domenica 29 aprile 2012

La storia / L'appello del rapper Vito: «Aiutate il mio bambino malato»

LATERZA - Avevamo lasciato Vito Cristella di Laterza a combattere con la sua sclerosi multipla. Con un video che martellava nella testa “Continuo a lottare” che in pochi mesi aveva scalato le classifiche dei gradimenti su youtube.

Lui è un ragazzo di 24 anni che non avrebbe mai pensato di trovarsi a combattere con un male impietoso e con un sistema che non gli riconosce nemmeno la miseria dell’assegno mensile per andare avanti. In più nella sua particolarissima situazione un figlio, che ha ora 8 mesi avuto dalla sua ragazza che colmo delle sfortune è malato anche lui.
Diagnosi impietosa dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma: retino-blastoma monolaterale.
Vito l’abbiamo incontrato di recente, arrabbiato per il conto salatissimo che la vita gli ha presentato, ma più che determinato a lottare per ottenere un aiuto di cui non può più fare a meno. Ci mostrò un bastone e una rabbia che non trova bersagli per l’aiuto mai sufficiente.

Il suo precedente lavoro l’ha perso, le procedure, dell’assistenza sociale non sono evidentemente sufficienti a colmare un’emergenza duplice, sanitaria ed economica.
Vito non può lavorare che poche ore al giorno e comunque solo lavori leggeri.
Una missione impossibile nel deserto occupazionale che anni di buon governo hanno lasciato in Italia e più in particolare al sud.
Sclerosi multipla significa stanchezza e debolezza continue, tre punture di interferone a settimana, quattro giorni a letto e due di relativa normalità.
Inoltre per la minore età della mamma Vito deve recarsi personalmente a Roma per almeno due volte a settimana e questo implica costi non indifferenti che non possono essere più sopportati dalle famiglie coinvolte.

Attualmente il bambino segue un ciclo particolarmente avanzato di cure anche per evitare che il tumore si estenda all’altro occhio. A Bari purtroppo non è possibile ottenere quel tipo di cure che implicano strumentazioni particolari e professionalità dedicate. Insomma un caso veramente particolare che ancora una volta è costretto a rivolgersi all’aiuto privato anziché a quello pubblico.
In breve chi vuole può aiutare Vito ricaricando la sua carta Postepay n°40236006257741360, sarà un contributo anche per quel video che narra di ragazzi travolti dalle difficoltà della vita ma che rifiutano di farsi abbattere. Anche quando alla grande partita della vita si scopre di avere avuto pessime carte.

di Nicola Natale

26 Aprile 2012 Ultimo aggiornamento: 27 Aprile 2012

FONTE: quotidianodipuglia.it
http://www.quotidianodipuglia.it/articolo.php?id=192764&sez=TARANTO


Storia di grande dolore quella di Vito, affetto da Sclerosi Multipla, e di suo figlio, colpito da retino-blastoma monolaterale all'occhio destro. Una storia di dolore sì, ma anche di tanto coraggio e voglia di affrontare a testa alta la vita, nonostante le avversità che la stessa gli sta ponendo dinanzi senza risparmio.
Invito tutte le persone che leggeranno questo post a guardare anche il video su NETunoTV a questo link: http://net-unotv.com/?p=2641 e possibilmente a dare un aiuto concreto a Vito e alla sua famiglia facendo una ricarica Postepay alle coordinate indicate nell'articolo e nel video. Vito ha perduto il lavoro a causa della sua malattia e ha suo figlio in questa grave situazione, e per queste ragioni ha bisogno dell'aiuto di tutti noi.... tocchiamoci il cuore allora, rinunciamo a qualcosa e aiutiamo questa famiglia, ciascuno secondo le proprie possibilità. Ogni gesto in questa direzione, anche piccolo, è molto importante. Grazie di cuore a chi lo farà.

Marco

venerdì 27 aprile 2012

Simone ci invita a nozze: "Per dimostrare che un disabile grave può avere una vita normale"

"Mi chiamo Simone Soria, sono disabile, ho 33 anni e vivo a Modena". Non c'è niente del canonico biglietto d'invito a nozze. Ma anche questa storia è tutto sommato poco "canonica", ed è proprio per questo che Simone ha voluto raccontarla anche a noi "vicini di casa" di Gazzettadiparma.it: "Per dimostrare che alle persone “normodotate” che un disabile, anche grave, può avere una vita sociale e lavorativa normale, se gli viene data la possibilità di avere un percorso scolastico e lavorativo “integrato” con gli altri".
Domenica prossima nel Duomo di Modena Simone Soria sposerà Eri Ueno, una ragazza giapponese che ha conosciuto anni fa a Milano: un amore capace di superare ogni ostacolo, come lo sono tutti i grandi amori.
Ma eccola la lettera che Simone ci ha scritto per invitarci al suo matrimonio con Eri.

"Mi chiamo Simone Soria, sono disabile, ho 33 anni e vivo a Modena. In particolare, sono un disabile motorio grave, affetto da gravissima tetrapresi spastica dovuta ad una paralisi cerebrale infantile, per cui non posso nè camminare né controllare correttamente braccia e mani. Infatti, vi sto scrivendo col computer digitando i tasti grazie ad un caschetto dotato di una protuberanza (un’asta di metallo) che funge “da dito”; questo strumento mi ha consentito di seguire un normale percorso di studi, di diplomarmi col massimo dei voti di laurearmi il 17 febbraio 2004 nel corso di Ingegneria Informatica, in pari con gli anni di studio e con lode.
Tutto ciò è stato possibile anche per una serie di circostanze favorevoli, oltre che per mio merito.
Terminati gli studi ho iniziato a sviluppare e proporre innovativi ausili per permettere ai disabili gravi di scrivere, comunicare ed usare il computer senza mani . Per il lavoro che ho compiuto fin’ora ho ricevuto vari riconoscimenti, tra cui una lettera dal Presidente Giorgio Napolitano. Gli ausili che ho creato sono estremamente innovativi poiché adattabili alla persona, quindi raggiungo famiglie in tutta Italia per trovare la soluzione per i disabili che mi chiamano. In uno dei miei viaggi ho conosciuto a Milano Eri Ueno, ragazza giapponese che il 22 aprile 2012 sposerò.
Vi scrivo per invitarvi a questo bellissimo evento e per raccontarlo poiché il matrimonio non è cosa comune per un disabile grave: è un messaggio sociale forte che vorrei dare. Attraverso la mia esperienza vorrei dimostrare alle persone “normodotate” che un disabile può avere una vita sociale e lavorativa normale, se gli viene data la possibilità di avere un percorso scolastico e lavorativo “integrato” con gli altri".

