lunedì 17 gennaio 2011

OGM (Organismi Geneticamente Modificati). Che cosa sono ?

Definizione di OGM

Con il termine Organismo Geneticamente Modificato (OGM) si intendono soltanto gli organismi in cui parte del genoma sia stato modificato tramite le moderne tecniche di ingegneria genetica. Non sono considerati "organismi geneticamente modificati" tutti quegli organismi il cui patrimonio genetico viene modificato a seguito di processi spontanei (modificazioni e trasferimenti di materiale genetico avvengono infatti in natura in molteplici occasioni e tali processi sono all'origine della diversità della vita sulla terra), o indotti dall'uomo tramite altre tecniche che non sono incluse nella definizione data dalla normativa di riferimento (ad esempio con radiazioni ionizzanti o mutageni chimici). L’ingegneria genetica (OGM) riguarda spesso geni e dunque proteine che non fanno parte del consumo alimentare tradizionale (ad esempio se nel grano con cui facciamo pane, pasta ecc... viene trapiantato un gene provienente da uno scorpione o da una petunia o da altri organismi finora mai utilizzati nell’alimentazione).

Gli OGM vengono spesso indicati come organismi transgenici: i due termini non sono sinonimi in quanto il termine transgenesi si riferisce all'inserimento, nel genoma di un dato organismo, di geni provenienti da un organismo di specie diversa. Sono invece definiti OGM anche quegli organismi che risultano da modificazioni che non prevedono l'inserimento di alcun gene (es. sono OGM anche gli organismi dal cui genoma sono stati tolti dei geni), così come gli organismi in cui il materiale genetico inserito proviene da un organismo "donatore" della stessa specie. In questo secondo caso alcuni studiosi parlano di organismi cisgenici.

Tecniche principali

Ai fini della definizione di OGM data dalla Direttiva 2001/18/CE, sono considerate tecniche che hanno come risultato un organismo geneticamente modificato:

1. tecniche di ricombinazione del materiale genetico che comportano la formazione di nuove combinazioni mediante l'utilizzo di un vettore di molecole di DNA, RNA o loro derivati, nonché il loro inserimento in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono replicarsi in maniera continua;
2. tecniche che comportano l'introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la macroiniezione e il microincapsulamento;
3. fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) o tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule, utilizzando metodi non naturali.
Sono esclusi dalla definizione gli organismi ottenuti per mutagenesi o fusione cellulare di cellule vegetali di organismi che possono scambiare materiale genetico anche con metodi di riproduzione tradizionali, a condizione che non comportino l'impiego di molecole di acido nucleico ricombinante.

Tecniche di miglioramento genetico che non portano alla creazione di un OGM

La modificazione del genoma degli esseri viventi da parte dell'uomo è una pratica antichissima. Essa può essere fatta risalire a circa 14.000 anni fa con l'addomesticamento del cane. Le modificazioni genetiche indotte in tal modo sono state però in larga parte inconsapevoli ed è solo a partire dalla prima metà del 1900 che l'uomo ha preso coscienza dell'effetto a livello genetico indotto dai propri programmi di selezione.

I metodi utilizzati tradizionalmente per modificare il patrimonio genetico degli esseri viventi sono essenzialmente due: la mutagenesi e l'incrocio.

La mutagenesi è un fenomeno che è strutturalmente presente, anche se a bassa frequenza, in tutti gli esseri viventi ed è basato sulle imprecisioni o gli errori di replicazione del genoma durante i processi di divisione cellulare. Le mutazioni vengono poi sottoposte a selezione o dall'ambiente o dall'uomo e se vantaggiose vengono mantenute nella popolazione. Nei programmi di miglioramento genetico, la frequenza con cui avvengono queste mutazioni viene generalmente amplificata utilizzando radiazioni o agenti chimici mutageni. Le mutazioni, che possono interessare una singola base del DNA o anche intere porzioni di cromosomi (inserzioni, traslocazioni, duplicazioni e delezioni), hanno portato nel tempo ad evidenti modifiche fenotipiche negli esseri viventi (si pensi alla diversità tra le varie razze canine). L'uomo, nei secoli, ha sfruttato la variabilità prodotta dalle mutazioni (quale ad esempio l'incapacità di perdere i semi da parte della spiga del frumento) per selezionare e costruire molte cultivar e razze animali oggi fondamentali per la sua sopravvivenza. Un esempio storico di mutazioni indotte dall'uomo ai fini del miglioramento genetico è rappresentato dalla varietà di frumento "Creso", ottenuto per irradiazione dall'ENEA. Esso è stato negli anni ottanta una delle varietà di punta per la produzione di pasta (circa 1 spaghetto su 4) ed è oggi uno dei genitori delle attuali varietà commerciali. Un altro esempio è dato dalla differenza tra mais giallo e mais bianco che è riconducibile alla mutazione di un singolo gene.

L'incrocio è invece una tecnica che permette di unire le caratteristiche presenti in due individui diversi, anche non appartenenti alla medesima specie, grazie al rimescolamento dei loro genomi sfruttando la riproduzione sessuale. In tal modo sono stati prodotti il mulo o il bardotto, ma anche gli ibridi oggi utilizzati per le produzioni animali e vegetali. Il vantaggio di tale tecnica è la possibilità, una volta identificata fenotipicamente una caratteristica di interesse in una razza o in una varietà (ad esempio la resistenza ad una malattia), di trasferirla in un'altra attraverso incroci mirati.

La differenza sostanziale tra queste due tecniche di miglioramento genetico e l'ingegneria genetica (alla base dello sviluppo degli OGM) sta nella modalità con cui l'uomo induce le modificazioni genetiche. Nel caso della mutazione o dell'incrocio viene infatti effettuata una selezione fenotipica, in base a caratteristiche visibili, all'interno di popolazioni molto grandi (alcune decine di migliaia nelle piante e alcune centinaia negli animali).

