneritori è ovvio pensare che ci siano anche tra coloro che lavorano all'interno di questi "cancrovalorizzatori". E la storia si ripete purtroppo.... incessante e drammatica, come drammatica è l'ottusità di chi ancora permette che vengano costruiti questi "mostri" obsoleti e inquinanti.

Marco

venerdì 21 ottobre 2011

Testimonianza shock: ammalata di tumore a causa dell’inceneritore

Il processo all’inceneritore di Pietrasanta (Lucca), uno di quegli impianti di ultima generazione, che alcuni considerano sicuri, si è aperto con una testimonianza shock.
Una donna malata terminale di tumore si è costituita parte civile nel dibattimento penale a carico del direttore di Tev, gestore dell’impianto, e di un dipendente, colpevoli per l’accusa di aver avvelenato l’acqua di due torrenti che scorrono a fianco dell’impianto e di aver taroccato e nascosto i dati emissivi.
L’avvocato di A.H., Fabrizio Miracolo, porterà a testimonianza una consulenza scientifica del professor Stefano Montanari, direttore scientifico del laboratorio Nanodiagnostics di Modena. L’analisi riguarderà i tessuti della malata e metterà in evidenza che il tumore contratto è stato proprio causato dall’impianto di Falascaia, al centro dello scandalo che ha scosso la Versilia. A Viareggio sono giorni di grande tensione, mentre è sotto accusa la società che aveva in gestione l’impianto di incenerimento sequestrato lo scorso anno dai carabinieri.
Un impianto che vantava certificati ambientali sopraffini, garanzie apparentemente assolute di apporto nullo di inquinanti nell’ambiente, ma che si è rivelato come potente distruttore di salute e di benessere.
I due torrenti a fianco dell’inceneritore sono stati avvelenati dalle emissioni dell’impianto, acque che venivano utilizzate per annaffiare i molti orti e giardini che costeggiano i due torrentelli, acque che sfociano 3 km a valle sulla spiaggia di Pietrasanta, tra i piedi dei bagnanti, che a decine di migliaia ogni anni frequentano i lidi assolati della Versilia.
Erano le acque utilizzate per raffreddare le ceneri di risulta del processo di incenerimento, probabilmente immesse nei torrenti tal quali, e quindi contenenti quantità di diossine e metalli pesanti ingenti e pericolose.
Ora il primo riscontro sulla salute.
Una biopsia che getta macabre ombre anche sullo stato attuale della qualità ambientale della zona in cui ha operato per anni l’inceneritore targato Veolia.
75 pagine fitte di dati. Dalla perizia emerge una presenza insolitamente elevata di particelle di dimensioni al di sotto del micron. Una piccola frazione del particolato ha origine endogena ed è tipico delle patologie oncologiche. Dimensioni, forma e varietà dei 25 elementi chimici presenti fanno propendere per un’origine precisa, quella dell’inceneritore di rifiuti. In quegli impianti infatti la combustione porta al formarsi di particolato ultrafine che sfugge ai sistemi di cattura e viene immesso nell’atmosfera. Restando sospeso per lungo tempo può raggiungere l’albero respiratorio fino agli alveoli e ai polmoni, provocando forme infiammatorie cancerose.
Al presidente del tribunale è stato chiesto un accertamento tecnico preventivo per valutare lo stato attuale dei terreni e dell’atmosfera della Versilia.
Noi a Parma un inceneritore lo stiamo costruendo.
C’è infatti chi ancora afferma oggi che gli inceneritori siano necessari, quando già 57 comuni italiani hanno deliberato la strategia rifiuti zero e per il 2020 si apprestano ad arrivare a zero sprechi e un riciclo totale degli scarti.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma

16 ottobre 2011

FONTE: parmaoggi.it
http://www.parmaoggi.it/2011/10/16/la-testimonianza-ammalata-di-tumore-a-causa-dellinceneritore/


Notizia alquanto significativa, che si commenta da sola, sugli effetti deleteri che hanno gli inceneritori sull'ambiente e quindi, come logica conseguenza di ciò, sulla salute dell'uomo.

Una cosa veramente triste che emerge leggendo questo articolo, è che molto spesso questi "mostri" inquinanti sono suggellati da documenti e certificazioni che ne attestano la sicurezza e la non "inquinabilità", quando invece, alla verifica concreta dei fatti, emerge esattamente il contrario, cioè inquinamento diffuso da diossine, da PCB, da nanoparticelle (le più pericolose) e ogni quantaltro, inquinamento che non risparmia neppure i corsi d'acqua, proprio come accaduto per questo impianto di Lucca, oggi fortunatamente messo ai sigilli perchè ritenuto troppo pericoloso e inquinante. Tante falsità, tante menzogne, tanti trucchi per nascondere la verità... e intanto l'uomo, sopratutto quelli innocenti che certamente questo inceneritore non lo hanno voluto, ne pagano il prezzo, come questa donna che sta lottando con un tumore in fase terminale, e chiede GIUSTIZIA, una giustizia che non le restituirà la salute, forse definitivamente compromessa, ma almeno metterà in luce i fatti, e cioè che questi inceneritori sono un ABOMINIO, e non hanno più NESSUNA RAGIONE DI ESISTERE dal momento che attraverso la raccolta differenziata e al recupero di materia, con trattamenti meccanici a freddo, si può arrivare ad un riciclo degli scarti vicino al 100%.


Che altro posso dire ancora? Esprimo la massima solidarietà nei confronti di questa signora malata di tumore che si è dichiarata parte lesa per causa dell'inquinamento prodotto da questo inceneritore, sperando che gli venga resa giustizia, cosa questa che potrebbe costituire un importantissimo precedente anche per altre persone che volessero seguire il suo esempio (e che mi auguro fortemente che accada)..... infine esprimo profonda amarezza nel constatare come nella mia città, Parma, si perseveri negli errori, e infatti esattamente 2 settimane fa, il 6 ottobre 2011, il TAR ha comunicato la decisione sulla sospensiva dei lavori al caniere di Ugozzolo, i quali sono ripresi senza sosta in attesa di un verdetto definitivo che dovrebbe esserci 1l 7 dicembre.

Marco

giovedì 20 ottobre 2011

Morto per intossicazione da mercurio. Sentenza storica per la famiglia di un operaio

Scritto da Liliana Blanco

Gela - Da anni c’è il sospetto che alcuni impianti del petrolchimico di Gela siano la causa delle morti per cancro che non si contano in città. E oggi è stata resa nota una sentenza emanata il 30 marzo 2011, dal Giudice del lavoro Dott. Luca Solaini presso il Tribunale di Gela che riconosce che l’esposizione prolungata nel tempo al mercurio ha causato la morte di Francesco Esposito Paternò, operaio dell’impianto Clorosoda chiuso da quasi 20 anni col sospetto di avere causato la morte di una quindicina di lavoratori e smantellato per consentire la bonifica del terreno dal mercurio altamente tossico e inquinante.