A questo punto il finale è rigorosamente "canonico": tanti auguri a Simone ed Eri, per una lunga vita di felicità insieme.

15 aprile 2012

FONTE: gazzettadiparma.it
http://www.gazzettadiparma.it/primapagina/dettaglio/2/130034/Simone_ci_invita_a_nozze:_Per_dimostrare_che_un_disabile_grave_pu%C3%B2_avere_una_vita_normale.html


Stupenda questa lettera indirizzata alla Gazzetta di Parma, che riporto con molto piacere sul mio blog, che testimonia come l'Amore, quello vero, quello con la "A" maiuscola, è superiore ad ogni barriera, limite e confine, e anche un disabile grave può felicemente vivere una storia d'amore e sposarsi, proprio come è accaduto a Simone con Eri. L'intraprendenza dimostrata da Simone nello studio e nel lavoro poi, è davvero sorprendente, tanto da ricevere i complimenti anche dal Presidente della Repubblica.
E' proprio vero quello che scrive Simone: se si offre la possibilità ai disabili di avere un percorso di formazione e lavorativo come quello di tutti gli altri, possono fare le stesse cose delle persone cosiddette "normodotate", ed avere anche una vita sociale in tutto e per tutto normale. Simone, con la sua vita, con il suo lavoro, con il suo matrimonio, dimostra perfettamente tutto questo.... ora sta a noi, a tutti noi, cercare di non dimenticarcelo mai.

Marco

mercoledì 25 aprile 2012

"Ho fatto rinascere mio figlio"

Nel 2003 ha donato il midollo per poter sconfiggere una leucemia, ma la chemioterapia ha dato complicazioni. Ieri mattina alle Molinette i nefrologi hanno prelevato alla donna un rene che ridarà a Matteo una nuova vita

TORINO - Per due volte ha ridato la vita al figlio, quando ormai sembrava non esserci più alcuna possibilità. Nel 2003 gli ha donato il midollo osseo per combattere una leucemia che l’avrebbe ucciso. E oggi, donandogli anche un rene, gli ha di nuovo regalato una speranza.

Alle Molinette c’è chi l’ha già ribattezzata «madre coraggio», ma lei, ancora provata dall’intervento, sorride e dice semplicemente che «per un figlio si fa questo e altro», che è «una cosa spontanea», e «qualunque madre lo farebbe». Simonetta Severi, 54 anni, vive a Perugia. Nove anni fa - per il trapianto di midollo - era stata ricoverata insieme al figlio a Roma. Oggi, per quello di rene, è stata sottoposta a un lungo intervento dall’équipe di Nefrologia delle Molinette diretta dal professor Giuseppe Segoloni: l’operazione, conclusa nella tarda mattinata di ieri, è perfettamente riuscita. Ed è proprio il fatto che la madre avesse donato alcuni anni fa il midollo al ragazzo che ha permesso questo secondo trapianto: «Grazie al midollo ricevuto dalla madre - spiega il dottor Bretto - il sistema immunitario del ragazzo, derivato dalla mamma, non riconosce il rene trapiantato come “ostile” e ci consente di non dover ricorrere alla terapia anti-rigetto».

Matteo ha 29 anni: era stato sottoposto al primo trapianto a fine 2003 per una grave forma di leucemia acuta linfoblastica. Anche quell’operazione era perfettamente riuscita, al punto che sei anni dopo i medici avevano dichiarato la remissione completa della malattia. «Purtroppo - spiega ancora il dottor Bretto - complicazioni urologiche provocate dalla chemioterapia hanno compromesso lentamente i reni del ragazzo causando prima un’insufficienza renale grave, per poi costringere Matteo alla dialisi dal 2005, tre volte la settimana».

La vita di Matteo era ormai scandita dai tempi delle terapie. Il doppio intervento è durato otto ore: il prelievo del rene dalla madre è stato eseguito dagli urologi Giovanni Pasquale, Andrea Bosio e dall’anestesista Fabio Gobbi; il trapianto sul figlio è stato affidato ai chirurghi vascolari Piero Bretto e Monica Hafner con l’urologo Fedele Lasaponara e l’anestesista Guido Sansalvadore.

Madre e figlio erano in due sale operatorie vicine. Adesso Matteo è in una stanza di terapia semi-intensiva, mentre la madre è ricoverata un Nefrologia, ma si sono già inviati messaggi telefonici.
«Appena sveglio Matteo mi ha mandato una coccinella - ha detto mamma Simonetta - poi mi ha scritto 'mamy come stai?' e ancora altri. Presto lo rivedrò, ho la totale consapevolezza che abbiamo fatto l'unica cosa da fare, ora spero solo che mio figlio possa solo avere una vita normale. Vederlo andare tre volte la settimana a fare la dialisi era per me durissima».
«Vivere con un rene solo?», sorride. «I medici mi hanno detto che dovrò avere qualche cautela in più. Vuol dire che finalmente mi riposerò un po’».


Madre e figlio resteranno ricoverati alcuni giorni alle Molinette. Poi torneranno a casa a Perugia. Ai medici delle Molinette è arrivato in serata un messaggio del presidente della Regione, Roberto Cota: «L’eccellenza nel campo dei trapianti continua a essere il supporto fondamentale di tanti atti d’amore che periodicamente si ripetono in Piemonte».

30 marzo 2012

FONTI: lastampa.it, torinotoday.it 



Una storia davvero bellissima che testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, l'immenso Amore che intercorre tra madre e figlio.
Auguroni per tutto, Simonetta e Matteo !!! 

Marco

martedì 24 aprile 2012

Hook, il cane che fa la lavatrice

Assiste i disabili, li sveste, accende la luce e porta le fedi ai matrimoni. E’ La storia un border collie, impiegato anche nel giallo dei fratellini Ciccio e Torre e in Abruzzo 

PADOVA — Per anni il suo fiuto l’ha guidato in mezzo a catastrofi e gialli di ogni genere: dalla tragedia di Ciccio e Tore, i fratellini di Gravina di Puglia trovati morti, al terremoto in Abruzzo, dai tre piccoli Rom rapiti da una casa-famiglia nelle campagne veronesi agli escursionisti imprudenti dispersi sui colli, a Trento e a Brunico, solo per citare qualche caso. Ora però, raggiunta la meritata pensione, Hook lascia l’azione per dedicarsi ai disabili. E con lo stesso impegno e amore segue il paraplegico in sedia a rotelle, gli raccoglie il portafoglio se cade o gli porta il telefono, apre la cerniera di giacconi e pantaloni da togliere, accende la lavatrice e quando il ciclo di lavaggio è finito spalanca l’oblò e tira fuori il bucato, porge bevande fresche e cibi presi dal frigo, che poi diligentemente chiude. Azioni normali per un pensionato comune, eccezionali se quel pensionato è un cane. Hook è un border collie di 11 anni che vive a Polverara (Padova) ed è stato addestrato da Sandro D’Alò, responsabile del gruppo cinofilo «Il Gelso» della Protezione civile, operativo a Ponte San Nicolò.

