giovedì 21 luglio 2016

Vercelli, l'appello: “Aiutatemi a trovare una struttura dove curare mia figlia”


Mi appello al buon cuore di chi ha la possibilità di aiutarmi a trovare una struttura dove ricoverare e curare mia figlia, non è giusto che una persona debba soffrire così. Io ho 73 anni, da sola non riesco più ad occuparmene".

Liliana è la mamma di Loretta Facelli, 52 anni, vercellese affetta da morbo di Lyme (borreliosi), una malattia di origine batterica che si contrae attraverso il morso delle zecche. L’Istituto superiore di Sanità la definisce “la più diffusa e rilevante patologia trasmessa da vettore con diffusione nelle zone geografiche temperate ed è seconda, per numero di casi, solo alla malaria fra le malattie che richiedono un vettore artropode per la diffusione”.

Loretta l’ha contratta 15 anni fa in campeggio - racconta la signora Facelli - all’inizio si è manifestata con un eritema e febbre, per quasi un anno. Si è pensato a un’allergia ai farmaci, poi sono iniziati i forti dolori alle gambe. Sette anni fa mia figlia ha dovuto lasciare lavoro e marito, e si è trasferita a casa mia. La diagnosi è arrivata da un ortopedico novarese solo un paio di anni fa, troppo tardi per frenare in tempo il decorso cronico del morbo, che nel frattempo ha provocato alla donna altre gravi patologie. Ci siamo recate a luglio 2015 a Trieste, perché quella zona è conosciuta come la più endemica in Italia e lì esiste un centro specializzato - prosegue la mamma di Loretta - grazie alla disponibilità di due volontari, due angeli che ci hanno portate fin laggiù, evitandoci di pagare 2mila euro di ambulanza. Gli esami hanno confermato la presenza del batterio: in 20 giorni le hanno fatto 40 flebo di antibiotici, sono intervenuti sui problemi alla vista e ai denti, poi siamo dovute ritornare a casa.

Le cure per casi così radicati sono purtroppo poche e in luoghi inaccessibili per la famiglia Facelli, come Germania o Usa.
Ormai mia figlia ha fortissimi dolori ovunque, specie alle gambe, alla schiena, al collo e alla testa, tanto da essere arrivati a curarla con la morfina - dice la signora Liliana -. Ma io sono anziana, potrei sbagliare a somministragliela: per questo chiedo che sia ricoverata, anche solo per un mese ogni tanto, in strutture che possano assisterla adeguatamente. Ogni settimana viene a casa nostra a visitarla il primario o un medico del Centro di terapia del dolore del Sant’Andrea, ma la situazione peggiora costantemente e noi non riusciamo più a farle fronte. C’è un hospice nel torinese collegato alle Molinette che sarebbe perfetto per Loretta, ma costa 250 euro al giorno. A questo punto ci accontentiamo di una struttura, anche locale, dove ci sia il personale adeguato per fornirle cure palliative. Qualcuno per favore ci dia una mano a trovare un posto dove mia figlia possa essere ricoverata e seguita costantemente.

di Mariella Massa

15 giugno 2016

FONTE: Lasesia.vercelli.it
http://www.lasesia.vercelli.it/stories/vercelli/14767_vercelli_lappello_aiutatemi_a_trovare_una_struttura_dove_curare_mia_figlia/


Sulle pagine di questo blog ho già parlato in passato della dolorosissima storia di Loretta Facelli, questa signora di Vercelli affetta dalla terribile malattia di Lyme, una malattia che ti procura problemi a non finire e dolori lancinanti in gran parte del corpo. Purtroppo se questa malattia non viene diagnosticata in tempo, essa si cronicizza e peggiora sempre più, ed ora la situazione di Loretta è ancor più dolorosa che in passato. Per questo, sulle pagine di questo blog, chiedo a tutti di firmare questa petizione:
https://secure.avaaz.org/it/petition/ASL_del_Piemonte_Voglio_che_ricoverino_Loretta_Facelli_malata_terminale_di_Lyme/
nella quale si richiede che Loretta possa essere ricoverata e seguita all'hospice "Il Faro" di Lanzo Torinese o quantomeno possa ottenere le cure palliative domiciliari assistite quotidiane.
Firmiamo in tanti, perchè la situazione di Loretta è sempre più grave e la sua famiglia non sa più come farvi fronte. Grazie di cuore a chi lo farà.

