giovedì 7 ottobre 2021

Terapia genica anti-Sla: è la svolta? Una cura pare efficace

Dopo decenni di ricerca appaiono promettenti i primi risultati di un test internazionale per contrastare alcuni casi della malattia. Sabatelli (Centro Nemo): si apre una strada

«Siamo in attesa dei risultati finali di un trial internazionale di terapia genica che, per la prima volta, sembra dare speranza di cura contro la Sla». Nella 14° giornata nazionale promossa oggi dall’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla), è prudente ma fiducioso il neurologo Mario Sabatelli, direttore clinico del Centro Nemo di Roma (al Policlinico Gemelli), area adulti, docente di Neurologia alla facoltà di Medicina dell’Università Cattolica: «Si tratta della cura di una piccola fetta di pazienti che hanno una specifica mutazione, ma è un punto di svolta». E sulla Giornata, Sabatelli, presidente della Commissione medico-scientifica di Aisla, sottolinea: «Serve a sensibilizzare il pubblico e a far sentire meno soli i malati, alle prese con un carico di sofferenza enorme».

A che punto è la ricerca sulla Sla?

La Sla fa parte delle malattie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson, cioè malattie in cui alcuni gruppi di cellule muoiono senza una causa apparente (infezioni, ischemie, tumori). La causa è sempre stata cercata nell’ambiente, ma sono emerse solo ipotesi: si sa che ci sono fattori predisponenti come l’attività fisica intensa, il fumo di sigaretta, i pesticidi. Dagli anni Novanta si è cominciato a capire il ruolo della genetica: tutte le malattie neurodegenerative hanno una piccola quota (5-10%) in cui c’è una chiara familiarità, cioè sono forme ereditarie. Le altre sono forme sporadiche. Nella Sla sono stati scoperti quattro geni importanti, causa delle forme familiari. Poi si è scoperta una serie di alterazioni genetiche che non sono causa diretta come nelle forme ereditarie ma fanno da fattori predisponenti e che, messi insieme, determinano la malattia: rappresentano circa il 20% di tutte le forme sporadiche di Sla. Per il restante 80% la componente genetica viene ritenuta probabile, ma non è nota.

Quali possibilità di cura sono state esplorate?

Da quando è apparso chiaro il ruolo dei geni si è puntato anche sulla terapia genica, soprattutto dopo il successo ottenuto con un farmaco contro la forma 1 (la più grave) dell’Atrofia muscolare spinale (Sma), un’altra malattia neurodegenerativa che colpisce la stessa cellula lesa dalla Sla, cioè il motoneurone.

Che risultati sono stati ottenuti con la terapia genica?

Si è capito che nelle forme genetiche di Sla c’è un’alterazione del Dna e quindi dell’Rna (che copia il Dna) con sintesi di proteine che vengono quindi prodotte in forma mutata, tossica per la cellula. È stata individuata una trentina di geni sicuramente legati alla malattia, e in parallelo si sta sviluppando la terapia genica. Si cerca cioè di interferire con l’Rna, "spegnendolo", con conseguente riduzione della proteina mutata. L’esperimento più promettente riguarda una piccola fetta di pazienti, quelli che hanno la mutazione del gene Sod1 (uno dei quattro individuati come causa diretta della malattia). Attraverso una puntura lombare sono stati somministrati oligonucleotidi antisenso (Aso, nella sigla inglese) che vanno in circolo nel liquor e arrivano ai motoneuroni, dove si legano solo sull’Rna del gene alterato, come la chiave in una serratura. E così impediscono all’Rna di sintetizzare la proteina tossica.

I risultati?

Positivi in un primo studio su pochissimi pazienti con una forma aggressiva di malattia. L’esperimento è stato ripetuto su un numero più consistente, circa 100 malati (6 italiani): lo studio è terminato a luglio, attendiamo i risultati entro metà ottobre, ma la sensazione (e le notizie che corrono tra i ricercatori) fanno sperare nella conferma del risultato positivo. Sarebbe una svolta, anche se riguarda solo il 3% di tutti i pazienti. La mia speranza di ricercatore è di sviluppare una serie di altri trial partendo da questi risultati. La strada è lunga e complicata, però dobbiamo continuare a individuare nuovi geni per sviluppare queste terapie genetiche. Anche la possibilità di intervenire sul mancato smaltimento da parte delle cellule delle proteine anomale può rappresentare un obiettivo terapeutico.


di Enrico Negrotti

18 settembre 2021

FONTE: Avvenire

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