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venerdì 15 aprile 2022

Per la prima volta, all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, viene provata una terapia sperimentale con il Myozyme per la terribile malattia di Lafora

Carola, 17enne di Fiumicino, è una ragazza colpita dalla terribile e rarissima malattia di Lafora, un’alterazione genetica che fa sì che si accumulino zuccheri in grande misura, in particolare a livello cerebrale, in assenza delle proteine che dovrebbero sintetizzarli, coinvolte nel metabolismo del glicogeno. E' una patologia che colpisce i giovani e che non da scampo, contraddistinta da forti crisi epilettiche e da una progressiva perdita della capacità di movimento nonché da un sempre maggiore deterioramento cognitivo. L'aspettativa di vita per questa terribile malattia va dai 2 ai 10 anni e non esiste, almeno finora, nessuna vera terapia.
Le terapie che si fanno sono solo sintomatiche, volte cioè a cercare di "limitare" il più possibile i vari sintomi, ma nessuna interviene nel "meccanismo" che è alla base della malattia, ragione per il quale la prognosi è sempre infausta.
Con Carola però, all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, per la prima volta per questa malattia è stato somministrato un farmaco, il Myozyme, una terapia enzimatica sostitutiva (prodotta da Sanofi) già in uso per un’altra patologia, la malattia di Pompe, che nelle sperimentazioni su animali avrebbe dato buoni risultati. Sembra infatti che questo enzima sia in grado di distruggere questi accumuli anomali di glicogeno, chiamati "i corpi di Lafora". Da qui nasce quindi la speranza che il farmaco possa essere efficace anche sugli essere umani, anche se esistono dei dubbi. Questo enzima, infatti, ha dimensioni per cui il "filtro" della barriera ematoencefalica potrebbe non essere superato. D’altro canto, però, come evidenzia il dott. Federico Vigevano
direttore del Dipartimento di neuroscienze dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, Ci sono delle evidenze che nei pazienti con malattie degenerative come questa la barriera ematoencefalica si altera e non è più funzionante e filtrante come nelle altre persone. Questa ipotesi potrebbe sostenere la probabilità di un arrivo della sostanza al cervello. Noi stiamo anche valutando se si può fare qualche stimolazione per favorire questo passaggio. Si potrebbe tentare, usando gli ultrasuoni, di allargare questo filtro in modo da far passare sostanze del peso di Myozyme” (cit. Umbriajournal).

Non c'è nulla di sicuro quindi, si tratta di un tentativo terapeutico che, tuttavia, apre le porte alla speranza ed è stato particolarmente caldeggiato dall'associazione genitori e, in particolare, da Roberto Michelucci, direttore dell’Unità operativa di neurologia dell’ospedale Bellaria – Irccs Istituto delle scienze neurologiche di Bologna, uno dei maggiori esperti di questa patologia. Sotto questa "spinta" la Regione Lazio ha dato il "via libera" a questa sperimentazione su Carola, con la possibilità che essa si possa estendere, in futuro, anche ad altri giovani pazienti.

Per questa nuova terapia i tempi non saranno brevi e per vedere i primi eventuali risultati, precisa il dott. Federico Vigevano, occorreranno almeno 6 mesi. Il primo obiettivo è quello di vedere se si può arrestare la progressione di questa malattia così rapidamente degenerativa, con la speranza di poter vedere almeno qualche miglioramento in questa direzione. Il dott. Vigevano auspica che a più pazienti possa essere data questa "chance" di sperimentazione col farmaco Myozyme, per avere più riscontri e quindi riuscire a fare protocolli più attendibili, ma soprattutto per venire incontro alle speranzose attese dei genitori di questi giovani ragazzi malati, sapendo che la loro vita può volgere al termine nel giro di pochi anni e per i quali anche aspettare soltanto qualche mese può significare tanto per la degenerazione della loro situazione.


Marco

sabato 9 ottobre 2021

Premana. Al via un progetto di ricerca sulla malattia di Gloria e Samuel

Primo passo per lo studio dell’Atassia da mutazione della neurofascina.
A raccogliere la sfida l’equipe del professor Comi del Centro Dino Ferrari di Milano

PREMANALa malattia rara dei fratelli premanesi Gloria e Samuel adesso non soltanto ha un nome, ma anche una sperimentazione dedicata. Grazie alla raccolta fondi, i ricercatori del Centro Dino Ferrari di Milano la potranno riprodurre in laboratorio utilizzando organoidi cerebrali per studiarne fisiologia e patogenesi.