Il preparatore, istruttore di unità cinofile specializzate nella ricerca di dispersi sotto le macerie e in superficie, gli ha insegnato anche ad aprire e chiudere le porte con muso o zampina, accendere e spegnere la luce, raccogliere oggetti da terra, portare l’agenda o il cellulare al padrone. Quasi un gioco per una bestiola intelligente, dolce e molto socievole, che però richiede anni di addestramento. «Ho iniziato a insegnargli tutto questo cinque anni fa — racconta D’Alò, che segue anche la figlia di Hook di 7 mesi, un’altra cagnetta della stessa razza di 10 anni e un pastore belga di 2 un po’ per gioco e un po’ per fargli fare qualcosa di diverso dalla ricerca, anche se resta la sua preferita. Ho appeso corde e trecce di stoffa a maniglie, frigo e zip, in modo che se ne servisse per aprirli: per lui erano prede, ha eseguito con il solito entusiasmo. Poi ho perfezionato l’operazione con esercizi specifici, che gli hanno consentito di aprire una porta o un cassetto, prendere oggetti, porgerli al padrone e richiudere. Ora, per esempio, se gli chiedo di portarmi una birra lui corre al frigo e obbedisce».

Con l’allenamento Hook è diventato talmente bravo e disinvolto con gli umani da essere scelto da una sposa come paggetto al quale affidare il cuscino con le fedi. Si è fatto venti metri di passerella in chiesa ed è arrivato davanti agli sposi nel momento giusto e senza esitazioni. Sono ormai lontani i tempi del suo quarto piazzamento al Campionato internazionale per cani da catastrofe del 2002, del posto da titolare nella «Nazionale » di genere occupato dal 2006 al 2011, dei Mondiali 2010. Ma la nuova carriera è altrettanto importante. Per lui — un «investigatore» del suo calibro non può passare bruscamente da un’attività tanto intensa a cuccia e cappottino —, ma soprattutto per i più deboli. Già diversi privati e qualche Comune hanno chiesto a D’Alò di preparare altri esemplari all’assistenza ai disabili, ma il costo tra acquisto del cane, un anno e mezzo di addestramento e relativo mantenimento si aggira sui 20/25 mila euro. Tanti, soprattutto in un momento di crisi. E così Hook rischia di rimanere una felice eccezione.

di Michela Nicolussi Moro

23 gennaio 2012

FONTE: corrieredelveneto.corriere.it
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneziamestre/notizie/cronaca/2012/23-gennaio-2012/hook-cane-che-fa-lavatrice-1902972063674.shtml


Sono felice di pubblicare questo articolo sul mio blog, anche se si discosta non poco da quelli che usualmente pubblico, in quanto non parla di una storia umana, ma bensì di un cane, un collie per la precisione, con caratteristiche eccezzionali.
Quello che questo collie è stato capace di fare e che tuttora fa, a beneficio degli uomini, sopratutto disabili, rende la sua storia particolarmente bella e interessante da far conoscere, e ci dice una volta di più quanto i cani siano importanti, fedeli e pieni d'amore incondizionato per gli uomini. E' bene che l'uomo non se ne dimentichi mai e sappia avere maggior rispetto nei confronti dei cani e più in generale degli animali. La triste piaga dell'abbandono dei cani, sopratutto durante la stagione estiva, è una di quelle cose che fa veramente DISONORE agli uomini, sopratutto dopo tutto quello che i nostri amici a quattro zampe hanno saputo darci. Trattiamo i cani con rispetto, con amore, non facciamo loro del male.... loro non ne farebbero MAI a noi.


Marco

sabato 21 aprile 2012

Sassari, malato di Sla prigioniero in ospedale

L’appello di Adamo Marretta: ricoverato da nove mesi in Pneumologia non riesce a tornare a casa da moglie e figlia

di Gabriella Grimaldi

SASSARI. Da nove mesi è in ostaggio di un sistema che non funziona. Adamo Marretta, sassarese di 35 anni affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, è ricoverato nel reparto di Pneumologia delle cliniche universitarie ormai dal luglio del 2011 perchè non ha la possibilità di ritornare a casa sua - non è adatta ad ospitarlo visto che il giovane è già attaccato al respiratore 24 ore su 24 ed è quasi del tutto paralizzato - ed essere assistito a domicilio. «Non ce la faccio più - dice - il Comune mi ha fatto tante promesse ma la situazione non si è mossa di una virgola. Io qui non ci voglio rimanere e ho il diritto di avere una casa dove andare a vivere con la mia famiglia».

Una storia di malattia, quella di Adamo Marretta, cominciata con i primi sintomi a maggio del 2008. La diagnosi, terribile, è arrivata un anno dopo: si trattava della SLA, una patologia degenerativa a carico del sistema nervoso che in Sardegna miete moltissime vittime. In quell’anno, tra visite e controlli, il giovane ha dovuto lasciare il lavoro di guardia giurata a Venezia perchè il suo corpo non rispondeva più. Di lì a poco l’amara decisione di tornare a Sassari dove comunque viveva la moglie. «Una volta tornato a casa, allora ancora mi muovevo in sedia a rotelle - racconta con la voce ritmata dal respiratore - abbiamo dovuto lasciare la casa dove abitavamo perchè c’erano le scale e ci siamo trasferiti in una piccola abitazione di campagna a Bancali di proprietà dei miei suoceri». Nel frattempo è nata una bambina che oggi ha nove mesi ma è anche successo che Adamo si è aggravato, ha avuto una broncopolmonite, ed è stato sottoposto a tracheotomia. Da allora, luglio dello scorso anno, vive attaccato al respiratore automatico. In pratica è inchiodato a un letto, prigioniero della sua malattia, e anche di una struttura ospedaliera. O meglio, di un sistema di assistenza socio-assistenziale che evidentemente non funziona.

«Prima dell’aggravamentomentre aspettavo che mi dessero la pensione di inabilità al lavoro e di invalidità, ho contattato i servizi sociali del Comune di Sassari per aveve un’assistenza domiciliare. Mi hanno messo in lista di attesa per avere un’ora e mezza al giorno. Poi con il progetto “Ritorno a casa” ho ottenuto che le ore diventassero tre ma poco tempo dopo, il 18 luglio per la precisione, sono stato ricoverato d’urgenza in questo reparto e da allora sono qui».

