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giovedì 24 giugno 2021

"Alessia ha coronato il suo sogno e poi si è spenta". E' morta la giovane che si era laureata in lingue dal letto d'ospedale

La festa solo qualche settimana fa, poi l'ultima crisi che non è riuscita a superare. Era affetta da una grave distrofia muscolare

"Sembrava volesse almeno riuscire a laurearsi, già dal giorno dopo la proclamazione la sua situazione di salute è precipitata". Alessia, 25 anni, si era laureata in Lingue poche settimane fa nel suo letto di ospedale all'Unità Spinale del Cto di Torino. La giovane era affetta da una rara e grave distrofia muscolare dall'età infantile ma era riuscita a raggiungere il suo sogno, grazie al sostegno di sua madre Patrizia "era contenta quel giorno" e grazie al sostegno di un personaggio lontano, per cui lei nutriva grande ammirazione, Alberto Angela che con un videomessaggio l'ha incoraggiata a farsi forza quando non riusciva.

Nel 2020, infatti, Alessia ha subito un trapianto di cuore dopo un grave scompenso cardiaco a causa di una cardiomiopatia dilatativa ma ha presentato diverse complicanze, tra cui la perdita dell'uso della parola e più volte vicina alla morte. Nonostante questo non si era arresa e, innamorata della vita e dello studio, dopo 15 mesi di degenza in ospedale tra un reparto e un altro, e grazie a un videomessaggio del suo idolo Alberto Angela che le aveva dato la forza di crederci, aveva sostenuto l'ultimo esame finale.
Dal letto d'ospedale grazie alla mimica e all'iPad lo aveva passato per poi laurearsi con 98 su 110 all'università di Torino. Insieme con lei a celebrare il momento c'era lo staff dell'ospedale e le persone a lei più care, la nonna, la madre e il suo fidanzato per festeggiarla.

Dopo quel giorno però, le sue condizioni di salute sono peggiorate finché il suo cuore ha smesso di battere. "Abbiamo trascorso giorni terribili, con le complicazioni era irriconoscibile", dice sua madre Patrizia Todaro tra le lacrime. Domani ci saranno i funerali nel duomo di Torino, dove quanti l'hanno conosciuta potranno darle l'ultimo saluto. "Nella sua breve vita si è fatta amare da tantissime persone, se potessero esserci tutte riempirebbero il duomo, ne sono certa".


di Cristina Palazzo

21 giugno 2021

FONTE: La Repubblica

domenica 21 marzo 2021

La storia del bimbo di 7 anni che ha vissuto 525 giorni senza cuore

Regina Margherita, attaccato a un macchinario per oltre un anno, ora ha ricevuto il trapianto

TORINO. Ogni trapianto è eccezionale, ma alcuni vanno oltre: è il caso del cuore trapiantato con successo al Regina Margherita a un bambino di 7 anni, dopo 525 giorni di ricovero in ospedale collegato ad un cuore artificiale. Tutto questo presso la Cardiochirurgia pediatrica.

Da un ospedale all'altro

Nato in Marocco, il bambino ha condotto una vita tranquilla fino all'estate 2019, quando ha iniziato ad accusare i sintomi di insufficienza cardiaca. Con la madre raggiunge il padre che per motivi di lavoro vive in Liguria e, dopo una breve degenza in un altro ospedale pediatrico italiano, viene trasferito in elicottero al Regina Margherita. Neanche il tempo di entrare nella Terapia Intensiva cardiochirurgica (diretta dal dottor Sergio Michele Grassitelli) che il suo cuore si ferma. Viene rianimato e sottoposto ad impianto di una circolazione extra-corporea Ecmo.

Cuore artificiale

Pochi giorni dopo, non evidenziandosi un recupero, viene impiantato un cuore artificiale Berlin Heart. Questo lo tiene in vita e gli consente di riprendersi. Inizia ad apprezzare la cucina italiana, cresce, impara la nostra lingua, sotto gli occhi vigili del papà e della mamma, che nel frattempo mette alla luce un fratellino. Tutto questo per 525 lunghi giorni, trascorsi tutti in ospedale, circondato dall'affetto del personale medico ed infermieristico, a cercare di superare le complicanze che un sistema così innaturale come un cuore artificiale può causare al suo corpicino. Il tempo di impianto più lungo tra i pazienti del Regina. Per rendere la degenza più confortevole, il piccolo ha trascorso alcuni periodi nei locali dell'Isola di Margherita, lo spazio identificato nel Regina Margherita per le lungodegenze dei pazienti dell'Oncoematologia diretta dalla professoressa Franca Fagioli, direttore Dipartimento Patologia e Cura del Bambino.