Un viaggio che ha inizio il 23 febbraio 2019: con un concerto del Coro Nives si dà il via alla raccolta fondi per Gloria e Samuel, i fratelli premanesi affetti da una patologia unica al mondo, una neuropatia demielinizzante che porta alla progressiva perdita della coordinazione muscolare. L’11 luglio dello stesso anno si ripete con l’iniziativa Corriamo con Gloria e Samuel, in cui un nutrito gruppo di atleti di altissimo livello si sfida in una spettacolare corsa a eliminazione per le vie di Premana. Per l’occasione, diversi campioni delle più svariate discipline sportive donano cimeli personali per un’asta benefica. Il tesoretto derivato fa scattare la molla per la creazione di un Comitato di cittadini a favore della ricerca sulla malattia, presieduto da mamma Maria Carla e papà Giordano.

Il primo passo del Comitato è la raccolta delle idee e dei proventi, che raggiungono l’interessante cifra di 70 mila euro. Si decide, quindi, di appoggiarsi alla Fondazione Comunitaria del Lecchese Onlus e si cerca di capire come muoversi per far sì che questi soldi vengano investiti in ricerca. A raccogliere la sfida è l’equipe del Professor Comi del Centro Dino Ferrari dell’Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Policlinico Ospedale Maggiore, guidata dal Dottor Alessio di Fonzo, già coinvolta nella diagnosi. Partendo dalle cellule della pelle di Gloria e Samuel, opportunamente riprogrammate e differenziate, i ricercatori svilupperanno degli organoidi cerebrali, strutture che ricapitolano dei piccoli cervelli in vitro. L’obiettivo è quello di comprendere i meccanismi biologici alla base della malattia, al fine di sviluppare una terapia mirata.

Desidero esprimere a voi e a tutta la comunità premanese che si è stretta intorno ai vostri figli Gloria e Samuel, i più sentiti ringraziamenti per la disponibilità a contribuire al progetto di ricerca ‘Studio della neurofascina negli organoidi cerebrali. Dalla fisiologia del neurosviluppo alla patogenesi della nodopatia ereditaria da mutazione della neurofascina’. Sarà ovviamente nostra cura produrre una rendicontazione scientifica ed economica dell’impiego dei fondi devoluti”, queste le parole della Dottoressa Marialuisa Gavazzeni Trussardi, presidente dell’Associazione Dino Ferrari di Milano. Il cammino sarà lungo e costoso, ma la speranza di raggiungere dei risultati per Gloria, Samuel e gli altri bambini nati con questa malattia rara sarà il motore per tutti, scienziati e finanziatori.

Per eventuali prossime donazioni il versamento potrà essere effettuato sul conto corrente:

Banca della Valsassina Credito cooperativo Filiale di Lecco
IBAN: IT87B0851522900 000000501306
Causale del bonifico: Ricerca per Gloria e Samuel


Le informazioni finora disponibili sono reperibili sul sito dell’associazione.


28 settembre 2021

giovedì 7 ottobre 2021

Terapia genica anti-Sla: è la svolta? Una cura pare efficace

Dopo decenni di ricerca appaiono promettenti i primi risultati di un test internazionale per contrastare alcuni casi della malattia. Sabatelli (Centro Nemo): si apre una strada

«Siamo in attesa dei risultati finali di un trial internazionale di terapia genica che, per la prima volta, sembra dare speranza di cura contro la Sla». Nella 14° giornata nazionale promossa oggi dall’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla), è prudente ma fiducioso il neurologo Mario Sabatelli, direttore clinico del Centro Nemo di Roma (al Policlinico Gemelli), area adulti, docente di Neurologia alla facoltà di Medicina dell’Università Cattolica: «Si tratta della cura di una piccola fetta di pazienti che hanno una specifica mutazione, ma è un punto di svolta». E sulla Giornata, Sabatelli, presidente della Commissione medico-scientifica di Aisla, sottolinea: «Serve a sensibilizzare il pubblico e a far sentire meno soli i malati, alle prese con un carico di sofferenza enorme».

A che punto è la ricerca sulla Sla?