Quando ha capito che difficilmente si sarebbe mosso dal letto nel futuro, e sapendo che la sua casa non aveva gli spazi adeguati per accogliere i macchinari necessari a tenerlo in vita, Adamo Carretta ha chiesto al Comune, come è suo diritto, che gli venisse assegnata una casa popolare con le caratteristiche richieste dalla sua patologia. Le case verranno però assegnate, se tutto va bene, a fine anno. Troppo per una persona che ha urgenza di vivere la propria esistenza vicino ai suoi cari in maniera dignitosa. «Io credo che i Servizi sociali del Comune potrebbero trovarmi un’altra sistemazione provvisoria, una casetta al piano terra che abbia una camera dove posso stare. Credo che possano farlo, perchè non lo fanno?». Adamo è esasperato perchè c’è anche un altro problema: i soldi attualmente a disposizione per il “Ritorno a casa” (47 mila euro) non coprono l’assistenza 24 ore su 24 ma soltanto 16. «Non mi arrenderò davanti alla cattiva burocrazia – conclude Adamo –. Qui non ci rimango e il sindaco, l’assessore, e gli assistenti sociali dovrabbo prendersi le loro responsabilità
».

21 aprile 2012

FONTE: lanuovasardegna.gelocal.it
http://lanuovasardegna.gelocal.it/sassari/cronaca/2012/04/21/news/sassari-malato-di-sla-prigioniero-in-ospedale-1.4398441


Pubblico questo accorato appello di Adamo Marretta, malato di SLA, che non chiede altro che gli venga assegnata una casa adeguata alle sue necessità, nella quale possa stare assieme alla sua famiglia.
Spero con tutto il cuore che le autorità competenti intervengano immediatamente per porre rimedio a una così grave situazione. Non si dovrebbe mai permettere che succedano cose del genere, che un malato in così gravi condizioni debba giacere in un letto d'ospedale per mesi e mesi. Chi può intervenire, intervenga per favore..... AVANTI !!!

Marco

giovedì 19 aprile 2012

Contenuto Principale Il Consiglio Provinciale riconosce la MCS come malattia sociale. Una cittadina marsalese ci racconta la sua storia

Mi chiamo Giovanna Nastasi e sono affetta da Sensibilità Chimica Multipla (MCS) da circa nove anni”. Si presenta così Giovanna, 44 anni di Marsala, che all'età di 35 anni, ha contratto questa malattia troppo poco conosciuta. Ma cos'è la MCS? La Multiple Chemical Sensitivity è una malattia cronica invalidante da esposizione a sostanze chimiche, causata principalmente dal contatto con diserbanti, vernici, fotocopiatrici, medicinali, anestesie, cellulari, cibo non biologico, tra gli altri.
Una persona affetta da MCS, come la nostra concittadina, conduce una vita che non è vita, perchè non può svolgere le normali faccende quotidiane, non può lavorare, non può fare vita sociale, non può indossare comuni indumenti ma soprattutto, non può sentire il calore umano di un abbraccio eppure deve lottare ogni giorno. Si, perchè anche il contatto fisico, per una persona affetta da questa patologia può essere fatale, le persone che ne entrano in contatto, devono prima completamente “bonificarsi”, sterilizzarsi. Infatti, il malato di MCS, al contatto con qualsiasi invisibile sostanza chimica, può essere colpito da reazioni sconvolgenti, come un arresto cardiocircolatorio, un ictus o un coma. Il vero problema, è la disinformazione ma in particolare l'impossibilità nel nostro Paese di essere curati e di ricevere una diagnosi. Eppure la MCS viene riconosciuta e curata, anche se non esistono vere e proprie cure, in America ed in altri paesi. Si stima che negli USA, vi sia il 4% di persone affette da MCS e il 10% di persone sensibili. In Italia si stimano 50mila casi e non c'è ospedale che possa curare un malato di MCS. Perchè purtroppo anche nei nosocomi sono necessarie apposite stanze per curare chi è affetto da tale patologia, per cui non vi è predisposizione genetica, semmai una minore predisposizione ad espellere le sostanze. “Questa malattia ci porta a rimanere soli, si può arrivare a gesti gravi ed estremi. Ed in Italia mancano i soldi per creare i presupposti per aiutare i malati di MCS”, ci ha detto Giovanna Nastasi. “E' necessario che la ricerca possa studiare la patologia – ha affermato - per trovare delle cure più o meno risolutive, affinchè possiamo avere una nuova dignità”. Nella provincia di Trapani, da questo punto di vista, si è fatto qualcosa. Il Consiglio provinciale infatti, nella seduta dello scorso 5 aprile, ha approvato all'unanimità, l'Ordine del Giorno presentato dalla Commissione Igiene Assistenza Beneficenza e Servizi Sociali, con cui si chiede che anche in Italia, così come negli altri Paesi del mondo la MCS venga riconosciuta come malattia sociale utilizzando, quale parametro, il Consenso Internazionale del 1999. Nel documento che il Consiglio provinciale ha inviato ai Presidenti delle Camere e alle Commissioni Igiene e Sanità ed Affari Sociali, è stato portato alla loro attenzione proprio il caso della Nastasi, sollecitando il Parlamento ad attivare l'iter per l'esame e la successiva approvazione delle proposte di legge di iniziativa parlamentare, già presentate alla Camera dei Deputati, nel 2008 e nel 2009, ma morte sul nascere in quanto bloccate al tavolo scientifico. “Devo un grazie al Consiglio provinciale – ha affermato Giovanna Nastasi – il presidente Poma ma anche l'Asl, perchè lottano con me per il riconoscimento, ho trovato un aiuto concreto, ma ora è necessario che qualcosa si faccia anche a livello nazionale. Dal Consiglio Superiore di Sanità non arrivano risposte e quando arrivano sono viziate da enormi interessi che girano intorno alle multinazionali e alle case farmaceutiche. Gli altri Stati hanno riconosciuto la MCS come malattia sociale da anni – ci ha informato – ebbene che ora si faccia qualcosa in Italia. Già la Regione Lazio ha riconosciuto la patologia ed appartiene all'Italia”. Nel frattempo, per diffondere la conoscenza di una malattia ancora poco nota, si terrà domani a Roma, un convegno sulla MCS e sulla Elettrosensibilità presso l'Istituto Dermopatico dell'Immacolata dal titolo “La Sensibilità Chimica Multipla (MCS) al crocevia degli approcci innovativi in Medicina Ambientale. I risultati della ricerca sperimentale e clinica europea, come basi per l'inquadramento clinico e la risposta assistenziale”.

