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martedì 4 ottobre 2011

Veleni nell'aria


Philippe Grandjean, professore all’Università Odense in Danimarca: "sono diffusi nell’ambiente dalle industrie, e arrivano anche ai cibi. E’ assolutamente necessario il controllo"

Un bambino su sei nei paesi industrializzati ha qualche disturbo dello sviluppo neurologico, come problemi di apprendimento, deficit sensoriali, ritardi nello sviluppo, paralisi cerebrale e autismo."Epidemia silenziosa": è la definizione coniata dal professor Philippe Grandjean (insegna all’Istituto di salute pubblica dell’università di Odense in Danimarca e lavora a ricerche presso il Dipartimento di salute ambientale alla Harvard school of Public Health di Boston), autore insieme al professor P.J. Larrigan (docente al Mount Sinai School of Medicine di New York), di uno studio pubblicato dalla rivista medica The Lancet.

Questo fenomeno è dovuto in buona parte all’esposizione dilagante dei bambini ad agenti chimici tossici; esposizione che può avvenire attraverso l’inquinamento ambientale, l’alimentazione e a volte anche attraverso alcuni farmaci. "Si tratta di un’autentica emergenza - spiega Grandjean. - Una commissione di esperti del National Research Council americano ha stabilito che il 3% dei disturbi dello sviluppo sono il diretto risultato dell’esposizione a certe sostanze, mentre un altro 25% deriva dall’interazione tra fattori ambientali e suscettibilità genetica individuale; ma poiché questi dati sono basati su scarse informazioni sulla neurotossicità di tante sostanze chimiche, è assai probabile che siano sottostimati".

Gli agenti tossici presi in considerazione nello studio vanno dal piombo ai sali di mercurio, dall’arsenico ai Pcb, dai solventi ai pesticidi e altre sostanze sulle quali si stanno ancora conducendo studi o di cui non sono noti gli effetti. I bambini di oggi sono immersi attualmente in un bagno chimico fin da prima della loro nascita, già durante la vita intrauterina. "I danni neurocomportamentali provocati dagli agenti chimici sono in teoria prevenibili - argomenta Larrigan - ma perché questo avvenga, occorre conoscere molto bene ciò che si utilizza e si diffonde nell’ambiente e oggi queste conoscenze non ci sono o non sono sufficienti".

In Italia i dati diffusi dagli enti istituzionali non sono rassicuranti. Secondo l‘Agenzia nazionale di protezione ambientale (Apat) nel lasso di tempo dal 1990 al 2006 le emissioni totali di gas serra espresse in anidride carbonica sono aumentate del 12,6%. Un rapporto del Programma ambientale dell’Onu ha scoperto una crescita allarmante di zone morte negli oceani a causa dell’elevatissimo tasso di inquinamento. E’ ancora uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità, commissionato dall’Apat, ad affermare che ogni anno in Italia muoiono circa 9 mila persone a causa dell’inquinamento atmosferico.

Sono stati invece i ricercatori dell’università di Udine e dell’ospedale Burlo Garofalo di Trieste ad aver messo in guardia sull’altissima incidenza di mortalità da inquinamento in Europa, che coinvolgerebbe 100 mila tra bambini e ragazzi da 0 a 19 anni. Cosa fare? "Il problema è che la maggior parte degli inquinanti non può essere controllata semplicemente da un genitore volenteroso o informato - afferma Grandjean - poiché sono diffusi nell’ambiente dalle industrie, attraverso la contaminazione chimica che arriva anche ai cibi. E’ assolutamente necessaria la costituzione di agenzie di controllo che diano regole per contenere le emissioni dannose per lo sviluppo cerebrale. Si deve cominciare subito tenendo sotto controllo le stanze chimiche di cui ci è già nota la tossicità; poi occorre studiare e testare quelle di cui ancora sappiamo poco nell’intento di un generale contenimento".