Una sentenza storica che punta il dito contro uno degli impianti più pericolosi, il "Clorosoda" del petrolchimico di Gela, che si è guadagnato l’appellativo di "impianto killer", con la quale è stato riconosciuto per la prima volta che l’impianto è responsabile della morte di un dipendente. L’istanza è stata presentata nel dicembre del 2006, subito dopo la morte dell’operaio gelese e mirava ad ottenere il riconoscimento dell’indennità per la malattia professionale in vita di Esposito Paternò. La sentenza accoglie il ricorso e, per, l’effetto, condanna l’Inail nella persona del legale rappresentante a riconoscere in favore di Ignazia Piranò nella qualità di vedova di Esposito Paternò Francesco la rendita di reversibilità.


Il giudice si è avvalso del parere del consulente tecnico d’ufficio che evidenzia l’idrargirismo ovvero l’intossicazione cronica da mercurio. L’evaporazione del mercurio a 20°C è rapidissima e comporta dispersione di polveri dei suoi composti nell’aria. L’esposizione può avvenire per inalazione continuata di polveri o vapori o per assorbimento cutaneo protratto del metallo attraverso l’assorbimento di microdosi di mercurio. La sentenza riconosce la malattia a carattere professionale che causa la perdita dei canini e degli incisivi. Dall’agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro (IARC) di Lione si evince che tra gli scarti di lavorazione o sottoprodotti della filiera del ciclo vengono inclusi il CVM, CVC ed il PCB che rappresentano sostanze che favoriscono l’insorgenza di patologie cancerogene per l’uomo.

L’esposizione con rischi professionali (sostanze chimiche) – dice la sentenza - potenzialmente idonea a determinare una neoplasia polmonare in associazione alla miscela complessa rappresentata dal fumo di tabacco, inalato per parecchi anni dal de cuius, (una cinquantina di sostanze chimiche contenute nel tabacco sono state riconosciute cancerogene) che aumenti il rischio dovuto ad altri fattori professionali in maniera esponenziale, ha prodotto effetti combinati di tipo additivo e/o moltiplicativo nella realizzazione della patologia neoplastica che si è manifestata con un intervallo dall’inizio dell’esposizione di 20 anni.

Si ritiene pertanto che nel caso di specie la lavorazione nel reparto clorosoda abbia potuto aggiungere un quid pluris in grado di realizzare se non un rischio specifico certamente un rischio generico aggravato, inteso come quel rischio che incombendo su chiunque, specie fumatore venga a gravare in modo maggiore sul lavoratore che svolge determinate mansioni con insorgenza di malattie correlate al lavoro”. Il giudice, nella sentenza ha evidenziato anche il contatto degli operai con le fibre di amianto presenti nei nastri trasportatori e quindi l’inalazione. “Oggi è stato abbattuto un muro che durava da troppo tempo – ha commentato il figlio dell’operario, Daniele Esposito Paternò - il muro dell’ ingiustizia.

È inammissibile e offensivo per la dignità dell’uomo che avendo i morti, avendo i malati affetti da patologie più o meno gravi, avendo le testimonianze verbali e cartacee, sentire dire nelle aule dei tribunali che il clorosoda fosse un luogo sicuro per gli operai. Pertanto è un dovere morale per il comitato nell’interesse dei singoli individui e dell’intera comunità chiedere giustizia nelle sedi adeguate nei confronti dei colpevoli!” . "Dopo questa sentenza – dice Franco Iraci componente del comitato - la battaglia per avere giustizia si farà più serrata". La morte del capoturno del reparto clorosoda Francesco Esposito Paternò, di 56 anni, ha aperto una maglia perché da quel giorno si è costituito un comitato che contava circa settanta persone allora e ne conta 400 oggi e che combatte per i diritti dei lavoratori: oggi la prima vittoria.

La sentenza è stata emessa nel marzo scorso, ma dopo la registrazione e l'avvenuta notifica all'Inail è stata comunicata ai parenti. Una vittoria che non ha ridato la vita a Francesco Esposito Paternò ma ha ridato speranza a 400 persone del comitato spontaneo "Ex lavoratori del Clorosoda" composto da operatori dell'impianto e personale degli impianti di manutenzioni. Molti sono stati gli operai del Clorosoda morti; alcuni di loro, quelli rimasti vivi, accusano patologie che sarebbero causate dalle sostanze inquinanti con cui sono venuti a contatto nell'impianto: mercurio, cloro, idrogeno solforato, dicloroetano, potenti campi magnetici ed altro.

Un operaio trasferito dal Clorosoda ad un altro reparto 30 anni addietro, ed oggi in pensione, ha scoperto attraverso le analisi che nel suo sangue è stata rilevata la presenza di 154 microgrammi/litro di mercurio che produce effetti devastanti e non può essere espulso una volta entrato in circolo. Ad un altro dipendente, operato alla vescica, al fegato e al colon, l'Inail ha riconosciuto appena l’11% di invalidità per il danno causato dal mercurio ma solo ai denti. 'Eni continua ad affermare che l'impianto ha sempre lavorato in sicurezza e senza rischi per la salute.

15 ottobre 2011

FONTE: ilgiornaledigela.it
http://www.ilgiornaledigela.it/notizie/attualita/14947-morto-per-intossicazione-da-mercurio-sentenza-storica-per-la-famiglia-di-un-operaio.html


Questa notizia mi riempe di soddisfazione, perchè finalmente è stato riconosciuto ciò che purtroppo accada da decenni in tutt'Italia: e cioè che tante persone, lavoratori e non, si ammalano e MUOIONO a causa dell'esposizione a sostanze tossiche e metalli pesanti.
E' una sentenza questa veramente storica, perchè potrebbe dare il là a tanti nuovi, sacrosanti, risarcimenti, alle famiglie che hanno avuto dei membri deceduti a causa dell'esposizione continuativa ad agenti tossici, ed anche, mi auguro, a persone ancora in vita che lottano contro orribili malattie sempre per le stesse ragioni. E questo non solo alla Clorosoda, ma dovunque! Tutto questo naturalmente non servirà a ridare la vita alle vittime dell'inquinamento lavorativo e ambientale, ma almeno RENDERA' GIUSTIZIA laddove di giustizia c'è veramente un grande bisogno.
E auguriamoci che questa sentenza potrà servire, indirettamente, anche a moltiplicare gli sforzi nella direzione di avere un mondo più pulito, meno inquinato.... e quindi anche più felice.