18 aprile 2012

FONTE: marsalace.it
http://www.marsalace.it/web/index.php?option=com_content&view=article&id=6259:il-consiglio-provinciale-riconosce-la-mcs-come-malattia-sociale-una-cittadina-marsalese-ci-racconta-la-sua-storia&catid=87:sanita

lunedì 16 aprile 2012

E' allergica all'acqua, l'incubo di una 24enne inglese che potrebbe morire bevendo un bicchiere d'acqua

Si chiama Rachel Prince la ragazza inglese che, a seguito di una patologia il cui nome è Acquagenic Urticaria, che consiste nell’impossibilità di entrare in contatto con l’acqua in qualsiasi forma essa si presenti, rischia di morire per un banalissimo bacio. La ragazza, 24enne, è impossibilitata a fare anche le azioni più semplici. Il bere un bicchiere d’acqua, o una qualsiasi bevanda dissetante, è per Rachel fonte di grande bruciore, e in estate la sua prima preoccupazione è quella di evitare di sudare. La situazione in inverno non cambia e anzi, durante le giornate di pioggia è costretta a restare imprigionata in casa o, se proprio obbligata ad uscire, si serve di grandi ombrelli o impermeabili in grado di proteggerla in maniera integrale.

Anche azioni semplici, della vita quotidiana, potrebbero esser letali - Anche guardare un film commovente, o baciare il proprio ragazzo, potrebbe esser rischioso. La comparsa di una piccola lacrima sul viso, o il contatto con la saliva del fidanzato risulta esser potenzialmente letale. Rachel sogna di avere una vita normale, ma i medici fino ad oggi non le hanno dato grandi speranze. Residente assieme al suo compagno a Ripley, nel Derbyshire (Gran Bretagna), la ragazza non può neppure concedersi un bagno rilassante in piscina, o al mare: se lo facesse rischierebbe uno shock anafilattico che potrebbe farla morire.

La patologia potrebbe esser trasmessa anche agli eventuali figli - Lei, comunque sia, continua a progettare una famiglia insieme al suo Warwick Lee, un 26enne innamorato a cui sembra non pesare questa situazione. I due vorrebbero tanto avere dei figli ma al momento sanno che la patologia potrebbe essere trasmessa ai nascituri: una decisione di questo tipo, pertanto, deve essere ben ponderata.

21 febbraio 2012

FONTE: notizie.tiscali.it
http://notizie.tiscali.it/articoli/stranomavero/12/02/allergica-acqua.html

venerdì 13 aprile 2012

"Vivere sempre, sopravvivere mai".... la meravigliosa storia di Francesco Canale, in arte "Anima Blu"

Francesco è un ragazzo focomelico (ha una grave malformazione congenita agli arti superiori ed inferiori), vive una vita apparentemente difficile, senza alcuna possibilità motoria; è totalmente privo di braccia e gambe.
Dove il destino gli ha tolto da un lato, la Grazia gli ha però restituito con gli interessi dall'altro: nella dilatazione del suo animo.
Francesco non parla da disagiato, ma da persona che ha la fortuna di vivere una vita piena: piena di orgoglio, di sensibilità, di concretezza spirituale.
Pur giovane, ha le idee più che chiare; una visione dell'esistenza già formata, sorretta da una consapevolezza fuori dal comune.
Parla di tutto con un linguaggio semplice ed incisivo, il linguaggio del cuore.
Afferma di vivere una situazione da privilegiato, quella di un individuo circondato da un enorme amore, amore che lui sa ricevere ed in pari misura far ricircolare: si tratta dell' Amore conosciuto grazie agli insegnamenti della sua famiglia adottiva, che lo ha educato e sostenuto senza fargli mai mancare un briciolo di calore umano, e dell'amore degli amici, che vedono in lui un vero leader, capace di dare loro i consigli giusti e di condividere tutta la sua ricchezza interiore in ogni momento.
Si tratta di una forma sana di amor proprio, che equivale ad un attaccamento alla vita e ad una Fede che dì per sè già dimostra quanto Francesco abbia trovato veramente uno strutturato e fortissimo senso della vita stessa.
Si confronta con gente di ogni età senza timori ed indugi, sicuro di sè e delle sue consapevolezze.
Ed ha un'esistenza molto attiva: studia, legge molto, scrive tantissimo ed ha una predisposizione naturale verso ogni forma d'arte, dalla musica alla pittura: i suoi dipinti sono pieni di colore, molto definiti e piacevoli: la risposta della sua sensibilità. Sono opere realizzate con la bocca ed il pennello, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Il blu è il colore che predomina nei suoi lavori perchè è in quel colore che egli sente riflettersi la sua anima, da qui infatti il suo pseudonimo "Anima Blu".
I suoi interventi verbali non sono mai banali nè testimonianze di disagi o problematiche esistenziali: sono un vero e proprio INNO ALLA VITA.

di Maddy

18 maggio 2010

FONTE: charitydrops.blogspot.it
http://charitydrops.blogspot.it/2010/05/un-mio-mito-incontrastato-francesco.html


Splendido questo post su Francesco Canale, questo ragazzo focomelico, artista per vocazione, che ho conosciuto casualmente attraverso un programma televisivo e di cui riporto con molto piacere questa bellissima descrizione.
Per chi volesse approfondire la sua storia e diventare suo amico, consiglio una visita al suo sito: http://www.animablu.eu/
e al suo blog: http://www.animabluartista.blogspot.it/
nonchè sul suo profilo facebook: https://www.facebook.com/FrancescoCanale.AnimaBlu

Marco

mercoledì 11 aprile 2012

Allergica a tutto. E' costretta a vivere isolata in casa


Sara Capatti, 32 anni, ex parrucchiera, affetta da MCS, ha voluto raccontare la sua esperienza perchè “chi vive nella mia stessa situazione non venga dimenticato dalla società”

