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giovedì 4 luglio 2013

Un amore lungo 82 anni. Si erano scelti da bambini... solo la morte li ha separati


MILANO - Una storia d’amore lunga ottantadue anni è quasi un altopiano della memoria. E Concetto Bucceri, novant’anni, ogni notte sogna la compagna di tutta una vita, scomparsa a novembre. I Concetti, come li chiamano con affetto le tre figlie, si erano scelti a Taormina, quando lei aveva quattro anni e lui sette. È il 1930 e qualcuno chiede alla piccola: «Chi ti piace di tutti questi bambini?». Senza esitazioni lei punta il dito proprio su Concetto. Da quel gesto nasce tutto, raccontano dei genitori Carmen e Nunzia, e da quel giorno giocheranno insieme.

Il primo bacio in spiaggia, di nascosto. Sono trascorsi dieci anni da quel dito puntato, lei ha 14 anni, lui 17. Ma è il 1940 e Concetto va in guerra. Solo per miracolo evita il fronte, finendo comunque a fare il panettiere per la fanteria, prima in Corsica, poi in Sardegna. In quattro anni di assenza appena può le scrive. Lettere, cartoline, pensieri. Dopo la Liberazione, contratta la malaria e finito in coma all’ospedale di Napoli, guarisce, torna a casa e riabbraccia Concetta.

Ma in sicilia non c’è lavoro. Così parte da solo per il Nord, dove scoprirà la neve. Lasciando libera Concetta. «Non volevo imporle di aspettarmi. Senza lavoro, non potevo darle un futuro». Arriva a Bernareggio, trova impieghi saltuari, alla cartiera e alle acque minerali, quindi fa il fuochista per caldaie a Milano. Passano otto lunghissimi anni in cui lui, bel moro del Sud, viene corteggiato senza ritegno. Ma a tutte dice: «Il mio cuore non è libero». Anche Concetta vede solo il suo fantasma.

Nel ’55 lo assume a tempo indeterminato la Vigilanza Città di Milano. Lui prende il treno, va dritto a casa di lei e la famiglia lo invita a pranzo. Quel giorno le chiede di sposarlo. Il 12 maggio ’56 i due sono in chiesa, subito dopo andranno a Roma in viaggio di nozze, per un giorno, poi poseranno le valigie in un abbaino di via Morgagni, a Milano.

Dal matrimonio, oltre a Carmen e Nunzia, nascerà anche Giusi e nel ’68 la famiglia si sposterà nella casa attuale di via Aselli, Città Studi. Concetta fa il mestiere che le hanno insegnato nell’infanzia, al Sud: cuce in casa, soprattutto occhielli per camicie. Sei anni fa, dopo alcuni malesseri, la diagnosi: fibrosi polmonare idiopatica, malattia rara e degenerativa delle vie respiratorie, che nella sua progressione toglie il fiato, fino a soffocare.

L’unica terapia è la bombola ad ossigeno, ma Concetta non perde la sua innata eleganza. Lui le è sempre accanto e ogni giorno, come sempre, al mattino per prima cosa le prende la mano: «Buongiorno, signora». Il caffè, servito con il cucchiaino e il latte, a letto. Un fiore. Mai una galanteria di meno. Fino a quel 2 novembre 2012, l’ultimo mattino. «Eri pura luce», scrive uno che le voleva bene, sul registro dei saluti. «È venuta meno la mia vita - dice Concetto - Mi sento sempre quel dito puntato addosso».

Le figlie provano a rincuorarlo. «Papà, ci siamo anche noi, siamo una parte di mamma». Lui abbozza mezzo sorriso. Al pomeriggio esce con loro a fare due passi, la vista gli impedisce di farlo da solo. Ha una gran fretta di ritrovare quello sguardo. Ma sa anche che ha tutta l’Eternità per assaporare migliaia di ricordi, la luce tra le foglie, l’odore della neve, il caffè insieme. Il prossimo bacio, ad occhi chiusi.

di Enrico Fovanna

10 aprile 2013

FONTE: ilgiorno.it

http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2013/04/10/871739-milano-amore-bambini-morte-concetto.shtml?ssidc=tmpjdbrkbb&wt_rtgx=CMP01_VV.EXP01 


Una storia bellissima, toccante.... una storia d'Amore con la "A" maiuscola che ci insegna, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'Amore Vero, quello che dura per sempre, esiste veramente, non è una chimera, ma una bellissima realtà.
Certo, l'Amore non è una passeggiata.... esso va costruito su solide basi, va nutrito, rivitalizzato.... è come una piantina che ha bisogno di cure costanti per rimanere in vita. Queste cure, fatte di gentilezza, di dolcezza, di premure costanti, anche se di mezzo c'è una malattia aggressiva come la fibrosi polmonare, non sono mai mancate in casa Bucceri, ed ecco svelato il "segreto" del loro rapporto durato oltre 80 anni e che solo la morte ha interrotto. La morte ha interrotto la loro vita insieme, ma non il loro Amore.... quello c'è ancora, quello ci sarà per sempre !