La Sla fa parte delle malattie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson, cioè malattie in cui alcuni gruppi di cellule muoiono senza una causa apparente (infezioni, ischemie, tumori). La causa è sempre stata cercata nell’ambiente, ma sono emerse solo ipotesi: si sa che ci sono fattori predisponenti come l’attività fisica intensa, il fumo di sigaretta, i pesticidi. Dagli anni Novanta si è cominciato a capire il ruolo della genetica: tutte le malattie neurodegenerative hanno una piccola quota (5-10%) in cui c’è una chiara familiarità, cioè sono forme ereditarie. Le altre sono forme sporadiche. Nella Sla sono stati scoperti quattro geni importanti, causa delle forme familiari. Poi si è scoperta una serie di alterazioni genetiche che non sono causa diretta come nelle forme ereditarie ma fanno da fattori predisponenti e che, messi insieme, determinano la malattia: rappresentano circa il 20% di tutte le forme sporadiche di Sla. Per il restante 80% la componente genetica viene ritenuta probabile, ma non è nota.

Quali possibilità di cura sono state esplorate?

Da quando è apparso chiaro il ruolo dei geni si è puntato anche sulla terapia genica, soprattutto dopo il successo ottenuto con un farmaco contro la forma 1 (la più grave) dell’Atrofia muscolare spinale (Sma), un’altra malattia neurodegenerativa che colpisce la stessa cellula lesa dalla Sla, cioè il motoneurone.

Che risultati sono stati ottenuti con la terapia genica?

Si è capito che nelle forme genetiche di Sla c’è un’alterazione del Dna e quindi dell’Rna (che copia il Dna) con sintesi di proteine che vengono quindi prodotte in forma mutata, tossica per la cellula. È stata individuata una trentina di geni sicuramente legati alla malattia, e in parallelo si sta sviluppando la terapia genica. Si cerca cioè di interferire con l’Rna, "spegnendolo", con conseguente riduzione della proteina mutata. L’esperimento più promettente riguarda una piccola fetta di pazienti, quelli che hanno la mutazione del gene Sod1 (uno dei quattro individuati come causa diretta della malattia). Attraverso una puntura lombare sono stati somministrati oligonucleotidi antisenso (Aso, nella sigla inglese) che vanno in circolo nel liquor e arrivano ai motoneuroni, dove si legano solo sull’Rna del gene alterato, come la chiave in una serratura. E così impediscono all’Rna di sintetizzare la proteina tossica.

I risultati?

Positivi in un primo studio su pochissimi pazienti con una forma aggressiva di malattia. L’esperimento è stato ripetuto su un numero più consistente, circa 100 malati (6 italiani): lo studio è terminato a luglio, attendiamo i risultati entro metà ottobre, ma la sensazione (e le notizie che corrono tra i ricercatori) fanno sperare nella conferma del risultato positivo. Sarebbe una svolta, anche se riguarda solo il 3% di tutti i pazienti. La mia speranza di ricercatore è di sviluppare una serie di altri trial partendo da questi risultati. La strada è lunga e complicata, però dobbiamo continuare a individuare nuovi geni per sviluppare queste terapie genetiche. Anche la possibilità di intervenire sul mancato smaltimento da parte delle cellule delle proteine anomale può rappresentare un obiettivo terapeutico.


di Enrico Negrotti

18 settembre 2021

FONTE: Avvenire

lunedì 3 giugno 2013

Metodo Stamina, ok alla sperimentazione, ma in pochi potranno accedervi

Si al metodo Stamina: con una larghissima maggioranza il Senato ha dato il via libera al decreto legge sulle staminali. I pazienti già sottoposti a questo tipo di terapia potranno proseguire le cure. Nel frattempo il Ministero della Salute avvierà una sperimentazione di 18 mesi, alla quale però non tutti potranno accedere. E tra gli esclusi c’è Ludovica, una bambina di sei anni affetta da una malattia rarissima. Lei infatti sicuramente non rientrerà in quei pochi che accederanno alla sperimentazione, che sono solo 20, al massimo 30 bambini, come ci racconta Francesca, la mamma della bimba.

Quanti sono invece i bambini che potrebbero teoricamente trarre giovamento dalla terapia? La mamma di Ludovica parla di 8.000 bambini, visto che le richieste sono arrivate a 15.000, ma sono comprensive anche degli adulti. Ludovica e gli altri bambini, quindi, quanto dovranno aspettare? Alla fine della sperimentazione verranno prodotti dei dati, solo ad allora si potrà eventualmente partire con la cura. Ma se per accedere alla cura si dovranno aspettare due anni, molti di questi bambini, tra cui Ludovica, non ci saranno più.