CALUSCO - «Non so più cosa devo fare, non ce la faccio più a sopravvivere in questa maniera, ho 32 anni e mi sembra che la mia vita sia finita». Le parole di Sara Capatti affetta da MCS, Sensibilità Multipla Chimica, una malattia che rende allergici a tutto ciò che è chimico anche a sostanze volatili, arrivano direttamente al cuore. «Non solo dobbiamo lottare contro questa terribile patologia, ma anche contro l'ignoranza e l'indifferenza delle persone che spesso non solo non credono alla malattia, ma ci prendono in giro e ci deridono».
E' così che Sara, residente in via Pace con la mamma Fiorenza Dalla Costa e il fratello Alessandro, ci ha raccontato la sua esperienza per chiedere aiuto «affinchè si parli di questa malattia, perchè chi è nella mia situazione non venga dimenticato dalla società ma aiutato per quanto si possa ad avere una vita, non dico normale, ma almeno decente».
Sara, superati i comprensibili momenti di sconforto, sa però tirare fuori il carattere forte e combattivo e si aiuta con un sogno nel cassetto. «Vorrei poter vivere a San Candido - ha detto - sopra i 1200 metri, dove non esistono coltivazioni né polveri sottili. Lì, dove sono stata dieci giorni lo scorso ottobre, sono persino riuscita ad entrare in un negozio. Io, che qui a Calusco, vivo segregata in casa... mi sembrava quasi impossibile. Per quella breve vacanza mio fratello ha chiesto la cessione del quinto dello stipendio. Se avessi le possibilità economiche mi trasferirei là».
Alessandro, che ha un anno più di Sara, fa l'operaio e provvede finanziariamente anche per la sorella alla quale non è stata concessa l'invalidità, non essendo la MCS una malattia riconosciuta in Italia.
Sara è seguita 24 ore su 24 dalla mamma, perchè non può mai essere lasciata sola in quanto soggetta a improvvisi shock anafilattici. Se ha bisogno del pronto soccorso va al Mandic di Merate «perchè lì sono gentili e riconoscono la mia malattia e quindi sanno come intervenire». Il suo medico, Giuseppe Genovesi, però è di Roma, come di Roma è Giulia Lo Pinto, suo punto di riferimento importante, che ha fondato un'associazione per i malati di MCS.
Una volta ogni tre mesi (ma dovrebbe farlo una volta al mese) si reca nella capitale per gli esami diagnostici e le cure. Un viaggio fatto in auto, di notte, perchè c'è meno gente sulle strade, senza riscaldamento d'inverno o aria condizionata d'estate, con i finestrini chiusi, senza potersi fermare all'autogrill per una sosta.
«Alloggiamo in un appartamento di un parente, distante ancora tre ore da Roma, ma che, non essendo usato è abbastanza incontaminato. Io devo portare con me lenzuola, coperte, pentole, detersivi naturali e tutto quanto mi possa servire».
Nonostante tutto, Sara ha fiducia nella vita e il suo pensiero va a chi è nelle sue stesse condizioni. «Qualcuno si nasconde, ma fa male, è importante essere uniti, aiutarci gli uni con gli altri. Chi vuole telefonarmi per avere consigli lo faccia. E' inutile ripetere le stesse esperienze negative, la lunga trafila che ho fatto io per arrivare a stare un po' meglio». Il numero di Sara è 035.4362245.

di Patrizia Piolatto


Testimonianza fra l'indifferenza e l'incomprensione anche di tanti medici

ANNI DI SOFFERENZA SENZA SAPERE IL PERCHÉ

CALUSCO - Prima di trovare qualcuno che riconoscesse la sua malattia, Sara Capatti ha vissuto un lungo calvario. «La diagnosi è avvenuta un anno e mezzo fa dopo anni di sofferenza - ci ha raccontato - Avevo forti dolori, mal di testa, dolori alle articolazioni, asma, stanchezza che non si appropriava sicuramente a una ragazza della mia età. In passato ho avuto le gambe bloccate, e per tre mesi ho portato le stampelle, poi si sono bloccate le braccia e per sei lunghi mesi non sono riuscita a muovere neanche un dito, ma la cosa peggiore era andare da uno specialista dietro l'altro senza che nessuno trovasse niente e l'umiliazione di essere presi per malati immaginari o peggio. E poi le allergie alimentari e non che tutti gli anni aumentavano senza un reale motivo, le corse in ospedale a fare cortisone per shock. Poi due anni e mezzo fa la situazione ha cominciato a peggiorare, non c'era giorno che non vomitassi e rimettassi persino bile, mentre gli specialisti davano la colpa allo stress. Purtroppo è una malattia che ha bisogno di esami specifici che vengono fatti solo nel Lazio. Quando poi ti viene diagnosticata la MCS ti rendi conto che la tua vita è finita, sì perchè non esiste una cura se non evitare tutte le sostanze chimiche. E' anche vero però che se non ci fosse stata una diagnosi con molta probabilità ora non sarei più qua. Sì perchè la malattia nel frattempo è andata avanti ed è peggiorata. Ho dovuto smettere di lavorare, avevo un negozio di acconciature e adesso l'ho messo in vendita».
La famiglia Capatti viveva a Monticello Brianza, ma Sara aveva aperto un negozio di parrucchiera in via Rimembranze. Un lavoro che la appassionava ma che purtroppo è stato anche la causa dell'aggravarsi del suo stato di salute.
«Oggi vivo chiusa in casa con due depuratori d'aria, non posso mai aprire le finestre sia d'estate che d'inverno per evitare che possa entrare qualche odore soprattutto di biancheria stesa, profumi e polveri sottili, non posso lavarmi con saponi ma solo con acqua, i vestiti li lavo in lavatrice sempre solo con acqua, per bere e cucinare posso usare solo bottiglie di vetro e posso scegliere solo fra due - tre marche, per cucinare devo usare solo pentole in ceramica, non posso leggere libri o giornali per l'odore del petrolio, posso usare solo vestiti di fibre naturali, le rare volte che esco devo portare una mascherina per proteggermi dagli odori e non mi basta neanche, non posso frequentare nessun luogo pubblico. Con questa malattia l'olfatto si sviluppa 300 volte in più della norma, anche se biologici tollero pochissimi alimenti (il suo menù giornaliero è 40 gr di pasta con una carota e una zucchina al pasto, ndr), non tollero nessun tipo di farmaco comprese le anestesie sia totali che locali, per usare il pc devo proteggermi con un tappeto elettromagnetico perchè sono anche elettro-sensibile. La cosa piu vergognosa è che in Italia la MCS non viene riconosciuta in tutte le regioni, mentre in America, Germania, Inghilterra ci sono delle strutture apposta per chi ne soffre».

3 gennaio 2012

FONTE: Giornale di Merate


Ringrazio Sara Capatti per essersi esposta in prima persona ed aver raccontato la sua storia al Giornale di Merate, ma anche per avermi consentito di pubblicarla sul mio blog.
Come dice giustamente Sara, è importante non nascondersi ed essere uniti, aiutandosi gli uni con gli altri, e anche dare testimonianza della propria storia come ha fatto lei è importante, perchè in questo modo si da risalto a questa terribile malattia e si da anche un riferimento a tutte quelle persone che hanno l'MCS, ma che ancora non sanno di cosa si tratta, e passano di medico in medico, di ospedale in ospedale, nella disperata ricerca di dare un nome a quello che hanno.