Roberto Bertollini, direttore salute a ambiente dell’Oms Europa non ha dubbi: "Le constatazioni cui giungono Grandjean e Larrigan arrivano da un’accurata lettura dei dati scientifici che mostrano attraverso casi reali, la neurotossicità delle sostanze chimiche. Su 202 sostanze prese in esame, solo quattro o cinque sono ben conosciute; non sappiamo quante delle altre sostanze immesse quotidianamente nell’ambiente abbiano effetti neurotossici sui bambini e, se il rischio è stato intuito, non se ne conosce l’entità né la soglia massima di tossicità al di sopra della quale si manifestano gli effetti negativi. Esistono fenomeni preoccupanti - conclude Bertollini - come la tendenza all’aumento di alcuni tumori infantili e di patologie neurologiche come ad esempio l’autismo".


CHIMICA MORTALE

Più di 100 mila prodotti chimici di sintesi sono oggi disponibili sul mercato e ogni anno ne vengono introdotti 1500 di nuovi. Elevate quantità di composti chimici tossici, per la maggior parte residui di pesticidi obsoleti, costituiscono una minaccia continua e sempre più grave, sia per gli esseri viventi sia per l’ambiente, in tutti i continenti. E molti pesticidi banditi o sottoposti a restrizione nei paesi occidentali sono attualmente commercializzati ed utilizzati nei paesi poveri, con un effetto di ritorno sui prodotti agricoli importai dall’Europa.

E’ questo l’ennesimo inascoltato allarme lanciato dalla Fao. "I pesticidi obsoleti vengono abbandonati dopo le campagne di disinfestazione o si accumulano perché molti prodotti sono stati vietati per ragioni di salute pubblica e ambientale, ma nessuno li rimuove o elimina. Le confezioni rimangono dove vengono immagazzinate e spesso si deteriorano, contaminano l’ambiente mettendo in pericolo gli abitanti". Le comunità più a rischio non sono nemmeno al corrente della natura tossica delle sostanze a cui vengono esposte ogni giorno. I dati della Fao parlano chiaro: "in Ucraina ci sono 19.500 tonnellate di prodotti chimici tossici, in Polonia 15 mila: per l’Asia (esclusa la Cina, dove il problema è assai grave, ndr) ne emergono 6 mila tonnellate, mentre in Medio Oriente e Sudamerica i veleni accumulati sono almeno 10 mila tonnellate". Mark Davis, responsabile del programma Fao per la distruzione dei pesticidi obsoleti rivela: "Ci chiamano per rimuovere gli stock abbandonati di pesticidi e per evitare l’ulteriore accumulo di rifiuti tossici, ma il programma si è concluso alla fine del 2004. Se i paesi sottoscrittori non rinnovano le loro quote non possiamo fornire assistenza alle nazioni che ci chiedono aiuto".

In Africa è peggio: gli ultimi dati dell’Onu (sottostimati e non aggiornati) fanno riferimento a "50 mila tonnellate di prodotti tossici sparse in 53 paesi". Dal ’94 la Fao partecipa all’Asp (Africa Stockpiles programme) per rimuovere gli stock in alcuni paesi africani ma le richieste di assistenza immediata diventano sempre più numerose. Per rimuovere una tonnellata di pesticidi occorrono 3.500 dollari, i paesi poveri non possono permettersi quest’onere. La Convenzione di Rotterdam (17 giugno 2001) è ancora largamente disattesa. C’è anche chi vende, nei Paesi in via di sviluppo, pesticidi che a casa sua sono proibiti.

Lo denuncia la Fao con il rapporto ’Scia tossica’. Ogni anno i pesticidi avvelenano 25 milioni di persone: l’80 per cento nel Sud del mondo, dove leggi e controlli sono più deboli se non inesistenti. E questo per 30 miliardi di dollari di fatturato annuo, in mano a 10 multinazionali. E’ il caso del Parathion metile della Bayer, classificato dall’Oms come “estremamente pericoloso”, importato illegalmente e prodotto in Paesi come la Thailandia o Cambogia con 200 nomi diversi, tra cui Folidol. Il sudest asiatico è il punto di smistamento dei pesticidi proibiti. Il 73% delle importazioni tailandesi riguarda prodotti elencati dall’Oms come estremamente tossici. L’84% dei pesticidi utilizzati in Cambogia è nocivo per la salute, tanto che l’88% degli agricoltori di quel Paese è vittima di avvelenamenti.

