giovedì 31 maggio 2012

Terremoto in Emilia: quasi 100 disabili nei centri d’accoglienza

A Finale sistemati in un’unica tendopoli, mentre a San Felice sul Panaro al piano terra delle scuole medie. Istituito un numero per segnalare i casi più gravi

di Michela Trigari

BOLOGNA – Il terremoto che domenica scorsa ha scosso l’Emilia ha colpito duramente anche le persone disabili. Si tratta di oltre «80 persone – dice Michele Camorati, responsabile della Sala operativa regionale dell’Emilia-Romagna della Croce Rossa – sparse un po’ in tutti i campi» del modenese e del ferrarese. A Finale Emilia (Modena), dove si trova la maggioranza delle persone disabili che non hanno potuto far ritorno nelle proprie case, sono state sistemate in un’unica tendopoli, mentre a San Felice sul Panaro hanno trovato ospitalità al piano terra del centro d’accoglienza allestito nelle scuole medie del paese.

PIU' ATTENZIONE ALLE FASCE DEBOLI - «Le persone disabili sono seguite da una trentina di operatori della Cri, più il personale socio-sanitario e volontario che si occupava abitualmente di loro prima del terremoto – continua Camorati –. Sono quelle che hanno ricevuto più attenzione dopo il sisma, in quanto si tratta di una fascia particolarmente debole e che va maggiormente protetta in queste situazioni. Abbiamo potenziato la nostra dotazione di 30 carrozzine, ma con l’evacuazione degli ospedali abbiamo parecchi ausili a disposizione». Anche se non manca chi contesta: «Qui a Sant'Agostino non sono preparati ad aiutare le persone disabili. Mio fratello lo è e ci hanno proposto di dormire nel Palareno, il palazzetto dello sport. Ma se c'è una scossa di terremoto come fa ad uscire?», commenta Rosina Pompili.

COORDINARE L’EMERGENZA - A gestire l’emergenza nei centri di accoglienza organizzati nei territori più colpiti dal sisma – Sant’Agostino e Bondeno (Ferrara), Moglie (Mantova), Finale Emilia, Cavezzo, Camposanto, Mirandola e San Possidonio (Modena) – sono soprattutto la Protezione civile, la Croce rossa italiana (con anche due pulmini per il trasporto disabili) e le Misericordie dell'Emilia-Romagna. Queste ultime si sono concentrate a Mirandola, dove stanno gestendo il centro di accoglienza ricavato nella scuola media e quelli attivati nei due asili (in totale 300 posti complessivi). La notte tra domenica e lunedì sono state ospitate in gran parte famiglie con bambini piccoli, anziani e disabili.

ASSISTENZA SOCIALE E ASL IN AZIONE - Ma anche l’Ordine degli assistenti sociali dell’Emilia Romagna si sta dando da fare: ha attivato un numero di telefono, 333-5647158, per raccogliere le segnalazioni dei casi più difficili. La priorità è quella di non perdere il contatto con gli utenti già seguiti dai servizi e, se possibile, dare una mano anche alle altre persone. Si possono segnalare soprattutto esigenze particolari, come ad esempio bambini che hanno bisogno di un latte specifico, persone con disabilità che necessitano di ausili, anziani e famiglie in situazioni di difficoltà. E si è mossa pure l'unità di crisi che coinvolge i dirigenti delle Aziende sanitarie di Modena e Ferrara. Sono stati attivati quattro punti medici avanzati nelle zone più colpite dal terremoto, mentre i servizi di Dipendenze patologiche e Salute mentale adulti di Mirandola sono operativi nella tensostruttura verde di fronte al centro servizi di via Smerieri.

 
22 maggio 2012 (modificato il 28 maggio 2012)

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/salute/disabilita/12_maggio_22/terremoto-disabili-tendopoli_2a13aa1c-a424-11e1-80d8-8b8b2210c662.shtml


Articolo di qualche giorno fa, antecedente alla forte scossa del 29 maggio, per cui la stima di 80 persone disabili stivate nelle varie tendopoli è adesso certamente in difetto. Detto questo, voglio approfittare per ringraziare tutte le persone, volontari e non, che
stanno mettendo impegno e cuore nell'aiutare le persone colpite da questo drammatico evento, in particolar modo le cosiddette "fasce deboli", ovvero i bambini, gli anziani, i disabili e i malati. Questo terremoto ha colpito sopratutto loro, per cui va tutto il mio plauso alla Croce Rossa, alla Protezione Civile, alle Asl e a tutti i volontari che stanno facendo del loro meglio per mettere queste persone nelle migliori condizioni possibili. Un grazie di vero cuore da parte mia.

Marco

mercoledì 30 maggio 2012

La vita è meravigliosa


“La vita è sempre meravigliosa, ed è unica. E per questo, merita di essere vissuta al meglio”. E' l'accorata testimonianza di un ventenne jesino, Luca Bernardi, affetto da distrofia muscolare di Duchenne. Il giovane, nonostante l'immobilità a cui è costretto dalla malattia, vive ogni giorno una grande opportunità di crescita e di gioia.

In che cosa consiste la tua patologia?
Si tratta di una malattia genetica che determina progressivamente la degenerazione delle fibre muscolari e la conseguente perdita della forza muscolare e quindi delle abilità motorie e respiratorie.

Ci puoi raccontare i passaggi più significativi della sua evoluzione?
La malattia ha iniziato a manifestarsi quando avevo circa sette anni con improvvise perdite di equilibrio, e poi con una progressiva perdita delle forze degli arti che mi ha costretta ad usare la sedia a rotelle quando avevo solo nove anni. A dodici ho avuto una crisi respiratoria che mi ha obbligato ad utilizzare un respiratore meccanico, costringendomi al letto. E' stato molto difficile accettare tutto questo, sentire di perdere giorno per giorno la forza e non riuscire a correre, saltare, giocare come gli altri bambini. Accettare la sedia a rotelle che ho sempre odiato fin dalla prima volta che l'ho vista, forse perchè intuivo che era per sempre e mi faceva sentire osservato e diverso. E poi l'immobilità...”

Quello della crisi è stato dunque un momento drammatico.
“Sì, perchè ho creduto di morire. E' successo tutto all'improvviso: mi sono ritrovato in un reparto di rianimazione – il Salesi di Ancona – tra medici e infermieri che non conoscevo, senza i miei genitori. Stavo tanto male e nei momenti di lucidità pensavo che mi avessero abbandonato. Non potevo neanche chiedere spiegazioni perchè non potevo parlare a causa della tracheostomia. In realtà, nessuno mi aveva abbandonato: ai miei genitori non era permesso entrare vista la situazione dei pazienti nel reparto. Essi mi rassicuravano che c'erano anche se non li potevo vedere, facendomi avere oggetti, foto, audio-cassette, con i loro messaggi. Tutto questo è stato talmente devastante per me, che mi ha cambiato moltissimo. Superata la criticità di quel momento, mi sono ritrovato una forza immensa per affrontare tutto quello che è successo dopo”.

Le apparecchiature che utilizzi: chi te le ha fornite e quanto costa alimentarle?
L'Azienda Sanitaria Unica Regionale. Sono apparecchiature elettriche che, essendo costantemente in funzione, consumano molti Kw, con relative bollette molto alte. Al fornitore di energia elettrica abbiamo chiesto se si possono avere delle agevolazioni economiche, ma non abbiamo avuto un riscontro positivo.

Possono essere manovrate da chiunque?
Solo da persone specializzate. Ai miei genitori e a mia zia è stato insegnato ad usarle durante il mio lungo periodo di degenza presso il reparto di Anestesia e Rianimazione all'Ospedale di Jesi, dove sono stato trasferito dai Salesi.

Cosa ti preoccupa di più in questa tua situazione?
Oltre alla progressione della malattia, ciò che mi preoccupa di più è proprio il futuro, nel senso che è vero che ho un servizio di aiuto alla persona ed un servizio educativo che viene erogato dal Comune con mandato ad una Cooperativa di Servizi, ma nessuna persona preposta a questi servizi può sostituire i miei genitori. Vorrei che le istituzioni potessero fare qualcosa in tal senso. Penso ad un servizio come lo IOM, che assiste a domicilio i malati terminali.

Quali altre figure, oltre ai familiari, condividono le tue giornate?
Gli operatori della Coo.s.s. Marche, dei giovani molto in gamba che mi aiutano e mi sostengono.

Nonostante le difficoltà oggettive, non hai mai rinunciato allo studio: a quale Università e Facoltà sei iscritto?
Sono inscritto all'Università di Macerata, alla Facoltà di Lettere e Filosofia. L'insegnamento avviene tutto attraverso il computer e Internet, quindi con modalità on-line. Nel sito dell'Università, per ogni esame che devo dare, trovo il programma e il materiale che utilizzo per prepararmi; altri testi li acquisto. Poi mio padre, attraverso lo scanner o la fotocamera, li inserisce nel PC, in modo che io li possa leggere e studiare. Inoltre ho dei tutor che fanno da tramite tra me e i docenti e mi aiutano a prepararmi ed a risolvere le difficoltà. Il rapporto con i professori è solo via e-mail, e li vedo solo una volta quando sostengo l'esame.

Ne hai già sostenuto qualcuno? Con che modalità?
Per ora due, Storia Greca, e Storia della Cultura Materiale, riportando una votazione di 28 e 27. Si sono svolti attraverso un test multiplo, in modalità on-line, tramite una chat audio/video, con la presenza a casa del tutor che hai il compito di controllare che tutto si svolga regolarmente.

Ci sono momenti di stanchezza per questa tua situazione, questa tua sofferenza?
Qualche volta sì, ma cerco di essere sereno, pieno di interessi, e ciò mi permette di vivere e superare ogni difficoltà, perchè la vita è una cosa meravigliosa.