Marco
  

martedì 21 agosto 2012

“Il mio bambino morirà se non lo portiamo in Italia”

Due torinesi in Egitto: «Non abbiamo più soldi e speranze qui»

Torino - L’idea era cambiare vita. Avere coraggio, buttarsi. Cinquantamila euro per rilevare una pizzeria sullo stradone centrale di Sharm el Sheik. Da Torino all’Egitto, tagliare fuori la crisi. È passato un anno, la pizzeria ha ingranato, ma Sara Peira e Luca Casanova sono disperati: «Nostro figlio sta malissimo. È nato con dei problemi, che poi si sono aggravati. Qui non riusciamo a curarlo, non capiamo neppure quello che dicono i medici e abbiamo esaurito la nostra disponibilità economica. Abbiamo già speso 20 mila euro in meno di tre mesi, ci serve aiuto, dobbiamo riuscire a farlo trasferire in Italia».

La malattia
I problemi di Samuele hanno nomi clinici che fanno paura: fibrosi polmonare e encefalopatia ipossico ischemica. È mancato ossigeno al cervello. La voce di Sara Peira, 28 anni, arriva dal reparto infantile del centro Dar El Fuad del Cairo, la cinica più moderna, attrezzata e cara della zona. E mentre racconta, sforzandosi di mantenere la calma, ogni tanto ha dei sussulti di ilarità nervosa: «Se non riesco a far ricoverare Samuele in Italia - dice - finisce che ricoverano anche me».
Samuele è nato il 17 maggio: «Era bello, in gran forma, quattro chili e mezzo. Ma quasi subito mi sono accorta che il suo respiro faceva come un fischietto, pensavo fosse un po’ di catarro. Per due volte sono andata dal pediatra, è il mio primo figlio e sono un po’ apprensiva. Ma mi ha tranquillizzato e rimandato a casa. Diceva che non era niente». Il 26 maggio Samuele ha la febbre alta: «Giriamo le due cliniche di Sharm, nella prima il medico non può vederlo, nella seconda lo ricoverano subito. Non mangiava, era cianotico, iniziano a fargli i controlli».

La crisi
E qui incomincia lo sprofondo. «Samuele viene intubato, ma non migliora. Il secondo giorno ci dicono che è necessario farlo ricoverare al Cairo. Organizziamo un’autoambulanza. Dobbiamo anticipare 2000 euro all’autista, cioè il guadagno medio di un mese con la pizzeria. Ovvio che li anticipiamo, per carità. Solo che durante il viaggio di sette ore, con Samuele sedato, le cose peggiorano. All’arrivo stava malissimo. Aveva crisi convulsive. Ed è a questo punto, quando gli fanno la Tac al cervello, che vedono la mancanza di ossigeno».

Il denaro

Da quasi tre mesi Samuele Canova è ricoverato. Spesso è tenuto nell’incubatrice in coma farmacologico. Respira grazie a un ventilatore. Sua madre l’ha potuto prendere in braccio soltanto pochi minuti. Suo padre continua a lavorare a Sharm per cercare di ammonticchiare un po’ di denaro. «Ma ormai il sogno è finito. Distrutto. Non ce la facciamo più. Abbiamo ricevuto aiuto dalle nostre famiglie, abbiamo speso tutti i risparmi, ora siamo a zero. E qui, ogni giorno, prima di salire in reparto, bisogna passare negli uffici amministrativi. Alla cassa. È una clinica molto americana, ma non ci sono alternative. E noi stiamo impazzendo...».
Ieri mattina stavano cercando di organizzare il viaggio di ritorno. Ma prima è necessario fare una tracheotomia per «mettere in sicurezza» il respiro di Samuele. «Mi hanno chiesto altri 65 mila pound, circa 10 mila euro, ma non li abbiamo. Chiediamo aiuto al ministero degli Esteri, all’ambasciata, a chiunque. Samuele deve essere curato in un ospedale italiano».

La paura
Giorni da incubo. I genitori non riescono neanche a capire bene le conseguenze che potrebbe portare nella vita: «È difficile spiegarsi in inglese... Io non capisco neanche cosa ha davvero il mio bambino».
Sul profilo Facebook di Sara Peira, che qui aveva frequentato l’istituto alberghiero Colombatto e gestito un locale che si chiamava «Miseria e nobiltà», ora c’è scritto: «Non chiedetemi amicizia. Sono piena di problemi».

di Niccolò Zancan

14 agosto 2012

FONTE: la stampa.it
http://www2.lastampa.it/2012/08/14/cronaca/il-mio-bambino-morira-se-non-lo-portiamo-in-italia-7DX6peeva0GrJ3QNXh8nVK/index.html


Gran brutta storia, che mi auguro abbia una pronta risoluzione.
Tanta solidarietà e auguri da parte mia al piccolo Samuele e alla sua famiglia, con l'augurio che tutto si possa risolvere per il meglio e in tempi strettissimi, per il bene del bambino che deve essere posto al di sopra di ogni cosa.

Marco