L’unica speranza per questa famiglia è che la bambina venga fatta rientrare tra quei pazienti che hanno già iniziato la terapia e che dunque, in base al decreto, sono autorizzati a continuarla. L’efficacia del metodo Stamina non è ancora stata provata, ma sono molte le persone che vorrebbero accedere alla terapia. Probabilmente perché quando si notano dei miglioramenti la speranza di guarigione supera qualsiasi cosa.

23 maggio 2013

FONTE: consumerismo.it

http://www.consumerismo.it/codici-metodo-stamina-ok-alla-sperimentazione-ma-in-pochi-potranno-accedervi-2497.html


Una notizia che in tanti aspettavamo, quella della delibera sulla sperimentazione delle cure con cellule staminali mesenchimali secondo il Metodo Stamina, una bellissima notizia che dona tanta speranza a tanti, tantissimi malati. Ma, ma..... c'è un "MA"! I malati che potranno sottoporsi a questa terapia sperimentale sono pochi, pochissimi a fronte dei tantissimi malati (molti dei quali gravissimi, con brevi margini di vita davanti a loro) che vorrebbero sperimentarla su di loro. E per questi malati allora cosa si fa? Con quali criteri si decide chi potrà accedere alla sperimentazione e chi no?
Personalmente sono dell'idea che a fianco della sperimentazione, che deve avvenire in modo serio, autorevole e senza alcun tipo di condizionamento, si deve dare via libera a questo tipo di cure per tutti quei malati gravi che sono senza concreta speranza di sopravvivenza a breve termine o di un qualche possibilità di miglioramento con le cure tradizionali. Perchè togliere una possibilità come questa a queste persone? Perchè aspettare il termine della sperimentazione, se per tanti malati non ci sono concretamente altre speranze al di fuori di questa? Non sia mai! In certi casi le ragioni del cuore devono superare quelle della semplice e fredda razionalità o del cosiddetto "protocollo". E per queste situazioni particolarmente gravose non si può attendere, e questo anche se non c'è ancora nulla, o quasi, di provato e sicuro.
Mi auguro, come sempre, che il cuore e il buon senso abbiano la meglio su qualsiasi altra ragione, e che si decida di non togliere quest'àncora di salvezza a tutti quei malati che aspettano con ansia di potersi sottoporre a questo innovativo metodo di cura con cellule staminali.

Marco

mercoledì 1 agosto 2012

Valentina Vezzali dedica la sua medaglia ad una bambina malata: "Questa medaglia è per te Matilde"



Due sogni che si incontrano per farsi coraggio a vicenda. Sono quelli di Valentina Vezzali e della piccola Matilde.
Per Valentina non c'è bisogno di presentazioni, è stata la portabandiera della squadra Azzurra ai Giochi Olimpici che si stanno svolgendo a Londra ed è una grandissima campionessa di scherma, specialità fioretto. Matilde, invece, è una bambina di dieci anni appassionata di scherma, e spera che un giorno la ricerca possa aiutarla a guarire da una malattia genetica che le impedisce l'uso delle gambe: l'atrofia muscolare spinale di tipo 2.
Tra le 2, grazie alla Fondazione Telethon presente a Londra come charity di Casa Italia, c'era stato un incontro molto intenso per entrambe prima dei Giochi Olimpici, documentato da un video pubblicato sul sito di Telethon. Valentina ha fatto provare il fioretto a Matilde, la bambina ha rivolto il suo in bocca al lupo a Valentina per le Olimpiadi. Poi la campionessa ha promesso che le avrebbe dedicato la medaglia, se fosse riuscita a vincerne una. Nei giorni successivi la bambina ha dedicato un disegno alla Vezzali e glielo ha inviato insieme ad una lettera.

Valentina Vezzali, da vera campionessa e donna d'onore quale è, ha mantenuto la sua promessa e ha dedicato la medaglia di bronzo appena conquistata alla sua tifosa speciale: “Non bisogna mai mollare. Anche quando la sfida sembra persa. Io ci sono riuscita e ho vinto il bronzo, alla mia quinta Olimpiade. Anche tu devi tener duro e credere nella ricerca scientifica”.
"Non era questa la medaglia che volevo dedicarti – ha continuato Valentina Vezzali - ma aver vinto un bronzo alla mia quinta olimpiade è un risultato che mi rende orgogliosa. E non è finita qui: c’è la gara a squadre e poi ci saranno le Olimpiadi di Rio. Spero di riuscire a offrirti una medaglia ancora più bella."

