“La mia vita è cambiata in modo drastico con quella che pensavo fosse una banale tendinite al polso destro. Avevo 27 anni, un lavoro brillante e una vita che adoravo. Adesso, purtroppo, è rimasto ben poco”. Valeria ha 32 anni e vive in un paese in provincia di Messina, Villafranca Tirrena. Da 5 anni convive con la sindrome fibromialgica, una patologia caratterizzata da una alterazione della percezione degli stimoli dolorosi che interessa attualmente circa 2 milioni di italiani con una netta preponderanza femminile; dolore muscoloscheletrico diffuso e astenia (affaticamento) sono le “spie” principali e comuni di quella conosciuta anche come malattia dei 100 sintomi. La fibromialgia, fortunatamente, non è letale ma può diventare invalidante e avere serie ripercussioni – personali, sociali, lavorative ed economiche – per chi ne soffre.
“Visto che il dolore non passava il medico di base mi prescrisse prima una lastra e poi una risonanza che diedero esito negativo. Dopo qualche settimana il dolore si presentò, identico, anche all’altro polso. Cominciai anche a soffrire di tachicardia, fastidi a ginocchia, spalle e gomiti, febbriciattola serale. A quel punto il medico mi disse di rivolgermi ad un reumatologo. Feci degli esami del sangue e, in seguito alla negatività di questi ultimi, mi diagnosticò una artrite indifferenziata. Cominciai ad assumere una terapia a base di immunomodulatori e cortisone che non diede alcun risultato positivo, anzi. Comparvero altri sintomi, mi spuntarono i capelli bianchi e il gonfiore mi fece prendere 15 kg in un anno”. Il dolore continuo, unito allo sconforto, causano a Valeria un grave tracollo nervoso che la spinge a considerare l’idea di abbandonare il lavoro. Fortunatamente la persona per la quale lavora come responsabile della comunicazione non solo non l’abbandona ma prende contatti con una reumatologa di Bologna che, dopo averla sottoposta a nuovi esami, esclude la precedente diagnosi di artrite e definisce l’insieme di dolori descritti da Valeria come sintomi della sindrome fibromialgica: “Ricorderò sempre le parole che pronunciò subito dopo. Mi disse che ero fortunata, che con questa malattia si può convivere. Provai una gran rabbia: non è facile convincersi che sei fortunata quando non ce la fai ad alzarti dal letto, quando il dolore ti divora. Io ero abituata a lavorare 10 ore senza mai staccare, amavo viaggiare, divertirmi. Grazie a questa mia grande fortuna non riuscivo a fare più niente di tutto questo”.
Da Bologna Valeria torna con una nuova terapia farmacologica composta da un antidepressivo (a basso dosaggio, la funzione per la quale viene indicato è quella di miorilassante e per far alzare la produzione di serotonina), un miorilassante ‘puro’ e una serie di integratori: magnesio, potassio, vitamine D e B12. Le prime settimane sembra esserci un miglioramento ma poi tutto torna come prima.
Valeria pesa con attenzione ogni parola che pronuncia, ogni esame fatto, la lista di ogni farmaco assunto. Non è pedanteria, non è amore per la precisione: c’è la necessità di far capire lo sfinimento fisico e psicologico che si provano quando tutto sembra coalizzarsi contro di te: “La persona che più mi ha saputa capire è stata mia madre. Solo lei non mi ha mai mortificata. La gente, ma anche molti medici, non sanno nulla di questa malattia. Se non fai vedere un valore di un prelievo alterato o peggio nessuno ti crede, tutti cominciano a stancarsi di vederti vuota, sfinita, demotivata, nauseata. Forza!, ti dicono, come se fosse una questione di volontà. A quel punto reagisci anche tu e diventi aggressiva, non vuoi più vedere nessuno, ti allontani dagli amici, smetti di fare progetti anche a breve scadenza. Rinunci all’amore”.