L'intervento

Poi, finalmente, grazie ad un incredibile gesto di generosità, viene sottoposto con successo al trapianto di cuore dall'équipe dei cardiochirurghi pediatrici, diretta dal dottor Carlo Pace Napoleone. Qualche giorno di degenza tra i cardiologi pediatrici e gli infermieri della dottoressa Gabriella Agnoletti, seguito con attenzione dal dottor Enrico Aidala, cardiochirurgo responsabile del Programma Trapianti, e nei giorni scorsi la dimissione. Ed un incredibile gesto di solidarietà di una volontaria dell'Associazione Amici Bambini Cardiopatici, che ha trascorso con lui alcune settimane durante la degenza per consentire ai genitori di allontanarsi temporaneamente, e lo ha aiutato a trascorrere il primo periodo dopo la dimissione, in attesa di poter riabbracciare i suoi fratellini.


di Alessandro Mondo

18 marzo 2021

FONTE: La Stampa

mercoledì 24 luglio 2013

Rinunciano al trapianto di rene per lasciarlo a chi è più giovane di loro e muoiono: le toccanti storie di Walter e Rina

"Lascio il mio posto a chi ha famiglia". Rinuncia al trapianto e muore
 
Walter Bevilacqua, pastore tra le montagne dell'Ossola, aveva 68 anni. Al parroco disse: "Io sono solo, è giusto così".

Varzo - "Sono solo, non ho famiglia. Lascio il mio posto a chi ha più bisogno di me. A chi ha figli e ha più diritto di vivere". Walter Bevilacqua lo aveva confessato al parroco poco tempo fa. La morte l'ha colto durante la dialisi a cui si sottoponeva ogni settimana all’ospedale San Biagio di Domodossola. Il cuore ha ceduto durante la terapia e la bara è stata portata a spalle al cimitero dagli alpini di Varzo, penne nere come lui. Dietro al feretro, le sue sorelle Mirta e Iside: "Era proprio come lo descrivono: altruista, semplice. Un gran lavoratore. Sapeva che un trapianto lo avrebbe aiutato a tirare avanti, ma si sentiva in un’età nella quale poteva farne a meno. E pensava che quel rene frutto di una donazione servisse più ad altri" racconta Iside.

Una vita piena di sacrifici, così come quelle di altri pastori di montagna, stretti alla loro terra. Solitario e altruista, nel momento più delicato della vita ha detto no al trapianto. "Sono in molti che aspettano quest’occasione. Persone che famiglia e più diritto a vivere di me. E’ giusto così" aveva detto, con quella naturalezza che l'ha sempre contraddistinto. Bevilacqua è morto a 68 anni, una storia venuta alla luce quando il parroco del paese, don Fausto Frigerio, l’ha raccontata in chiesa durante la messa, un esempio da affidare a tutti. Quella frase pronunciata tanto tempo prima, gli era rimasta impressa: "Me l’aveva detto durante una chiacchierata. So che l’aveva confidato anche a un conoscente con cui si trovava in ospedale per le terapie" racconta il prete.

E' questa la notizia che ha bucato il silenzio dell'Ossola, in una valle corridoio verso la Svizzera, a una manciata di minuti. Sui monti della valle Divedro, Walter Bevilacqua ha trascorso i suoi anni, allevato dal nonno Camillo, uomo di altri tempi, ligio alle regole, gran lavoratore. Da lui aveva imparato a non risparmiarsi mai, a non lamentarsi delle difficoltù di chi vive in quota. "Credo non abbia mai fatto le ferie" racconta chi lo conosceva bene. L’agricoltura e gli animali erano la sua passione. Il suo mondo era là, una fetta di terra strappata alla montagna che poco più in alto diventa spettacolo nella conca dell’alpe Veglia.

di Renato Balducci

20 gennaio 2013

FONTE: Lastampa.it


Rinucia al trapianto di rene e muore: "Datelo a chi è più giovane di me, io la mia vita l'ho fatta"

Paderno, provincia di Treviso, una 79enne ha rifiutato l'intervento che avrebbe potuto salvarla dopo 16 anni di emodialisi.

Da sedici anni era costretta a sottoporsi tre volte alla settimana a dialisi. Nonostante questa lunga battaglia, giunto il momento del tanto atteso trapianto di rene, ha deciso di rinunciarvi. Questo è il gesto di generosità di Rina Zanibellato, 79enne di Paderno in provincia di Treviso, che è morta per favorire qualcun altro in lista di attesa. Aveva spiegato a suo marito, a suo figlio e ai suoi parenti, la volontà e il desiderio di donare il rene della salvezza a un giovane, uno dei tanti ragazzi che aveva incontrato negli anni di dialisi.

