Nei boschi italiani sbiadiscono i colori e diventano più rade le chiome per colpa dei cambiamenti climatici. L'allarme in uno studio finanziato dal progetto europeo Life+ Futmon
Sbiadiscono i colori e diventano più rade le chiome degli alberi delle foreste italiane, soprattutto per colpa di smog e caldo. Ma, più in generale, a far ammalare le piante ci pensano i cambiamenti climatici. L'allarme per la "situazione preoccupante" dei nostri boschi viene dai risultati del progetto di respiro europeo Life+ 'Futmon' (Further development and implementation of an Eu-level forest monitoring system), presentato a Roma, co-finanziato dalla commissione Ue con 35 milioni per il biennio 2009-2010 (24 Paesi membri e 38 partner) a cui l'Italia partecipa con il Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con il Cnr e il Cra (Consiglio per la ricerca in agricoltura), e un investimento di 3,5 milioni.
Secondo lo studio - che ha l'obiettivo di creare una rete di monitoraggio a lungo termine sullo stato di salute delle foreste europee - vanno perse "oltre il 30% delle foglie", mentre i colori si sbiadiscono di "quasi il 10%". I segnali di allarme riguardano "il 35% degli ecosistemi forestali" colpiti da "agenti biotici", riconducibili a parassiti, funghi, insetti e batteri. Una fetta di responsabilità chiama in causa anche gli "agenti abiotici", e cioè minacce principalmente riconducibili "ai cambiamenti climatici e all'inquinamento atmosferico".
Fattori del "degrado degli ecosistemi forestali" europei sono soprattutto smog, ozono, pulviscolo dell'aria e caldo. E anche se "negli ultimi due anni non c'é stato un peggioramento", anzi le conifere mostrano "un sostanziale miglioramento" rispetto alle latifoglie (querce e castagni gli alberi più danneggiati), i polmoni verdi sono colpiti da ossidi di azoto e ozono: i primi, derivanti dalla combustione dei motori a scoppio e dalle attività industriali, ricadono al suolo con le precipitazioni modificando le caratteristiche del terreno; l'ozono invece diventa "nocivo, insieme al pulviscolo atmosferico", durante le calde giornate estive, provocando "notevoli danni" e colpendo "le specie più sensibili".
Nel nostro Paese - in base ai recenti dati dell'Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio - ci sono circa 12 miliardi di alberi (pari a 200 piante e quasi 1.500 metri quadrati di bosco per ogni italiano) distribuiti su 10,5 milioni di ettari di superficie, per un volume di 1,2 miliardi di metri cubi di legno e una biomassa di oltre 870 milioni di tonnellate. Numeri 'verdi' che consentono di 'stoccare' in questi serbatoi naturali circa 435 milioni di tonnellate di carbonio, per un risparmio economico di emissioni di gas serra pari a un miliardo di euro, rispetto agli impegni del protocollo di Kyoto.
Il titolo dell'albero più diffuso lo vince il faggio con oltre un miliardo di esemplari che puntellano gli Appennini; Liguria e Trentino sono le regioni con il tasso di boscosità più elevato (60% del territorio), Toscana e Sardegna quelle con più superficie. La maggior parte dei boschi (68%) è di latifoglie, mentre il 64% delle superfici sono di proprietà privata, e il 28,5% dei boschi ricade all'interno di aree naturali protette. (Ansa).
21 dicembre 2010
FONTE: lanuovaecologia.it
http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=11963&contenuto=Notizia
Questo articolo, piuttosto inquietante, basato su un importante studio finanziato dall'Unione Europea, ci dice chiaramente come l'effetto dell'inquinamento e del surriscaldamento terrestre si riflette inevitabilmente anche sullo stato di salute dei nostri boschi e delle nostre foreste, patrimonio naturale importantissimo per l'umanità intera, in quanto essi rappresentano i polmoni stessi del nostro pianeta. Senza gli alberi non ci sarebbe vita nel mondo, sia per l'uomo che per qualsiasi altro essere vivente, e per tale ragione la loro salute e custodia dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per noi. Purtroppo però sappiamo bene che le cose non vanno in questo modo, vuoi per l'inquinamento che l'essere umano produce, vuoi per il dissennato disboscamento che l'uomo attua costantemente in ogni angolo della Terra, finendo così col turbare un equilibrio che dovrebbe essere mantenuto ad ogni costo.
L'ho già detto e continuerò a dirlo.... fintanto che l'uomo vivrà sotto la schiavitù del "petrolio" certi problemi non scompariranno mai ma, anzi, potranno solamente aumentare. Personalmente non credo che l'uomo sia in grado di sganciarsi da questa schiavitù con le proprie sole forze (in quanto, fondamentalmente, non c'è la volontà di farlo), ma il petrolio non è inesauribile, e quando questo non sarà più sufficiente a soddisfare gli enormi bisogni del genere umano (e oramai non siamo lontani), allora inevitabilmente si dovà guardare altrove. Qualche segnale in questa direzione, seppur ancora molto timidamente, si sta già vedendo (pensiamo per esempio alle auto elettriche o ibride su cui tanti costruttori stanno investendo).... trattasi comunque, a mio modesto parere, proprio di una necessità legate alla non inesauribilità del petrolio che spinge l'uomo a cercare altre strade prima che sia troppo tardi, e non, (come invece dovrebbe essere) a una nuova coscienza ecologica che spinge l'uomo verso un maggior rispetto e salvaguardia dell'ambiente in cui vive. Che lo voglia o no, presto o tardi l'uomo non potrà basare tutte le proprie risorse sul petrolio, e allora le cose cambieranno.... sperando naturalmente che cambino IN MEGLIO e che l'uomo sappia imparare dai suoi errori passati.