Marco

martedì 18 ottobre 2011

Tracce di metalli pesanti nei malati di Sla


di Luciano Onnis

SANLURI. Sono arrivati gli americani a scoprire che nelle urine di una decina di malati di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) che abitano nel Medio Campidano, in particolare a San Gavino e a Villacidro, sono presenti significative quantità di metalli pesanti e tossici. Al risultato sono giunti i ricercatori di un laboratorio specializzato dell'Illinois lavorando sui prelievi fatti in Sardegna attraverso una procedura eseguita con farmaci chelanti. La scoperta apre nuove strade sulla genesi della malattia e per capire quale sia la causa della presenza dei metalli nei pazienti colpiti da Sla. Da qui si potrebbe partire per verificare se il gene responsabile, identificato recentemente in uno studio scientifico italo-americano effettuato dalla Feinberg School of Medicine della Northwestern University di Chicago con la collaborazione del professor Giuseppe Borghero, neurologo del Policlinico universitario di Cagliari, subisca la mutazione anche per un fattore esterno quale l'inquinamento ambientale. Le analisi che evidenziano concentrazioni di alluminio, stagno, piombo, cesio, uranio e cadmio, pongono molti interrogativi sulle concause della Sla. Nel Medio Campidano i casi accertati di Sla sono una trentina. C'è un sospetto per la forte incidenza in alcune aree campidanesi, e in particolare a San Gavino e Sanluri. Ma solo un sospetto perchè gli studi scientifici finora effettuati non hanno dato conferma su quali siano le prove provate sull'origine della terribile malattia. Le ombre del sospetto si stagliano sulla ormai dismessa fonderia del piombo e dello zinco di San Gavino che nella sua più che secolare attività ha rilasciato dalle sue due gigantesche ciminiere i fumi di lavorazione. Fumi che, ovviamente, sono andati a impregnare l'aria circostante, spandendosi tutt'attorno in un raggio di almeno una decina di chilometri, e il terreno. I primi a farne le spese potrebbero essere stati gli abitanti di San Gavino, il cui centro abitato è proprio a ridosso della fonderia, e più in là quelli della vicina Sanluri dove i fumi ricchi di sostanze tossiche venivano trasportati dal maestrale, vento che nella zona soffia percentualmente due giorni su tre. Ma anche Villacidro e Gonnosfanadiga, limitrofi a San Gavino e dirimpettai dell'area industriale dove hanno sbuffato per 30 anni le ciminiere di Snia ed Enichem, non sono immuni dai casi di Sla. Non c'è solo la presenza industriale a interessare gli studiosi di Sla. Ipotesi espressa dallo stesso professor Borghero tempo fa in una intervista, vuole che possa esserci anche il fattore genetico a determinare la malattia in alcune aree. Ovvero che qualcuno abbia potuto introdurre il gene secoli addietro o che soggetti lo abbiano sviluppato attraverso mutazione genetica per poi trasmetterlo nel tempo, attraverso generazioni, sul territorio.

11 ottobre 2011

FONTE: lanuovasardegna.gelocal.it
http://lanuovasardegna.gelocal.it/sardegna/2011/10/11/news/tracce-di-metalli-pesanti-nei-malati-di-sla-5131084


La probabile correlazione tra la presenza di metalli pesanti e la patogenesi della SLA non mi sorprende affatto, anzi.... mi sarei stupito del contrario.
Esistono 2 siti nel mondo dove la Sclerosi Laterale Amiotrofica ha un percentuale di casi eccezzionalmente elevata: l'isola di Guam nell'Oceano Pacifico occidentale e la penisola di Kii in Giappone. Bè, nell'isola di Guam sono state rivelate dosi notevolmente elevate di alluminio nelle acque potabili, mentre nella penisola di Kii era presente, fino a una decina di anni fa, una delle miniere di mercurio più grandi del Giappone che contaminava l'acqua potabile di quel luogo. Analisi fatte sulla popolazione locale evidenziarono nei loro capelli quantitativi di mercurio ben superiori alla norma.
Credo che queste non siano semplici coincidenze, ma qualcosa che induce ragionevolmente a pensare che una possibile intossicazione da metalli pesanti possa essere la causa o una delle causee di questa tremenda malattia. E ora questo studio sembrerebbe confermarlo.
Un ulteriore motivo in più quindi per cercare di limitare al massimo l'inquinamento ambientale, causa sempre più sicura e confermata di un grande numero di malattie.

Marco

domenica 16 ottobre 2011

Sla. Il Mario Negri: “Vicini alla diagnosi precoce. Basterà un prelievo di sangue”

Potrebbe diventare il primo test per diagnosticare precocemente la malattia. E sarebbe anche in grado di definirne la gravità e la capacità di risposta ai trattamenti sperimentali. Il segreto nelle proteine del sangue che presentano particolari alterazioni solo nei malati di Sla.

Finora non esistevano test specifici per diagnosticare in maniera precoce la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Ma le cose ora potrebbero cambiare. Dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano arriva infatti un’importante scoperta: un semplice prelievo di sangue potrebbe essere un potenziale strumento per diagnosticare precocemente la Sla e non solo. Permetterebbe di definirne gravità e capacità di risposta ai trattamenti sperimentali. A spiegarlo sulle pagine di PloS ONE* è Valentina Bonetto, ricercatrice dell’Istituto Telethon Dulbecco che opera presso l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, e che ha lavorato al progetto insieme ai neurologi Massimo Corbo, del Centro clinico Nemo di Milano, e Gabriele Mora, della Fondazione Salvatore Maugeri di Milano.

Per la prima volta – ha spiegato la ricercatrice - sono state analizzate e messe a confronto le proteine espresse dalle cellule del sangue di individui sani, malati di Sla e altri pazienti con neuropatie caratterizzate da sintomi simili: abbiamo così identificato delle proteine i cui livelli sono alterati in maniera specifica solo in caso di Sla e, in parte, in correlazione con la progressione della malattia. Non solo: nel modello animale della patologia i livelli di alcune di queste proteine risultano alterati già prima dell’esordio dei sintomi. Questo ci fa pensare che la valutazione di tali ‘biomarcatori’ possa essere sfruttata per diagnosticare precocemente la malattia anche nell’uomo”.

La Sla è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. Nel 90% dei casi l’insorgenza è sporadica, nel restante 10%, invece, è ereditaria. In generale, si assiste alla perdita progressiva delle funzioni motorie, fino alla paralisi dei muscoli respiratori. Al momento non esiste cura.
Secondo i ricercatori è dunque importante definire al più presto quali fattori possano servire da segnale di avvertimento precoce per la malattia e per seguirne il decorso. Fino a oggi questi segnali sono stati cercati principalmente nel liquido cerebro-spinale: si tratta però di un’analisi altamente invasiva, non facilmente attuabile per fini sperimentali. “Il monitoraggio dell’evoluzione della Sla grazie al dosaggio di proteine presenti nel sangue può rappresentare un metodo veloce e oggettivo per valutare l’efficacia di trattamenti sperimentali in ambito clinico”, spiega Caterina Bendotti, ricercatrice del Mario Negri che ha preso parte allo studio.