Alla proposta di sottoporsi al tanto atteso trapianto, lei ha risposto nell’unico modo che conosceva, attraverso la generosità: “No, datelo a chi è più giovane di me, io la mia vita l’ho fatta”. E così ha continuato la dialisi, senza mai lamentarsi o abbattersi. Fino a giovedì 27 giugno, quando si è spenta nel reparto di Nefrologia dell’ospedale Ca’ Foncello, lo stesso ospedale nel quale aveva visto nel corso degli anni i tanti ragazzi malati come lei.

28 giugno 2013

FONTE: Tgcom24.mediaset.it


Due storie, quelle di Walter e di Rina, in tutto e per tutto simili tra loro, due storie di Vero Amore, senza compromessi, per il prossimo e per la vita. Sì, Amore anche per la vita, ma non la loro di vita, bensì quella di altri, di persone sconosciute più giovani di loro, a cui queste 2 splendide, meravigliose persone hanno ceduto il posto, hanno donato quell'organo che avrebbe permesso loro di vivere ancora a lungo.
Forse qualcuno potrebbe pensare che per una persona giunta oramai al tramonto della vita, sia facile compiere un gesto come questo..... pensarlo è lecito, ma farlo è tutta un altra cosa! Rinunciare alla propria vita a favore di quella di un altro, sopratutto se sconosciuto, non è mai facile..... ma loro l'hanno fatto, coraggiosamente, amorosamente, gratuitamente.

Riposate in Pace, cari Walter e Rina..... avete vissuto silenziosamente e lontani dai clamori del mondo, ma certamente ora i vostri nomi sono scritti a caratteri d'oro nel Libro Eterno dell'Amore.  Grazie di tutto!

Marco

domenica 21 luglio 2013

«Aspetto un cuore nuovo da cento giorni»: la toccante lettera di Chiara

L'appello di una dodicenne. Anche la sua amica Imma è tenuta in vita da un cuore artificiale: "Donare è un atto d'amore"


«Mi chiamo Chiara, sono una bambina di 12 anni e frequento la seconda media. Mi trovo in questo ospedale già da tre mesi e mezzo o meglio da 101 giorni.
Ero una bambina molto attiva, frequentavo la scuola di ballo, facevo pallavolo, ridevo e scherzavo con le mie amiche; all'improvviso un giorno la mia vita è cambiata, sono stata ricoverata nell'ospedale Monaldi di Napoli perchè il mio cuore non funzionava più bene. Da quel giorno ho perso la gioia che avevo nel cuore, mi sentivo in trappola e mi chiedevo: "Perchè proprio a me?". E non volevo più vedere nessuno. Ma grazie ai medici e agli infermieri di questo ospedale ho iniziato a reagire, adesso sono qui, con questa macchina che mi aiuta a tenermi in vita; mi vedete sto benino, ma non è così, porto un dolore dentro e soffro ogni volta che mi medicano la ferita. Vorrei andare a casa, vorrei tornare a ridere come prima, o meglio di prima e per farlo ho bisogno del vostro aiuto. Lo so le disgrazie capitano, è il corso della vita, chi più di me vi può capire. Vorrei dirvi solo un ultima cosa, che chi vi chiede aiuto non è solo una bambina ma è la Vostra bambina perchè se aiutate me, aiutate anche la persona cara che è venuta a mancare. Donare è un atto d'amore, è il gesto più bello che una persona possa fare. Donare è vita per me e anche per te
».

Chiara Campagnuolo
 


Scrive Fabio Cannavaro: «Aiutiamo Chiara, donare è importante»

Fabio Cannavaro ha voluto rispondere alla toccante lettera di Chiara Campagnuolo, 12 anni, ricoverata al Monaldi in attesa del trapianto di cuore.

«
Carissima Chiara, ho letto la tua lettera sul Mattino, in cui racconti l’attesa che vivi da oltre cento giorni per il trapianto di cuore. Ti sono vicino con grande affetto e mi dispiace essere partito proprio ieri mattina per Dubai, altrimenti ne avrei approfittato per venire al Monaldi per conoscerti e incoraggiare te e la tua famiglia.
Tempo fa ho partecipato come testimonial ad una campagna per la donazione degli organi e due anni fa a Dubai, dove vivo, ho avuto la fortuna di assistere all’operazione al cuore di una bambina effettuata da un’équipe di cardiochirurghi italiani.
Una fortuna perché è stata un’esperienza umana molto toccante: era un segnale di speranza e di vita. La tua storia, cara Chiara, colpisce profondamente perché cento giorni di attesa sono tanti, troppi. Immagino l’ansia della famiglia di questa dolcissima bambina, a cui mando una carezza in attesa di poterla conoscere. Ho potuto verificare che c’è attenzione verso le donazioni, anche attraverso la nostra Fondazione che a Napoli è molto vicina ai giovani che soffrono, ma evidentemente non si riesce a fare abbastanza ed ecco perché Chiara è da oltre tre mesi in una stanza di ospedale, una situazione evidentemente pesante, anche se c’è per lei l’amorevole supporto di familiari e medici. Sono un uomo di sport, lontano da politica e burocrazia, e nel nostro mondo i tempi sono molto più rapidi: c’è spesso un’efficacia che non si riscontra altrove. Accanto all’impegno del mondo della sanità, affinché le procedure siano sempre più veloci, deve esserci maggiore sensibilità da parte di tutti noi: donare vuol dire aiutare a vivere.
A presto Chiara
».