Ti interessi della vita della città? Cosa ne pensi di quello che accade?
Sì, certo, ho anche votato. Penso che bisognerebbe migliorare tante cose che già esistono e allargare l'orizzonte verso altre per accrescere il livello culturale, il rispetto e l'integrazione tra i cittadini che deve comunque realizzarsi indipendentemente dallo stato sociale, dagli hanicap fisici, dalla cultura, dalla religione e dal colore della pelle. Mi appassiona molto lo sport, in particolare pallavolo e basket. Sono un accanito tifoso delle due squadre locali.

Hai degli hobby?
Sono un appassionato di musica, di libri, e di cucina. Il mio sogno di bambino era di diventare un calciatore come Roberto Baggio, oppure uno chef famoso che potesse fare esperienze in giro per il mondo, per aprire poi un ristorante di alta cucina a Jesi. La musica mi fa sognare e viaggiare con la fantasia, e riflettere sui momenti belli e meno belli della vita.

E le tue curiosità? Quale aspetto ti cattura di più?
La storia, in particolare il periodo delle due guerre mondiali, perchè secondo me è importante non dimenticare quello che è successo, per fare in modo che non succeda più. Mi piacciono molto anche i paesaggi e ne cerco sempre di nuovi attraverso Internet. Sono curioso di visitare le città e i paesi del mondo, e lo faccio con un programma apposito. Amo pure la Storia dell'arte, ammiro personaggi come Michelangelo, Leonardo, che hanno lottato contro tutti per portare avanti le loro idee, molte delle quali non comprese dal contesto storico in cui sono vissuti.

Ti sembra che ci sia poca attenzione ai disabili? E in che cosa?
Rispetto al passato è stato fatto molto, ma non basta. Ci sono ancora tante barriere architettoniche e “mentali”, difficoltà nell'accedere all'istruzione, al lavoro, al divertimento. C'è poco rispetto.

Che ricordo hai del periodo scolastico?
Della scuola elementare ho un ricordo piuttosto negativo perchè ero poco integrato nel programma scolastico, avevo delle difficoltà che secondo gli insegnanti non erano compatibili con il resto della classe, e spesso stavo in un aula a parte con l'insegnante di sostegno. Questo mi dispiaceva molto e mi portava ad avere poca simpatia per la scuola. Con i miei compagni di classe, invece, stavo molto bene; mi hanno sempre aiutato, spontaneamente perchè loro non vedevano in me nessuna diversità anche quando era evidente. La scuola media e le superiori mi hanno dato invece molte soddisfazioni. Mi sono integrato fin da subito nella classe e ho avuto ottimi risultati seguendo lo stesso programma degli altri, anche se da casa essendo impossibilitato a frequentare.

Per le Superiori, quale Istituto hai frequentato?
L'Istituto Tecnico per le Attività Sociali G. Galilei. L'ho “scelto” perchè è stato l'unico che ha accettato la mia iscrizione facendosi carico di una esperienza – didattica a distanza con la videoconferenza – allora nuova per entrambi.

Da questo letto, nel quale ogni giorno coltivi sempre più amore per la vita, quali pensieri rivolgeresti ai tuoi coetanei, a tutti i giovani?
Direi che la vita è molto bella anche da questo letto, ed è unica. Loro che possono viverla appieno, non devono rischiare di perderla per un bicchiere in più o per aver abusato di sostanze stupefacenti. Devono avere più rispetto per loro stessi, avere un ideale da seguire, dare uno scopo alla propria vita. Solo così potranno non perdersi in una società in cui comunque penso che non sia facile vivere ed affermarsi.

di Paola Cocola

6 ottobre 2007

FONTE: http://www.lucabernardi.eu/lavita%E8meravigliosa.pdf


Sito ufficiale di Luca Bernardi:
http://www.lucabernardi.eu/index.html


Luca su Facebook:
https://www.facebook.com/luca.bernardi.986

https://www.facebook.com/groups/149342069685/
https://www.facebook.com/pages/Uno-Scrigno-Pieno-di-Sogni/212441155491922

Luca su Twitter:
https://twitter.com/#!/BernardiLuca


Canale You Tube di Luca Bernardi:
http://www.youtube.com/user/viveredj


Il libro di Luca "Uno scrigno pieno di sogni"

http://www.lucabernardi.eu/Unoscrignopienodisogni.pdf


La storia di Luca è di quelle che toccano veramente il cuore, ma che destano anche stupore in chi la legge, per il grande carattere e la forza d'animo che Luca dimostra nella sua vita, nonostante la sua Distrofia Muscolare che lo fa vivere completamente allettato. Ciò nondimeno la sua voglia di vivere emerge chiaramente dalle sue parole, tanto da sostenere che la "vita è meravigliosa" e sempre e comunque bella e degna di essere vissuta pienamente anche dal suo letto. Un esempio, una lezione di vita per tutti, sopratutto per coloro che non si rendono conto di quale Dono sia la vita e rischiano di gettarla al vento per qualcosa di stupido.

L'intervista in questione è un pochino datata, essendo del 2007, ma ho scelto di postare questa per la sua completezza e perchè dalle parole di Luca emerge chiaramente il suo carattere e la sua visione della vita.
Invito tutte le persone che leggeranno questo post ad approfondire la conoscenza di Luca attraverso il suo sito, molto bello e completo, di cui ho postato sopra le coordinate, e anche guardando qualche video che lo riguardano dal suo canale You Tube. Luca è presente anche su Facebook e su Twitter, quindi chiunque può diventare suo amico e condividere con lui pensieri ed emozioni. Infine mi sento ri raccomandare a tutti il libro scritto da Luca, "Uno scrigno pieno di sogni", nel quale Luca racconta di sè, la sua storia, i suoi sogni, le sue speranze, le sue conquiste... il tutto con un occhio di riguardo verso il mondo della disabilità, con lo scopo di avere una maggiore sensibilizzazione della società nei confronti dei diversamente abili, abbattendo certi pregiudizi che purtroppo ancora esistono.

Marco

domenica 27 maggio 2012

Sofia era una ragazzina vivace, ora è così debole che non riesce nemmeno a mandare un sms.

Derubati della vita: testimonianze strazianti di vittime di ME e Fibromialgia

Si sa poco riguardo alla ME - e persino i medici sono stati accusati di non trattarla in modo serio.
Ma la realtà è che l’Encefalomielite Mialgica – a volte chiamata Sindrome da Stanchezza Cronica – è una malattia gravemente debilitante che affligge circa 250.000 persone nel Regno Unito.

I sintomi includono una spossatezza estrema, dolori muscolari, mal di testa e problemi di concentrazione. Capita che molti malati siano allettati per anni. La Fibromialgia è una condizione cronica dove si soffre di dolore diffuso e di stanchezza.
Si pensa che una persona su 25 soffra di una di queste due patologie in Gran Bretagna.

In questo articolo, LYNSEY HAYWOOD parla di tre persone che ci raccontano perché queste due malattie sono molto più gravi di quanto la maggior parte delle persone si immagini.

Sophie, 17 anni
Sophie Ellis soffre di ME da quando aveva nove anni. Non può neanche guardare la televisione o mandare un sms ed è alimentata con un sondino.
Non si reca al piano di sotto della sua casa di Banbury, nell’Oxfordshire (Oxon), da più di un anno.
Vive con il papà Mark Ellis, 52 anni, un consulente finanziario, e la mamma Karen, 52 anni, che si occupa di lei a tempo pieno.
Mark dice: “Quando Sophie aveva nove anni, si ammalò di un’infezione per un virus abbastanza comune che durò circa due o tre settimane.
Ma non è mai guarita del tutto. Ha sofferto di dolori paralizzanti allo stomaco, bruciore e reflusso acido, così come di una mancanza generale di energia. Il medico di base da cui ci recammo cercò di tamponare i sintomi invece che cercare la causa di base. Come genitori non avevamo conoscenza della ME, quindi, quando ci siamo recati da un numero sterminato di specialisti, non abbiamo mai pensato di chiedere al riguardo. Pensavamo semplicemente che fosse qualcosa di cui le persone si erano ammalate negli anni ’80 e che desse sintomi simil-influenzali. Non sapevamo certo che fosse qualcosa per cui si potessero provare delle terapie.
Sophie peggiorava sempre di più, al punto che non poteva mangiare ed era costretta a passare sempre più tempo a letto.
Poi, circa due anni fa, uno specialista suggerì la ME e, dopo aver fatto delle ricerche per conto nostro, tutto finalmente trovò un senso.
Ci sono voluti sei anni per avere una diagnosi accurata ma purtroppo, ormai, essendosi sforzata così duramente per sei anni, le batterie di Sophie erano completamente esaurite.
Avevamo la percezione di aver perso il nostro spiraglio di opportunità quando avremmo ancora potuto fare qualcosa. Adesso, Karen ha lasciato il suo lavoro di commessa al supermercato al Sainsbury’s per assisterla a tempo pieno.
La minima attività sfinisce Sophie e, essendo una malattia neurologica, ciò ha ripercussioni in ogni parte del suo corpo. Non può guardare la televisione, né usare un computer portatile perché non tollera la luce. Le procura vertigini o la fa stare male.
Non può leggere (N.d.T. per più di pochi minuti) due volte nella giornata e non si reca al piano inferiore dell’abitazione da più di un anno. Non possiamo parlarle per più di pochi minuti per volta perché ciò sfinisce le sue energie. La sua stanza deve essere al buio e ha bisogno di aiuto per raggiungere il bagno perché le sue gambe da sole non la reggono. Può leggere gli sms ma non può inviarli da sola perché il suo cervello non riesce a coordinare le dita.
Mangiare e masticare sono un’impresa ormai quasi impossibile per lei, quindi ha un sondino che la alimenta, attraverso il naso, con cibi liquidi, ma riesce a bere da sola.
Stiamo cercando di incrementare sempre di più i piccoli miglioramenti che riesce a compiere ogni giorno – esponendola un po’ di più alla luce, cercando di farle mangiare un po’ di cibo da sola.
Ma se la sforziamo troppo, ha delle brutte ricadute e dobbiamo ripartire da zero.
Non possiamo assolutamente ricevere ospiti in casa per non rischiare di disturbarla. Il massimo in cui Karen ed io possiamo sperare per noi stessi sono una passeggiata e un caffè quando il fratello di Sophia, Matt, che ha 29 anni, viene a trovarci.
Questo fa sì che Sophie si senta anche terribilmente in colpa – la ME ha un impatto enorme sulla vita di ognuno di noi.
Ma, in tutto questo, Sophie è sempre stata piena di spirito e coraggio, sempre col sorriso sul volto.
Incontrare altre persone, attraverso l’Associazione per i giovani malati di ME (AYME-Association of Young People with ME) ci ha aiutati a realizzare che non siamo soli e che spesso le persone migliorano. Abbiamo incontrato persone di vent’anni che un tempo erano nelle condizioni in cui Sophie si trova ora e che adesso in gran parte conducono una vita normale e felice.
Sono la nostra fonte di ispirazione per andare avanti.