Non solo: “Il nostro studio – aggiunge Bonetto - ha dimostrato per la prima volta che alcune delle proteine presenti nelle cellule del sangue dei pazienti sono riscontrabili anche nel modello animale della malattia. Questo è un parallelo importante che può aiutare a studiare i meccanismi che causano la Sla, ancora poco chiari”.

Per Mario Melazzini, presidente dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) nonché direttore scientifico del centro Nemo, “il lavoro condotto da Valentina Bonetto è un altro mattone importante per la costruzione di una risposta efficace contro la Sla. Per quanto si tratti ancora di risultati di laboratorio, sono fiducioso in un prossimo trasferimento alla pratica clinica, in ambito diagnostico e soprattutto prognostico. Alla luce anche dei recenti risultati ottenuti riguardo alle basi genetiche della malattia, mi sento di affermare che i ricercatori italiani stanno contribuendo in maniera concreta e reale a dare una speranza a chi è malato, verso un futuro libero dalla Sla
Il lavoro di Valentina Bonetto è sostenuto anche dalla Fondazione Vialli e Mauro.

06 ottobre 2011

FONTE: quotidianosanità.it
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=5566


Notizia molto importante nel campo della ricerca nella lotta contro la SLA, che si aggiunge a quella recente della scoperta della mutazione di un gene come responsabile della suddetta malattia. Sono scoperte che lasciamo davvero ben sperare per il futuro. Ora auguriamoci soltanto che la ricerca non si fermi e che da queste basi si possa arrivare, prima o poi, anche a una efficace terapia. Questa è la speranza di tutti.

Marco

giovedì 13 ottobre 2011

Federica Cannas, malata grave di MCS, ha bisogno del nostro aiuto !


Appello importante che riguarda Federica Cannas, la malata grave di Sensibilità Chimica Multipla (MCS) di cui ho già parlato in passato su questo blog, che sta cercando disperatamente di rimanere ancorata alla vita nonostante i tanti e gravi problemi di salute che la affliggono.
Recemente Federica ha pubblicato sulla sua bacheca di Facebook (https://www.facebook.com/groups/126146097489360/) e su quella di tanti sui contatti, questo accorato appello:

La regione mi ha appena tolto il progetto ritorno a casa che mi permetteva di avere le badanti tutto il giorno. Motivazioni taglio fondi e io non sono in coma e la mia malattia non esiste. Adesso si che ho toccato il fondo. Non posso stare assolutamente mai da sola essendo allettata ormai da 3 mesi, facendo le flebo ogni giorno, non posso cucinare, non posso lavare in terra o fare il bucato... Quindi è assolutamente inpensabile, avendo anche un bambino, che io rimanga senza ma non so dove trovare i soldi oltre che x le analisi, le cure, i 2 macchinari per l'MCS, il servoscala e la carrozzina elettrica... come faccio? Non è umano! REGIONE SARDEGNA PERCHE' MI STAI UCCIDENDO?

La situazione di Federica è ora più difficile che in passato, vuoi per le sue condizioni di salute sempre più critiche, vuoi perchè i tagli effettuati alle Regioni da parte dello Stato le impediscono da avere aiuti dalla propria, la Regione Sardegna, che infatti, come scritto sopra, le ha tolto l'aiuto delle badanti che per lei erano importantissime.

Federica, nella situazione in cui è, avrebbe immediato bisogno di acquistare 2 apparecchi per l'MCS e per l'elettrosensibilità, entrambi consigliati dal Prof. Giuseppe Genovesi ed indispensabili per diminuire il rischio di crisi e per salvaguardare gli organi interni (che nel caso dell'MCS sono a grave rischio). Entrambi gli apparecchi costano oltre 2500 euro ciascuno. Inoltre avrebbe bisogno di un servoscala dal costo di 12000 euro e di una carrozzina elettrica dal costo di 2500 euro. A questo si aggiunga la necessità di fare ulteriori esami all'estero (sempre prescritte dal Prof. Genovesi) e la necessità di iniziare una terapia sperimentale con flebo chelanti secondo il protocollo attuato al Breakspear Medical Group di Londra (http://www.breakspearmedical.com/), che costano oltre 5000 euro.

Per far fronte a tutte queste necessità è stato creato recentemente un gruppo su Facebook che si chiama:
Federica Cannas : NON VOGLIO MORIRE!: AIUTATEMI.
(https://www.facebook.com/groups/126146097489360/)

creato con l'intento di sostenere Federica moralmente e sopratutto economicamente, attraverso l'invio di libere offerte, di materiale vario che la famiglia di Federica rivenderà, e attraverso la divulgazione e la creazione di eventi che potrebbero aiutare Federica a raccogliere quei soldi di cui ha bisogno.

Per chi volesse concretamente aiutare Federica consiglio a tutti di iscriversi a questo gruppo, mentre per l'invio di offerte a Federica, si possono fare attraverso carta Postepay a queste coordinate:

RICARICA POSTEPAY
Numero carta 4023600600191995
Intestata a: Marongiu Rita 


CONTO CORRENTE BANCARIO
Banca di Credito Sardo
intestato a Cannas Federica-Marongiu Rita
IBAN IT42Z0305943841100000004975


Ognuno nel proprio piccolo può fare molto per Federica: tocchiamoci il cuore e aiutiamo concretamente questa persona ad avere la vita che merita. Un grazie di cuore a chi lo farà.

Marco

martedì 11 ottobre 2011

La donna più allergica del mondo

Ester ha scelto di vivere chiusa nella sua auto. Perchè, in casa, vernici e detergenti la fanno stare male. Ma non è l'unica, in Italia, a soffrire di questa patologia.