Valentina e Matilde sanno che la strada per arrivare alla vittoria finale è lunga, ma sono consapevoli di non essere sole. La campionessa di scherma ha un'intera nazione che tifa per lei quando gareggia in ogni parte del mondo, Matilde invece può contare su un tifo speciale: quello di chi crede nella ricerca e con generosità sceglie di sostenere la ricerca affinchè si possa mettere la parola "cura" su ciascuna malattia genetica.

Grazie Valentina, grazie Matilde.



FONTI: telethon.it, osservatoriomalattierare.it

venerdì 6 luglio 2012

Cure efficaci con l’impiego delle cellule staminali

Le cellule staminali, hanno una straordinaria potenzialità terapeutica. Cellule preziose, sempre più studiate a livello mondiale e impiegate anche nella cura di patologie genetiche invalidanti, come la malattia di Niemann-Pick di tipo A (i bambini colpiti in genere non superano i due anni di vita), o l'atrofia muscolare spinale di tipo 1 (Sma1), oppure l'atrofia muscolare spinale di tipo 5 (Sma5 o sindrome di Kennedy), solo per citarne alcune. Patologie devastanti, senza terapie alternative. La Stamina Foundation Onlus, ha portato in Italia una tecnologia avanzata (nata nel 1998). «É una metodica che si basa sull'uso di cellule staminali adulte prese dallo stroma osseo, vale a dire dalla parte spugnosa che è sotto l'osso, prelevate con una piccola operazione ambulatoriale, dall'anca del paziente», spiega il professor Davide Vannoni, presidente di Stamina Foundation Onlus. «Le cellule prodotte vengono testate, oltre che per la loro caratterizzazione specifica e per l'assenza di marker tumorali anche per qualunque forma di contaminazione (batterica, virale, funghi). Viene inoltre fatto un test sulla telomerasi e sulla vitalità cellulare, che con la nostra metodica, arriva al 98 per cento. Il controllo che effettuiamo nella produzione è molto serrato, quasi da farmaco. Questo prima di tutto per la sicurezza del paziente», aggiunge Vannoni. Ora ad un gruppo di pazienti con patologie gravi (Sma, malattia di Niemann-Pick di tipo A, Parkinson, Sla, paresi cerebrale infantile, paresi sovra nucleare progressiva e sclerosi multipla) in trattamento presso gli Spedali Civili di Brescia, da circa un anno, in uso compassionevole con la terapia a base di cellule staminali preparate da Stamina, è stata sospesa la terapia. Questo, secondo decreto dall'Agenzia italiana del farmaco(Aifa), per verificare il rispetto delle norme, circa i trattamenti eseguiti. «Brescia è un'esperienza unica ed eccezionale in questo momento in Italia, che avviene nell'ambito del decreto Turco-Fazio, nella piena e totale gratuità per i pazienti e con tutti i passaggi amministrativi rispettati», sottolinea Davide Vannoni. «Non si tratta di una sperimentazione, ma di cure con l'applicazione delle cellule staminali su malattie diverse che non hanno terapie alternative. Non è una panacea per tutti i mali, ma i risultati di questi interventi sono positivi e sono stati documentati da esperti».

1 luglio 2012

FONTE: ilgiornale.it
http://www.ilgiornale.it/medicina/cure_efficaci_limpiego_cellule_staminali/01-07-2012/articolo-id=595013-page=0-comments=1

sabato 27 novembre 2010

Il suicidio del cancro

Importante scoperta di ricercatori italiani all'estero: Una sostanza che produrrebbe l'autoeliminazione delle cellule ammalate in diversi tipi di cancro. La pubblicazione sul settimanale Science.
 