Jamie, 23 anni
JAMIE STRONG, di Kingston upon Thames, è determinato a porre fine allo stigma che circonda la ME. Parla così:
Cinque anni fa regolarmente percorrevo più volte le circa otto miglia intorno a Richmond Park con la bicicletta. Come qualsiasi ragazzo sano e attivo di 17 anni, mi divertivo nel tempo libero a uscire con i miei amici, a correre e a fare pesi in palestra. Poi nel Gennaio del 2007 tutto il mio mondo è crollato.
Di punto in bianco ho iniziato ad avere un forte dolore allo stomaco con sanguinamento. Mi fu diagnosticata una probabile gastroenterite e, dopo una colonscopia, una colite ulcerosa. Iniziai ad accusare dolori alle giunture e brain fog.
Sforzandomi molto riuscii ad arrivare alla maturità e ad essere promosso, ma a Settembre non mi reggevo in piedi. Mi capitava di collassarmi ovunque e dovetti rimandare la mia iscrizione all’università. In seguito mi fu diagnosticato il disturbo di Addison, che consiste in una mancanza nel corpo di ormoni pituitari .
Mi furono aumentati i farmaci, cosa che mi aiutò ad iniziare a frequentare la University of East Anglia, ma la mia memoria a breve termine non mi sosteneva più e mi sentivo esausto.
Dopo sei settimane dall’inizio (dell’università), i miei genitori dovettero venire a prendermi e portarmi a casa. Fu allora che ricevetti la diagnosi di ME.
La ME è talvolta chiamata Sindrome da Stanchezza Cronica. Ma il termine “stanchezza” non si avvicina lontanamente a ciò che provo. La maggior parte dei giorni mi sveglio – nei casi in cui sia riuscito a dormire - sentendomi più sfinito di quando sono andato a letto.
Spesso le mie gambe sono quasi paralizzate. Se riesco a fare un bagno, dopo devo distendermi sul tappetino per venti minuti, prima di potermi reggere in piedi.
Salire le scale è come scalare l’Everest.
Al momento persino leggere o sostenere una conversazione possono essere uno sforzo eccessivo.
Quando provo a sforzarmi, lo sfinimento può diventare così forte che mi sembra quasi di morire. E’ come se il mio cervello andasse a fuoco.
Ho un dolore bruciante ai muscoli e gli antidolorifici recano poco sollievo. Quando ciò accade, l’unico modo per sopravvivere è stare disteso in una stanza buia e silenziosa.
Mi mancano disperatamente gli amici della mia età. Non li vedo più dal momento che non capiscono perché io possa fare così poco o perché i medici non possano aiutarmi.
Ho preso contatto con altre persone giovani che soffrono di ME ma la maggior parte di loro sono troppo stanchi per incontrarsi. Posso uscire di casa una o due volte alla settimana se qualcuno mi accompagna e se non devo camminare per un lungo tratto. A volte uso una sedia a rotelle.
Ho provato di tutto per guarire – terapie alternative, agopuntura, dieta, integratori, terapia cognitivo-comportamentale, esercizio graduale, tecniche di rilassamento, meditazione, riposo, pacing e farmaci.
Vivere questa vita senza vedere uno sbocco è come essere morti viventi. Se solo le persone potessero capire che tutto ciò è reale, una malattia fisica dagli effetti devastanti, allora i malati di ME non si sentirebbero così abbandonati, messi da parte e sminuiti.
Abbiamo bisogno che il Governo inizi a trattare la ME come la patologia seria che è, che educhi i medici e che promuova la ricerca così che i trattamenti adeguati – possibilmente una cura – possano essere trovati.

Linda, 52 anni
La terapista occupazionale Linda Horncastle è stata bloccata dal dolore causato dalla fibromialgia per circa vent’anni. Ha anche preso in considerazione il suicidio per risparmiare alla sua famiglia il peso di doverla assistere. Linda, di Seer Green della contea di Bucks (Buckinghamshire), racconta:
Mi sono ammalata all’età di 27 anni, dopo la nascita di mio figlio Matthew. Mi sono recata da uno specialista che mi diagnosticò un nervo intrappolato e che mi prescrisse antidolorifici, che non ebbero però alcun effetto positivo. Il dolore si diffuse all’altra spalla, giù lungo la schiena e mi sentivo totalmente esausata tutto il tempo. Quattro anni dopo che nacque mio figlio Matthew, ho avuto il mio secondo figlio, Steven. A quel tempo stavo così male da non riuscire a sollevare nessuno dei due. Se desideravano un abbraccio, dovevano arrampicarsi sulle mie ginocchia. Dipendevo completamente da mio marito David, che ora ha 52 anni, e dagli amici che mi aiutavano con i bambini. Finalmente scoprii che cosa non andava quando avevo 33 anni.
Vivevamo in Francia e un medico di base mi indirizzò ad un reumatologo che disse che soffrivo di fibromialgia. Mi consigliò di recarmi alle terme e di modificare la mia dieta. Ma in seguito David fu di nuovo trasferito per lavoro in Gran Bretagna e lo stress del trasloco peggiorò i miei sintomi.
Ero costretta in casa per giorni di seguito. Non avevo l’energia per andare a prendere i bambini a scuola ed avevo un dolore cronico e agonizzante.
La mia famiglia stava soffrendo così tanto per causa mia. David doveva cucinare e fare i lavori domestici. Le cose normali come le vacanze in famiglia e le attività extra-scolastiche non erano una possibilità da prendersi in considerazione per Matthew e Steven. Mi sentivo così in colpa che ho contemplato l’idea del suicidio per due volte, pensando che sarebbero tutti stati meglio senza di me.
Ho perso quasi tutti i miei amici per il fatto che non potevo uscire di casa. Avevo attacchi di panico ogni volta che prendevo i mezzi pubblici.
Il punto di svolta fu leggere un articolo scritto da una fisioterapista che era stata afflitta in modo analogo dalla fibromialgia. Ella spiegava come era ritornata ad una vita normale e persino come aveva iniziato di nuovo a lavorare grazie ad esercizi di stretching combinati con una dieta priva di zuccheri, caffeina e glutine.
Attuai tutti questi cambiamenti e andai in una clinica del dolore dove imparai tecniche di rilassamento così da non logorarmi. I miei sintomi migliorarono di circa il 40%, ma ero ancora lontana dallo stare bene. Un medico mi suggerì di provare un apparecchio chiamato Alpha-Stim. Questo dispositivo usa una bassa corrente elettrica per produrre onde alfa che impediscono al cervello di ricevere un numero di segnali del dolore maggiore della norma.
Alla fine della seconda settimana di utilizzo mi sentivo molto meglio. Ho dormito bene per la prima volta in più di dieci anni e la mia energia e i miei livelli di dolore erano migliorati. Ho persino iniziato di nuovo a lavorare nel 2010, cosa che avevo pensato impossibile anche in un milione di anni.


FONTE: cfsitalia.it
http://www.cfsitalia.it/public/CFSForum/index.php/topic/5339-due-articoli-pubblicati-da-the-sun-che-riguardano-la-mecfs/page__pid__40538#entry40538

Articolo pubblicato su “The Sun” nella rubrica Salute (Health), scritto da Emma Morton e Lynsey Haywood
http://www.thesun.co.uk/sol/homepage/woman/health/health/4226095/Robbed-of-life-Heartbreaking-victims-of-ME-and-fibromyalgia.html

L'articolo è stato gentilmente tradotto da Antonia Frigo


Tre testimonianze da far accaponare la pelle. Basterebbe leggere queste 3 storie per comprendere bene che cosa sono l'Encefalomielite Mialgica (ME) e la Fibromialgia (FM) e il tipo di vita a cui sono sottoposte le persone che ne sono colpite.
I malati di queste patologie meritano più RISPETTO, sia da parte delle istituzioni, che da parte della classe medica, che da tutte le persone in generale, perchè sovente anche le persone più vicine ai malati sono riluttanti a capire quale CROCE sia avere una malattia come queste. Teniamolo sempre bene a mente.

Marco

venerdì 25 maggio 2012

L' agghiacciante verita' che si cela dietro i malati di Sindrome da Fatica Cronica (ME/CFS)

Lettera spedita da un ragazzo affetto da Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Fatica Cronica.

Sono stato molto sconvolto e rattristato nell'apprendere della morte di Sophia Mirza (http://www.sophiaandme.org.uk/) e delle circostanze della sua morte. Questa storia è fin troppo familiare per me e per la mia esperienza. Sono da 20 anni un malato grave d M.E. . Per due anni e mezzo tra il 1989 e il 1992 sono stato completamente e totalmente allettato. Non potevo sollevare alcun peso ed ero accudito in casa da mia madre e lavato dalle Infermiere di Zona (District Nurses). Molti pensavano che sarei morto.

In quel periodo sono stato rinchiuso dagli psichiatri e portato all'Unità Psichiatrica xxxxxxxxxxx, all'ospedale xxxxxxx, di xxxxxx. Per sei mesi sono stato sottoposto a gravi e terribili abusi psicologici in quelle che io chiamo le loro "Camere di interrogatorio". Sono stato sottoposto ad un regime di minacce, di torture fisiche, bullismo, intimidazione, disprezzo, derisione, bugie, delusioni, malignità e più di tutto odio. Lo stress e il tormento emotivi indotti nella mia mente è stato estremo e oltre quello che si possa descrivere.

