giovedì 28 febbraio 2013

Roma, muore di Sla aspettando un pc che gli avrebbe permesso di comunicare. Il padre: «Sconfitto dalla burocrazia»

Leandro Rambelli: «A ottobre chiesto il dispositivo per aiutarlo a scrivere sul pc: mi hanno detto che non c'erano soldi. Oggi Andrea è morto»


ROMA - Non poteva far sapere se provava dolore o aveva fame. Il buio pesto della malattia gli aveva lasciato solo un ricordo della libertà, la possibilità di muovere un indice. Il silenzio delle parole poteva essere interpretato solo dal linguaggio del cuore della famiglia: mamma, papà, i due fratelli e la fidanzata erano andati a scuola di dolore per imparare a intuire cosa significasse quella smorfia, quella piccola piega che nasceva sotto un labbro.

Andrea Melone, 41 anni, romano, tre anni fa aveva scoperto di essere malato di SLA. Un metro e novanta di vita, sorrisi e sogni immobilizzati in un letto da un mostro che non conosce pietà. Aveva combattuto con dignità, chiesto al padre, finché ha potuto, di battersi per le anime chiare come le sue che piano piano precipitano nel doloroso silenzio di corpi sconfitti dall'incubo della SLA.

Andrea ha combattuto fino alla fine, fino all'ultimo respiro, oggi. Non ha potuto neanche salutare la vita e la famiglia, a parte quel battito di ciglia. Aveva smesso di parlare a ottobre dello scorso anno. Il papà aveva iniziato le pratiche per chiedere un puntatore oculare, un dispositivo medico che consente di comunicare con il computer. Diecimila e cinquecento euro per continuare a far sapere al mondo che Andrea c'era ancora, Andrea aveva fame, sete, aveva paura, Andrea voleva un abbraccio.

Ma quei soldi le istituzioni non le avevano, «i soldi non ci sono più» dicevano i burocrati. Oggi Andrea ha smesso di battere anche le ciglia e il papà ha deciso di portare avanti la sua battaglia: «Devo perseguire il desiderio di mio figlio, lottare per il futuro dei malati di SLA affinché da questa falsa e ipocrita società possano trarre benefici».

La storia di Andrea la racconta Leandro Rambelli, 62 anni, pensionato, secondo l'anagrafe marito della mamma di Andrea, secondo le ragioni del cuore, semplicemente il papà del ragazzone di quasi due metri morto oggi. «A ottobre, non appena Andrea ha smesso di parlare – racconta Leandro – ho iniziato la procedura per ottenere il puntatore oculare: l'ospedale dove era in cura, il Policlinico Umberto I, ha inviato la richiesta alle strutture preposte dalla Regione a fare le verifiche e a stanziare i fondi per il dispositivo. Una cooperativa ha compiuto un sopralluogo in casa per capire che tipo di supporto servisse. Poi la richiesta finale all'ospedale San Filippo Neri, struttura accredita dalla Regione all'acquisto dell'apparecchio».

A dicembre Leandro chiama il San Filippo Neri
e arriva la risposta: «Siamo desolati, non abbiamo fondi per comprare il puntatore oculare per suo figlio – racconta Leandro - La signora al telefono è stata molto gentile, era commossa, mi ha detto che se avesse potuto avrebbe dato lei i soldi necessari». Ma quei soldi, quei diecimila euro per far tornare a “parlare”, anche se su uno schermo di un pc, Andrea non c'erano proprio.

Poi qualcosa è cambiato: «La Regione – continua Leandro - ha emesso una delibera per lo stanziamento dei fondi, il 31 gennaio i soldi sono stati trasferiti, ma ancora oggi, oggi che mio figlio è morto, quel supporto non è ancora arrivato».

Storia di dolore, di burocrazia, di crisi, storia di un papà che non vuole smettere di combattere. Leandro racconta: «Ci sono voluti tredici mesi per avere la pensione di invalidità, novanta giorni per far riconoscere dal Tribunale mia moglie come amministratore di sostegno, ossia delegata a firmare al posto di Andrea che non riusciva più a muovere neanche una mano».

Andrea ha sempre lavorato, prima come guardia giurata, poi come operatore ecologico all'Ama: «Amava il suo lavoro e la sua divisa – dice il papà - dopo diciotto mesi di malattia ha perso il lavoro come prevede la legge, abbiamo chiesto l'aspettativa anche se sapevamo che Andrea non sarebbe più tornato a indossare quella divisa proprio perché per lui era importante continuare a sentirsi parte del gruppo dell'Ama».

Leandro parla anche di quei soldi che la Regione Lazio a dicembre ha stanziato per i malati di SLA:
«Oltre nove milioni di euro: mio figlio era residente ad Ardea, ho chiesto più volte al Comune di Pomezia quando potessero essere impiegati quei fondi e la risposta è stata sempre la stessa: “Non sappiamo ancora come devono essere gestiti”».

«Intanto – dice il papà di Andrea - mio figlio è morto,
ma la mia battaglia continua per tutte le persone come lui, per tutti quei malati che devono poter morire con dignità».

di Laura Bogliolo 


23 Febbraio 2013
Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Febbraio

FONTE: ilmessaggero.it
http://www.ilmessaggero.it/roma/storie/morto_sla_roma_andrea_melone/notizie/253887.shtml


Vicende come queste riempiono sempre di dolore.
E' mai possibile che, a causa della crisi, non si riescano a trovare i soldi per fornire presidi di così grande importanza,
come nel caso di Andrea, di un puntatore oculare che gli avrebbe permesso di comunicare attraverso gli occhi? Quanta e quale importanza per un malato di SLA, impossibilitato a fare tutto a causa della sua tremenda malattia, è quella di poter comunicare con i propri cari per poter dire anche un semplice "ti voglio bene". E invece no, e invece nulla di tutto questo..... e intanto gli sprechi continuano, le spese non così necessarie anche, e chi fa il "furbetto" e non paga le tasse come dovrebbe, per mancanza di controlli, la fa sempre franca. E a rimetterci sono sempre gli stessi: gli onesti, i poveri, i malati e gli anziani. 
E' ora che le istituzioni si sveglino e cambino le priorità. E' ora di mettere in cima alla lista delle cose da fare, operazioni di civiltà e Amore come queste. E' ora che il buon senso e il cuore prevalgano sulle ragioni
esteriori, che servono solo per accattivarsi il consenso della gente (ma non di tutti) per tenersi ben stretta la "poltrona". E' ora di comportarsi da paese veramente civile !

Marco
 

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