Fabio Cannavaro


L’ospedale è il Monaldi, centro di eccellenza per la cardiochirurgia, ed è qui che la bimba napoletana è ricoverata. Perché un cuore artificiale pompa il sangue al posto del suo, irrimediabilmente malato. In attesa dell’intervento salvavita, Chiara Campagnuolo è come sospesa nel tempo e nello spazio della parola «trapianto».

Ma è allarme donatori in Campania. Per questo, la piccola ammalata lancia un appello a cui ne segue un altro formulato dai vertici della struttura sanitaria. Per i bimbi aggrappati alla speranza, la lista è unica, senza distinzioni regionali che potrebbero creare una Italia a due velocità come invece avviene, in alcuni casi, per le cure agli adulti. Ciò significa una solidarietà trasversale, dal Nord al Sud. Secondo i dati elaborati dal Centro nazionale trapianti, 27 interventi pediatrici sono stati effettuati nel 2012, il tempo medio di attesa è stato di 23 mesi (inferiore a quello per gli adulti, di 30 mesi). «Chiara e i suoi genitori possono avere fiducia», dice Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, che aggiunge: «In Campana è in atto un grande sforzo per riorganizzare la rete regionale in modo da far aumentare le donazioni, che oggi sono circa la metà rispetto alla media nazionale. Perché se da un lato il numero di interventi è legato a un gesto di bontà delle famiglie dei donatori, dall’altro, è fondamentale avere un sistema organizzato, efficiente con strutture attrezzate e personale qualificato».

Una banale influenza, la causa della miocardiopatia dilatativa. Così Chiara rivive la sua storia: la scuola di ballo, la pallavolo, gli scherzi con le amiche. «All’improvviso, la mia vita è cambiata». Scrive Chiara: «Da quel giorno ho perso la gioia che avevo nel cuore, mi sentivo in trappola e mi chiedevo: perché proprio a me?» Quindi, l’appello: «Porto un dolore dentro e soffro ogni volta che mi medicano la ferita. Vorrei andare a casa, vorrei tornare a ridere come prima, o meglio di prima e per farlo ho bisogno del vostro aiuto».

Chiara non è l’unica bambina che aspetta. Al Monaldi è ricoverata anche Imma, 13 anni, della provincia di Salerno, afflitta da una malattia congenita e da quasi un anno tenuta in vita dal cuore artificiale. «Grazie all’assistenza ventricolare – dice il primario della cardiochirurgia pediatrica, Giuseppe Caianiello – siamo riusciti a sviluppare una valida modalità terapeutica per i pazienti con cardiopatia dilatativa terminale. L’esperienza del Berlin Heart, capace di sostituire parzialmente o totalmente il cuore di un paziente, ha permesso di allungare la vita di tanti bambini. Ma se non si sensibilizzano i possibili donatori a far arrivare cuori nuovi, le prospettive per i piccoli diventano sempre più preoccupanti». Con il primario Caianiello, lavora una équipe specializzata: i medici Andrea Petraio e Fabio Ursomando per i trapianti pediatrici, in sinergia con Ciro Maiello (specializzato nei trapianti per adulti) e con la cardiologia pediatrica di Raffaele Calabrò con Maria Giovanna Russo e Giuseppe Pacileo.