Sara, con l'aiuto della giornalista Patrizia Piolatto, sta anche scrivendo un libro che parla di lei e della sua malattia, e con esso ha anche aperto un blog (http://www.sara-pat.blogspot.it/) che seguirà, passo passo, l'evoluzione di questo libro.
Personalmente penso che sia una bellissima idea la loro, e sia il libro che il blog contribuiranno certamente a far conoscere maggiormente questa terribile patologia. Grazie Sara.


Marco

sabato 7 aprile 2012

Vicino alle antenne dei telefonini gli alberi muoiono e gli ortaggi subiscono mutazioni

Un'emittente televisiva laziale ha realizzato un reportage in un orto di due anziani contadini vicino al quale sono state installate due antenne per la telefonia mobile. Le immagini documentano spaventose mutazioni nei prodotti di quella terra

A Gaeta in provincia di Latina due agricoltori notano strane mutazioni nei prodotti della loro terra, che coltivano da generazioni. Lo strano fenomeno segue di poco l'installazione, nelle vicinanze, di alcune antenne per la telefonia mobile. Il reportage di TMO, a cura di Luigi Oliviero, mostra gli esiti sugli ortaggi di questo "strano" e imprevisto fenomeno [in realtà nel video i due contadini intervistati parlano anche di alberi da frutta morti - N.d.R.]. Questo è quanto si legge come descrizione del video disponibile su youtube, registrazione di una inchiesta della piccola emittente privata Tele Monte Orlando di Gaeta (Latina). Ribadiamo che tutte queste antenne, dal MUOS (antennistica militare) alle antenne per telefonia mobile (spesso accatastate su una medesima postazione di modo da accrescere il rischio sanitario) sono pericolose per la salute, così come lo sono le antenne per il wi-fi, l'uso del wi-fi per la connessione ad internet, l'uso sempre più comune di giochi con connessione wi-fi, gli accessori per PC con connessione wi-fi, i telefonini (che spesso la gente usa persino in auto, sul treno, sulla nave, ovvero in luoghi schermati che costringono il telefono ad utilizzare la massima potenza con grave rischio per il cervello dello sprovveduto utente). Ma siamo davvero sicuri che tutto questo saturare l'aria di radiazioni rischiose per la salute sia solo un caso, o che venga fatto solo perché c'è chi ci guadagna sopra?

di Corrado Penna

11 febbraio 2012

FONTE: fattiitaliani.it
http://www.fattiitaliani.it/news.asp?id=1515





Le immagini di questo video valgono più di tante parole.
Riflettiamo bene: se delle antenne per la telefonia mobile sono in grado di produrre delle mutazioni genetiche del genere negli ortaggi, potranno queste essere innocue per gli uomini? Credo che la risposta non necessiti di un particolare grado d'intelligenza. Meditiamo gente, meditiamo.....

Marco

mercoledì 4 aprile 2012

Elettrosensibilità: la solitudine di una malattia negata

PISTOIA – Si toglie la vita, nella notte tra il 14 e il 15 febbraio M., una quarantottenne di Pistoia, gravemente elettrosensibile: la sofferenza fisica, la perdita di autonomia e il grave isolamento causato dalla malattia erano insostenibili e l’aiuto di persone amiche e delle associazioni non è stato sufficiente a darle fiducia.

M. aveva da anni pesanti problemi di salute e da alcuni mesi lamentava anche sintomi di intolleranza ai campi elettromagnetici e a certe sostanze chimiche come i detersivi. Aveva bruciore alla testa e in tutto il corpo, ronzii alle orecchie, sensazione di soffocamento al contatto con un tessuto lavato di fresco oppure in prossimità di un computer, di un cellulare o di apparecchiature elettriche. Non poteva neanche usare il telefono perché le causava bruciore alla testa, tutti sintomi molto comuni per chi è affetto da Elettrosensibilità (ES), una condizione che colpisce a vari livelli, secondo stime mediche, dall’1 all’8% della popolazione.

M. era in contatto con l’Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale (A.M.I.C.A.) e con l’Associazione Italiana Elettrosensibili (A.I.E.) che da mesi cercavano di aiutarla come possibile e le avevano fornito documentazione scientifica da portare ai suoi medici.

Sappiamo che aveva in programma di trasferirsi in montagna, lontano da ripetitori dei cellulari e da cavi dell’alta tensione – commenta Silvia Bigeschi, Vice Presidente e Responsabile per la Toscana di A.M.I.C.A..”

La signora aveva iniziato a non sopportare più i campi elettromagnetici presenti nella vita quotidiana dallo scorso aprile, subito dopo aver fatto un ciclo di terapia con stimolazione elettromagnetica, e si chiedeva se questa poteva essere stata la causa del suo aggravamento.

M. era portatrice di placche metalliche che possono aumentare l’assorbimento di campi elettromagnetici fino a centinaia di volte e, secondo alcuni studi scientifici (Irvine N. 2004), rappresentano un fattore di rischio per la Elettrosensibilità – ha dichiarato Anna Zucchero, medico e Presidente dell’Associazione Italiana Elettrosensibili.

Le linee guida ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection) precisano di non garantire limiti di sicurezza per la popolazione portatrice di protesi metalliche e da 10 anni attendiamo che l’Ente preposto CENELEC (Comitato Europeo per la Standardizzazione Elettrotecnica), stabilisca quali limiti di campi elettromagnetici siano compatibili per tali soggetti”, aggiunge la dottoressa Zucchero.

Numerosi scienziati, inoltre, denunciano da anni che gli standard attuali non proteggono la salute dei cittadini e lo stesso Parlamento Europeo ha raccomandato lo scorso settembre di rivedere i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici dell’ICNIRP proprio a causa dell’emergenza di patologie come la Elettrosensibilità e la Sensibilità Chimica Multipla”, commenta Francesca Romana Orlando, Vice Presidente di A.M.I.C.A.

La Elettrosensibilità è riconosciuta come invalidità in Svezia, dove ci sono interventi per superare le barriere elettriche così da garantire a chi ne è affetto una vita normale e, allo stesso modo, negli Stati Uniti e in Germania la Sensibilità Chimica Multipla è riconosciuta al pari di una invalidità motoria. Sulle Alpi Francesi è nato da pochi mesi il primo villaggio per elettrosensibili: www.zoneblanche.fr.

Secondo associazioni internazionali, come www.next-up.org o www.microwavenews.com, il mancato riconoscimento di questa condizione in tutto il mondo sarebbe da imputare ai pesanti conflitti di interessi che avevano i responsabili del gruppo di studio sui campi elettromagnetici dell’OMS.