Marco

giovedì 7 luglio 2016

“La Voce negli Occhi”: un film sulla storia di Salvatore Crisafulli


Il film ripercorre la vicenda dell’uomo risvegliatosi dopo 2 anni dallo stato vegetativo permanente. Uno stimolo per la ricerca scientifica e un richiamo a migliorare la sanità sotto l’aspetto socio-assistenziale

È di imminente uscita “La Voce negli Occhi”, un film che ripercorre la vicenda di Salvatore Crisafulli, entrato in stato vegetativo permanente per due anni a causa di un incidente, ma che poi si risveglia dal coma, riprende coscienza e comunica, rivelando che, contrariamente a quanto pensavano i medici relativamente alla sua situazione, lui sentiva e capiva tutto. Ne parliamo con il fratello, Pietro Crisafulli, presidente di Sicilia Risvegli onlus.

***

Pietro, l’11 settembre del 2003 succede qualcosa che sconvolge la vita di suo fratello e di conseguenza di tutta la vostra famiglia. Ci racconti

Per Salvatore e per tutti noi famigliari e amici quella data, due anni esatti dopo l’attentato delle torri gemelle di Manhattan, è diventata il nostro 11 settembre per antonomasia, il giorno che ha rivoluzionato le vite di ciascuno di noi e ha segnato l’inizio di un lungo e penosissimo calvario, in un alternarsi di sofferenze, rese e ribellioni, diagnosi infauste o possibiliste, disperazioni e flebili speranze.

Per i medici Salvatore era in stato vegetativo permanente…

Esattamente. I medici che visitavano Salvatore dicevano che era in stato vegetativo permanente e che per lui non c’era niente da fare. A Innsbruck, in un istituto importante, che noi consideravamo la nostra ultima spiaggia, un famosissimo luminare studioso di patologie cerebrali estreme, quali il coma e lo stato vegetativo, sentenziò che Salvatore era affetto da sindrome apallica, ci disse anche che avrebbe vissuto al massimo 3-4 anni, ci disse che sarebbe morto. Quella diagnosi, quelle due parole, Apallisches Syndrome, hanno continuato a echeggiare nella mia mente per molti mesi, come un verdetto di resa senza condizioni, di condanna a morte. In pratica quel dottore ci disse che Salvatore non sarebbe mai più risvegliato e che sarebbe scivolato progressivamente verso la morte, ma di fatto, mentre lui pronunciava la sua sentenza di morte, mio fratello lo ascoltava, e capiva tutto. Non per niente, dopo, gli venne la febbre!

La vostra famiglia ha sempre pensato che si potesse fare qualcosa per Salvatore. Sua mamma Angela è sempre stata convinta che suo fratello capisse tutto, al 100%…

Salvatore capiva tutto, era cosciente. Lui sentiva i medici che dicevano che sarebbe morto e che i suoi gesti erano involontari. Lui, senza poter interagire, sentiva le profezie funeste dei medici, la forza irresistibile del nostro amore senza limiti, le lunghe battaglie disperate contro strutture sanitarie inaccessibili, costose e sorde alle mie proteste, anche la ribellione pubblica con la minaccia plateale di staccargli la spina.

Lui apriva e chiudeva gli occhi per attirare l’attenzione. Ma non serviva a niente. Un giorno mia madre, osservandolo attentamente, scoprì che Salvatore cercava di comunicare. Mi ricordo che siamo entrati nella sua stanza insieme a mia madre, i miei fratelli, mia moglie, i miei figli, ed un altro parente. Gli abbiamo chiesto di aprire e chiudere gli occhi per rispondere alle nostre domande. Gli dicevamo: “Salvatore, se ci senti apri gli occhi”. E lui eseguiva. Ci siamo messi insieme a piangere. Facevamo le prove con dei fogli scritti oppure colorati, lui con gli occhi indicava quello esatto.