Tra il 2005 il 2013, sono stati eseguiti 15 trapianti cardiaci, l’ultimo ieri in favore di un bimbo di 4 anni: il Monaldi è l’unica struttura del Mezzogiorno autorizzata dal ministero della Salute per questa tipologia delicatissima di interventi cui si aggiungono le 300 prestazioni chirurgiche effettuate ogni anno nella divisione di cardiochirurgia pediatrica, che è il secondo centro italiano per il trattamento delle cardiopatie congenite tra le sei strutture operative in Italia. Al Monaldi la Cardiochirurgia pediatriaca ospita 12 bambini in reparto e 7 in terapia intensiva. Quindi il centro d’eccellenza partenopeo è anche osservatorio privilegiato del calo di donazioni d’organo che attraversa la Campania e non solo. «Bisogna che cresca – afferma il direttore generale dell’Azienda dei Colli, Antonio Giordano – una forte cultura, una sensibilità nuova soprattutto nel Sud per evitare che gli sforzi prodotti e il grande impegno professionale degli specialisti vadano perduti». Gli interventi in campo? Con il decreto 30 il governatore Stefano Caldoro ha autorizzato l’attivazione di un dipartimento interaziendale dei trapianti, affiancato dal Centro nazionale trapianti per la razionalizzazione della rete regionale. «Un modello avanzato – dice Nanni Costa – perché propone un sistema unico organizzativo». Il papà di Chiara è un avvocato: ha fondato il comitato in difesa della vita.

«Il mio impegno continuerà anche dopo che mia figlia sarà operata», dice e ha le mani sudate che tradiscono l’emozione mentre mostra una poesia: «Facimm’ fess’ ’a morte: tutt’e ’dduie» recita l’ultima strofa, ma gli occhi di Chiara sono già fuori dal foglio, puntati sul futuro: «Vorrei dirvi solo un’ultima cosa, che chi vi chiede aiuto non è solo una bambina, ma è la vostra bambina... Donare è un atto d’amore. È vita per me e anche per te».


di Maria Pirro

20-21 luglio 2013

FONTE: Il mattino.it


Un toccante appello di una ragazzina di 12 anni che è anche voce per tutte quelle persone, bambini e adulti, che attendono con ansia di ricevere un trapianto per vedere salva la propria vita. Mi auguro, con tutto il cuore, di poter dare presto notizia sulle pagine di questo blog di questo avvenuto trapianto di cuore, con grande gioia di Chiara, della sua famiglia, di tutte le persone che le vogliono bene e di tutti quanti noi. 
Chiudo infine con le parole della stessa Chiara, cui fa eco Fabio Cannavaro, grande campione dello sport: "
Donare è un atto d'amore, è il gesto più bello che una persona possa fare. Donare è vita per me e anche per te".

Marco

domenica 5 maggio 2013

La storia di Emma: dal cuore malato alla vita ritrovata

 

La bimba di 3 anni e mezzo ha commosso l’Italia: da un anno in ospedale in attesa del trapianto di cuore aveva chiesto e ottenuto di poter stare nella camera di isolamento con il suo meticcio nero

TORINO - «Voglio ancora un gelato». Quando ieri mattina papà e mamma hanno detto a Emma che era finalmente ora di tornare a casa, la bimba, che per 475 giorni ha vissuto in isolamento in Cardiochirurgia, ha detto no. «No, voglio stare qui».
Per quasi un anno e mezzo questa stanza d’ospedale al sesto piano dell’Infantile è stata la sua «casa». E ora - per quanto possa sembrare impossibile - è difficile per lei lasciarla. Forse per paura, forse perché la casa vera, Emma, non la ricorda più, e in ospedale si sente più sicura, certamente coccolata.
Ma è davvero ora di andare, adesso. Adesso che la paura è passata, adesso che Emma, 3 anni e mezzo, ha dimostrato ancora una volta di essere fortissima, più forte dei mesi legata a una macchina più grande di lei, più forte delle 11 ore di trapianto di cuore, più forte del rigetto che l’ha costretta a restare in isolamento anche dopo l’operazione.


Fuori dall’ospedale Infantile c’è un sole caldo e una leggera aria. Sole e aria che Emma ha potuto soltanto immaginare, dietro le finestre chiuse, durante i quasi 500 giorni di ricovero in ospedale. È viva grazie a un cuore sano donato da un bimbo ligure di 5 anni, morto d’improvviso. La sua storia ha commosso l’Italia: quando - dopo un anno legata al cuore artificiale - sembrava che tutto potesse precipitare prima di arrivare al trapianto, Emma ha chiesto e ottenuto di poter giocare in stanza con il suo cagnone nero Black, uno spinone nero da 24 chili che ieri pomeriggio ha potuto riabbracciare a casa. 

«Emma non poteva più stare in ospedale, si stava lasciando andare», spiega il cardiochirurgo che l’ha operata, Carlo Pace Napoleone. Restare lì, in isolamento anche dopo il trapianto, evidentemente le ha fatto pensare che nulla fosse cambiato rispetto a prima. «Non rispondeva più alla fisioterapia, era sempre più stanca e triste, collaborava meno alle cure. Stando a casa capirà invece di essere guarita e riprenderà sicuramente la fisioterapia».