A.M.I.C.A. e A.I.E. ritengono che la mancanza di iniziative concrete da parte delle istituzioni e della politica per tutelare chi è affetto da patologie ambientali, come la Sensibilità Chimica Multipla e la Elettrosensibilità, possa rappresentare una vera e propria omissione di soccorso e stanno valutando l’ipotesi di adire le vie legali.

L’unico investimento dal Ministero della Salute all’ISS viene utilizzato per studiare e modificare la percezione del rischio da campi elettromagnetici (progetto CAMELET), contrariamente a quanto previsto dalla legge che suggerisce di studiare l’impatto sulla salute denuncia la Presidente dell’Associazione Italiana Elettrosensibili – e i nostri associati, invece, si autotassano per finanziare studi scientifici indipendenti sul loro problema”.

M. amava la verità, l’onestà intellettuale e affettiva, l’impegno sociale: invitiamo tutti ad ascoltare quello che ci dice con la sua morte affinché altri non abbiano a soffrire come lei”, conclude la dr.ssa Zucchero.

15 febbraio 2009

FONTE: infoamica.it
http://www.infoamica.it/elettrosensibilita-la-solitudine-di-una-malattia-negata/#more-1870


La storia di M. ci deve indurre a riflettere su quello che sono patologie come l'Elettrosensibilità e la Sensibilità Chimica Multipla. Patologie che, nella loro forma più grave, ti tolgono tutto, salute, vita sociale, autonomia, soldi.... e non di rado anche gli affetti più cari. A tutto questo bisogna aggiungere l'omertà e l'indifferenza delle istituzioni che lasciano soli, abbandonati a loro stessi, questi malati.
E' un carico pesantissimo da sopportare e purtroppo non tutte le persone hanno la forza per sostenere un carico del genere. Com'è stato per M., com'è stato anche per altre persone.
Non dimentichiamoci di loro, non lo facciamo..... e dagli errori cerchiamo di imparare la lezione.

Marco

lunedì 2 aprile 2012

Francia, per difendersi dalle onde dei wi-fi due donne vivono in una caverna


Anne Cautain e Bernadette Touloumond soffrono di una rara forma di ipersensibilità che provoca loro forti mal di testa e bruciature

Hanno deciso di vivere in una grotta per sfuggire alle onde di internet e dei telefonini: succede in Francia dove due donne, Anne Cautain e Bernadette Touloumond, che soffrono una forma grave di elettro-ipersensibilità, hanno scelto una grotta sperduta delle Hautes-Alpes, regione del sud-est della Francia, senza riscaldamento né elettricità, per sfuggire ale onde del wi-fi e dei portatili.
Intervistata dall'agenzia France presse, una delle due donne, Anna Cautain, 55 anni, racconta come un giorno del 2009, mentre lavorava all'università di Nizza, ha visto la sua vita trasformarsi in quella di un "animale braccato". Per lei, tutto era buono per proteggersi dalle radiofrequenze, fonte di "insopportabili mal di testa", ma anche di "bruciature nel cranio e sulla pelle".

Alla fine ha scelto di ritirarsi nella grotta, dove è stata raggiunta da Bernadette Touloumond, parigina, ex hostess di 65 anni.

Insieme, le due donne chiedono oggi la creazione di "zone bianche", vale a dire luoghi dove non ci siano antenne. L'associazione Robin des Toits, che milita per il riconoscimento della malattia delle due donne, ritiene che ci siano solo qualche decina i casi di "estrema intolleranza", come la forma di elettro-sensibilità di cui sono malate le due donne, ma afferma che circa il 3% della popolazione francese ne soffrirebbe tuttavia in forma lieve.

«Nessuna prova scientifica prova un nesso tra l'esposizione alle radiofrequenze e l'ipersensibilità elettromagnetica», scrive in un rapporto del 2009 l'agenzia nazionale della sicurezza sanitaria, che non contesta tuttavia «la realtà del vissuto di queste persone». Oncologo all'università di Parigi, Dominique Belpomme, dice al contrario che studi clinici dimostrano gli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute. Il professore deplora tuttavia l'atteggiamento adottato dalle due donne: «Non ho dubbi sulle loro sofferenze, ma esistono trattamenti come gli antistaminici per alleviare il dolore. Certo, bisognerebbe che venissero a consultarmi».

«Mi sono già recata a Parigi, e ancora non mi sono ripresa a causa delle innumerevoli antenne», risponde dalla Anne, che preferisce curarsi con metodi naturali. Davanti alla grotta, le due donne - che rifiutano di essere bollate conme due «alternative» - conservano diverse cassette di zucche, pere e mele biologiche. «Quando mi sono ritrovata qui, non ci potevo credere», ricorda Bernadette, che per 25 anni ha fatto l'hostess su voli in partenza da Parigi, aggiungendo: «Mi hanno trattato da pazza, ho perso gran parte dei miei amici, la mia famiglia non riesce a capirmi. E oggi - conclude - so che non potrò più tornare in un museo».

29 ottobre 2011

FONTI: tgcom24.mediaset.it, caffetteriadellemore.forumcommunity.net










Inizio questo mese di aprile parlando di un tema che mi sta a cuore e di cui si parla veramente troppo poco: l'inquinamento elettromagnetico.
Quando si parla di inquinamento, si pensa immediatamente all'inquinamento atmosferico, a quello dei mari, dei fiumi, dei laghi, all'effetto serra.... ma quanto poco viene considerato quello elettromagnetico, causa di disagi per tante, tante persone, e la cui incidenza sulla salute dell'uomo è ancora in gran parte sconosciuta. Eppure al giorno d'oggi viviamo in una società letteralmente "sommersa" nelle onde elettromegnetiche e c'è veramente da stupirsi quanto poco sia studiata ed affrontata questa forma d'inquinamento, non meno deleteria rispetto ad altre fonti d'inquinamento maggiormente conosciute. E così, come per i malati di Sensibilità Chimica Multipla (MCS), ecco spuntare come sentinelle, persone malate di Ipersensibilità Elettromagnetica (EHS) in sempre maggior numero, come queste 2 signore francesi che hanno deciso di affrontare di petto la loro situazione andando a vivere nientemeno che in una grotta. Una scelta che per molti potrà sembrare estrema, ma quando veramente la salute ti abbandona allora si è disposti a fare realmente di tutto. E le 2 intraprendenti signore, almeno a giudicare dalle foto, sembrano essersi adattate molto bene a questa particolare forma di vita.
C'è tuttavia da augurarsi che si ponga un freno a questa particolare forma d'inquinamento, altrimenti casi come questo non saranno più l'eccezzione, ma la regola.

Marco