Nell’aprile del 2014, dopo quattro anni di inferno, Valeria crolla: “Nonostante tutte le visite fatte in giro per l’Italia con tutti i migliori medici il dolore non mi abbandonava. Dalle ossa si era propagato anche all’apparato gastrointestinale. Quando ero a lavoro non potevo mai allontanarmi dal bagno, era diventato un incubo. Ho mollato tutto, andare avanti era impossibile. Per andare a lavorare alle 9 dovevo svegliarmi alle 6 e non per il traffico ma per cercare di uscire dal mio stesso corpo, rigido e freddo come un blocco di marmo. Ogni giorno un dolore nuovo, ho dovuto anche utilizzare la stampella, per camminare. I disturbi del sonno sono tremendi: spesso mi sveglio e resto completamente paralizzata, senza la possibilità di parlare, chiedere aiuto”.
Muoversi, viaggiare anche solo per andare a fare un controllo o un consulto, è diventato quasi impraticabile, per Valeria. A seguirla, adesso, c’è un medico pugliese che periodicamente visita in Sicilia. Le ha tolto molti dei farmaci che prendeva, ora la cura è a base di miorilassanti e vitamina D. “Sono disoccupata, vivo con mia madre (i miei sono divorziati), pensa lei a tutto. Tutte le visite sono a carico di noi malati. I viaggi, la ricerca di un esperto che possa capire il problema, i farmaci: la spesa è enorme. L’unica regione che ha riconosciuto, proprio in questi giorni, la fibromialgia come malattia invalidante è il Veneto. Il motivo per il quale mi sono rivolta a voi è soprattutto per dar voce a tutti noi malati invisibili e senza diritti e per gridare che non siamo malati immaginari! Si parla di soluzioni che possono aiutare a recuperare un po’ come l’appoggio psicoterapeutico e le terapie riabilitative. Ottimo! Ma non tutti possono affrontare un tale esborso! Il 12 maggio sarà la Giornata Mondiale della Fibromialgia, spero che questo sensibilizzi ancora di più i legislatori, che si possa trovare un modo – nel più breve tempo possibile – per far sì che ci sia un appoggio reale nel percorso diagnostico e di cura di ogni malato: centri di riferimento in tutte le regioni e l’esenzione dal ticket. Solo questo può riconsegnarci la speranza e la forza. Io voglio tornare a lavorare, voglio smettere di pensare che ogni emozione mi sia, ormai, preclusa. Voglio solo tornare a vivere”.
A sostenere, insieme a Valeria e a tutte le persone che soffrono di questa sindrome, che la fibromialgia non è una malattia immaginaria è il Professor Piercarlo Sarzi Puttini, Direttore U.O.C. di Reumatologia del Polo Universitario L. Sacco di Milano: “La fibromialgia è una combinazione di fattori genetici e ambientali. Non abbiamo ancora un marcatore e la diagnosi è prevalentemente clinica. Per molti pazienti questa arriva dopo anni di esami e terapie improprie, spesso dannose. Questo li scoraggia molto. Bisogna educare il paziente alla gestione di questa malattia: il fibromialgico, anche se con fatica, può fare tutto. Per quanto riguarda la cura, la parte farmacologica è importante ma lo sono anche quella riabilitativa e quella inerente la psicoterapia. Tutte le terapie che inducono una rilassatezza muscolare (terme, yoga, agopuntura, tai chi) sono consigliate e lo è anche la terapia cognitivo-comportamentale. Non dimentichiamo che anche la famiglia va sensibilizzata e, in generale, va sottolineato che la fibromialgia è un problema sanitario e sociale che deve emergere. Noi medici dobbiamo diventare allenatori dei nostri pazienti; non abbiamo una terapia risolutiva ma possiamo aiutarli a comprendere e a comportarsi in modo che la malattia si spenga o riduca drasticamente per migliorare la qualità della vita”.
di Tiziana Pasetti
13 luglio 2015
FONTE: Donna Moderna