La vicenda di Emma è molto più di un caso concluso felicemente, benché un altro bambino non ce l’abbia fatta. «Emma - concorda anche la dottoressa Gabriella Agnoletti, primario di Cardiologia che ha seguito la piccola - ha ricordato a tutti che ogni giorno c’è chi aspetta un trapianto per continuare a vivere, bambino o adulto che sia». E di consensi alla donazione che hanno salvato altri bimbi malati di cuore, al Regina Margherita, ne sono arrivati ben due in pochi giorni, dopo che la storia di Emma e del suo cane Black è diventata pubblica. 

«Voglio ancora un gelato», ha chiesto Emma prima di uscire dal reparto. Glielo hanno portato immediatamente, poi una giovane dottoressa l’ha presa in braccio e insieme, medici e infermieri, l’hanno accompagnata con gli occhi lucidi fuori dall’ospedale.

di Marco Accossato

2 maggio 2013

FONTE: lastampa.it 
http://lastampa.it/2013/05/02/cronaca/la-piccola-emma-torna-a-casa-oggi-dopo-un-anno-e-mezzo-in-isolamento-sgx7swO93RuiQQ4nS67xaM/pagina.html 


La storia della piccola Emma, trasmessa su giornali e televisioni, ha commosso tutt'Italia, ed anche io, nel mio piccolo, ho pensato bene di postarla su questo blog.
Essere malati è sempre una cosa dolorosa, ma esserlo da bambini è qualcosa di diverso, di particolare, qualcosa che tocca veramente il cuore di tutti. La piccola Emma, nella sua ancora breve vita, ha già dovuto affrontare prove durissime, e anche se ora il peggio sembra passato, sicuramente l'attende un futuro non facile. Da parte mia posso solo augurare alla piccola e alla sua famiglia tutto il Bene possibile e immaginabile, con la speranza che la vita possa riservarle tante bellissime cose, il tutto condito dall'affetto dei suoi cari e delle tante persone che sono venute a conoscenza della sua storia.
Tanti Auguri di vita Felice cucciola.... te la meriti davvero.

Marco

mercoledì 25 aprile 2012

"Ho fatto rinascere mio figlio"

Nel 2003 ha donato il midollo per poter sconfiggere una leucemia, ma la chemioterapia ha dato complicazioni. Ieri mattina alle Molinette i nefrologi hanno prelevato alla donna un rene che ridarà a Matteo una nuova vita

TORINO - Per due volte ha ridato la vita al figlio, quando ormai sembrava non esserci più alcuna possibilità. Nel 2003 gli ha donato il midollo osseo per combattere una leucemia che l’avrebbe ucciso. E oggi, donandogli anche un rene, gli ha di nuovo regalato una speranza.

Alle Molinette c’è chi l’ha già ribattezzata «madre coraggio», ma lei, ancora provata dall’intervento, sorride e dice semplicemente che «per un figlio si fa questo e altro», che è «una cosa spontanea», e «qualunque madre lo farebbe». Simonetta Severi, 54 anni, vive a Perugia. Nove anni fa - per il trapianto di midollo - era stata ricoverata insieme al figlio a Roma. Oggi, per quello di rene, è stata sottoposta a un lungo intervento dall’équipe di Nefrologia delle Molinette diretta dal professor Giuseppe Segoloni: l’operazione, conclusa nella tarda mattinata di ieri, è perfettamente riuscita. Ed è proprio il fatto che la madre avesse donato alcuni anni fa il midollo al ragazzo che ha permesso questo secondo trapianto: «Grazie al midollo ricevuto dalla madre - spiega il dottor Bretto - il sistema immunitario del ragazzo, derivato dalla mamma, non riconosce il rene trapiantato come “ostile” e ci consente di non dover ricorrere alla terapia anti-rigetto».

Matteo ha 29 anni: era stato sottoposto al primo trapianto a fine 2003 per una grave forma di leucemia acuta linfoblastica. Anche quell’operazione era perfettamente riuscita, al punto che sei anni dopo i medici avevano dichiarato la remissione completa della malattia. «Purtroppo - spiega ancora il dottor Bretto - complicazioni urologiche provocate dalla chemioterapia hanno compromesso lentamente i reni del ragazzo causando prima un’insufficienza renale grave, per poi costringere Matteo alla dialisi dal 2005, tre volte la settimana».

La vita di Matteo era ormai scandita dai tempi delle terapie. Il doppio intervento è durato otto ore: il prelievo del rene dalla madre è stato eseguito dagli urologi Giovanni Pasquale, Andrea Bosio e dall’anestesista Fabio Gobbi; il trapianto sul figlio è stato affidato ai chirurghi vascolari Piero Bretto e Monica Hafner con l’urologo Fedele Lasaponara e l’anestesista Guido Sansalvadore.