Alla fine del loro "trattamento" gli psichiatri dichiararono di aver fatto meraviglie per me e di avermi trasformato in una meravigliosa e totalmente nuova persona che era progredita immensamente nella salute mentale e nel benessere. Ma la verità era che i danni psicologici inflitti alla mia mente vulnerabile sono stati colossali e sono perdurati finora per il resto della mia vita.

Negli ultimi 14 anni ho cercato di guarire emozionalmente e di ricostruire me stesso dopo i loro sforzi e i loro successi nel distruggere la mia mente e nel distruggermi come persona, come volevano fare. Uno dei più grandi e più duraturi dei molti effetti psicologici negativi è stato l'essere soggetto ad attacchi di rabbia in cui impreco, un'incapacità di prevenire queste ondate di rabbia che salgono dal mio inconscio investendomi a livello emotivo, nel momento in cui mi sveglio dal sonno ogni mattina e poi durante il giorno. Ho lottato contro questi momenti di imprecazione verso gli psichiatri da allora, allo stesso modo in cui lotto interiormente per perdonarli. (Io credo nel perdono assoluto, ma lo trovo difficile e non semplice da fare). Davvero, almeno due di coloro che hanno commesso abuso su di me dovrebbero essere in carcere.

Qualche anno fa durante un periodo di remissione, ho iniziato ad impegnarmi in una chiesa Pentecostale molto frequentata. Nella congregazione c'era un uomo che mi disse che sua moglie era una malata grave di M.E., ma che tragicamente si era suicidata. Appresi che egli non era un gran sostenitore dell'organicità della malattia e che ella era stata ricoverata in un'unità psichiatrica in cui sia lui che il personale avevano agito in modo coercitivo verso di lei. Non era difficile capire quale fosse il resto della storia. Pensai tra me "Oh no, non un altro malato ucciso da loro". (Io li chiamo la polizia segreta psichiatrica" o la "Gestapo psichiatrica", sapendo dalla mia personale esperienza come essi operano). Avevo pensato di "sollevare un vespaio" nella congregazione dicendo ai più anziani e ai capi della chiesa che pensavo che egli avesse preso parte nell' "assassinio di sua moglie". Ma a causa del mio affaticamento mentale e necessitando di andare a casa a riposare dopo gli uffici, non ho mai intrapreso quella discussione.

Dopo che sono stato rinchiuso dagli psichiatri, entrambi i miei genitori si misero dalla loro parte e loro liquidavano e rifiutavano qualsiasi cosa provassi a spiegare loro riguardo a me. Il loro agire così ha compromesso negativamente il mio rapporto con entrambi. Per numerosi motivi (ma delle quali questa è stata la maggiore) non sono stato in contatto con mia madre per anni, neanche a Natale o per i compleanni. Ma il rapporto con mio padre è sopravvissuto, quasi, alla lotta durata anni. Ciò mostra semplicemente che gli psichiatri non solo distruggono gli individui, ma anche le famiglie!

Al momento sono gravemente malato di M.E. . Sono sempre costretto in casa e vivo da solo in un isolamento sociale estremo, essendo incapace di più di pochi minuti al giorno di conversazione con qualcuno. Posso stare un po' in piedi ma non posso camminare quasi per niente. La maggior parte della mia esistenza passa nel mio letto. Non ho assistenza a casa ma la mia spesa la ordino a domicilio da Tesco.

Vivo in una costante paura che "loro", gli psichiatri, possano un giorno venire a cercarmi di nuovo – che possano venire e buttare giù la porta e "sezionarmi" e portarmi via (in altre parole un "arresto"). So che farebbero qualsiasi cosa per avere di nuovo potere su di me per la seconda volta. E allora anche io sarei costretto a suicidarmi. L'indurre un peggioramento e i sintomi fisici che mi causerebbero sarebbero più di quanto sarei in grado sopportare. Per questa ragione ho sempre una scorta di pastiglie di sedativi, nascosta in un cassetto della mia camera da letto, che, se venissero a cercarmi, prenderei velocemente e nasconderei nei mie calzini o nella biancheria intima per portarla di nascosto nell'unità psichiatrica. E poi cercherei l'occasione per porre fine alla mia vita suicidandomi. Spero davvero che la mia vita non termini in questo modo e, ancora, sono sempre consapevole che questa è una possibilità molto reale che potrebbe accadere in ogni momento, che sarei forzato al suicidio, un altro caso di omicidio nascosto.

Forse sarebbe tempo di smettere di chiamare eufemisticamente queste morti "tragici incidenti" o "terribili incomprensioni" e chiamarle per quello che sono veramente – omicidi!

Per favore sentitevi liberi di usare questa lettera in qualsiasi modo riteniate opportuno. Io sono contento che sia riportata, stampata, riprodotto o diffusa in qualsiasi modo.

Cordiali saluti

Jonathan

scritto da Tiziana con la traduzione di Antonia Frigo

16 aprile 2012

FONTE: disabiliabili.net
http://www.disabiliabili.net/la-sfera-dei-sentimenti/214-risorse_della_rete/31695-l-agghiacciante-verita-che-si-cela-dietro-i-malati-di-sindrome-da-fatica-cronica-mecfs


Veramente AGGHIACCIANTE questa lettera scritta da questo ragazzo, Jonathan, malato grave di ME/CFS. "Agghiacciante" perchè descrive una situazione al limite dell'assurdo, quella cioè di voler far passare i malati di Encefalomielite Mialgica per malati psichiatrici, con tutte le conseguenze del caso. In questo caso poi, gli abusi psicologici subiti da questo ragazzo lasciano veramente allibiti, al punto da indurlo al SUICIDIO nel caso dovesse subire un altro ricovero forzato. Aggiungiamoci poi l'incredulità dei propri cari e chiudiamo il cerchio, un cerchio tragico nel quale purtroppo finiscono ancora tanti malati di questa patologia.
Quanta ignoranza, quanta ottusità, quanta insensibilità..... non esistono veramente parole per descrivere situazioni come queste. C'è solo la speranza che col tempo, con una maggiore conoscenza di questa patologia (e di quelle ad essa correlate come la Fibromialgia e la Sensibilità Chimica Multipla), si cada sempre meno in errori tragici come questi, fino a considerare i malati di ME per quello che veramente sono e cioè veri malati, come coloro che hanno un tumore, una sclerosi multipla o qualsiasi altro tipo di patologia organica riconosciuta. Quanto ancora dovremo aspettare perchè questo accada?

Marco

giovedì 24 maggio 2012

«Sono malata ma non capiscono»


Paziente affetta da fibromialgia: casi come il mio sono sottovalutati

di Elena Del Giudice

E’ una malattia che colpisce oltre 3 milioni di persone nel nostro Paese, è una malattia invalidante per alcune Regioni e Province, come il Trentino Alto Adige, che la riconoscono, mentre in Friuli Venezia Giulia il comportamento delle commissioni mediche provinciali, è difforme. Parliamo della fibromialgia che insieme alla encefalomielite mialgica, o sindrome da stanchezza cronica, è una malattia che genera “fantasmi”, ovvero le tante persone che ne sono affette ma che si vedono “negare” il loro malessere. «Mi chiamo Patrizia Missale e sono malata di fibromialgia», è la dichiarazione d’esordio di una donna che non intende essere un “fantasma” ma che sta invece conducendo, insieme ad altri, una battaglia affinchè questa malattia sia riconosciuta dalla Regione. A questo scopo «abbiamo anche organizzato una manifestazione davanti alla sede del consiglio regionale a Trieste - spiega - e stiamo lavorando alla costituzione di un’associazione che possa essere d’aiuto a chi, in Friuli Venezia Giulia, non ha un punto di riferimento».
Patrizia è invalida al 50% ma nonostante fosse in possesso di certificati medici di specialisti diversi che diagnosticavano la presenza di una fibromialgia primaria, la commissione medica che ha valutato il suo caso non ha inserito questa patologia tra quelle invalidanti. «So per certo - racconta - che ci sono persone residenti in regione che sono stati riconosciuti invalidi al 63% solo per la fibromialgia», denotando in questo modo la diversa valutazione di una stessa malattia. «Credo - aggiunge - che si debba invece iniziare a riconoscere la fibromialgia applicando standard di valutazione uguali ovunque perché non esistono malati di serie A e di serie B».
La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico cronico, spesso invalidante, da rigidità mattutina, formicolii, disturbi del sonno, disturbi gastro-intestinali, difficoltà di concentrazione, perdita di memoria. Arrivare ad una diagnosi non è sempre facile, a Patrizia ci sono voluti anni di visite ed esami e migliaia di euro per riuscire a capire “che cosa” fosse, «quando sarebbe stata sufficiente una visita reumatologica adeguata». Anche per questo nascerà l’associazione: per aiutare chi ne soffre a trovare le risposte che cerca.

22 maggio 2012

FONTE: MessaggeroVeneto

martedì 22 maggio 2012

Malata cronica, ma non per lo Stato

Flora Riva non può lavorare perché affetta da fibromialgia: l’Italia è uno dei pochi paesi che non riconosce questa invalidità

BELLUNO. Il dolore come presenza costante delle proprie giornate, la stanchezza cronica, continua, che spesso costringe a letto per diverse ore, la difficoltà a riposare la notte, a concentrarsi, tanto che anche leggere qualche pagina di un romanzo diventa una fatica. Il malato di fibromialgia vive così e a tutti i sintomi della malattia è costretto ad aggiungere la battaglia quotidiana per vedersi riconoscere un'invalidità che di fatto ha, ma che lo Stato italiano non ritiene tale.

«La fibromialgia è riconosciuta in diversi stati europei, ma non in Italia», racconta Flora Riva, una ragazza che combatte da qualche anno con questa patologia. Ci sono voluti anni perché le venisse diagnostica, perché o viene scambiata (e curata) per malattie simili, come la sindrome da stanchezza cronica, o addirittura il malato non viene creduto: «Alcuni medici pensano che il dolore sia un'invenzione del malato, e lo curano con gli psicofarmaci. Ma non siamo matti, siamo malati», afferma la Riva.