Nell'ingegneria genetica invece è possibile "progettare" deterministicamente la modifica genetica da effettuare. Inoltre, una volta ottenuto un certo numero di organismi geneticamente modificati, essendo questi geneticamente distinguibili dagli altri, possono venire selezionati genotipicamente, ovvero in base alle loro caratteristiche genetiche, e non più unicamente fenotipicamente come accade invece per le tecniche tradizionali, per le quali non è possibile conoscere a priori le modificazioni genetiche indotte.

Storia

Il primo OGM moderno fu ottenuto nel 1973 da Stanley Cohen (Stanford University School of Medicine) e Herbert Boyer (University of California, San Francisco). I due ricercatori, grazie all'uso combinato delle nuove tecniche di biologia molecolare che si stavano sviluppando in diversi laboratori, come l'uso dell'enzima ligasi (1967), degli enzimi di restrizione e della trasformazione batterica (1970-72), riuscirono per primi a clonare un gene di rana all'interno del batterio Escherichia coli, dimostrando che era possibile trasferire materiale genetico da un organismo ad un altro tramite l'utilizzo di vettori plasmidici in grado di autoreplicarsi, abbattendo di fatto le barriere specie-specifiche.

Questi risultati ebbero un tale impatto da indurre la comunità scientifica ad autoimporre nel 1974 una moratoria internazionale sull'uso della tecnica del DNA ricombinante per valutare la nuova tecnologia ed i suoi possibili rischi. Quello stesso anno fu la Conferenza di Asilomar, tenutasi a Pacific Grove (California) a concludere che gli esperimenti sul DNA ricombinante potessero procedere a patto che rispettassero severe linee guida, poi redatte dai National Institutes of Health (NIH) ed accettate dalla comunità scientifica. Queste linee guida, pubblicate per la prima volta nel 1976 e successivamente aggiornate, sono tuttora seguite dai laboratori che effettuano esperimenti di trasformazione genica.

Dal 1976 ad oggi gli OGM sono passati dallo stato di mera possibilità tecnologica ad una realtà. Si sono dovuti attendere infatti solo due anni da Asilomar per avere il primo prodotto ad uso commerciale derivato da un OGM. La Genentech, fondata da Herbert Boyer, è riuscita infatti a produrre attraverso E. coli importanti proteine umane ricombinanti: la somatostatina (1977) e l'insulina (1978), il farmaco biotecnologico più noto, che è stato commercializzato a partire dal 1981. La commercializzazione dell'insulina ha segnato un cambiamento epocale per l'industria del farmaco, aprendo il settore biotecnologico (precedentemente confinato nei laboratori di ricerca) all'industrializzazione, e rivoluzionando il processo di drug discovery e lo sviluppo di nuove terapie non invasive.

Poco dopo lo sviluppo dell'insulina ricombinante, nel 1983 si ebbe negli Stati Uniti la prima battaglia sul rilascio nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. Al centro del dibattito la sperimentazione dei cosiddetti batteri ice-minus, una variante di Pseudomonas syringae incapace di produrre la proteina di superficie che facilita la formazione dei cristalli di ghiaccio. I ricercatori della Advanced Genetic Sciencies e della University of California, Berkeley svilupparono questa variante allo scopo di introdurla nel terreno per proteggere le piante dal gelo. La richiesta di effettuare esperimenti in campo aperto con questo OGM scatenò una forte contestazione da parte degli ambientalisti. Solo dopo una battaglia legale durata tre anni, nel 1986 i batteri ice-minus furono i primi OGM ad uscire dai laboratori ed essere introdotti nell'ambiente. Pochi anni dopo si scoprì che questa variante esisteva anche in natura e l'azienda detentrice del brevetto, visto il contesto non favorevole agli OGM, decise di proseguire gli esperimenti solo sulla variante naturale. Gli ice-minus ricombinanti non vennero mai commercializzati .

Dopo più di 30 anni dalla Conferenza di Asilomar, all'alba del XXI secolo si conoscono molte delle potenzialità e dei limiti di questa tecnologia e, in molti casi, si dispone dei protocolli di gestione necessari a consentirne una applicazione in sicurezza. In particolare il Protocollo di Cartagena, ratificato nel 2000, si pone come strumento internazionale per la protezione della biodiversità dai possibili rischi derivanti dalla diffusione dei prodotti delle nuove tecnologie.

Ad oggi la tecnica del DNA ricombinante è stata utilizzata non solo per la produzione di nuovi farmaci, ma anche di enzimi per ridurre l'impatto ambientale dell'industria, piante e animali con caratteristiche migliorative in termini di resistenza alla malattie o di performance produttive e ambientali, ma anche organismi quali l'oncotopo, usato nella ricerca sul cancro, che hanno portato con sé importanti quesiti etici oltre ad aver aperto la strada a dispute per l'uso a fini sperimentali o commerciali delle innovazioni scientifiche. La possibilità di brevettare gli OGM ha acceso un forte dibattito sulla proprietà intellettuale delle risorse genetiche del pianeta e sulla liceità di una ricerca e di un'industria che non si ponga anche dei limiti etici o che non sappia mettersi in ascolto delle domande presenti nell'opinione pubblica creando consenso attorno alle proprie iniziative di ricerca e business. Non da ultimo esistono perplessità sulla creazione di essere umani geneticamente modificati.

La commercializzazione degli OGM sta conquistando anche altri tipologie di mercati: nel 2003 a Taiwan furono venduti i primi animali OGM a scopo domestico: si trattò di un centinaio di pesci d'acquario resi fluorescenti tramite l'inserimento di geni di medusa. Nel dicembre 2003 la vendita di pesci fluorescenti è stata permessa anche negli Stati Uniti, dopo che la Food and Drug Administration dichiarò la non rilevanza a scopi alimentari di questi pesci, mentre è tuttora vietata la loro introduzione in Europa.