Testo e foto di Sofia Capone e Giuseppe Cucinotta

E' bastato un balsamo per capelli a portarle via una vita normale. Ester Lupo è una donna di 42 anni, che ha dovuto trascorrere più di 20 mesi blindata in un auto, parcheggiata a pochi passi dall'Ospedale S. Giovanni di Roma.
Tutto perchè la sua casa era diventata una trappola a causa di una grave patologia, l'MCS, la Sensibilità Chimica Multipla. Una malattia che può provocare la totale intolleranza a qualsiasi sostanza chimica.
“Il mio calvario è iniziato 10 anni fa”, spiega. “Da quel momento la mia vita è stata stravolta”. Già perchè Ester ha visto allontanarsi anche l'amore: troppo difficile per il suo compagno convivere con chi è costretto a lavarsi solo con acqua e bicarbonato, e a non poter uscire con gli amici.
Un giorno ha deciso di abbandonare per sempre la sua vecchia abitazione. Nessuno riusciva ad offrirle una casa bonificata, e così ha deciso di vivere e dormire nella sua auto. Per lavarsi, usava una fontanella pubblica al riparo da sguardi indiscreti. Vita da nomade. Difficile e umiliante. I vigili urbani le hanno appioppato in quei 2 anni circa 4 mila euro di multe per divieto di sosta. Sanzioni che Ester non poteva pagare, dopo aver perso il lavoro a causa della malattia.
Il Comune di Roma, però, qualche giorno fa ha deciso d'intervenire. Il Campidoglio si è impegnato ad avviare tutte le procedure per richiedere l'annullamento delle sanzioni al Prefetto di Roma, l'unico a poter cancellare le multe. Ester ha anche incontrato il vicesindaco, Sveva Belviso, che ha ribadito l'impegno del Comune ad aiutarla. Oggi Ester ha trovato una sistemazione provvisoria, in un appartamento bonificato, ma ancora inadatto alle sue esigenze. Tant'è che alla prima nuova crisi, torna nella sua “casa-mobile”, l'auto. Resta, però, la diffidenza che l'ha circondata per anni. “Sono costretta a portare nella mia borsa”, racconta, “un certificato di sanità mentale per essere creduta”. Molto spesso, infatti, i pazienti con questa patologia vengono considerati malati psichiatrici. E curati con gli psicofarmaci.

UN CENRO DI RIFERIMENTO A ROMA

“Così si aggrava solo la loro condizione”, spiega il Professor Giuseppe Genovesi, direttore del primo centro in Italia, all'interno del Policlinico Umberto I di Roma, che si occupa della diagnosi e cura della MCS. “Una delle caratteristiche genetiche dei pazienti è infatti quella di non metabolizzare alcune categorie di farmaci: prima tra tutti, gli psicofarmaci!”.
Genovesi studia da molti anni questa patologia e il prossimo 29 ottobre presiederà un importante convegno sull'emergenza delle malattie ambientali a Bari, organizzato dall'Associazione nazionale persone chimicamente sensibili, fondata da Ester (http//anchise.altervista.org). La terapia per questi malati è ardua e dovrebbe avvenire in un ambiente modificato. Per la cronaca, il Policlinico Umberto I ha finito di allestire due stanze, proprio dedicate ai pazienti con MCS, che dovrebbero essere aperte in breve tempo.
Le storie dei malati sono tutte diverse, ma accomunate da un calvario volto innanzitutto a farsi ascoltare e credere, dai parenti e dagli stessi medici. “La mia famiglia non mi capisce” confessa esasperato Daniele Agnoletto, di Zenson di Piave (Treviso). Daniele ha iniziato ad avvertire i primi sintomi nel 2005. Lavorava in una scuola, come addetto alle fotocopie. E le sostanze chimiche del toner gli hanno innescato l'intossicazione. “Ora vivo sulle rive del Piave. Non so cosa farò quando arriverà il freddo. Qualcuno penserà che sono pazzo, ma è l'unico modo per sopravvivere”. Come Daniele, molti trovano sollievo allontanandosi dalle grandi città. “C'è uno stretto legame tra inquinamento e MCS”, sottolinea Genovesi. “In Italia sono pochi i casi riscontrati oltre i 1500 metri, quota oltre la quale non si trovano più polveri sottili”.
Margherita (nome di fantasia per motivi di privacy) ha svolto le sue mansioni d'insegnante di sostegno con un banco fuori dall'aula, perchè non riusciva a tollerare neanche l'odore di quaderni e inchiostro. Per lei le vere difficoltà sono arrivate quando ha scoperto di essere incinta. “Tutti mi dicevano che la situazione si sarebbe aggravata, ma non è stato così”. I problemi seri sono emersi a poche settimane dal parto. “Tanti ospedali a Roma mi hanno chiuso le porte perchè non potevano garantirmi uno spazio asettico”. Com'è finita? “Ho partorito all'Ospedale S. Pietro di Roma. Dove ho pagato di tasca mia una stanza bonificata”.


TUTTA COLPA DELL'AMBIENTE SEMPRE PIU' INQUINATO


Giuseppe Genovesi, Policlinico Umberto I, Università di Roma, “La Sapienza”.

Tecnicamente l'MCS, acronimo inglese di Multiple Chemical Sensivity, è una “sindrome immunotossica infiammatoria”, scatenata da un esposizione agli agenti chimici. Si manifesta in quei pazienti che non riescono a metabolizzare particolari categorie di sostanze e di farmaci, a causa del non corretto funzionamento di alcuni enzimi. Buona parte della letteratura scientifica concorda nel ritenere che la causa principale sia da ricercare nell'inquinamento ambientale. Molti dei pazienti sviluppano anche una sensibilità alle onde elettromagnetiche che, nei casi più gravi, può incrinare ulteriormente il già compromesso quadro clinico.


“La malattia è assai diffusa nei paesi industrializzati”, spiega il Prof. Giuseppe Genovesi. Le stime parlano di un 5 per cento di pazienti nelle aree più inquinate del mondo. “Si tratta di una patologia per certi versi scomoda, perchè affonda il dito nella piaga degli “inquinanti”. I pazienti, infatti, sono come sentinelle che si accorgono prima e meglio di noi di quanto l'ambiente sia contaminato”.


I sintomi sono estremamente vari. “L'apparato più colpito è quello respiratorio”, spiega Genovesi, “per questo, spesso, si confonde l'MCS con una allergia”. Si aggiungono disturbi del sonno, emicrania, irritabilità, dolori muscolari, fiacca, irritazione delle mucose... “Nei casi più gravi, non sono esclusi gli effetti degenerativi sul sistema nervoso, con sintomi che possono in qualche modo mimare la Sclerosi Multipla”.


29 settembre 2011

FONTE: settimanale OGGI


Bell'articolo sulla Sensibilità Chimca Multipla pubblicato sul settimanale Oggi.
Un sentito ringraziamento a Ester Lupo, a Daniele Agnolutto, e a "Margherita" per la loro testimonianza e, naturalmente, al Prof Giuseppe Genovesi per il suo instancabile lavoro a favore dei tanti malati di questa patologia.

Marco

domenica 9 ottobre 2011

Addio Anna staccato Lisa, la blogger vinta dal tumore


Il cancro contro cui lottava con la forza del sorriso da oltre un anno l'ha portata via la scorsa notte

Non ce l'ha fatta Anna staccato Lisa. Ha perso la sua battaglia contro il tumore. Da mesi raccontava sul blog "Ho il cancro" su LaStampa.it, le sofferenze della malattia e le gioie quotidiane che la vita continuava a regalarle. Sognava normalità lontano dall'ospedale. Ma la fuga dall’incubo in cui era piombata un anno e mezzo fa, quando le venne diagnosticato un tumore ai polmoni, un anno dopo averne vinto uno al seno, non c’è stata. Anna Lisa si è spenta la notte scorsa.