Il problema del Nicaragua si chiama Nemagon (o fumatone), il pesticida vietato in California fin dal 1977, ma usato dai lavoratori delle bananiere nicaraguesi. Il prodotto ha provocato un avvelenamento di massa: la locale associazione dei bananieri (Asotraexdan), calcola che centinaia di persone siano morte e migliaia stiano lottando contro tumore ai reni, al pancreas e alla milza, sterilità e figli malformati. E sul lago d’Aral, in Uzbekistan, un’irrigazione irresponsabile, ma anche l’abuso di pesticidi, ha creato uno dei peggiori disastri ambientali del mondo. Nel Mezzogiorno d’Italia, infine, è deregulation generale.

di Gianni Lannes

16 settembre 2011

FONTE: lindro.it
http://www.lindro.it/Veleni-nell-aria#.TouQ1XIsEjw


Questo articolo si commenta da solo. l'inquinamento ambientale miete e mieterà sempre un elevatissimo numero di vittime, a meno che non si decida SERIAMENTE di prendere tutti quei provvedimenti necessari per ridurre il suo impatto sul nostro pianeta. L'argomento pesticidi poi è veramente triste: io da sempre sostengo che i pesticidi andrebbero ABOLITI totalmente, e quella che viene chiamata "alimentazione biologica" dovrebbe diventare la regola e non l'eccezzione. E la cosa triste è che a pagare il prezzo più elevato di questo abuso di pesticidi sono i paesi poveri, dove vengono utilizzati pesticidi altamente dannosi che sono stati vietati da noi per la loro tossicità, ma che ci ritroviamo comunque nel piatto quando importiamo alimenti provenienti da questi paesi. La catena quindi non si spezza e a rimetterci siamo tutti quanti, senza eccezzione!

Marco

venerdì 17 dicembre 2010

Eco-industrie e meno gas serra, il futuro dell'Europa è più verde

Agenzia per l'ambiente: protocollo di Kyoto rispettato. Resta l'allarme clima. L'ultima stima: 70 mila decessi aggiuntivi per le ondate di calore avvenute nel 2003

BRUXELLES - Il vecchio continente ce l'ha fatta. L'Europa a 27 ha superato il taglio delle emissioni serra previsto dal protocollo di Kyoto per il 2012 (l'8 per cento). Non solo, ma raggiungerà anche, con anticipo ancora maggiore, il traguardo fissato per il 2020: meno 20 per cento di gas che sconvolgono il clima.

L'asticella delle emissioni che moltiplicano uragani e alluvioni è infatti già scesa a quota meno 17 per cento. Sono i dati contenuti nel rapporto "L'ambiente in Europa", uno studio che sintetizza cinque anni di lavoro dell'Agenzia europea per l'ambiente. Non è stato per la verità solo un percorso virtuoso. Jacqueline Mc Glade, la biologa che dirige l'Agenzia, ha ricordato il ruolo svolto dalla crisi economica nel facilitare la diminuzione degli inquinanti, ma ha assicurato che la ripresa non farà ripartire l'inquinamento: "Abbiamo avviato il meccanismo della green economy e i risultati già cominciano a vedersi".

L'altra faccia della riduzione delle emissioni inquinanti è, infatti, lo slancio delle industrie verdi. L'Europa controlla il 30 per cento del mercato globale della produzione green e il 50 per cento delle attività di riciclo dei materiali ottenuti recuperando rifiuti. Nel 2008 l'eco-industria dell'Europa a 27 ha fatturato 319 miliardi di euro, il 2,5 per cento del Pil, e ha dato lavoro a 3,4 milioni di persone. E le fonti di energia rinnovabili hanno aiutato a spazzare via una quota di inquinanti: ogni lampadina che si accende con il sole o con il vento è un po' di anidride carbonica in meno nel cielo, una speranza in più per le centinaia di milioni di persone che rischiano di perdere tutto per colpa dei cambiamenti climatici.