Produzione di OGM

Oggi sono presenti sul mercato unicamente OGM che presentano modifiche circoscritte a caratteri di natura mendeliana, ovvero caratteri facilmente controllabili tramite l'inserimento di uno o pochi geni che servono a fornire direttamente una data caratteristica (es. resistenza a una malattia). L'esponenziale aumento di informazioni rese disponibili nell'ultimo decennio dalla genomica consente però di mettere a punto organismi che presentino modifiche genetiche molto complesse su caratteri quantitativi (es. resistenza agli stress, produzione).

Come detto, gli OGM vengono ottenuti attraverso l'uso di tecniche di ingegneria genetica che permettono di inserire, all'interno del genoma di un organismo, frammenti di DNA provenienti anche da altri organismi. Il DNA così ottenuto è definito DNA ricombinante. I frammenti di DNA da inserire vengono estratti dal genoma di origine attraverso l'uso di enzimi di restrizione, che funzionano come vere e proprie forbici molecolari, e inseriti in un vettore ricevente grazie ad un altro enzima: la DNA ligasi. I vettori possono essere sia piccole molecole circolari di DNA, i plasmidi che possono accogliere frammenti fino a circa 15.000 paia di basi, sia alcune strutture derivate da virus, in grado di contenere quantità maggiori di materiale genetico (fino a circa 70.000). Esistono inoltre vettori che rappresentano dei veri e propri cromosomi artificiali ad esempio in lievito (noti come YAC, dall'inglese Yeast Artificial Chromosomes) o in batteri (BAC, Bacterial Artificial Chromosomes) che permettono l'inserimento di oltre 300.000 paia di basi - cioè oltre lo 0,01% del genoma di un mammifero.

Classi di OGM

Procarioti
Per inserire nuovi frammenti di DNA negli organismi si usano dei "vettori". I vettori sono generalmente piccole molecole circolari di DNA, i plasmidi, o strutture derivate da virus in grado di immagazzinare materiale genetico.

Sono tre i processi attraverso cui è possibile modificare il genoma batterico.

1 La trasformazione batterica è un processo, osservabile in natura, attraverso il quale alcuni procarioti (detti competenti) sono in grado di ricevere del DNA esterno in grado di produrre nuove caratteristiche di fenotipo. Questo fenomeno fu scoperto nel 1928 da Frederick Griffith ma venne confermato solo nel 1944. La biologia molecolare si è servita dei batteri competenti per studiarne i meccanismi. Oggi sono state sviluppate alcune tecniche, per quanto molto empiriche, in grado di rendere competenti anche batteri che non lo sono naturalmente. È stato dimostrato, infatti, che l'ingresso di DNA è ampiamente facilitato dalla presenza di certi cationi, come Ca2+, o dall'applicazione di una corrente elettrica (tecnica detta della elettroporazione). I vettori utilizzati nelle trasformazioni sono essenzialmente plasmidi: in seguito all'ingresso, i plasmidi non si integrano nel genoma, ma rimangono autonomi (in uno stato detto episomale).
2 Nella coniugazione batterica, il DNA è trasferito da un batterio all'altro attraverso un pilum (concettualmente un tubo che può collegare per breve tempo i due batteri). Un plasmide può essere così trasferito da un organismo all'altro. La coniugazione, molto frequente in natura, è poco sfruttata come tecnica di modificazione genetica.
3 La trasduzione è infine l'inserimento di materiale genetico nel batterio attraverso un virus batteriofago.

Per inserire il segmento di DNA che codifichi il gene voluto, è necessario conoscere la funzione dei geni su cui si sta operando. Nei batteri, è relativamente semplice identificare la funzione di un gene specifico: i ricercatori a tale scopo sono soliti realizzare dei ceppi batterici cosiddetti knock out. In questi ceppi viene eliminato il DNA relativo al gene d'interesse: osservando le conseguenze sulla vita del batterio, è possibile identificare la funzione del gene stesso.

L'uso di knock out è molto diffuso, non solo per i procarioti. È possibile realizzare knock out in numerosi organismi modello. Il gene responsabile della fibrosi cistica, ad esempio, è stato individuato in topi knock-out: una volta individuato il presunto gene della fibrosi cistica (chiamato CFTR) nell'uomo, i ricercatori hanno individuato l'omologo nel genoma del topo, ne hanno fatto un knock out verificando poi che senza tale gene il topo presentava tutti i sintomi clinici della malattia.

Perchè le piante OGM ?

I vegetali geneticamente modificati sono nati per venire incontro alle esigenze degli agricoltori che praticano coltivazioni industriali. Non a caso le prime piante transgeniche non sperimentali sono state messe a punto da aziende biotecnologiche statunitensi per la realtà agricola degli stati centrali del continente americano, considerati il granaio del mondo: Texas, Illinois, Kansas, Missouri, Iowa. In queste regioni l’ampiezza media di una azienda agricola è 1000 ettari. Ciascun singolo campo ha l’estensione di un’intera azienda italiana di grandi dimensioni: da 80 a 100 ettari. E non ci sono barriere geografiche (come montagne o corsi d’acqua) a isolare tra loro le parcelle.

In situazioni come queste un parassita, o una pianta infestante, può trovare le condizioni migliori per moltiplicarsi indisturbato. A meno che non venga trattato opportunamente con antiparassitari e diserbanti, che però sono prodotti costosi e, alla lunga, tossici. Inoltre i terreni della regione americana dove più si concentra la coltivazione di cereali e soia, sono molto poveri di sostanza organica, dunque di batteri e microrganismi che provvedono alla degradazione dei residui.