La sua storia ha commosso l’Italia e un pezzetto di mondo: 33 anni, di Montecatini Terme, ricoverata da mesi all’hospice di cure palliative di Livorno, aveva deciso di sposarsi nella chiesa dell’ospedale livornese, il giorno di Ferragosto. Con Andrea (conosciuto pochi mesi prima che sapesse del cancro), con molti amici, medici e infermieri organizzò il matrimonio in tre giorni con tanto di torta, velo e lenzuola di raso nella stanza dell’hospice.

Un esempio di amore e coraggio che ha fatto diventare realtà la storia cinematografica de "La prima cosa bella" di Virzì e che dai letti dei reparti di Livorno finì su tutti i giornali e le tv d’Italia e non solo, visto che fu intervistata anche dalla Bbc: «Sono diventata una star» scherzava. Da due giorni Annalisa era in coma. Dai suoi ultimi post sul blog "Ho il cancro" sembrava aver capito che la fine era vicina: «Il fatto è che son giornate difficili - aveva scritto a fine settembre - Sono stanca di tutta questa sofferenza. Non c’è niente che mi vada bene, niente che migliori».

Ma il dolore ancora una volta era stato battuto dall’energia e dalla speranza: solo la morfina era capace di spegnere quella spinta propulsiva contro quella che chiamava "la bestiaccia", ma aveva trovato in ogni caso la forza, nell’ultimo messaggio sul blog (invaso dagli incoraggiamenti dei lettori), di ironizzare sull’ultima intervista alla tv: "Saranno famose" aveva titolato.

4 ottobre 2011

FONTE: lastampa.it
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/423289/


Solo oggi ho appreso della scomparsa di Anna Lisa Russo e mi rammarico, per questa ragione, di poter dare questa notizia con 5 giorni di ritardo. Devo ammettere che quando ho letto della sua morte (ma forse sarebbe più corretto dire... della sua "nascita al Cielo") mi è venuto un tuffo al cuore.... non me l'aspettavo, non mi aspettavo veramente una cosa del genere anche se sapevo che Anna Lisa era grave, sebbene che lei tendesse sempre a minimizzare le sue condizioni di salute sul suo blog (http://annastaccatolisa.splinder.com/). Il pensiero di questa ragazza coraggiosa, sempre col sorriso sulle labbra nonostante le avversità, che dichiarava di essere fortunata, che sognava di guarire, di ritornare a casa e gestire un bed&breakfast con tanti animali, mi è rimasto impresso nella mente per tutto il giorno.
Credo che tutte le persone che l'hanno conosciuta, e personalmente, e attraverso il suo blog e i vari servizi apparsi sia in televisione che sui giornali, siano rimasti colpiti dalla sua voglia di vivere, dal suo sorriso, dalla sua solarità e dal suo incrollabile ottimismo nonostante tutto quello che le stava accadendo, un ottimismo che trapela chiaramente anche nell'ultimo post scritto nel suo blog, appena 10 giorni prima della sua scomparsa, nel quale da notizia della sua recente intervista rilasciata a Studio Aperto che sarebbe andata in onda proprio quel giorno.
In omaggio a lei e come ricordo di lei metto su questo blog proprio il video, tratto da You Tube, di quel servizio fatto a Studio Aperto, in cui emerge luminosa la sua straordinaria vitalità che sempre ne accompagneranno il ricordo, e anche il video del suo matrimonio con Andrea celebrato in agosto nella chiesa dell'ospedale di Livorno dove era ricoverata.
Questo articolo e questi video sono il mio piccolissimo omaggio che faccio a lei, anche se in realtà è lei ad averci omaggiati della sua presenza e del suo sorriso.

Marco







Chi ama tutto scusa,
Di tutti ha fiducia,
Tutto sopporta,
Mai perde la speranza.

S. Paolo

giovedì 6 ottobre 2011

Allergica al mondo

Una trevigiana di 34 anni soffre di Mcs (Multipla sensibilità chimica)

di Emanuela Da Ros

Nella foto che vedete (scattata meno di un anno fa) Antonella Ciliberti sorride. Ha 33 anni, una bimba bellissima, che ha chiamato Zoe, un marito (Maurizio), un lavoro e una casa, a Crocetta del Montello.

Certo: Antonella ha avuto una gravidanza un po’ difficile (mentre aveva il pancione le è stata diagnosticata la Toxoplasmosi, che ha dovuto curare con gli antibiotici), e successivamente ha avuto diversi disturbi. Eppure – parliamo ancora di un anno fa – Antonella Ciliberti non sospetta che la sua vita diventerà un’odissea. Che dal momento della foto in avanti, sarà costretta a chiudersi in una stanza, priva di mobili, decontaminata, chiusa ermeticamente, e che dovrà guardare il mondo da un vetro, perché – se venisse in contatto con un profumo, un pesticida disperso nell’aria, un cibo trattato con qualche fertilizzante o con le onde elettromagnetiche di un telefonino - Antonella rischierebbe di non respirare più.

Nel periodo a cui risale la foto, Antonella si fida di ciò che i medici le dicono: che è stressata (prende gli ansiolitici prescritti da un neurologo); che è allergica a determinate sostanze (si sottopone a diverse prove allergiche, che però danno esito negativo); che ha un tumore al pancreas (il tumore è benigno e le viene curato presso l’ospedale civile di Verona). Ma i suoi disturbi si aggravano ogni giorno.

E la giovane cerca in Internet una possibile “risposta” al suo male. Esaminando situazioni cliniche simili alla sua, la giovane donna scopre di essere affetta da MCS, un acronimo che sta per Multipla Sensibilità Chimica. Una malattia riconosciuta dall’Oms, dalla Germania e da diversi paesi extraeuropei, fra i quali il Canada e gli Stati Uniti, ma che per l’Italia non esiste. O meglio, non esisteva ufficialmente, finché Antonella Ciliberti – con una certificazione statunitense – non si è fatta riconoscere la patologia, vincendo una causa contro l’Asl 8, che alla fine di un lungo iter, le ha pagato il viaggio (a bordo di un aereo presidenziale, decontaminato) verso Dallas e l’Enviromenthal Health Center, dove attualmente Antonella è in cura.

Della sua malattia ci parla il fratello Daniele Ciliberti, insegnante in una scuola superiore vittoriese.

In che cosa consiste l’MCS, cioè la malattia di cui soffre sua sorella?

La sindrome da Sensibilità Chimica Multipla provoca in chi ne è colpito reazioni violentissime: crisi respiratorie, infiammazioni, shock anafilattici. Crisi che si acuiscono col tempo e che sono provocate dal contatto del malato con qualunque tipo di sostanza chimica o naturale, come il profumo di un fiore.

Come vive il malato di MCS?

Segregato in una stanza, dove tutto è decontaminato.

La malattia è genetica?