ROMA - Ricercatori italiani hanno scoperto un meccanismo molecolare per far suicidare cellule malate di cancro che potrebbe essere attivato per combattere molti tumori diversi: con questa scoperta, di recente pubblicata sulla prestigiosa rivista Science, si potrebbe arrivare a nuovi farmaci ad 'ampio spettro' contro molti tipi di cancro. A dare la notizia lo scienziato Pier Paolo Pandolfi, direttore della ricerca al Beth Israel Cancer Center di Harvard School di Boston che ha coordinato il lavoro insieme a Paolo Pinton dell'Universita' di Ferrara. ''Da tempo sapevamo che una molecola chiamata PML, messa fuori uso nella leucemia promielocitica, serve a mandare a morte le cellule malate, cioe' che PML e' quello che chiamiamo un oncosoppressore'', ha spiegato Pandolfi, oggi intervenuto all'Universita' La Sapienza di Roma in occasione della presentazione del master "Le Scienze della vita nel Giornalismo e nei rapporti Politico-istituzionali''; ma rimaneva un mistero il meccanismo d'azione di PML e quindi la possibilita' di sfruttare la molecola dal punto di vista terapeutico. ''Abbiamo capito che PML e' messa KO non solo nella leucemia promielocitica, ma anche in altri tipi di cancro (prostata, polmone, cervello etc) - ha detto Pinton - inoltre abbiamo compreso il modo in cui PML induce al suicidio cellulare''. PML, hanno spiegato Pinton e Pandolfi, si lega a una 'proteina-canale' sulla membrana di un organello cellulare deposito di ioni calcio, il 'reticolo endoplasmatico'. Il canale si apre in risposta a PML e, come una diga, lascia uscire gli ioni che riempiono la cellula uccidendola. Questo "suicidio" regolato e' messo in atto quando la cellula e' danneggiata e irriparabile. Ma in alcuni tumori, in primis nella leucemia in cui il ruolo di PML e' stato scoperto, PML non funziona piu' e la cellula malata invece di suicidarsi prolifera. ''Adesso che grazie alla collaborazione avviata abbiamo scoperto qual' e' il target di PML - ha concluso Pinton - potremo mettere a punto dei farmaci molecolari specifici che mimino l'azione di PML e facciano suicidare le cellule malate''.

FONTE: TG1online
http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-0c3320d6-32f6-47bf-b7a0-3cb6bef4cda6.html?refresh_ce



E' sempre bello sapere che la ricerca e la sperimentazione in campo medico-scientifico va avanti e che nuove scoperte si affacciano alla ribalta, scoperte come questa nella lotto contro il cancro che potrebbe rappresentare una svolta per il futuro.
Con un pizzico di campanilismo devo dire di essere contento anche del fatto che questa scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori italiani (come per il Prof. Zamboni e la CCSVI) benchè operanti all'estero. Il fatto che questi ricercatori nostrani lavorino fuori dai confini dell'Italia, ci deve però far riflettere sul fatto che il nostro "bel" paese dedica veramente poche risorse alla ricerca e sperimentazione, e così i nostri migliori "cervelli" spesso e volentieri sono costretti a emigrare all'estero per poter trovare le condizioni giuste nel portare avanti il loro preziosissimo lavoro di ricerca. E questo, bisogna dirlo, è veramente un gran peccato.

Marco

giovedì 28 ottobre 2010

Nuove armi contro i tumori, più vicine le alternative alla chemio: in futuro si useranno degli antiacidi

Sembra troppo semplice per essere vero, eppure in un futuro non troppo lontano potrebbe diventare la nuova terapia alternativa alla chemioterapia: i farmaci antiacidità, gli inibitori della pompa protonica e persino il bicarbonato sono il nuovo filone cui si stanno dedicando diversi scienziati, perché efficaci, senza effetti collaterali e con costi molti più bassi. A fare il punto della situazione sono stati gli scienziati riunitisi all'Istituto superiore di sanità (Iss), in occasione del primo simposio dell'International society for proton dynamics in cancer (Ispdc).

Questo nuova terapia si basa su un approccio diverso da quello adoperato finora, perché parte dall'assunto che i tumori sono acidi. "L'acidità è un meccanismo che il cancro usa per isolarsi da tutto il resto, farmaci compresi - spiega Stefano Fais, presidente Ispdc e membro del dipartimento del farmaco dell'Iss - Ma le cellule tumorali, per difendersi a loro volta da questo ambiente acido, fanno iperfunzionare le pompe protoniche che pompano protoni H+. Se si bloccano queste pompe, la cellula tumorale rimane disarmata di fronte all'acidità, e finisce per morire autodigerendosi".