I vegetali transgenici sono quindi stati ideati con il proposito di ridurre la spesa per i pesticidi e per i diserbanti. Negli Stati Uniti viene coltivato oltre l’80 % delle piante transgeniche create finora, sono resistenti ai diserbanti. I produttori di sementi stimano che, coltivando una soia resistente ai diserbanti, gli agricoltori possano risparmiare fino al 40 % dei costi.

I diserbanti sono prodotti chimici (carbammati, denoli, triazine), che "bruciano" i tessuti vegetali e distruggono le piante infestanti. Vengono sintetizzati in modo da agire su alcuni tipi di piante e non su altre: il gliphosate (N-fosfonometilgicina), è per esempio efficace sul convolvolo, che si arrampica sugli steli e ruba spazio e luce alla coltura principale. Risparmia invece la soia. Parte del raccolto però va lo stesso perduto, perché non tutti i diserbanti sono così selettivi e del tutto innocui per la pianta in produzione.

La soia transgenica al gliphosate (commercialmente noto come Roundup) contiene un gene batterico che le conferisce resistenza. Il 30 % circa delle piante transgeniche viene modificato per resistere agli insetti. Significa che non può essere danneggiato da parassiti animali. Uno dei principali nemici del mais è per esempio la larva di piralide. Scava lunghe gallerie all’interno del fusto, che si indebolisce e si spezza, e della pannocchia, col risultato che non tutti i chicchi vanno a maturazione.

Le piante transgeniche resistenti agli insetti contengono quasi nella totalità geni che provengono dal Bacillus thuringensis . E’ un batterio che produce una proteina che agisce sui tessuti intestinali, li spappola e uccide le larve. La proteina Bt pura viene utilizzata anche dagli agricoltori che praticano lotta biologica: estratta da colture di Bacillus, e cristallizzata, viene poi sparsa sui campi. In questa versione è un prodotto innocuo, che agisce esclusivamente sull’insetto dannoso.

Il 10 % circa delle coltivazioni transgeniche è resistente ai virus. L’esempio più interessante è quello del tabacco, la prima coltivazione transgenica praticata in larga scala. Questa pianta è soggetta al virus del mosaico, che ingiallisce le foglie e ne impedisce la funzione clorofilliana. Il gene inserito la rende resistente.

Meno dell’1 % delle piante transgeniche ha caratteristiche nutrizionali particolari, La sperimentazioni effettuata finora è stata rivolta soprattutto alla possibilità di inserire nelle patate e nelle banane geni che consentono di vaccinare una popolazione senza dover ricorrere a farmaci.

Perchè gli animali OGM ?

Dopo le piante è stata la volta degli animali. Utilizzando le stesse tecniche di manipolazione dei geni che vengono impiegate per i vegetali, si è scoperto che era possibile intervenire anche sul Dna di organismi più complessi, cominciando dai batteri fino ai mammiferi superiori. Modificare alcune caratteristiche degli animali per renderli più "redditizi" dal punto di vista del mercato alimentare, è un’idea che sta guidando numerosi progetti, già in fase sperimentale, soprattutto nel campo dell’ittiocoltura.

Un altro settore, sempre in ambito zootecnico, su cui si concentra l’interesse dei ricercatori è la produzione di animali resistenti alle infezioni, allo scopo di ridurre l’impiego di antibiotici negli allevamenti. Tuttavia la complessità degli animali superiori rende la manipolazione genetica molto più difficile, e quindi più costosa, di quella relativa ai vegetali, una constatazione che, almeno fino a oggi, ha frenato quei massicci investimenti sulla produzione alimentare che si sono visti, invece, nelle applicazioni agricole.

Gli animali transgenici sono tuttora un terreno privilegiato per la ricerca bio-medica, mentre l’industria zootencica se ne sta in disparte, attendendo sviluppi. Vengono definiti bio-reattori quegli organismi, che siano piante o animali, i cui geni sono stati modificati al fine di produrre farmaci o proteine umane. L’Università del Maryland sta sperimentando su alcuni volontari una patata in cui è stato inserito un gene che stimola il sistema immunitario umano a combattere i parassiti intestinali. Allo stesso modo gli animali vengono modificati con l’obiettivo di fargli esprimere un farmaco o una proteina umana direttamente nel latte.

La pecora Dolly, primo esempio di clonazione animale, è nata proprio nell’ambito di un progetto di questo genere, un esperimento che comincia a dare i suoi frutti se si pensa che dal latte di alcuni conigli trangenici viene già estratta l’interleuchina-2, una proteina umana implicata nella regolazione del sistema immunitario che viene somministrata ai malati di cancro, mentre dal latte di capra si ricava l’attivatore tissutale del plasminogeno, una scioglie i coaguli del sangue. Viene somministrato agli infartuati.

Un altro settore in fase di avanzata sperimentazione è quello degli xenotrapianti, come vengono definiti i trapianti fra specie diverse. Si tratta di produrre animali transgenici modificati per renderli donatori d’organi compatibili con gli esseri umani.

In questi animali vengono inseriti alcuni frammenti di genoma umano per renderli biologicamente conpatibili con gli esseri umani al fine di ridurre qualsiasi problema di rigetto. Per una certa affinità genetica i maiali sono considerati i candidati migliori: vanno bene come donatori di importanti organi, quali il fegato, e funzionano anche per il trasferimento di cellule specifiche, come quelle del pancreas.