Lei Pietro ha lottato per suo fratello con grande tenacia, ha bussato a tante porte…

Durante un anno e mezzo d’instancabili peregrinazioni e sacrifici umilianti, Salvatore, muto mendicante di cure e attenzioni, fu trasportato, in camper, nei migliori centri neurologici di mezza Europa, da Catania a Messina, dalla Toscana a Milano, dalla Svizzera all’Austria. Ma nulla, con quella terribile diagnosi di STATO VEGETATIVO PERMANENTE ovunque bussavamo per chiedere aiuto, ci veniva risposto con malcelata commiserazione che non c’era niente da fare, che ormai mio fratello era diagnosticato neuroleso cronico incurabile, quando non addirittura malato in fase terminale.

Nel marzo 2005 scoppiò il caso di Terri Schiavo, la ragazza americana in stato vegetativo da 15 anni. Lo scalpore suscitato dal caso Schiavo, che portava all’attenzione del mondo il dibattito sull’eutanasia, mi diede il coraggio di alzare la voce, di urlare pubblicamente che Salvatore non doveva essere abbandonato nei gorghi della malasanità, senza cure né assistenza, come una inutile pianta destinata ad appassire. Partecipai a trasmissioni televisive a forte impatto di ascolto, minacciai di staccare la spina a Salvatore, se non fosse stata soddisfatta la mia umanissima aspettativa. Sentivo nel mio cuore che il mio adorato fratello, dal profondo del suo pozzo di solitudine, mi chiamava, mi sentiva, soffriva con me, mi incitava a vincere la sua impotenza e a comunicare al mondo la sua voglia di vivere.

Il mio appello non cadde nel vuoto, l’opinione pubblica era scossa, l’idea che un uomo in Italia potesse staccare la spina al fratello era intollerabile in quel momento storico, intervenne il Ministro della Salute. Salvatore pochi giorni dopo venne ricoverato in una struttura specializzata di Arezzo, dove fu verificato che noi familiari avevamo ragione: Salvatore capiva davvero tutto quello che gli accadeva intorno, era affetto dalla sindrome da incarceramento (Locked-In), di cui si sa molto poco.

La storia di Salvatore è diventata anche un libro, “Con gli occhi sbarrati…”

«Voglio raccontare al mondo la mia esperienza. Voglio che tutti sappiano che cosa vuol dire vivere paralizzati su un letto, senza poter muoversi né parlare, con i medici che dicono che non capisci niente. Voglio farlo per aiutare me stesso, le persone come me e i loro familiari». Con queste parole, Salvatore ci chiese di aiutarlo a scrivere la sua storia in un libro. Così grazie anche alla giornalista Tamara Ferrari riuscimmo, dopo quasi un anno dal riconoscimento che Salvatore era cosciente, a scrivere il libro. Salvatore in quel momento riusciva a comunicare soltanto grazie a un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo. Raccontare la sua storia non è stato facile. Comporre anche la più semplice delle parole richiedeva a Salvatore uno sforzo tremendo, perché doveva attendere che tutte le lettere dell’alfabeto scorressero davanti ai suoi occhi prima di poter selezionare quella che gli serviva. E così, ogni volta che gli rivolgevamo una domanda, passava anche un intera giornata prima che lui rispondesse. Soprattutto all’inizio quando, turbato dai ricordi, smetteva di scrivere e scoppiava a piangere. Da quel giorno Salvatore iniziò a raccontarci la storia impressionante di un malato precipitato in una dimensione esistenziale sconosciuta e misteriosa per tutti, anche per la scienza.

Prossimamente uscirà il film “La voce negli Occhi”, un film sulla vicenda di suo fratello Salvatore. Un sogno diventato realtà?