Può essere genetica, ma nel caso di mia sorella e di molti altri pazienti, la MCS è stata provocata da una sovraesposizione alle sostanze chimiche e ai metalli. Poiché la malattia ha un’incubazione di 20 anni, è probabile che mia sorella si sia ammalata lavorando in una fabbrica di occhiali del Cadore.

Ma il pericolo di ammalarsi di MCS è rarissimo, no?

C’è una predisposizione probabilmente. Ma la malattia non è affatto rara: si calcola che negli Usa ci sino 25 milioni di persone affette da MCS. Non con sintomi gravi come quelli di Antonella, ma con disturbi evidenti. La malattia non è così infrequente. Ed è in crescita perché legata all’inquinamento, allo stile di vita che mette costantemente l’uomo in contatto con sostanze chimiche dannose. In Italia, la malattia esiste (moltissime persone si sono messe in contatto con la mia famiglia dopo aver conosciuto la storia di Antonella), ma non è riconosciuta e i pazienti vengono curati con terapie che aggravano le condizioni di salute.

Durante il periodo in cui Antonella era segregata in una stanza, lei poteva farle visita?

Sì, ma dopo aver fatto una doccia con del sapone naturale e aver indossato abiti decontaminati che erano stati a mollo per una settimana nell’acqua corrente.

Con questa patologia che cosa può mangiare Antonella?

Pochi elementi selezionati. Per sei giorni si nutre solo di farro o miglio biologico, poi cambia alimento che però non deve essere stato trattato. Anche i pochi medicinali che può assumere devono essere omeopatici.

Ora Antonella è a Dallas, in un centro specializzato nella cura dell’MCS. Quanto tempo ci resterà? Le sue condizioni stanno migliorando?

E’ a Dallas con la sua famiglia: con il marito che ha lasciato il lavoro per starle accanto e la piccola Zoe, di due anni. E’ più serena. Anche se consapevole che la malattia può essere solo rallentata. A Dallas resterà circa un anno, poi verrà ad abitare a Cappella Maggiore dove stiamo preparando per lei una casa costruita secondo i canoni della bioedilizia. Ma dove avrà bisogno di cure. Per questo, come familiari, chiediamo che nell’ospedale di Vittorio Veneto una piccola ala del nosocomio venga riservata ai malati di MCS e che l’ambulanza abbia le caratteristiche idonee per soccorrere chi soffre di questa patologia.

Chi paga le spese mediche americane?

L’Asl 8 (Antonella Ciliberti abitava a Crocetta del Montello, ndr), che non ha mai voluto riconoscere la malattia di mia sorella (e che non ha mai eseguito un controllo diretto), è stata obbligata dal giudice a contribuire al 70 per cento delle spese di una cura che, all’anno, costa circa 120 mila euro.

Che prospettive ci sono in Italia per questa malattia rara ma non troppo?

Non ce ne sono. Durante i nostri tentativi per sensibilizzare il ministero di fronte a una patologia certificata oltreconfine, abbiamo ricevuto dal ministro Turco una lettera da cui si evince che la MCS per l’Italia non è una malattia. E d’altra parte è difficile che gli ospedali che potrebbero fare delle ricerche in proposito, portino avanti un’indagine medica che non è finanziata in nessun modo. Le moltissime persone che, da diverse parti d’Italia, mi hanno contattato in questo periodo, oltre a soffrire per la malattia invalidante, hanno la tendenza ad arrendersi perché, per farsi riconoscere la sindrome, dovrebbero rivolgersi a un avvocato, fare causa all’Usl e sperare nell’esito positivo di un iter complesso anche a livello giudiziario. Mia sorella, in fondo, è stata fortunata…

Come vive la sua malattia?

Ha una forza eccezionale.

2 giugno 2008

FONTE: oggitreviso.it
http://www.oggitreviso.it/node/7701

martedì 4 ottobre 2011

Veleni nell'aria


Philippe Grandjean, professore all’Università Odense in Danimarca: "sono diffusi nell’ambiente dalle industrie, e arrivano anche ai cibi. E’ assolutamente necessario il controllo"

Un bambino su sei nei paesi industrializzati ha qualche disturbo dello sviluppo neurologico, come problemi di apprendimento, deficit sensoriali, ritardi nello sviluppo, paralisi cerebrale e autismo."Epidemia silenziosa": è la definizione coniata dal professor Philippe Grandjean (insegna all’Istituto di salute pubblica dell’università di Odense in Danimarca e lavora a ricerche presso il Dipartimento di salute ambientale alla Harvard school of Public Health di Boston), autore insieme al professor P.J. Larrigan (docente al Mount Sinai School of Medicine di New York), di uno studio pubblicato dalla rivista medica The Lancet.

Questo fenomeno è dovuto in buona parte all’esposizione dilagante dei bambini ad agenti chimici tossici; esposizione che può avvenire attraverso l’inquinamento ambientale, l’alimentazione e a volte anche attraverso alcuni farmaci. "Si tratta di un’autentica emergenza - spiega Grandjean. - Una commissione di esperti del National Research Council americano ha stabilito che il 3% dei disturbi dello sviluppo sono il diretto risultato dell’esposizione a certe sostanze, mentre un altro 25% deriva dall’interazione tra fattori ambientali e suscettibilità genetica individuale; ma poiché questi dati sono basati su scarse informazioni sulla neurotossicità di tante sostanze chimiche, è assai probabile che siano sottostimati".

Gli agenti tossici presi in considerazione nello studio vanno dal piombo ai sali di mercurio, dall’arsenico ai Pcb, dai solventi ai pesticidi e altre sostanze sulle quali si stanno ancora conducendo studi o di cui non sono noti gli effetti. I bambini di oggi sono immersi attualmente in un bagno chimico fin da prima della loro nascita, già durante la vita intrauterina. "I danni neurocomportamentali provocati dagli agenti chimici sono in teoria prevenibili - argomenta Larrigan - ma perché questo avvenga, occorre conoscere molto bene ciò che si utilizza e si diffonde nell’ambiente e oggi queste conoscenze non ci sono o non sono sufficienti".

In Italia i dati diffusi dagli enti istituzionali non sono rassicuranti. Secondo l‘Agenzia nazionale di protezione ambientale (Apat) nel lasso di tempo dal 1990 al 2006 le emissioni totali di gas serra espresse in anidride carbonica sono aumentate del 12,6%. Un rapporto del Programma ambientale dell’Onu ha scoperto una crescita allarmante di zone morte negli oceani a causa dell’elevatissimo tasso di inquinamento. E’ ancora uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità, commissionato dall’Apat, ad affermare che ogni anno in Italia muoiono circa 9 mila persone a causa dell’inquinamento atmosferico.