Un altro settore a cui gli scienziati stanno lavorando riguarda l’impiego cosiddetto "ecologico" di animali transgenici. Alcuni microrganismi osservano una dieta a base di inquinanti, quali gli idrocarburi e i metalli pesanti. Opportunamente ingegnerizzati per accelerare il loro metabolismo, tali batteri possono venire utilizzati per depurare delle zone contaminate perché attraverso la digestione i microrganismi accelerano la dissoluzione delle sostanze inquinanti che sarebbe altrimenti molto lenta. In futuro si prevede di impiegare l’ingegneria genetica anche per ricreare delle specie in via di estinzione. E’ ciò che avevano in mente alcuni ricercatori cinesi che hanno tentato di impiantare, attraverso le tecniche sperimentate con Dolly, alcune cellule di panda adulti nelle uova di altre specie. Per riprodurre più rapidamente questo raro animale.

La tecnologia della manipolazione genetica applicata agli organismi complessi però è ancora in fase sperimentale. Questo significa che non si è ancora trovato un modo per produrre animali geneticamente modificati su larga scala e a basso costo, come alternativa agli allevamenti industriali. Sono però già in vendita alcuni farmaci ricavati da bio-reattori, ovvero prodotti impiegando animali transgenici.

Buona parte della ricerca farmaceutica si avvale invece di cavie ingegnerizzate. I topi con geni mutati per causare particolari tumori, o per contrarre specifiche malattie, sono diffusamente utilizzati nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi farmaci. L’applicazione dell’ingegneria genetica per favorire i trapianti fra specie.

I cosiddetti xenotrapianti, è invece ancora molto controversa. E’ considerata rischiosa, in quanto si teme la diffusione di malattie e virus transpecifici, come il morbo della "mucca pazza", e pone seri problemi etici. Si possono clonare animali scomparsi come in Jurassic Park? Ci sono, nel mondo, alcuni progetti del genere. Un veterinario giapponese , il dottor Kasufumi Goto, ad esempio, è a caccia dei resti di un mammut proprio per poterlo clonare. Goto ha dimostrato che iniettando lo sperma di un toro morto negli ovuli di una mucca poteva ottenere un embrione vivo e ora vuole resuscitare il pachiderma seguendo lo stesso procedimento. I ricercatori più seri, però, sostengono che è impossibile trovare del DNA intero risalente a quelle epoche, visto che nei tessuti surgelati il materiale genetico tende a frammentarsi.

Si possono riconoscere gli OGM ?

Non ci sono differenze evidenti tra piante transgeniche e piante tradizionali, e neppure tra cibi transgenici e cibi preparati con alimenti non modificati geneticamente.

Le piante transgeniche, secondo i test forniti dalle aziende produttrici di sementi, sono potenzialmente più produttive di quelle tradizionali: circa il 10 %.

Questa caratteristica però non è dovuta a una differenza strutturale delle piante, ma al fatto che si verificano minori perdite di raccolto per la resistenza ad antiparassitari e diserbanti.

Se un mais transgenico e un mais tradizionale vengono coltivati in due campi adiacenti la differenza appare solo quando subiscono l’attacco dalle larve di piralide. Il primo resta in piedi, il secondo si spezza e cade a terra. E se il parassita arriva quando le pannocchie stanno maturando, nel primo caso non perdono granelli, nel secondo si avvizziscono. Più difficile è individuare la soia resistente ai diserbanti. La pianta è identica a quella tradizionale tranne per il fatto che, quando viene irrorata accidentalmente, non ingiallisce.

La semplice osservazione dunque non vasta per individuare le caratteristiche transgeniche, che invece vanno cercata con altri strumenti.

Uno di questi è la Pcr (Polimerase chain reaction) o reazione a catena di polimerasi. Tramite la Pcr, si riesce ad ottenere materiale sufficiente per verificare la presenza di materiale transgenico. Deve però trattarsi di materiale integro e non di sostanze derivate.

L’Europa però importa quantità notevoli di mais e soia Ogm che risultano indistinguibili perché già all’origine, nei magazzini di raccolta, vengono mescolate con quelle tradizionali. Buon parte della soia poi viene inserita nel mercato europeo come lecitina, un prodotto che viene estratto dai semi e che viene usato come additivo negli alimenti.

I laboratori hanno messo a punto sistemi di analisi che però consentono di rintracciare anche tracce di Ogm.

Che effetti ha sulla salute dell'uomo l'uso di OGM ?

La risposta non è rassicurante, ma almeno al momento nemmeno terrorizzante. Semplicemente, non si dispone ancora di sufficienti dati per rispondere a questa domanda. Esistono moltissimi dati sui danni provocati dai pesticidi spruzzati sulle coltivazioni, così come abbondano gli studi sui rischi connessi all’impiego degli antibiotici negli allevamenti industriali, ma gli effetti degli OGM sono ancora sconosciuti.

Per conoscere gli effetti di una sostanza assunta per un lungo periodo occorrono parecchi anni e studi imparziali, mentre, fino a oggi, la maggior parte delle ricerche condotte sull’argomento sono state commissionate dalle stesse case che producono gli OGM. Solo di recente sono stati pubblicati i risultati di alcuni test indipendenti, e i risultati non sono stati incoraggianti.

Una delle maggiori difficoltà che hanno riscontrato gli esperti nel cercare di dare una valutazione d’insieme, sta nell’enorme varietà delle mutazioni che si possono indurre. A seconda che un gene venga inattivato, modificato o potenziato, e a seconda di quale gene e in quale specie, ci possono essere ricadute molto diverse sulla salute dei consumatori. Tuttavia, essendo la tecnologia impiegata abbastanza omogenea, ci sono alcune fasi che riguardano un po’ tutte le manipolazioni, come l’utilizzo di geni "marcatori" per individuare le cellule dove la mutazione è avvenuta con successo.