5 anni per scoprirla. Flora ha 36 anni. Da quando ne ha 9 convive con il diabete e l'ipotiroidismo, dal 2004 le hanno diagnosticato anche l'iposurrenalismo, o malattia di Addison. «Queste patologie sono riconosciute dal sistema sanitario nazionale, che mi passa le cure, e ho un'invalidità al 100 per cento, ma per la fibromialgia no».

Pensa agli altri malati, Flora, a chi lotta quotidianamente per vedersi riconosciuta una patologia invalidante come la fibromialgia. Ci sono giornate in cui fa fatica ad alzarsi dal letto, per la spossatezza e il dolore ai muscoli e alle articolazioni. «È come avere continuamente l'influenza», racconta.

Flora vive con la fibromialgia da 5 anni, ma solo l'anno scorso le è stata diagnostica: «Sono stata curata per anni per miastenia (malattia causata una reazione abnorme del sistema immunitario che dà debolezza muscolare ed è diretta contro le sinapsi neuromuscolari, ndr), ma ad un certo punto il fisico è crollato, perché la cura non era giusta. Sono finita sulla sedia a rotelle».

Una specialista di Pisa le disse che non soffriva di miastenia. A darle un aiuto per capire l'origine del suo stato di malessere continuo è stata l'Anfisc, associazione con sede in Alpago, nata con l'obiettivo di far riconoscere la fibromialgia e la CFS (Encefalomielite Mialgica o Sindrome da Stanchezza Cronica) al sistema sanitario nazionale, e per permettere alle persone che ne soffrono di veder riconosciuto un diritto che è sempre stato loro negato. «Mi hanno indirizzata al centro specializzato di Valeggio sul Mincio, dove mi hanno diagnosticato la fibromialgia», continua Flora. Era il luglio dell'anno scorso.

L'inabilità lavorativa.
Intanto Flora ha dovuto smettere di lavorare. Era impiegata in un ufficio, ma «stare ore davanti al computer mi costava troppa fatica. Ora ho appena fatto domanda per inabilità lavorativa. Ho 36 anni, è pesante, ma non posso fare altrimenti».

Per chi, come lei, soffre di una malattia invalidante, una soluzione potrebbe essere quella del telelavoro, ma in Italia è sottoutilizzato: «Chi ha la fibromialgia ha dei picchi della malattia. Può capitare di stare bene alle otto di sera, e di poter lavorare per quattro ore. È chiaro che sia impossibile andare in ufficio, ma se si potesse lavorare da casa una persona si sentirebbe utile».

Con ottime ripercussioni sul piano emotivo e dell'autostima, per esempio. La fibromialgia si cura al momento con degli integratori, che Flora deve pagarsi. Costano tra i duecento e i trecento euro. Altra conseguenza del fatto che la malattia non è riconosciuta dallo Stato.

Ogni giorno una lotta.
Il malato di fibromialgia dovrebbe non essere sottoposto a stress emotivo per non peggiorare: «Dobbiamo vivere sotto una campana di vetro, emotivamente», sorride Flora. «Guai ad avere una preoccupazione o a litigare con qualcuno». Sorride anche Paolo, il marito di Flora: la malattia comporta un certo impegno anche per i familiari di chi ne è affetto. Lui combatte con lei contro la burocrazia, contro leggi «che bisognerebbe essere laureati per capirle», combatte il pregiudizio della gente, di chi mormora quando lui posteggia negli stalli riservati agli invalidi (Flora lo è per il diabete, l'ipotiroidismo e l'iposurrenalismo) «e la gente, vedendo scendere lei, ci guarda come se fossimo falsi invalidi». Ma l'invalidità non è solo quella che si vede, non è solo essere privi di un braccio o di una gamba: «Il nostro involucro è buono, ma siamo malati anche noi», spiega Flora.

«Tutti noi».
Per sensibilizzare le persone su questa problematica, Flora e il marito fanno parte della neonata associazione “Tutti noi”, che ha sede a Trichiana e che si adopera per aiutare chi soffre di patologie invalidanti con corsi di manualità, di informatica di base e piccole attività didattiche, ma che soprattutto li orienta nel complesso panorama normativo in cui sono costretti a muoversi per riuscire ad avere accesso al mondo del lavoro, per esempio. «La prima volta che hai a che fare con la burocrazia viene da piangere», spiega Flora. L'associazione, presieduta da Carlo Bottega, sta cercando anche di trovare un medico legale che possa fornire un supporto.

di Alessia Forzin

13 marzo 2012

FONTE: corrierealpi.gelocal.it
http://corrierealpi.gelocal.it/cronaca/2012/03/13/news/malata-cronica-ma-non-per-lo-stato-1.3285873


Proseguo in questo mese di maggio, mese dedicato alle 3 patologie Encefalomielite Mialgica (ME), Fibromialgia (FM) e Sensibilità Chimica Multipla (MCS), con le testimonianze di chi queste patologie le vive sulla propria pelle. Questa è la testimonianza di Flora, malata fibromialgica con tutto il suo carico di dolore, limitazioni e incomprensioni, ma nonostante tutto con la voglia di fare di chi non si arrende dinanzi alle difficoltà imposte dalla malattia.

Marco

domenica 20 maggio 2012

«Io, sfrattata perché senza lavoro e con la bimba leucemica»


La storia di Antonia Burgio, morosa con l'affitto per pagare le medicine di sua figlia Melissa, 5 anni. E la solidarietà delle mamme del paese che hanno fatto una colletta

Senza lavoro, con una bimba malata da curare e un affitto da pagare, ha scelto di spendere i soldi rimasti per le medicine di sua figlia. E pazienza se ieri Antonia Burgio si è vista arrivare l'avviso di sfratto. E' riuscita a rinviarlo al 4 luglio. E nel frattempo ha ricevuto i soldi delle altre mamme del paese, che hanno fatto una colletta per aiutarla.

La storia di Antonia si svolge tutta a Volvera, paesino della provincia di Torino, di quel Piemonte industrioso e operaio che ha ceduto per ultimo alla crisi. 39 anni, Antonia lavora da quando ne aveva 24 nel panificio industriale del paese. Confeziona i grissi, sforna il pane, è addetta alla vendita. Ha anche un compagno, figlio del nuovo proprietario dell'azienda.

Nel 2007 dà alla luce Melissa, una bambina dai capelli castani e occhi marroni che però a due anni si ammala. Antonia sente pronunciare dal dottore quella parola terribile: è leucemia. Iniziano gli anni bui della famiglia. Antonia usufruisce della legge 104, che tutela i genitori che devono assistere i figli malati. Per un anno porta ogni giorno la bambina all'ospedale, per il ciclo di chemio. Nei due anni successivi la porta per due volte a settimana. «Adesso, se Dio vuole, Melissa è guarita», racconta a VanityFair.it.

Ma nel frattempo la malattia della bambina ha fatto franare il rapporto di Antonia con il compagno. Dopo un anno di sacrifici e di tensioni i due si lasciano. Finita la chemio e le trasfusioni, nel febbraio 2010 Antonia torna al panificio, di proprietà del suocero, ma viene messa in cassa integrazione per un anno e mezzo.

Nell'ottobre 2011 è pronta a rientrare, ma qualcosa va storto: «Mi hanno detto che non mi avrebbero fatto mettere più piede là dentro. Il giorno prima di rientrare mi hanno inviato la lettera di licenziamento». Crisi aziendale, è il motivo. Anche se Antonia la pensa diversamente e va dalla Cgil di Pinerolo. Insieme fanno ricorso contro il licenziamento ritenuto illegittimo e discriminatorio: «Come si fa a dire che l'azienda è in crisi se adesso al posto di Antonia c'è una nuova dipendente nel panificio?», si chiede Fedele Mandarano, segretario della Cgil di Pinerolo che ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale.

La vita va avanti. Antonia ottiene l'assegno di disoccupazione: 800 euro al mese fino al mese scorso. Poi 400 fino a giugno. Poi basta. Con quei soldi, in questi mesi Antonia ha dovuto pagare le bollette, gli alimenti e soprattutto le medicine per Melissa. Che è guarita, ma ha bisogno di continue cure.

L'affitto di 550 euro al mese va a farsi benedire: «Come faccio a pagare le medicine e gli alimenti con 250 euro al mese?», continua Antonia. La donna si rivolge agli assistenti sociali per l'aiuto casa, ma niente. Lei non rientra nella fascia di reddito che può beneficiare degli aiuti, visto che nella dichiarazione dell'anno precedente (sulla quale vengono basati i calcoli) percepiva 1.200 euro grazie alla legge 104.

Antonia non può andare a vivere neanche dalla madre: «E' vedova e sta vendendo la sua casa perché non ce la fa a mantenersi». Le telefonate del padrone di casa si fanno sempre più frequenti. L'affitto è in arretrato di quasi un anno: «Ha ragione, è la sua casa», continua la donna. «Ma gli ho detto: "Non può fare altro che sfrattarmi".».

Detto fatto. Mercoledì mattina Antonia si è vista arrivare a casa il fabbro e l'ufficiale giudiziario. Doveva andarsene da quella casa. Dopo ore di discussione, ha convinto l'ufficiale a prorogare lo sfratto al 4 luglio.

Intanto la sua storia si è sparsa nel paese. Le mamme di Volvera si sono informate, sono andate a parlare al Municipio. Alla fine hanno creato un conto aperto, dove chi vuole può versare dei soldi per aiutare Antonia e la figlia. In pochi giorni hanno raccolto 3 mila euro. Abbastanza per tirare avanti fino al 4 luglio. Quel giorno Antonia dovrà lasciare la casa, comunque. Poi? «Che le devo dire. Butterò giù una porta ed entrerò in qualche casa abbandonata». Intanto Antonia è in prova come donna delle pulizie in una cooperativa del posto. Guadagna 500 euro.