Usando quindi degli antiacidi, anche generici, come gli inibitori della pompa protonica, generalmente adoperati per le ulcere gastriche si può curare il cancro. "A differenza dei chemioterapici - continua Fais - questi farmaci non hanno effetti collaterali e hanno dei costi molto più bassi. Basti pensare che quelli usati con la target therapy, che provocano tossicità e resistenza nel paziente, costano 50-60mila euro l'anno a malato. Con questa terapia invece il costo annuale sarebbe di circa 600 euro con il generico, e di 1200 con quelli di marca. Ma le industrie farmaceutiche al momento non sono molto interessate a questo tipo di approccio".

Nonostante ciò, l'Iss è riuscito a far partire i primi due trial clinici del genere in Italia: uno presso l'Istituto dei tumori di Milano per il melanoma su circa 30 pazienti, e l'altro presso l'università di Siena per l'osteosarcoma su 80 pazienti. "I risultati sono molto incoraggianti - prosegue Fais - perché questi farmaci, associati ai chemioterapici, hanno migliorato la risposta del paziente alla terapia, anche nei casi in cui non funzionava più, o di metastasi o recidive. Ma i dati devono essere confermati su un numero più ampio di pazienti e serve il supporto delle case farmaceutiche".

Lo stesso tipo di approccio è stato utilizzato anche presso la Fudan University di Shangai per il cancro al seno, mentre al Cancer Center di Tampa in Florida si sta sperimentando l'impiego del bicarbonato assunto per bocca. A Tokyo invece l'università di Edobashi sta studiando sui sarcomi una vecchia molecola, l'arancio di acridina, che si concentra negli organuli acidi della cellula e dopo uno stimolo luminoso ai raggi X si trasforma in un composto altamente tossico per le cellule tumorali. "Ma la vera svolta - conclude Fais - sarà se avremo l'approvazione per uno studio clinico in cui useremo solo con gli inibitori della pompa protonica, senza chemioterapici. Così dimostreremo la loro efficacia e la possibilità di usarli come alternativa alla chemioterapia".

 
Intanto, su un altro fronte, ci sono degli scienziati che studiano gli effetti antitumorali del Viagra. Tale medicinale sembrerebbe esser in grado di potenziare le proprietà anticancro della doxorubicina, usato contro il tumore alla prostata e capace di ridurre i pesanti effetti collaterali a breve e a lungo termine sul cuore. E' quanto dimostrato dall'equipe di Rakesh Kukreja della Virginia Commonwealth University School of Medicine e VCU Massey Cancer Center in un lavoro preliminare su animali pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Se anche i trial clinici confermeranno l'efficacia del sildenafil, il farmaco anti-disfunzione erettile per eccellenza, nel ridurre gli effetti avversi e potenziare l'efficacia della doxorubicina, spiega Kukreja, si farebbe un grande passo avanti nella cura di alcuni tumori, perché la doxorubicina è un buon farmaco usato in clinica da tempo, ma causa di effetti avversi sul cuore, che perdurano anche a terapia sospesa.

Gli esperti hanno testato varie soluzioni per ridurre i problemi della doxorubicina e visto che il sildenafil funziona in due modi: in primis, aumentando la produzione di radicali liberi nelle cellule tumorali, potenzia l'effetto terapeutico della doxorubicina nell'indurre la morte delle cellule malate. Poi, poiché il sildenafil protegge il cuore, aiuta a prevenire i danni irreversibili provocati dal farmaco anticancro. E' da 15 anni che si cerca una soluzione al problema degli effetti avversi della doxorubicina, il sildenafil potrebbe essere la strada.

28 settembre 2010

FONTE: tiscali.it

http://notizie.tiscali.it/articoli/scienza/10/09/tumori-alternative-chemio.html



Come ho già avuto modo di dire a proposito del Metodo Di Bella, io sono per la piena e assoluta libertà da parte del paziente di poter scegliere il modo di potersi curare, sia che si parli di tumore, sia che si parli di qualsiasi altra malattia.
Il fatto che si faccia ricerca per cercare modalità di cura ai tumori alternative alla chemioterapia e radioterapia oppure che si possano anche integrare con queste è solamente una cosa positiva. Mi auguro soltanto che in tutto questo prevalga il buon senso, ovvero che la ricerca sia indirizzata al solo e unico bene del malato senza nessun tipo di condizionamento legato a mere questioni economiche. Una cura contro i tumori a basso prezzo infatti potrebbe "non interessare" a chi gestisce il mercato dei farmaci. Ma ripeto... quando si parla di salute dell'uomo non ci possono essere condizionamenti di nessun tipo, sopratutto di ordine economico.

Marco