Madre e figlio erano in due sale operatorie vicine. Adesso Matteo è in una stanza di terapia semi-intensiva, mentre la madre è ricoverata un Nefrologia, ma si sono già inviati messaggi telefonici.
«Appena sveglio Matteo mi ha mandato una coccinella - ha detto mamma Simonetta - poi mi ha scritto 'mamy come stai?' e ancora altri. Presto lo rivedrò, ho la totale consapevolezza che abbiamo fatto l'unica cosa da fare, ora spero solo che mio figlio possa solo avere una vita normale. Vederlo andare tre volte la settimana a fare la dialisi era per me durissima».
«Vivere con un rene solo?», sorride. «I medici mi hanno detto che dovrò avere qualche cautela in più. Vuol dire che finalmente mi riposerò un po’».


Madre e figlio resteranno ricoverati alcuni giorni alle Molinette. Poi torneranno a casa a Perugia. Ai medici delle Molinette è arrivato in serata un messaggio del presidente della Regione, Roberto Cota: «L’eccellenza nel campo dei trapianti continua a essere il supporto fondamentale di tanti atti d’amore che periodicamente si ripetono in Piemonte».

30 marzo 2012

FONTI: lastampa.it, torinotoday.it 



Una storia davvero bellissima che testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, l'immenso Amore che intercorre tra madre e figlio.
Auguroni per tutto, Simonetta e Matteo !!! 

Marco

lunedì 6 febbraio 2012

Muove i primi passi dopo il trapianto di gambe

Ventenne spagnolo operato a luglio da Pedro Cavadas, il «Dottor Miracolo»: mai nessuno aveva osato tanto

MILANO - Un ventenne spagnolo è stato sottoposto il 10 luglio scorso al trapianto di entrambe le gambe, primo trapianto del genere in tutto il mondo. Ora il ragazzo, la cui identità è rimasta segreta per questioni di privacy, sta registrando le prime reazioni motorie. La prima volta che muove le ginocchia, il primo bagno nella piscina del La Fe Hospital di Valencia, i primi timidi movimenti, le prime speranze di poter tornare a camminare o forse anche a correre. Nonostante gli specialisti continuino a sottolineare che il recupero sia all’incirca al 50 per cento delle funzioni originarie.

L’INTERVENTO - L'operazione è durata quattordici ore ed è stata condotta da un team di cinquanta medici guidati dallo spagnolo Pedro Cavadas-Rodriguez, celebre chirurgo che opera nella ricostruzione microchirurgica dal 1994. Prima le ossa, poi i tendini, le arterie e infine i nervi: pezzo dopo pezzo, elemento dopo elemento, due gambe nuove sono state attaccate al corpo del giovane. Cavadas di recente ha dichiarato che il decorso post-operatorio sta procedendo molto bene, ma anche che saranno necessari diversi mesi prima che il giovane possa riprendere a camminare senza sostegni.

LA RIABILITAZIONE - In effetti bisogna tenere conto di tutte le incognite di un intervento così pionieristico, anche se il bilancio può già dirsi positivo. La riabilitazione è simile a quella prevista per gli arti superiori, con l’unica e significativa eccezione che gli arti inferiori devono poi poter sopportare l’intero peso corporeo. Il monitoraggio dei nervi e dei muscoli è continuo e la riattivazione delle terminazioni nervose è seguita passo dopo passo. Il giovane uomo aveva subito un’amputazione delle gambe sopra il ginocchio in seguito a un gravissimo incidente che ne aveva determinato l’assoluta impossibilità di recupero. L’unica alternativa alla sedia a rotelle è stata da subito il trapianto di entrambe le gambe. Ma nel mondo la microchirurgia ancora non aveva osato così tanto.

IL DOTTOR MIRACOLO - Il dottor Pedro Cavadas non è certo nuovo a queste imprese e aveva dichiarato al quotidiano britannico Independent di essere pronto a realizzare un trapianto di entrambi gli arti inferiori. È stato il primo in Spagna, e il secondo al mondo, a effettuare, su una donna colombiana, il trapianto di entrambi gli arti superiori nel mese di ottobre 2008. E nel 2009 si è cimentato con l’ottavo trapianto facciale nel mondo (primo in Spagna), ma il primo a includere la lingua e l’osso della mascella inferiore. In Africa, Paese che frequenta spesso e dove ha creato una fondazione nel 2003 (la Fondazione Cavadas), lo chiamano «Dottor Miracolo». La sua è anche una storia di sofferenza. Cresciuto tra gli agi, a un certo punto perde il fratello in un incidente durante un viaggio in Kenya. Si innamora dell’Africa, rinuncia al lusso e vende le sue macchine sportive. Cambia la propria prospettiva di vita e mette le sue abilità e il suo talento al servizio dei bisognosi. Con la sua Fondazione si dedica alle persone che hanno subito ferite da arma da fuoco e machete e non hanno accesso ai medicinali. A loro e ai tanti casi che ha già affrontato nel mondo Cavadas regala il suo talento. E le sue mani preziose.