E cerca di non dire niente alla bimba. Melissa, cinque anni, sa soltanto che deve andare via da quella casa ed è preoccupata per la sua cameretta. Antonia la rassicura. Le dice che potrà portare con sé le sue cose nella nuova casa. I giocattoli, il letto, il pigiama. Pure le medicine.

17 maggio 2012

FONTE: vanityfair.it
http://www.vanityfair.it/news/italia/2012/05/17/antonia-burgio-melissa-malata-leucemia#?refresh=ce


Chi volesse inviare un contributo per aiutare Antonia e Melissa può farlo con un bonifico: il numero iban è IT47 F030 6930 6501 0000 0064 416

E questo è il gruppo Facebook creato per Antonia e Melissa che si chiama "Melissa non si tocca":
https://www.facebook.com/groups/235165196589153/

Il Parlamento europeo dice no agli inceneritori

Il Parlamento europeo ha approvato un rapporto sulle linee guida del prossimo programma ambientale Ue. Previsto il divieto di incenerimento dei rifiuti che possono essere riciclati o compostati. Passa anche un rapporto sulla tutela della biodiversità. Zanoni (IdV): “Misure concrete per arrestarne la perdita. I rifiuti devono diventare una risorsa”.

Passano al Parlamento europeo due importanti rapporti su ambiente e biodiversità. “Una pietra miliare per l'Europa. Adesso la Commissione segua la linea indicata dal Parlamento e compia azioni concrete per salvaguardare la biodiversità, proteggere l'ambiente e chiudere una volta per tutte con pratiche obsolete e pericolose come l'incenerimento dei rifiuti”. Così Andrea Zanoni, Eurodeputato IdV, commenta l'approvazione dei due rapporti da parte dell'Aula di Strasburgo. Si tratta della relazione “sulla revisione del sesto programma d'azione in materia di ambiente e la definizione delle priorità per il settimo programma” (stragrande maggioranza) e di quella sulla “Strategia europea per la biodiversità 2020” (414 favorevoli, 55 contrari e 64 astenuti).

Nel testo che detta le linee guida del Settimo programma sull'Ambiente si legge chiaramente che la Commissione deve prevedere “obiettivi di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio più ambiziosi, tra cui una netta riduzione della produzione di rifiuti, un divieto di incenerimento dei rifiuti che possono essere riciclati o compostati”, spiega Zanoni. “Finalmente troviamo nero su bianco l'impegno del Parlamento a spingere l'intera Ue nella direzione della sostenibilità ambientale”.

Con l'approvazione del rapporto sulla biodiversità abbiamo sottolineato il bisogno di un maggior impegno Ue per fermare la perdita di biodiversità entro il 2020 – continua l'Eurodeputato – Il rapporto del collega Alde Gerben-Jan Gebrandy invita l'Ue a compiere passi fondamentali come restaurare gli ecosistemi danneggiati e rafforzare la protezione di specie animali ed habitat minacciati dall'inefficienza delle politiche attuali - spiega Zanoni - Tra i provvedimenti più urgenti, rientra un'attività di pesca e agricoltura finalmente sostenibili, e lo stop allo sfruttamento indiscriminato di foreste e territorio”.
Da questo punto di vista l'Europa può e deve giocare un ruolo chiave nella protezione della biodiversità e nella lotta ai fenomeni che minacciano anche la nostra salute come l'incenerimento dei rifiuti – aggiunge Zanoni – La nuova strategia di ripresa economica Ue presentata questa settimana a Strasburgo va nella direzione giusta – conclude l'Eurodeputato – Mi auguro che anche il governo italiano voglia seguirne le indicazioni, in merito a green economy, salute e nuove tecnologie, alla lettera”.

di C.B.

23 aprile 2012

FONTE: aamterranuova.it
http://www.aamterranuova.it/Ambiente-e-decrescita-felice/Il-Parlamento-europeo-dice-no-agli-inceneritori


Questa notizia mi riempie di gioia. Finalmente il Parlamento Europeo sembra aver preso a cuore la tanto delicata questione dei rifiuti, approvando un rapporto secondo il quale il rifiuto non deve più essere visto come un materiale di scarto da "eliminare", ma come una risorsa da riutilizzare reinserendola nel ciclo produttivo. Questo è un passo IMPORTANTISSIMO, perchè da questo punto si può partire per arrivare in un prossimo futuro (lo spero) a vietare del tutto l'incenerimento dei rifiuti, una pratica che, per utilizzare le stesse parole dell'Eurodeputato Andrea Zanoni, è "obsoleta e pericolosa".
In una società come la nostra sempre più inquinata e in un mondo in cui le materie prime iniziano a scarseggiare (mentre la popolazione cresce costantemente), non ci si può più permettere di "bruciare" o accantonare in discariche sempre più grandi tutto ciò che non si utilizza più. Quasi ogni materiale infatti può essere riutilizzato o riciclato, e per quella parte che non può essere riciclata esistono "trattamenti a freddo", quindi senza alcun tipo di incenerimento, in cui i materiali possono essere trasformati in finissima sabbia sintetica da utilizzare poi per la produzione di altri materiali. E' quello che succede a Vedelago (http://marco-lavocedellaverita.blogspot.it/2011/11/come-riciclare-al-99-il-centro-riciclo.html), è quello che, mi auguro, dovrebbe accadere in ogni parte del mondo.

Marco

giovedì 17 maggio 2012

Il Pistoiese inquinato dall'inceneritore

Il comitato per la chiusura dell’inceneritore dei rifiuti di Montale (Pistoia) lancia l’allarme: “Qui non è sicura nemmeno la filiera corta nell’alimentare a causa dell’inquinamento prodotto dall’impianto”.

Il Comitato esprimerebbe piena condivisione al sostegno dello sviluppo di una filiera “corta” ma ciò, purtroppo, non è possibile a causa della pesante ipoteca ecologica indotta dall’incenerimento dei rifiuti”: queste le parole con cui il Comitato per la chiusura dell’inceneritore di Montale (Pistoia) rilancia l’allarme. “Il Comitato registra l’ennesima contraddizione e reticenza propalata sulle autentiche minacce portate dall’impianto di incenerimento di Montale che, in modo silente, espone l’intero territorio della piana a un impercettibile, ma costante inquinamento della catena alimentare” prosegue il comitato. “L’iniziativa della Coldiretti “Campagna Amica” è la dimostrazione della sconsideratezza dell’Amministrazione che, pur di attenuare gli effetti dei processi di biomagnificazione dei microinquinanti sul territorio (POP’s), non esita a promuovere delle iniziative che avrebbero certo altro giudizio di merito, qualora non fossimo in un contesto di conclamata “emergenza sanitaria”. Il Comitato esprimerebbe piena condivisione al sostegno dello sviluppo di una filiera “corta” ma ciò, purtroppo, non è possibile a causa della pesante ipoteca ecologica indotta dall’incenerimento dei rifiuti. La denuncia di pericolosità non è un mero e libero parere del Comitato. Essa è stata bene e specificamente argomentata dallo stesso relatore di ASL 3 Dott. Roberto Biagini nella relazione tenuta il 2 Dicembre a Pistoia nel convegno sull’incenerimento dei rifiuti. Si veda il link, consultando le prime e ultime due slide, con conclusioni ben dirimenti sulla circostanza:
http://www.provincia.pistoia.it/AMBIENTE/INIZIATIVE_AMBIENTE/ConvegnoImpantiIncenerimento_2-3dic2011/programma/BIAGINI_slide.pdf


E dunque, dopo aver denunciato la pericolosità delle coltivazioni tenute sul territorio e l’intossicazione dovuta dal consumo degli animali da cortile diffusi tra le nostre comunità, i cittadini restano sbalorditi di fronte a questa ennesima sconsiderata iniziativa, priva di ogni prudenza e cautela. Ricorre altresì l’esigenza opposta di dover limitare, anzi proibire con apposite ordinanze sindacali, il consumo di alimenti dimostratamente intossicati dai cosiddetti POP’s. È solo con la chiusura dell’impianto di via Tobagi e la bonifica delle aree inquinate che la piana potrà recuperare la tradizionale capacità di coltura di terreni e l’autoconsumo alimentare di ortaggi, prodotti caseari e avicolture indenni da inquinanti. A distanza di un anno dalla denuncia d’inquinamento delle colture di rape, spinaci e bietole nella prossimità dell’impianto, che sono causa della persistente esposizione dei cittadini all’assunzione di diossine, furani e policlorobifenili, tutto continua. Il Comitato ricorda infine che i cittadini residenti fuori dalle aree di ricaduta dei POP’s, non potranno ritenersi esclusi dal processo di trasmissione che colpisce la catena alimentare tutta, senza il controllo della qualità dei prodotti alimentari locali, trasportati certamente anche fuori dai Comuni esposti come prodotti derivati.

11 maggio 2012

di C. B.

FONTE: aamterranuova.it
http://www.aamterranuova.it/Foto-Video-inchieste-dei-lettori/Il-Pistoiese-inquinato-dall-inceneritore

mercoledì 16 maggio 2012

Storia di Claudia, allergica a una vita normale


La giovane donna romana fa parte del quattro per cento della popolazione affetta da MCS

Maurizio gallo
m.gallo@iltempo.it

Claudia non può. Non può vivere in una casa “normale”, lavarsi con un comune sapone o usare un qualsiasi detersivo “industriale”, mangiare cibi che non siano biologici, respirare un’aria piena di monossido della metropoli, bere acqua non depurata. Non può entrare in un negozio o in un ufficio pubblico, leggere un libro o un giornale senza “schermare” le pagine con una lastra di plexiglass, salire su un’ambulanza, farsi ricoverare in un ospedale se le viene l’appendicite.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito, perché Claudia, una Art Director non ancora quarantenne e con un passato da sportiva, fa parte di quel 4% della popolazione italiana affetta da MCS. L’acronimo sta per Sensibilità Chimica Multipla e, anche se agevolata da una predisposizione genetica, a provocarla è un’intossicazione acuta. Nel suo caso da vernici e solventi, che la giovane donna ha usato a lungo per lavoro. Ma la cosa peggiore, se possibile peggiore della malattia, è l’isolamento, l’incomprensione, l’atteggiamento dei più, che non riconoscono il suo disagio come patologico ma credono sia una sindrome psicosomatica. “Spesso non si viene creduti anche se, come nel mio caso, ho tutte le relative certificazioni”, ci spiega lei.