Sono stati invece i ricercatori dell’università di Udine e dell’ospedale Burlo Garofalo di Trieste ad aver messo in guardia sull’altissima incidenza di mortalità da inquinamento in Europa, che coinvolgerebbe 100 mila tra bambini e ragazzi da 0 a 19 anni. Cosa fare? "Il problema è che la maggior parte degli inquinanti non può essere controllata semplicemente da un genitore volenteroso o informato - afferma Grandjean - poiché sono diffusi nell’ambiente dalle industrie, attraverso la contaminazione chimica che arriva anche ai cibi. E’ assolutamente necessaria la costituzione di agenzie di controllo che diano regole per contenere le emissioni dannose per lo sviluppo cerebrale. Si deve cominciare subito tenendo sotto controllo le stanze chimiche di cui ci è già nota la tossicità; poi occorre studiare e testare quelle di cui ancora sappiamo poco nell’intento di un generale contenimento".

Roberto Bertollini, direttore salute a ambiente dell’Oms Europa non ha dubbi: "Le constatazioni cui giungono Grandjean e Larrigan arrivano da un’accurata lettura dei dati scientifici che mostrano attraverso casi reali, la neurotossicità delle sostanze chimiche. Su 202 sostanze prese in esame, solo quattro o cinque sono ben conosciute; non sappiamo quante delle altre sostanze immesse quotidianamente nell’ambiente abbiano effetti neurotossici sui bambini e, se il rischio è stato intuito, non se ne conosce l’entità né la soglia massima di tossicità al di sopra della quale si manifestano gli effetti negativi. Esistono fenomeni preoccupanti - conclude Bertollini - come la tendenza all’aumento di alcuni tumori infantili e di patologie neurologiche come ad esempio l’autismo".


CHIMICA MORTALE

Più di 100 mila prodotti chimici di sintesi sono oggi disponibili sul mercato e ogni anno ne vengono introdotti 1500 di nuovi. Elevate quantità di composti chimici tossici, per la maggior parte residui di pesticidi obsoleti, costituiscono una minaccia continua e sempre più grave, sia per gli esseri viventi sia per l’ambiente, in tutti i continenti. E molti pesticidi banditi o sottoposti a restrizione nei paesi occidentali sono attualmente commercializzati ed utilizzati nei paesi poveri, con un effetto di ritorno sui prodotti agricoli importai dall’Europa.

E’ questo l’ennesimo inascoltato allarme lanciato dalla Fao. "I pesticidi obsoleti vengono abbandonati dopo le campagne di disinfestazione o si accumulano perché molti prodotti sono stati vietati per ragioni di salute pubblica e ambientale, ma nessuno li rimuove o elimina. Le confezioni rimangono dove vengono immagazzinate e spesso si deteriorano, contaminano l’ambiente mettendo in pericolo gli abitanti". Le comunità più a rischio non sono nemmeno al corrente della natura tossica delle sostanze a cui vengono esposte ogni giorno. I dati della Fao parlano chiaro: "in Ucraina ci sono 19.500 tonnellate di prodotti chimici tossici, in Polonia 15 mila: per l’Asia (esclusa la Cina, dove il problema è assai grave, ndr) ne emergono 6 mila tonnellate, mentre in Medio Oriente e Sudamerica i veleni accumulati sono almeno 10 mila tonnellate". Mark Davis, responsabile del programma Fao per la distruzione dei pesticidi obsoleti rivela: "Ci chiamano per rimuovere gli stock abbandonati di pesticidi e per evitare l’ulteriore accumulo di rifiuti tossici, ma il programma si è concluso alla fine del 2004. Se i paesi sottoscrittori non rinnovano le loro quote non possiamo fornire assistenza alle nazioni che ci chiedono aiuto".

In Africa è peggio: gli ultimi dati dell’Onu (sottostimati e non aggiornati) fanno riferimento a "50 mila tonnellate di prodotti tossici sparse in 53 paesi". Dal ’94 la Fao partecipa all’Asp (Africa Stockpiles programme) per rimuovere gli stock in alcuni paesi africani ma le richieste di assistenza immediata diventano sempre più numerose. Per rimuovere una tonnellata di pesticidi occorrono 3.500 dollari, i paesi poveri non possono permettersi quest’onere. La Convenzione di Rotterdam (17 giugno 2001) è ancora largamente disattesa. C’è anche chi vende, nei Paesi in via di sviluppo, pesticidi che a casa sua sono proibiti.

Lo denuncia la Fao con il rapporto ’Scia tossica’. Ogni anno i pesticidi avvelenano 25 milioni di persone: l’80 per cento nel Sud del mondo, dove leggi e controlli sono più deboli se non inesistenti. E questo per 30 miliardi di dollari di fatturato annuo, in mano a 10 multinazionali. E’ il caso del Parathion metile della Bayer, classificato dall’Oms come “estremamente pericoloso”, importato illegalmente e prodotto in Paesi come la Thailandia o Cambogia con 200 nomi diversi, tra cui Folidol. Il sudest asiatico è il punto di smistamento dei pesticidi proibiti. Il 73% delle importazioni tailandesi riguarda prodotti elencati dall’Oms come estremamente tossici. L’84% dei pesticidi utilizzati in Cambogia è nocivo per la salute, tanto che l’88% degli agricoltori di quel Paese è vittima di avvelenamenti.

Il problema del Nicaragua si chiama Nemagon (o fumatone), il pesticida vietato in California fin dal 1977, ma usato dai lavoratori delle bananiere nicaraguesi. Il prodotto ha provocato un avvelenamento di massa: la locale associazione dei bananieri (Asotraexdan), calcola che centinaia di persone siano morte e migliaia stiano lottando contro tumore ai reni, al pancreas e alla milza, sterilità e figli malformati. E sul lago d’Aral, in Uzbekistan, un’irrigazione irresponsabile, ma anche l’abuso di pesticidi, ha creato uno dei peggiori disastri ambientali del mondo. Nel Mezzogiorno d’Italia, infine, è deregulation generale.

di Gianni Lannes

16 settembre 2011

FONTE: lindro.it
http://www.lindro.it/Veleni-nell-aria#.TouQ1XIsEjw


Questo articolo si commenta da solo. l'inquinamento ambientale miete e mieterà sempre un elevatissimo numero di vittime, a meno che non si decida SERIAMENTE di prendere tutti quei provvedimenti necessari per ridurre il suo impatto sul nostro pianeta. L'argomento pesticidi poi è veramente triste: io da sempre sostengo che i pesticidi andrebbero ABOLITI totalmente, e quella che viene chiamata "alimentazione biologica" dovrebbe diventare la regola e non l'eccezzione. E la cosa triste è che a pagare il prezzo più elevato di questo abuso di pesticidi sono i paesi poveri, dove vengono utilizzati pesticidi altamente dannosi che sono stati vietati da noi per la loro tossicità, ma che ci ritroviamo comunque nel piatto quando importiamo alimenti provenienti da questi paesi. La catena quindi non si spezza e a rimetterci siamo tutti quanti, senza eccezzione!

Marco