Generalmente al gene che si vuole modificare, per esempio un gene che rende la pianta resistente al freddo, viene allegato un gene particolare che serve a rendere "visibile" la mutazione avvenuta. Su questa scala, però la visibilità è puramente virtuale e viene quindi utilizzato un gene che conferisce un’altra forma di resistenza: quella agli antibiotici. In questo modo, una volta completata la "transfezione", come si chiama l’inserimento del gene modificato, le cellule verranno immerse in un brodo di antibiotico e sopravviveranno solo quelle geneticamente modificate.

Ma, come ha denunciato più volte l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un aumento di resistenza agli antibiotici è un problema sanitario serissimo, e introdurre un gene della resistenza nella catena alimentare non sembra proprio una buona idea.

Ci sono poi dei tipi particolari di OGM che, invece di consentire una riduzione dell’impiego di sostanze chimiche nell’agricoltura, di fatto la incrementano. E’ il caso della soia geneticamente modificata per resistere a un erbicida, entrambi prodotti dalla stessa casa farmaceutica, la Monsanto. Ovviamente più la pianta di soia è resistente all’erbicida più ne verrà spruzzato, accrescendo la quantità di sostanze chimiche che vanno a finire nella catena alimentare e nell’ambiente. Un altro problema è quello delle allergie. Di fatto non è stato dimostrato che gli OGM sono allergenici, ma nemmeno il contrario, e in questi casi dovrebbe prevalere la prudenza.

E’ vero che ormai tutti i cibi in commercio sono geneticamente modificati? No. E’ vero che negli USA e in Inghilterra sono già in commercio alcuni prodotti transgenici di largo consumo, come i pomodori, le patate o il radicchio, ma nel nostro paese non sono permessi, anche se è consentito il loro utilizzo come materie prime alimentari per cibi preconfezionati.

Soia e mais, ad esempio, sono molto diffusi come additivi vegetali. I prodotti lavorati in Italia invece possono contenere materie prime alimentari, per esempio la soia, provenienti da paesi che invece fanno largo impiego di OGM. Si calcola che quasi la metà dei raccolti statunitensi e canadesi sono ormai transgenici, anche se sono in aumento gli agricoltori che chiedono di tornare al naturale. In Italia un crescente numero di supermercati si dichiarano GM free, ovvero garantiscono che nei prodotti a proprio marchio non sono state utilizzate materie prime geneticamente modificate.

La normativa attuale impone l’obbligo di etichetta sui prodotti interamente transgenici ma non sui derivati, cioè sui prodotti nei quali siano stati impiegati gli OGM. Se una patata transgenica deve venire etichettata come tale, un prodotto preconfezionato in cui sia stato utilizzato un additivo vegetale geneticamente modificato non richiede nessuna segnalazione. Esiste una normativa europea a riguardo, che stabilisce una soglia di presenza degli OGM al di sopra della quale vanno etichettati anche i prodotti derivati, ma il regolamento, peraltro non particolarmente chiaro, non è ancora stato compiutamente recepito, cioè trasformato in legge, da alcuni paesi dell’unione come l’Italia. Bisogna quindi fidarsi delle iniziative dei distributori.

E non è vero che non esiste un modo per rintracciare i derviati dagli organismi transgenici. Attraverso la Reazione a catena della polimerasi, un test abbastanza semplice, si possono amplificare anche frammenti infinitesimali di DNA, fino a renderli rintracciabili. Il fatto poi, che frammenti così microscopici possano avere un impatto negativo sulla salute è un’altra questione. Per alcuni è impossibile, per altri molto probabile.

Che effetti hanno gli OGM sull'ambiente ?

Mentre l’impatto negativo sulla salute dell'uomo non è ancora pienamente dimostrabile, le preoccupazioni relative all’impatto sull’ambiente delle piante transgeniche sono molto realistiche. Le modificazioni che vengono sperimentate sono talmente tante, e l’ecosistema è talmente complesso, che difficilmente gli effetti di tale teconologia potranno venire controllati.

L’evoluzione naturale ha avuto a disposizione centinaia di migliaia di anni per ricalibrare le complesse interazioni degli ecosistemi saltate a ogni mutazione genetica o ambientale. L’ingegneria genetica sceglie di ignorare del tutto l’importanza del fattore tempo, e questa scelta non può non spaventare.

Un altro aspetto che preoccupa i ricercatori riguarda il progressivo ridursi della biodiversità e della varietà genetica delle piante, una tendenza incrementata dall’uniformità degli organismi geneticamente modificati. Inoltre, piante modificate per resistere ai parassiti possono creare dei super-insetti, trasmettendo la loro resistenza a questi animali. Infine l’agricoltura "senza terra" progettata dagli ingegneri dei geni, non tiene conto delle molteplici funzioni che rivestono le coltivazioni: non solo produzione di alimenti, ma anche la conservazione del territorio e delle risorse idrogeologiche.

Dato tempi delle nostre nonne la varietà delle piante è andata via via riducendosi. Alla riduzione della biodiversità causata dalla distruzione delle foreste tropicali si è sommata la riduzione delle varietà coltivate a scopo commerciale.

Quest’uniformità genetica è molto pericolosa per l’ambiente perchè, di fatto, la diversità è una delle principali risorse che la natura ha per difendersi dalle mutazioni ambientali. In un campo di piante tutte uguali l’invasione di un insetto nocivo fa "terra bruciata". In un campo naturale, invece, alcune piante, si salveranno trasmettendo alla propria discendenza la resistenza a quell’insetto.

Questo è il principale motore dell’evoluzione, che ci ha portati a essere ciò che siamo. Le coltivazioni transgeniche, oltre a spingere verso una maggiore uniformità, introducono in natura mutazioni impreviste, a un ritmo molto più rapido di quello dell’evoluzione naturale. E’ stato osservato, per esempio, che una pianta modificata per diventare resistente a un insetto dannoso ha finito con lo sterminare anche un altro insetto, la farfalla monarca, molto utile all’ecosistema della regione.

