sabato 3 marzo 2018

“La mia vita con la fibromialgia” (la stessa malattia di Lady Gaga!)


Cecilia si racconta. Una donna magnifica, che vive con regalità, creatività e fede una prova davvero estenuante.

Cecilia Mazzeo Orlandi, 40 anni, un marito, due figli, vive a Bologna, scrittrice e blogger.

L’ho incontrata sui social. Difficile non notarla e non restare colpiti dalla sua bellezza, femminilità e dal suo dolore. Con lei ho preso maggiore confidenza con il nome e le tante facce, tutte brutte, di una malattia non ancora abbastanza riconosciuta. Nemmeno il programma di videoscrittura la vuole tra i piedi, insiste a segnarla in rosso: la fibromialgia. Per il dizionario è: “Sindrome caratterizzata da dolore e rigidità muscolare diffusi, spesso associati a cefalea, astenia, disturbi dell’umore e del sonno”. Sì, ora ci sono anche star dello showbiz internazionale che ne parlano per sensibilizzare sul tema, ne siamo contenti. Grazie anche a Lady Gaga.

Ma noi abbiamo una storia intensa e vera, dove la protagonista è una donna normale e meravigliosa e non la sua malattia.

Ho chiesto a Cecilia di raccontarci di sé e di questa importuna, sebbene non sterile, compagna di vita.

Sembrerà anche voi, leggendo le sue parole, di veder sbocciare florilegi e decori argentati, foglioline dentellate e ramoscelli ritorti attorno alle iniziali della prima pagina di un libro miniato? Seguiteci.

Cara Cecilia, la prima cosa che ti chiedo è come stai. Ma potrebbe pure essere l’unica!

Come stai? Che bella domanda, che dolce suono! Ci si dimentica spesso di chiederlo e soprattutto di ascoltare la risposta. Mi capita di rispondere con questa immagine sul mio stato: “sto come una in bilico tra i morsi agli inferi e la risalita tachicardica verso la luce!”. Il dolore cronico è una lotta quotidiana, a partire da tutte quelle piccole cose che per gli altri sono banali e ordinarie. Il dolore cronico sfibra, svuota, sfinisce, ti fa scavare a mani nude nel tuo io più profondo. Ti mette alla prova, ti pone dei limiti che devi imparare ad accettare, ma paradossalmente ti fa “mettere a fuoco” ciò che conta, regala una specie di terzo occhio che sa essere contemporaneamente compassionevole e feroce.

Quando hai scoperto di soffrire di fibromialgia?

L’ho scoperto all’incirca una decina di anni fa, due anni dopo la nascita di Maria Sole – la mia secondogenita, ma chissà che non fosse già latente in me, accucciata nelle fibre muscolari, fin dal mio primo vagito! Ci sono ancora teorie confuse e contraddittorie circa la sua origine.

Ho letto che colpisce principalmente le donne. Cosa sai tu al riguardo? Qual è la ragione di questa sgradita preferenza?

Sì, pare che colpisca soprattutto le donne con un rapporto di 5 a 1. Credo che questa preferenza sia da imputare alla variabilità ormonale che ci caratterizza. Variabilità che ci espone in maniera differente a ogni tipo di stress: organico e non. Poeticamente mi piace dire che la donna, nella sua immagine archetipica di “madre che accoglie”, sia biologicamente ed emotivamente più predisposta alla permeabilità, alla vulnerabilità e allo stato di allerta. Ecco, nella fibromialgia l’allerta non si spegne mai, rimane acceso l’interruttore centrale d’allarme e le connessioni vanno in tilt, mandando informazioni sbagliate.

Mi dicevi che nel tuo caso, non l’unico, è direttamente correlata alla endometriosi. Raccontaci un po’ il percorso diagnostico.

E’ una storia lunga la mia, che comincia lontano, a 19 anni, ma forse addirittura prima, con tanti sintomi che non erano stati capiti. Venivano scambiati per colite, per somatizzazione, per appendicopatia e, invece, ero affetta da endometriosi.
Mi è stata diagnosticata appunto a 19 anni dopo una colica tremenda. Fui operata pochi mesi dopo la diagnosi. A intervento finito il chirurgo venne nella mia stanza e disse a me e al mio ragazzo (marito da 17 anni): “Non so cosa vogliate fare voi da grandi: fare carriera, viaggiare, divertirvi; ma sappiate che tutto questo tempo non l’avete! Ho fatto del mio meglio, ho ripulito bene, ma se volete diventare genitori vi consiglio di non aspettare troppo.” Quelle parole, “non avete tempo”, furono un calcio nel cuore. Avevo tanti sogni artistici e creativi nel cassetto, tanti talenti ed ero anche confusa su quale fosse il talento giusto da coltivare, ma in quella confusione, quel aut aut ebbe sì l’effetto di un calcio sulle prospettive umane, ma anche quello di una luce potentissima, di un faro abbagliante.

Non mi ci volle molto per capire che l’unica cosa che in fondo volevo davvero era diventare madre. Col senno di poi mi è capitato di pensare: “e se questo fosse stato un dono? Se io avessi messo al primo posto la mia realizzazione e avessi perso tempo, ora Samuele e Maria Sole, non ci sarebbero? Ho pensato che in quel dolore e in quei tagli potesse esserci una specie di “chiamata”, un raccordo anulare Divino nel traffico dell’anima. Ché, a volte, nelle cose degli uomini ci si perde e certi inciampi in realtà potrebbero essere una protezione, una rivelazione, una manna.

di Paola Belletti

14 settembre 2017

FONTE: Aleteia

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