Se il futuro del mondo produttivo - secondo l'Agenzia europea - sarà sempre più verde, il presente è pieno di ombre proiettate dal passato. A cominciare da quelle sul riscaldamento globale. Mentre a Cancun è appena cominciata la maratona sul clima, da Bruxelles arriva un allarme netto sulle conseguenze del caos climatico provocato dall'uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione. L'Ipcc, la task force di scienziati delle Nazioni Unite, ha fatto una proiezione in base alla quale le temperatura a fine secolo subiranno un aumento compreso tra 1,1 gradi e 6,4 gradi. La seconda è un'ipotesi catastrofica, che porterebbe a sconvolgimenti devastanti. Ed è la più probabile se i governi riuniti a Cancun continueranno a rimandare le decisioni: "Osservazioni recenti fanno pensare che il ritmo di aumento delle emissioni di gas serra e i relativi impatti climatici si avvicineranno ai limiti superiori delle previsioni Ipcc", ammonisce la ricerca.

Per dare un'idea del pianeta che ci attenderebbe se si perdesse la battaglia per l'efficienza energetica, le fonti rinnovabili, il recupero dei materiali e i nuovi stili di vita, il rapporto fornisce l'ultima stima sul prezzo che abbiamo pagato per le ondate di calore che hanno colpito l'Europa nell'estate del 2003: 70 mila morti aggiuntivi. Non è uno scenario molto lontano da quello che diventerebbe routine in assenza di un cambiamento del modello energetico: "Si stima un accrescimento del tasso di mortalità tra l'1 e il 4 per cento per ogni grado di aumento della temperatura al di sopra di un certo livello. A partire dal 2020 si potrebbero superare le 25 mila vittime per anno, principalmente nelle regioni centrali e dell'Europa del Sud". L'Europa è particolarmente esposta a questo rischio perché le aree urbane sono le più soggette alla minaccia delle ondate di calore e oggi 3 europei su 4 abitano in città. Nel 2020 saranno 4 su 10.

"Un bambino nato oggi potrebbe arrivare a vedere un pianeta più caldo anche di 6 o 7 gradi", ha concluso Jacqueline Mc Glade. "Nel Mediterraneo il numero di giornate sopra i 40 gradi potrebbe raddoppiare, i ghiacciai alpini sparire nell'arco del secolo e la mancanza d'acqua costringere a scegliere tra bere e innaffiare. Ma non è uno scenario già scritto. Abbiamo ancora uno spazio, sia pure estremamente ridotto, per intervenire. Se riusciremo a scrollarci di dosso l'inerzia che ha rallentato i cambiamenti economici necessari potremo fare molto. Una parte dei danni è inevitabile perché i gas serra che li produrranno viaggiano già in atmosfera, ma il disastro può ancora essere evitato chiudendo il rubinetto dell'inquinamento".

01 dicembre 2010

FONTE: la Repubblica.it
http://www.repubblica.it/ambiente/2010/12/01/news/futuro_europa_verde-9709512/


Una notizia buona e una meno buona. La notizia buona riguarda la sempre maggior diffusione di industrie "verdi" e l'utilizzo sempre maggiore di fonti rinnovabili, così che l'Europa è riuscita a rispettare in anticipo il protocollo di Kyoto che prevedeva un taglio delle emissioni serra dell' 8 % entro il 2012 (in questo però la crisi economica ci ha messo lo zampino). La notizia meno buona, anzi direi decisamente allarmante, è che nonostante questi obiettivi raggiunti si prospetta un futuro tutt'altro che roseo se la temperatura globale terrestre continuerà ad aumentare. Un aumento della temperatura globale di 6-7° entro la fine del secolo, come paventato da qualcuno, sarebbe CATASTROFICA per l'intera umanità. Forse non si arriverà a tanto, ma è certo che bisogna cambiare qualcosa e bisogna farlo anche presto. Se voglimo veramente cambiare le cose dobbiamo scrollarci di dosso dalla dittatura del petrolio e farlo possibilmente prima che le riserve di petrolio si esauriscano (ovviamente le grandi multinazionali del petrolio remeranno contro in tal senso). Bisognerà forse anche tornare a una società un po' più a "misura d'uomo" (la cosa, francamente non mi dispiacerebbe) in cui il rispetto per l'ambiente abbia la prevalenza su tutto il resto, con grande vantaggio anche per la salute dell'uomo. Occorrono cambiamenti, anche drastici, se vogliamo che la nostra cara, amata Terra continui ad ospitarci per ancora molto tempo.

Marco