Esattamente, grazie anche al suo memoriale, questo sogno è diventato realtà. Film autoprodotto dalla nostra associazione Sicilia Risvegli onlus. Tengo a precisare in particolar modo che questo film non è stato compartecipato da nessuna istituzione interpellata. Con grandi sacrifici economici, mi sono indebitato fino al collo. “La voce negli occhi” è stato in parte finanziato da mio nipote Rosario, che ci ha donato i soldi ricevuti da un risarcimento assicurativo. Il film racconta la nostra storia sin da bambini, fin dagli anni trascorsi insieme in collegio. Io e mio fratello eravamo inseparabili. Una storia toccante, di lotta reale e di bellezza pura con momenti anche leggeri e divertenti, come i flashback di Salvatore. Tra passato e presente, nella speranza di un futuro migliore, il film abbraccia un intreccio di storie dal tono entusiasta e a tratti nostalgico. Lo spazio per i momenti di sofferenza vissuti non saranno tanti perché questo progetto è un grande tributo alla storia di un grande guerriero di nome Salvatore. Molto presto “La Voce negli Occhi” sarà diffuso.

Sul set era presente anche qualcuno della vostra famiglia?

Sì, nel mio stesso ruolo ci sono io, e non nascondo che non è stata assolutamente una passeggiata. Molti ricordi, sofferenza, ho pianto in diverse scene, uno strazio interminabile. Ma in tanti ci siamo accorti che accanto a noi c’era Salvatore che ci guidava. Sono contento di aver trovato un grande regista come Rosario Neri, che quando lo conobbi mi disse: “Questo film sarà la mia anima”. Da quel momento iniziò a sistemare la sceneggiatura, ed oggi posso affermare che si tratta di un vero capolavoro. Nel film ci sono anche tanti esordienti, tutti in scena per ricordare un uomo dal forte spirito e coraggio, che seppe sopportare e sorridere al mondo intero dal lettino nel quale è stato costretto negli ultimi quasi 10 anni della propria esistenza. Un set cinematografico straordinario, tutte le persone hanno partecipato gratuitamente. In campo quasi 150 attori provenienti da tutta Italia. Con la partecipazione straordinaria di attori già noti, come Enzo Campisi, Giuseppe Santostefano, Maurizio e Rosalba Bologna, ed Agata Reale, tutti con ruoli molto importanti. I protagonisti principali oltre a me, sono Carmelo De Luca, che interpreta Salvatore, Giovanni Gagliano che fa mio fratello Marcello, e Francesca Tropea nei panni di Rita (mia moglie). Nei panni di mia madre Angela, la quale non ha mollato mai come noi, c’è Maria Maugeri.

“La Voce negli Occhi” sarà un film che farà discutere?

Credo proprio di sì. Ovviamente la storia di Salvatore ha scosso la comunità politica e scientifica, imponendo l’urgenza di una riflessione sui parametri assistenziali medici ed etici che segnano il confine tra vita e morte. Sarà uno stimolo importante alla ricerca scientifica e, per altro verso, un richiamo a migliorare la Sanità anche sotto l’aspetto socio-assistenziale.


di Anna Fusina

21 maggio 2016


FONTE: Zenit.org

https://it.zenit.org/articles/la-voce-negli-occhi-un-film-sulla-storia-di-salvatore-crisafulli/




Ecco uno di quei film che, sinceramente, non vedo l'ora di poter vedere. Di Salvatore Crisafulli ho parlato diverse volte sulle pagine di questo blog, di questo grande "guerriero" incredibilmente legato alla vita, nonostante la sua gravissima sindrome, una vita che, per usare parole sue, “vale sempre la pena di essere vissuta, in qualsiasi stato ogni persona si trovi!”.
Una storia vera, intensa, struggente, con un messaggio di Amore nei confronti della vita e della sua preziosità che è meraviglioso e che giungerà ancora più potentemente quando questo film uscirà. E sono queste le storie che bisogna far conoscere alla gente, storie di persone Vere, cariche di contenuti, di valori, di umanità, di Amore. Sono veramente felice di poter divulgare la notizia di questo film e, me lo auguro veramente, spero possa diventare un grande successo. Sicuramente toccherà il cuore e le coscienze di molte persone..... e questa è certamente la cosa più importante.

Marco