di Emanuela Di Pasqua

28 dicembre 2011

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/salute/disabilita/11_dicembre_28/trapianto-gambe-primi-passi_b1f69b5e-3158-11e1-b43c-7e9ccdb19a32.shtml

giovedì 22 dicembre 2011

Carla Mari e il trapianto di mani «Abbraccio di nuovo i miei figli»


Monza - Mentre parla gesticola, muove continuamente la mano sinistra, se la porta al mento, nasconde la bocca. Nulla di sorprendente se a parlare non fosse Carla Mari, la prima donna in Italia ad essere stata sottoposta ad un doppio trapianto di mani. La notte che le ha cambiato la vita è stata quella tra l'11 e il 12 ottobre dell'anno scorso, in una sala operatoria del San Gerardo di Monza. Ad operarla c'era Massimo Del Bene, direttore della Chirurgia Plastica e ricostruttiva dell'ospedale monzese che le è accanto anche adesso, mentre racconta i piccoli progressi di questi dodici mesi senza protesi.

«Volevo tornare ad abbracciare i miei figli, adesso riesco anche a dare dei bei pizzicotti. Mi sono emozionata la prima volta che in chiesa ho fatto il gesto della pace, un gesto semplice, ma quando avevo le protesi leggevo molto imbarazzo negli occhi della gente, ora non più». Senza contare che ora riesce a sollevare piccoli pesi, prendere la bottiglia dell'acqua a tavola, afferrare il telecomando, digitare un numero sul telefonino, pettinarsi e lavarsi da sola. I progressi nei movimenti e nella sensibilità delle mani di questa donna della provincia di Varese, costretta a subire l'amputazione di mani e piedi nel 2007 a causa di una grave infezione, sono stati registrati grazie ad una risonanza magnetica funzionale che localizza le varie funzioni del cervello nell'esecuzione di piccoli movimenti o sfiorando le mani con uno spazzolino. «Dalle immagini realizzate a quindici giorni dall'intervento e nei giorni scorsi - ha spiegato ancora il chirurgo Del Bene - possiamo capire che c'è già stato un recupero di oltre il 25% della funzionalità delle mani. La mano destra è più sensibile della sinistra, mentre la sinistra si muove meglio, ma i progressi sono continui».

C'è un altro aspetto positivo di questo trapianto effettuato nella notte tra l'11 e il 12 ottobre dello scorso anno: «Per la prima volta - prosegue Del Bene - abbiamo utilizzato le cellule staminali prelevate dal midollo osseo della paziente per la loro funzione antirigetto. Le abbiamo iniettate nelle ventiquattro ore successive al trapianto e quindici giorni dopo e abbiamo avuto dei risultati sorprendenti: la paziente è l'unica trapiantata al mondo ad utilizzare solo due farmaci immunosoppressori invece di tre e a dosi molto meno elevate. Questo vuol dire che, seguendo questa strada, in futuro le possibilità di trapianto saranno estese a molte più persone che oggi non possono sopportare le cure antirigetto per i loro effetti collaterali». Intanto al San Gerardo c'è già un prossimo candidato per un nuovo trapianto bilaterale: «Stiamo facendo tutti gli esami necessari - conclude Del Bene - ma si tratta di un percorso molto lungo per valutare oltre allo stato di salute anche il quadro psicologico del paziente che deve riuscire ad accettare i nuovi arti come suoi».

di Rosella Redaelli

4 ottobre 2011

FONTE: ilcittadinomb.it


www.ilcittadinomb.it/stories/Cronaca/236995_carla_mari_e_il_trapianto_di_mani_abbraccio_di_nuovo_i_miei_figli/




Bellissima storia quella di Carla Mari e del suo trapianto di mani, che sono lieto di pubblicare su questo blog sotto Natale. Per il S. Natale ci voleva una bella storia e questa la è.
Approfitto di questo post per fare i miei più calorosi AUGURI DI PASSARE UN FELICE S. NATALE A TUTTI, ed in particolar modo a tutti i malati, gli invalidi, i poveri, i soli, gli emarginati, gli anziani, e in generale a tutti coloro che sono nelle difficoltà e nella prova! Che la Pace e la Gioia regnino sempre nei cuori di ciascuno.

Marco