Ma può anche succedere che la resistenza venga trasmessa all’insetto. In questo caso la pianta modificata funziona per un pò, nel senso che non ammala perchè avvelena l’insetto che se ne nutre, salvo poi, dopo qualche raccolto, scoprire che anche l’insetto è diventato resistente, sia alla tossina biotecnologica presente nella pianta che ai vecchi pesticidi chimici.

Anche questo processo, osservato in alcune coltivazioni di cotone transgenico, preoccupa i ricercatori, sia perchè può mettere in circolazione dei super-insetti incontrollabili sia perchè condurrebbe, alla fine, a un maggiore impiego di sostanze chimiche.

Alcune piante, per esempio il mais o il cotone per la resistenza al Bacillus thuringensis, sono state modificate per ridurre gli insetticidi, anche se non hanno prodotto i risultati sperati. Altre, come la soia resistente all’erbicida, si propongono proprio l’opposto: rendere la pianta resistente a dosi più massicce di additivo chimico.

La maggior parte delle coltivazioni transgeniche, però, rispondono a un obiettivo economico: produrre di più, e più in fretta. Una coltivazione normale può poi venire inquinata da una transgenica. Il polline delle piante può percorrere centinaia di metri. E’ per questo motivo che le coltivazioni sperimentali, i cosiddetti "rilasci", vengono tenute segregate dalle coltivazioni normali.

Purtroppo però ciò avviene solo quando questi esperimenti sono condotti da istituti scientifici a fini di ricerca. Simili cautele sono rare nelle coltivazioni a fine commerciale, che sono molto più estese e meno controllate. La recente decisione dell’EPA statunitense, l’Agenzia per la Protezione Ambientale, va in controtendenza proponendo misure più restrittive anche per le coltivazioni commerciali.

Ci sono coltivazioni transgeniche nel nostro Paese? Si. Vengono gestite da istituti di ricerca oppure date in gestione a normali aziende agricole dalle industrie che producono semi transgenici. Coltivazioni commerciali su larga scala non ce ne sono, in quanto in Italia sono vietate, ma è permessa la loro importazione.

Gli OGM sono un vantaggio o un danno per l'economia ?

Gli accesi sostenitori delle biotecnologie applicate all’agricoltura dipingono panorami allettanti: piante più nutrienti, progettate per crescere nel deserto o per ridurre l’impiego di sostanze chimiche.

Di fatto, però, la maggior parte delle ricerche in questo campo viene condotta da veri e propri giganti dell’agrochimica che mirano principalmente all’aumento della produttività al fine di massimizzare i profitti.

Per questo motivo quasi tutte le piante transgeniche in commercio sono progettate per "funzionare" bene su larga scala, ovvero in coltivazioni intensive molto estese su territori omogenei come le grandi pianure americane o cinesi.

Le biotecnologie agricole sembrano non andare molto d’accordo nè con la conformazione territoriale europea, molto diversificata, nè con le sue esigenze economiche, in quanto l’eccesso di produzione agricola costituisce già un problema.

Un discorso valido in particolar modo per l’Italia, dove il territorio è ancora più differenziato così come lo sono le sue culture alimentari. Il nostro paese deteneva (nel 1999 n.d.r.), appena 2 dei 185 brevetti biotecnologici europei, che già sono un numero estremamente ridotto rispetto a quelli statunitensi.

Più che costituire un’occasione di rilancio della ricerca scientifica e dell’occupazione, come sostiene Assobiotec, l’associazione delle aziende biotecnologiche, il via libera ai brevetti e al rilascio di organismi modificati rischia di trasformare il nostro paese in un gigantesco laboratorio a cielo aperto.

Su oltre 972 esperimenti europei nel settore delle piante geneticamente modificate l’Italia è al secondo posto, con trecento siti di rilascio in un migliaio di luoghi sparsi per tutte le regioni. "Favorita", secondo gli esperti, dalla varietà del clima ma anche, soprattutto, dall’assenza di protocolli su ciò che viene chiamata biosafety – la sicurezza biologica – l’Italia più che luogo di ricerca sta diventando ottimo "poligono" dove Novartis, Monsanto e Pioneer possono condurre quegli esperimenti che i regolamenti di casa loro non consentirebbero.

Inoltre l’Italia non ha certo problemi di cultura alimentare, se mai al rilancio delle produzioni biologiche in tutto il mondo, proprio a causa della diffidenza dei consumatori nei confronti delle produzioni industriali, il nostro paese può rispondere con una forte tradizione basata sulla qualità e sulla differenziazione delle produzioni locali.

Il problema del transgenico italiano si presenta quindi dal suo lato prettamente economico, in parte perchè la ricerca pubblica manca di finanziare quei settori, come la virologia vegetale, dove le biotecnologie potrebbero costituire un’occasione per ridurre l’impiego di sostanze chimiche, in parte perchè è impossibile separare il transgenico alimentare dalle proprie origini, cioè mezzo di produzione creato su misura per i giganti mondiali della chimica.

Di fatto la possibilità di produrre alcune piante di largo consumo, come i pomodori, direttamente in laboratorio, più che costituire un’occasione d’impiego avrebbe la conseguenza di trasformare i coltivatori in salariati delle grandi aziende straniere. E la ricchezza maggiore del nostro paese, ovvero la qualità alimentare e la differenziazione, verrebbero spazzate via.

I campi transgenici poi potrebbero contaminare quelli naturali, è la preoccupazione che condividono molti operatori dell’agricoltura biologica. Finchè le coltivazioni transgeniche sono tenute rigidamente segregate da quelle naturali il problema non sussiste. Nel momento in cui, però, il transgenico venisse coltivato a scopo commerciale, come già accade in Spagna, sarebbe molto difficile evitare l’impollinazione incrociata, ovvero l’incrocio accidentale fra specie naturali e specie modificate. Con quali conseguenze è ancora tutto da scoprire.