Claudia ha scoperto di essere malata alcuni anni fa. “Soffrivo di vari disturbi – racconta – non riuscivo a curarmi con le normali terapie, ne ad avere una precisa diagnosi”. Aveva capito, però, che l’ambiente influenzava i suoi disturbi. E così ha deciso di mettersi in proprio, allestendo uno studio nella sua abitazione. Non è bastato. “Nel giugno 2008 ero nel mio studio e, respirando le esalazioni dei lavori in corso nel palazzo, ho prima perso i sensi e poi avuto gravi crisi respiratorie”. Lo stesso anno scopri che aveva difficoltà anche ad entrare in un pronto soccorso: "Avevo forti dolori al torace e sono andata al San Camillo – riferisce – ma sono dovuta scappare, stavo andando in shock”. Finalmente, nel 2011, la indirizzano al Policlinico Umberto I, dove è stato da poco istituito un centro di diagnosi della MCS diretto dal professor Genovesi. Li Claudia riesce almeno a capire che malattia ha e, grazie ad una perizia, ottiene una pensione di invalidità con l’accompagno per un totale di 700 euro. I soldi, tuttavia, non bastano per provvedere ai suoi bisogni e, dal 23 novembre, Claudia e l’anziana madre con cui viveva, (anche lei invalida al 100%) hanno dovuto lasciare la casa che avevano in affitto in zona Casaletto perché era piena di muffa e, quindi, per lei inabitabile. “Per ora anche se continuo a pagare l’affitto dell’altro appartamento, stiamo da amici - dice la donna – Bisognerebbe eliminare delle mura, ma il padrone di casa non sembra intenzionato ad intervenire. Così stiamo procedendo per vie legali. Le barriere chimiche sono molte, come i detersivi per le scale condominiali - continua Claudia - Io tollero solo il Gluconatura ma i condomini non hanno accettato di farlo usare”. E i “pubblici” non sono meglio dei privati. “I servizi sociali non hanno finanziamenti e non possono darmi ciò di cui ho bisogno. Certo qualcosa sta cambiando - conclude - il 29 febbraio hanno inaugurato lo sportello per le malattie rare al Policlinico Umberto I. Ma noi con l’MCS ci siamo sentiti male perché gli ambienti non erano adeguati. La Polverini si è scusata e ha promesso che provvederà...
”.

Il risultato di indifferenza, ignoranza e carenza di fondi è l’aggravamento della sindrome, che può avere anche esiti letali. Un aiuto, tanto per cambiare, è giunto dall’Unione Europea. “Il 12 marzo il Parlamento UE ha publicato una relazione in cui invita gli Stati membri a riconoscere la MCS e se non si esprimono entro il 14 giugno, ci sono buone possibilità di vincere la causa alla Corte Europea – avverte il professor Giuseppe Genovesi, che in due anni ha visitato 500 pazienti provenienti da tutto lo stivale – L'MCS è una malattia che ha fortemente a che fare con l’inquinamento in generale. E’ molto invalidante, anche il profumo del medico che ti visita può risultare insopportabile. Il nostro centro può occuparsi della diagnosi e avviare un piccolo percorso terapeutico, anche se non abbiamo locali adatti per accogliere i pazienti e spesso devo fare le interviste all’aperto, fuori dell’ospedale. Ma non è sufficiente. I protocolli, inoltre, sono riconosciuti solo in parte. Il risultato - conclude Genovesi - è che la gente deve curarsi all’estero, perché nel nostro paese non ci sono neanche strutture ad hoc private. Eppure basterebbe addestrare nostro personale all’applicazione dei protocolli. Non costerebbe molto. Questo, però, è un problema di volontà politica…”.

25 marzo 2012

FONTE: Il Tempo

Gruppo Facebook "Claudia Marini, una persona con MCS, in particolari condizioni di pericolo":

https://www.facebook.com/ClaudiaUnaMalataDiMcsComeTanteNonLasciamoleSole

domenica 13 maggio 2012

«Sarò tedofora alle Paralimpiadi grazie a mille email»


Dal 2008 senza braccia né gambe per le complicazioni di una meningite, Bebe è reginetta della scherma fin da bambina

Beatrice Vio, la ragazzina 15enne che tutti chiamano Bebe, sarà tedofora alle prossime Paralimpiadi di Londra 2012. Dal 2008 senza braccia né gambe per le complicazioni di una meningite, Bebe è l'unica al mondo a girare in carrozzina senza arti. Il suo sogno di diventare tedofora è realtà grazie alle email che hanno intasato i server del Comitato Paralimpico.

Bebe scrive:

Ciao Mondo!!!
Allora, la volete la super notizia? Vado a fare la tedofora alle Paralimpiadi!!! Sono troppo felice. Quelli dell'organizzazione di Londra hanno chiamato papà e gli hanno detto che sono rimasti colpiti dalle oltre 1.000 mail che sono arrivate dall'Italia per sostenere la mia candidatura. Siete stati tutti fantastici, voi della redazione che mi avete aiutato con il vostro giornale (il corriere), tutti gli amici che hanno tifato per me e soprattutto tutta la gente che ha mandato le mail che mi hanno piano piano spinta verso Londra. Non vi ringrazierò mai abbastanza... Thank you very much! (eh sì, ormai devo cominciare a parlare in inglese).

Ora però mi devo organizzare per benino. Intanto devo dedicarmi allo studio, che papà ha detto che se ho anche una sola materia a settembre non mi porta a Londra (bel disgraziato, eh? Ma tanto, se vado avanti così, non dovrei avere problemi... e speriamo che i miei prof siano d'accordo!). Poi vorrei riprendere bene gli allenamenti di scherma. Tra maggio e luglio ho una serie di gare molto importanti, tra le quali i Mondiali under 17 a Varsavia (che l'anno scorso ho vinto) e il mio esordio in Coppa del Mondo con gli adulti, e vorrei fare bella figura. Nel frattempo continuerò ad aiutare i miei genitori nell'organizzazione dei progetti di art4sport, per aiutare altri ragazzi amputati come me a fare sport. Ne abbiamo uno molto bello che si chiama Giochi senza barriere, in programma per il 21 aprile allo stadio di Mogliano Veneto (TV). È un po' come i vecchi Giochi senza frontiere, che dicono erano bellissimi ma io non me li ricordo, però già so che qui ce la spasseremo un mondo. Ci saranno 10 squadre da tutta Italia, tanti campioni sportivi e personaggi dello spettacolo (ci saranno anche i miei due comici preferiti, Paolo Migone e Baz) e faremo dei giochi veramente divertenti. Ovviamente non vorrei neanche mancare le ultime uscite con gli scout, perché quest'anno mi sto proprio divertendo con loro (e poi sono diventata vicecapo della squadriglia delle Lontre). Nel frattempo non vedo l'ora di poter riprendere ad usare le gambe. Dall'ultima operazione al moncone della gamba sono passate ormai 3 settimane e non mi fa più male, quindi, tra poco potrò ripartire! E a questo punto, se avanza un po' di tempo, mi piacerebbe riprendere il discorso con le lame da corsa, come quelle di Oscar Pistorius. Le avevo provate a gennaio (e mi ero divertita un sacco! Yes, very funny!) ma poi ho dovuto lasciarle per l'operazione. Ma ora che sono di nuovo a posto...

Insomma, ho tanti bei programmi e tante belle cose da fare (e non ditemi che la vita non è una figata!) e poi, la ciliegina sulla torta: Tedofora alle Paralimpiadi. Ancora non ci posso credere, sarà un'esperienza unica, che ricorderò forever. E voglio viverla tutta, fino in fondo. Vorrei girare per Londra e visitarla per benino, e anche andare a vedere il musical Mamma mia, mamma mi ha detto che è bellissimo. Poi vorrei conoscere tutti gli atleti paralimpici che ci saranno al villaggio olimpico, per capire perché sono così fantastici come mi dicono. Ovviamente vorrei assistere a tutte le gare e fare il tifo per tutti gli atleti italiani. Sono sicura che con una super tifosa come me vinceranno un sacco di medaglie. E se non vinceremo non fa niente, io non vado a Londra per vincere ma per imparare e divertirmi... stavolta!
Un mega bacio.

Bebe

31 marzo 2012

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/cronache/12_marzo_31/tedofora-parolimpiadi-mille-mail-bebe_0066344c-7b06-11e1-b4e4-2936cade5253.shtml


E' veramente un fiume in piena Beatrice "Bebe" Vio, questa ragazza senza braccia e senza gambe ma strapiena di vita che realizzerà presto il suo sogno di essere tedofora alle ormai sempre più vicine Paralimpiadi di Londra, e questo grazie sopratutto alle tantissime mail che il comitato organizzativo ha ricevuto a suo suffragio.... come dire: l'unione fa veramente la forza!
Un sogno si è realizzato quindi, ma tante altre belle cose "bollono in pentola" e sono più che sicuro che altre sorprese non tarderanno ad arrivare in un prossimo futuro. Auguroni per tutto Bebe.

Marco

venerdì 11 maggio 2012

La ME è spesso lasciata nell'ombra – ma malati come Emily Collingridge stanno morendo


Quanti giovani devono morire prima che la "Sindrome da Stanchezza Cronica" meriti una ricerca biomedica opportunamente finanziata?

Domenica 18 Marzo, Emily Collingridge, una bella attivista e scrittrice di 30 anni, è morta perché evidentemente non era più in grado di lottare contro la malattia cronica di cui soffriva dall'età di 6 anni. Le maggiori agenzie di stampa hanno semplicemente ignorato la sua morte – la morte di un'attivista degna di nota (che portava avanti la sua battaglia) afflitta dalla stessa condizione della cui esistenza cercava di persuadere il mondo – così come continuano ad ignorare le molte storie degne di rilievo che riguardano la malattia di cui soffriva.

