martedì 11 giugno 2019

«In quota mi sono disintossicata»


La rottura di un'otturazione aveva avvelenato l'organismo di Federica. Che per sopravvivere si è trasferita in montagna, dove ha ritrovato l'energia anche grazie allo sport

Si chiama Sensibilità Chimica Multipla. Per molti medici è una malattia immaginaria, un riflesso psicosomatico, per altri è la patologia del nuovo millennio, dovuta a una reazione abnorme dell'organismo alla presenza di determinati stimoli chimici. Su cosa sia, Federica Giobbe, 37 anni, non ha dubbi. «E' cominciato tutto quando avevo 17 anni e frequentavo il liceo a Milano, la mia città. Da settimane mi sentivo fiacca per un malessere diffuso, che partiva dall'intestino. Tutti mi ripetevano che avrei solo dovuto mangiare meglio, ma quel disturbo con il tempo ha preso anche lo stomaco, in modo tanto debilitante da costringermi a lasciare le competizioni di nuoto». Un colpo durissimo perché Federica a livello regionale era una campionessa. «Facevo un esame dopo l'altro, senza scoprire la causa dei miei problemi, che intanto peggioravano. Quando anche la milza e i reni sono stati coinvolti, sono diventata un caso clinico. Trascorrevo più tempo in giro per l'Italia tra specialisti, test e sperimentazioni che nelle aule dell'Accademia di Belle Arti di Brera, dove intanto mi ero iscritta. Il mio corpo non sapeva più difendersi dagli agenti patogeni. Mi dissero che forse era una malattia autoimmune. Allora, mi sono messa a studiare medicina da autodidatta. L'istinto mi diceva che qualcosa di innaturale aveva colonizzato il mio organismo e mi ostinavo nella ricerca delle cause della mia malattia». Ed è leggendo un libro di medicina del lavoro che Federica ipotizza cosa può esserle accaduto. Finalmente due specialisti confermano le sue tesi, indirizzandola verso le cure più adatte: «Ho scoperto di soffrire di MCS, Sensibilità Chimica Multipla, scatenata dall'amalgama di un'otturazione fatta da ragazzina e che si era rotta proprio quando avevo 17 anni. Così, una volta entrati in circolo, i metalli pesanti contenuti nelle otturazioni, mercurio e piombo su tutti, hanno intaccato tutti gli organi interni».

LONTANA DA POLVERI SOTTILI E POLLINI

Federica comincia così un lungo recupero fatto di visite di controllo ed estremo rigore nella vita quotidiana. I medici le consigliano di trasferirsi in alta montagna, sopra i 1500 m di quota, lontana da polveri sottili, pollini e tutto quanto potrebbe aggredire il suo debole sistema immunitario. «Non potevo prendere pillole, perché il mio corpo non sopportava i medicinali, così come i conservanti, i cosmetici, il fume delle sigarette e le esalazioni delle vernici. Quando sono entrata nella mia prima casa in Trentino Alto Adige, soffrivo ancora di crisi improvvise e tremori, pesavo solo 42 Kg e dovevo appoggiarmi a un bastone per camminare. Per ricominciare a vivere, avevo bisogno prima di tutto di disintossicarmi dai metalli pesanti, di ripulire il mio corpo, e l'unico rimedio consisteva nel passare più tempo possibile nel bosco per ossigenarmi. All'inizio mi facevo accompagnare e mi bastava stare seduta per ore su una panchine. Poi, adagio adagio, ho ripreso a camminare da sola fino ad avventurarmi su sentieri di montagna sempre più impegnativi. L'efficacia della disintossicazione era proporzionata alle mie “performance”, che miglioravano progressivamente. Ogni giorno mi ponevo nuovi obiettivi: camminare più a lungo, arrivare fino a un rifugio». Giorno dopo giorno, Federica sente che con il movimento il suo corpo rinasce ed è uno stimolo che la spinge ad allenarsi con costanza, e con la guarigione come traguardo finale. Quando fare trekking non le basta più, si iscrive ad un corso di arrampicata, quindi si mette alla prova anche nella corsa. D'inverno, invece, spinta dagli amici che le danno dritte sulla tecnica, inizia a praticare sci di fondo e si iscrive addirittura alla Marcialonga, la celebre gara che si snoda lungo 72 km tra le valli di Fiemme e Fassa, in Trentino. «Avevo però iniziato da poco a sciare e l'impegno si è fatto sentire; mi sono ritirata che non ero arrivata nemmeno a metà percorso. Ma non mi importava: l'emozione di indossare il pettorale e di partire insieme a migliaia di altri atleti mi ha dato una botta di autostima e di adrenalina che mi hanno spinta ad avere fiducia nella capacità di recupero del mio corpo».

ORA PENSA AL NUOTO AGONISTICO

Un corpo che infatti non l'ha delusa. «I medici mi hanno sempre detto che molto raramente questa patologia regredisce, ma a me è successo. Oggi abito in un paese a 1000 m di quota e ho una vita quasi normale. Non riesco ancora a passare molto tempo in un ufficio con moquette, polveri e aria condizionata, ma lo stato della malattia, che all'inizio era a livello 3, è a livello 1 e ambisco allo zero. L'attività fisica è diventata parte della mia quotidianità e il mio prossimo traguardo è tornare alla mia prima grande passione: il nuoto, inclusa qualche gara in piscina».

di Enrica Maria Carne

FONTE: Starbene

1 commento:

  1. Sono felice che ce l'hai fatta. L'ambiente è importantissimo e anche la volontà di farcela. Vorrei tanto anch'io ad abitare in montagna!! Flavia M.C.S elettrosensibile. Un bacio

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