Coldiretti si è dichiarata contraria alle coltivazioni transgeniche a scopo commerciale, per i problemi accennati sopra. L’opposizione si sta saldando con quella delle associazioni di altri paesi, come la Confédération Paysanne francese e la National Family Farm Coalition americana, per organizzare un’opposizione a livello mondiale.

Le coltivazioni transgeniche vengono avvertite come una minaccia economica e ambientale, anche perchè non tengono conto di un aspetto dell’agricoltura che è la sua multifunzionalità. Le coltivazioni non vanno considerate solo dal punto di vista produttivo ma anche in vista del ruolo che svolgono nel mantenimento del territorio e nell’economia di una regione.

Gli OGM potrebbero risolvere il problema della fame nel mondo ?

Secondo le Nazioni Unite nel corso del prossimo secolo la popolazione umana potrebbe raddoppiare, raggiungendo così la considerevole cifra di oltre 12 miliardi. In che modo verranno sfamate tutte queste persone? Secondo i produttori, l’emergenza alimentare potrà essere soddisfatta proprio dalle piante transgeniche. Le biotecnologie forniranno piante che producono di più, possono essere coltivate in terreni poco accoglienti, hanno minori perdite di raccolto. E bestiame più sano e rapido nella crescita.

Diecimila anni fa, quando è nata l’agricoltura, il mondo era abitato da 4 milioni di persone, pressapoco quante sono concentrate adesso nell’area urbana di Roma. Fino ad allora, e per circa tre milioni di anni, gli esseri umani avevano vissuto di raccolta, di allevamento del bestiame e di caccia. Per ottenere qualcosa da mangiare, i primi contadini usavano tecniche molto simili allo slash and burn (letteralmente taglia e brucia), che viene praticato dalle popolazioni amazzoniche. In pratica un’area della foresta veniva disboscata e seminata per qualche anno.

Quando la fertilità del suolo diminuiva, la si abbandonava e si lasciava ricrescere la vegetazione. Poi, per venire incontro alle esigenze alimentari di una popolazione che aumentava (circa 50 milioni nel 1000 a.c.), si diffusero sempre di più i campi permanenti. La rotazione di cereali e legumi veniva alternata a periodi di riposo, durante i quali sul terreno venivano lasciate ricrescere le erbacce.

In Italia i primi tentativi di forzare i ritmi delle stagioni risalgono alla fine del Medioevo: nei monasteri della al Padana venne diffusa la pratica della "marcita", un prato che si poteva utilizzare anche in inverno per la raccolta del foraggio. Era leggermente inclinato, e su di esso scorreva un velo d’acqua. In questo modo le piante non potevano gelare. Non si trattava certo di agricoltura intensiva, che inizia invece introno agli anni Sessanta. La potenzialità produttiva delle piante, per esempio i cereali, in questo periodo aumenta del 30 %. Ma la popolazione raddoppia, passando in solo quarant’anni (dal 1960 al 2000) da 3 a 6 miliardi.

Tutte queste persone devono trovare, oltre al cibo, anche spazio per abitare e lavorare. Il suolo fertile disponibile sulla Terra però non è infinito: sono 1,5 miliardi di ettari. Quello già utilizzato per l’agricoltura, in molte regioni, non ha più lo stesso potenziale produttivo che aveva trent’anni fa: salinizzazione, desertificazione, perdita di sostanza organica, inquinamento, provocano ogni anno la perdita di circa 10 milioni di ettari di terra arabile.

In una situazione come questa dunque, avere piante che producono di più aiuta fino a un certo punto. Prima di tutto perchè le sementi transgeniche costano, e non tutti gli agricoltori possono permettersi di acquistarle. Nel Paesi in cui c’è un tasso maggiore di povertà (e di fame), interessati, per esempio a coltivazioni resistenti alla siccità o a piante che hanno qualità nutritive più elevate, i contadini sono costretti a chiedere prestiti. Le somme potrebbero essere restituite facilmente come avviene da noi, se non ci fossero alcuni fattori di rischio: il prezzo delle coltivazioni (che è in concorrenza con il prodotto che arriva dalle nazioni occidentali, in genere eccedentarie), il risultato effettivo (non basta una semente buona, ci vogliono anche trattori, fertilizzanti e pesticidi), il tasso da usura praticato da chi presta i soldi.

Normativa sugli OGM

In molti Paesi del mondo esiste un quadro di riferimento normativo che regola il settore OGM, per garantire la biosicurezza, ossia un utilizzo in rispetto dei necessari livelli di sicurezza ambientale, della salute umana e di quella animale. I principi legislativi di riferimento a livello internazionale in tema di biosicurezza sono contenuti all'interno del Protocollo di Cartagena.

In Europa il contesto normativo sugli OGM, basato sul principio di precauzione, è oggi costituito dai seguenti testi:

Direttiva 2001/18/CE, che, sostituendo la 90/220/CEE, riscrive le regole base per l'autorizzazione al rilascio nell'ambiente di un nuovo OGM;
Regolamenti 1829 e 1830/2003/CE, che regolano l'autorizzazione e l'etichettatura/tracciabilità degli alimenti e dei mangimi (food & feed) costituiti o derivati da OGM;
Raccomandazione 556/2003, che indica le linee guida sulla coesistenza tra colture OGM e convenzionali, cui le norme nazionali e regionali dovrebbero allinearsi.
L'Italia ha recepito la direttiva 2001/18/CE attraverso il decreto legislativo 224/2003


FONTI: Wikipedia.org, Vasonline.it

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