Questa malattia è una patologia neurologica chiamata Encefalomielite Mialgica o ME. Ci sono molte persone che pensano che non sia reale e molti altri, persino all'interno della professione medica, che pensano che sia una condizione psicologica da trattare al meglio con esercizio forzato, cosa che, invece, peggiora soltanto gli effetti. Persino questi medici e le persone non specializzate che conoscono la malattia spesso la indicano con il nome ridicolo di "Sindrome da Stanchezza Cronica", cosa che per i malati di ME è dannosa quasi quanto i sintomi di cui soffrono.

Stanchezza è ciò che una persona prova dopo una dura giornata di lavoro o dopo un'intensa seduta in palestra. E' un lieve affaticamento che fa sì che la schiena dolga leggermente e che rende le palpebre un po' pesanti. Si rimedia con un sonnellino o un espresso rinvigorente. Emily Collingridge era ben più che allettata. Era afflitta da un'incessante agonia ed era dipendente dalla morfina. Era alimentata attraverso un sondino e il suo corpo non poteva tollerare il rumore, la luce o il movimento. Era doppiamente incontinente e viveva periodi sia di cecità che di paralisi.

Circa un anno fa, scriveva: "Sono arrivata molto vicina alla morte in più di un'occasione. Se mi aveste incontrata in quei momenti avreste pensato che sarei morta davanti a voi". Adesso è morta. Chiamare "Sindrome da Stanchezza Cronica" la malattia che l'ha devastata sarebbe come chiamare un cancro allo stomaco "una pancia cronicamente indisposta".

E' sorprendente che ella fosse – nei periodi di maggior benessere – capace di scrivere un libro intitolato "Severe ME/CFS: A Guide to Living" ("Grave ME/CFS: Una guida per sopravvivere") che è un testo di immenso valore per molti malati di ME. E' edito dalla AYME, l'Associazione per i Giovani affetti da ME, di cui Emily Collingridge era un membro di rilievo. Il suo lavoro più importante, però, era il suo appello per una ricerca biomedica adeguata nel campo della ME.

Ho scritto recentemente un articolo per il sito del Chicago Sun-Times, parlando sia della mia storia personale di ME sia delle reazioni al recente documentario "Voices from the Shadows" ("Voci dalle Ombre"). Per chiunque voglia comprendere l'agonia che la ME può infliggere, e l'ignoranza assai pericolosa che devono subire molti malati che ne soffrono, il film è d'obbligo. Una delle persone afflitte da ME di cui il film parla è Sophia Mirza, la prima persona in Gran Bretagna la cui morte è stata ufficialmente registrata come causata dalla Sindrome da Stanchezza Cronica. Un'altra è la mia amica deceduta, Lynn Gilderdale, la cui madre l'ha aiutata nel suicidio assistito dopo che la condizione di Lynn era diventata insostenibile.

Sia Sophia Mirza che Lynn Gilderdale hanno sofferto – e forse sono morte – a causa delle azioni imperdonabili, e anche dell'altrettanta imperdonabile mancanza di azione, dei membri della professione medica. Sophia Mirza fu affidata ad un ospedale psichiatrico per trattare una malattia che era puramente fisica e non si è mai ripresa dai danni che ciò le causò. Anche Lynn Gilderdale fu indirizzata ad uno psichiatra quando aveva invece bisogno di medici che lavorassero con i risultati di studi all'avanguardia. La questione che dobbiamo chiederci è ovvia: quanti giovani come loro, e come Emily Collingridge, devono morire prima che la loro malattia sia presa sul serio e che enormi e ben mirati sforzi siano fatti per curarla attraverso una ricerca biomedica opportunamente sovvenzionata?

Emily Collingridge è stata un grande faro per milioni di vittime afflitte da una grave ME, le cui vite trascorrono nell'oscurità totale. E' essenziale che non si passi sopra la sua tragedia. Dobbiamo tutti capire che la causa per cui si è battuta nella sua vita – il bisogno urgente per un necessario riconoscimento della ME, e la ricerca in questo campo – è stato reso ancora più urgente dalla sua morte.

30 marzo 2012

FONTE: cfsitalia.it
http://www.cfsitalia.it/public/CFSForum/index.php/topic/5349-articolo-pubblicato-su-the-guardian/page__pid__40679#entry40679

Articolo tratto da "The Guardian", gentilmente tradotto da Antonia Frigo


Oggi è il 12 maggio, Giornata Mondiale per i malati di Encefalomielite Mialgica (ME), Fibromialgia (FM) e Sensibilità Chimica Multipla (MCS).
In questa giornta così significativa ho pensato di pubblicare la struggente storia di colei che è stata una delle più battagliere attiviste a favore dei tanti malati di ME sparsi nel mondo: Emily Collingridge, malata lei stessa in forma gravissima di questa patologia e morta recentemente a causa di essa. Una vita di dolore e di sofferenza la sua, ma spesa interamente per cercare di ottenere alla ME il riconoscimento ufficiale da parte delle Autorità competenti, spronando al massimo medici e ricercatori per avere una ricerca adeguata nel campo di questa patologia, e schierandosi al fianco dei tanti malati, molto, troppo spesso abbandonati da tutti. Tutto questo, è doveroso ricordarlo ancora, vivendo una vita di ESTREMA limitatezza a causa delle sue precarie condizioni di salute. Una donna davvero straordinaria, di cui è bene mantenere viva la memoria, e la cui opera è stata e ancora sarà d'aiuto a moltissime persone.

Marco

giovedì 10 maggio 2012

Cinzia e la difficile conquista di una vita indipendente

Affetta da tetraparesi beneficia di un finanziamento per un progetto per vivere in modo autonomo. La incontriamo nella sua casa a Botticino: «La diversità è un valore»

di Maria Zanolli

Il divano è rosso, il suo colore preferito, in pendant con la cucina. La camera da letto è azzurra, il caffè non può mancare nella dispensa, come le merendine e la pasta. Da un mese Cinzia Rossetti vive nella sua casa, un appartamento a piano terra in affitto in un edificio nuovo di Botticino, finalmente.

«La prima notte che ho dormito qui, quando mi sono svegliata, non mi sembrava vero. Pensavo di essere in vacanza». Perché lei, in 40 anni, ha dormito fuori dalla casa di famiglia solo durante le ferie. Cinzia è appena tornata a casa dopo il quotidiano appuntamento con la fisioterapia in piscina. Ha un bel sorriso, un sorriso che ti travolge. Dopo cinque minuti che le parli la sua tetraparesi spastica, una patologia che l'ha colpita alla nascita e non le permette di svolgere in modo autonomo le funzioni essenziali della vita quotidiana, scompare. Anzi no. Bisogna avere un po' di pazienza, entrare nel suo linguaggio, avvicinarsi. Capirlo. Darle fiducia. Cinzia parla con gli occhi, con il corpo, con quella testa che non smette mai di frullare.
«Questo è un sogno che si realizza dopo anni di lotta. Per noi disabili raggiungere la vita indipendente è molto difficile». Se scrivete su google «vita indipendente disabili» c'è molto materiale da cui partire. «Vita indipendente non significa che non abbiamo bisogno di nessuno, ma che noi vogliamo esercitare il medesimo controllo e fare le medesime scelte nella vita di tutti i giorni che i nostri fratelli e sorelle non disabili, vicini ed amici danno per scontato». È il commento del dottor Adolf Ratzka, fondatore dell'associazione internazionale Europe Network for Indipendent Living di Strasburgo, la risposta europea al movimento americano nato negli anni Sessanta all'università di Berkeley in California ad opera di Ed Roberts e di alcuni suoi amici tutti gravemente disabili.
«In Italia - racconta Cinzia - pochissime persone disabili sono riuscite a raggiungere la loro vita indipendente. Per me questa è una grande conquista, anche se non ancora definitiva».
Il sabato e la domenica Cinzia, attualmente, deve tornare nella casa di famiglia perché i finanziamenti che ha, uniti al suo reddito, non le consentono di assumere un'assistente per il week-end. A giugno le scadrà il contratto con una delle cooperative con cui collabora e a settembre quello con l'università, Cinzia è laureata in Scienze dell'educazione e ha svolto master e tirocini per lavorare nel suo settore.

Ora è Elisa, ventisette anni, che la segue a casa durante la settimana. «Cinzia è una tosta. A volte anche troppo. Ma ci stiamo conoscendo e sono molto felice di aver trovato questo lavoro. È una donna in gamba». Il percorso di Cinzia è iniziato molto tempo fa. Fin da bambina, insieme alla sua famiglia, ha cercato una strada per vivere la sua vita da disabile trovando soluzioni concrete che potessero consentirle di raggiungere un'esistenza dignitosa. Da undici anni usufruisce del finanziamento per un progetto di vita indipendente, in base alla legge 162/98. Il suo impegno per «la vita» non sente mai fatica. E come potrebbe? «Sono andata in Regione qualche settimana fa - non molla Cinzia - perché quello che ho ottenuto, seppur tanto, non è ancora abbastanza. So bene che ci sono persone come me che farebbero carte false per essere nella mia situazione. Che spesso non dipende solo da loro la possibilità o meno di ottenere certi risultati. Ma bisogna provarci. Perché è la nostra vita».
Oltre ai fondi assistenziali, di certo importantissimi, oltre al coraggio del singolo, oltre alla volontà e all'energia, il nodo più grosso da sciogliere è la «paura». E quello più difficile la «discriminazione». O pensare che «il problema sia sempre dell'altro». Che «a noi non puo' capitare». Che «dovrebbero accontentarsi di trovare una struttura in cui qualcuno si prenda cura di loro». Che ci sono ancora persone che «coprono il volto dei figli e dicono: non guardare». Guardiamoci un po', invece. Tutti abbiamo le nostre disabilità. La diversità è un valore. Ogni persona è diversa dall'altra. E tutti dovremmo avere «amabilmente» diritto alla vita.

25 aprile 2012

FONTE: brescia.corriere.it
http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_aprile_25/20120425BRE06_07-2004215491938.shtml