Marco
Sbiadiscono i colori e diventano più rade le chiome degli alberi delle foreste italiane, soprattutto per colpa di smog e caldo. Ma, più in generale, a far ammalare le piante ci pensano i cambiamenti climatici. L'allarme per la "situazione preoccupante" dei nostri boschi viene dai risultati del progetto di respiro europeo Life+ 'Futmon' (Further development and implementation of an Eu-level forest monitoring system), presentato a Roma, co-finanziato dalla commissione Ue con 35 milioni per il biennio 2009-2010 (24 Paesi membri e 38 partner) a cui l'Italia partecipa con il Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con il Cnr e il Cra (Consiglio per la ricerca in agricoltura), e un investimento di 3,5 milioni.
Secondo lo studio - che ha l'obiettivo di creare una rete di monitoraggio a lungo termine sullo stato di salute delle foreste europee - vanno perse "oltre il 30% delle foglie", mentre i colori si sbiadiscono di "quasi il 10%". I segnali di allarme riguardano "il 35% degli ecosistemi forestali" colpiti da "agenti biotici", riconducibili a parassiti, funghi, insetti e batteri. Una fetta di responsabilità chiama in causa anche gli "agenti abiotici", e cioè minacce principalmente riconducibili "ai cambiamenti climatici e all'inquinamento atmosferico".
Fattori del "degrado degli ecosistemi forestali" europei sono soprattutto smog, ozono, pulviscolo dell'aria e caldo. E anche se "negli ultimi due anni non c'é stato un peggioramento", anzi le conifere mostrano "un sostanziale miglioramento" rispetto alle latifoglie (querce e castagni gli alberi più danneggiati), i polmoni verdi sono colpiti da ossidi di azoto e ozono: i primi, derivanti dalla combustione dei motori a scoppio e dalle attività industriali, ricadono al suolo con le precipitazioni modificando le caratteristiche del terreno; l'ozono invece diventa "nocivo, insieme al pulviscolo atmosferico", durante le calde giornate estive, provocando "notevoli danni" e colpendo "le specie più sensibili".
Nel nostro Paese - in base ai recenti dati dell'Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio - ci sono circa 12 miliardi di alberi (pari a 200 piante e quasi 1.500 metri quadrati di bosco per ogni italiano) distribuiti su 10,5 milioni di ettari di superficie, per un volume di 1,2 miliardi di metri cubi di legno e una biomassa di oltre 870 milioni di tonnellate. Numeri 'verdi' che consentono di 'stoccare' in questi serbatoi naturali circa 435 milioni di tonnellate di carbonio, per un risparmio economico di emissioni di gas serra pari a un miliardo di euro, rispetto agli impegni del protocollo di Kyoto.
Il titolo dell'albero più diffuso lo vince il faggio con oltre un miliardo di esemplari che puntellano gli Appennini; Liguria e Trentino sono le regioni con il tasso di boscosità più elevato (60% del territorio), Toscana e Sardegna quelle con più superficie. La maggior parte dei boschi (68%) è di latifoglie, mentre il 64% delle superfici sono di proprietà privata, e il 28,5% dei boschi ricade all'interno di aree naturali protette. (Ansa).
21 dicembre 2010
FONTE: lanuovaecologia.it
http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=11963&contenuto=Notizia
Questo articolo, piuttosto inquietante, basato su un importante studio finanziato dall'Unione Europea, ci dice chiaramente come l'effetto dell'inquinamento e del surriscaldamento terrestre si riflette inevitabilmente anche sullo stato di salute dei nostri boschi e delle nostre foreste, patrimonio naturale importantissimo per l'umanità intera, in quanto essi rappresentano i polmoni stessi del nostro pianeta. Senza gli alberi non ci sarebbe vita nel mondo, sia per l'uomo che per qualsiasi altro essere vivente, e per tale ragione la loro salute e custodia dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per noi. Purtroppo però sappiamo bene che le cose non vanno in questo modo, vuoi per l'inquinamento che l'essere umano produce, vuoi per il dissennato disboscamento che l'uomo attua costantemente in ogni angolo della Terra, finendo così col turbare un equilibrio che dovrebbe essere mantenuto ad ogni costo.
L'ho già detto e continuerò a dirlo.... fintanto che l'uomo vivrà sotto la schiavitù del "petrolio" certi problemi non scompariranno mai ma, anzi, potranno solamente aumentare. Personalmente non credo che l'uomo sia in grado di sganciarsi da questa schiavitù con le proprie sole forze (in quanto, fondamentalmente, non c'è la volontà di farlo), ma il petrolio non è inesauribile, e quando questo non sarà più sufficiente a soddisfare gli enormi bisogni del genere umano (e oramai non siamo lontani), allora inevitabilmente si dovà guardare altrove. Qualche segnale in questa direzione, seppur ancora molto timidamente, si sta già vedendo (pensiamo per esempio alle auto elettriche o ibride su cui tanti costruttori stanno investendo).... trattasi comunque, a mio modesto parere, proprio di una necessità legate alla non inesauribilità del petrolio che spinge l'uomo a cercare altre strade prima che sia troppo tardi, e non, (come invece dovrebbe essere) a una nuova coscienza ecologica che spinge l'uomo verso un maggior rispetto e salvaguardia dell'ambiente in cui vive. Che lo voglia o no, presto o tardi l'uomo non potrà basare tutte le proprie risorse sul petrolio, e allora le cose cambieranno.... sperando naturalmente che cambino IN MEGLIO e che l'uomo sappia imparare dai suoi errori passati.
Marco
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