Visualizzazione post con etichetta Stati vegetativi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Stati vegetativi. Mostra tutti i post

giovedì 7 luglio 2016

“La Voce negli Occhi”: un film sulla storia di Salvatore Crisafulli


Il film ripercorre la vicenda dell’uomo risvegliatosi dopo 2 anni dallo stato vegetativo permanente. Uno stimolo per la ricerca scientifica e un richiamo a migliorare la sanità sotto l’aspetto socio-assistenziale

È di imminente uscita “La Voce negli Occhi”, un film che ripercorre la vicenda di Salvatore Crisafulli, entrato in stato vegetativo permanente per due anni a causa di un incidente, ma che poi si risveglia dal coma, riprende coscienza e comunica, rivelando che, contrariamente a quanto pensavano i medici relativamente alla sua situazione, lui sentiva e capiva tutto. Ne parliamo con il fratello, Pietro Crisafulli, presidente di Sicilia Risvegli onlus.

***

Pietro, l’11 settembre del 2003 succede qualcosa che sconvolge la vita di suo fratello e di conseguenza di tutta la vostra famiglia. Ci racconti

Per Salvatore e per tutti noi famigliari e amici quella data, due anni esatti dopo l’attentato delle torri gemelle di Manhattan, è diventata il nostro 11 settembre per antonomasia, il giorno che ha rivoluzionato le vite di ciascuno di noi e ha segnato l’inizio di un lungo e penosissimo calvario, in un alternarsi di sofferenze, rese e ribellioni, diagnosi infauste o possibiliste, disperazioni e flebili speranze.

Per i medici Salvatore era in stato vegetativo permanente…

Esattamente. I medici che visitavano Salvatore dicevano che era in stato vegetativo permanente e che per lui non c’era niente da fare. A Innsbruck, in un istituto importante, che noi consideravamo la nostra ultima spiaggia, un famosissimo luminare studioso di patologie cerebrali estreme, quali il coma e lo stato vegetativo, sentenziò che Salvatore era affetto da sindrome apallica, ci disse anche che avrebbe vissuto al massimo 3-4 anni, ci disse che sarebbe morto. Quella diagnosi, quelle due parole, Apallisches Syndrome, hanno continuato a echeggiare nella mia mente per molti mesi, come un verdetto di resa senza condizioni, di condanna a morte. In pratica quel dottore ci disse che Salvatore non sarebbe mai più risvegliato e che sarebbe scivolato progressivamente verso la morte, ma di fatto, mentre lui pronunciava la sua sentenza di morte, mio fratello lo ascoltava, e capiva tutto. Non per niente, dopo, gli venne la febbre!

La vostra famiglia ha sempre pensato che si potesse fare qualcosa per Salvatore. Sua mamma Angela è sempre stata convinta che suo fratello capisse tutto, al 100%…

Salvatore capiva tutto, era cosciente. Lui sentiva i medici che dicevano che sarebbe morto e che i suoi gesti erano involontari. Lui, senza poter interagire, sentiva le profezie funeste dei medici, la forza irresistibile del nostro amore senza limiti, le lunghe battaglie disperate contro strutture sanitarie inaccessibili, costose e sorde alle mie proteste, anche la ribellione pubblica con la minaccia plateale di staccargli la spina.

Lui apriva e chiudeva gli occhi per attirare l’attenzione. Ma non serviva a niente. Un giorno mia madre, osservandolo attentamente, scoprì che Salvatore cercava di comunicare. Mi ricordo che siamo entrati nella sua stanza insieme a mia madre, i miei fratelli, mia moglie, i miei figli, ed un altro parente. Gli abbiamo chiesto di aprire e chiudere gli occhi per rispondere alle nostre domande. Gli dicevamo: “Salvatore, se ci senti apri gli occhi”. E lui eseguiva. Ci siamo messi insieme a piangere. Facevamo le prove con dei fogli scritti oppure colorati, lui con gli occhi indicava quello esatto.

Lei Pietro ha lottato per suo fratello con grande tenacia, ha bussato a tante porte…

Durante un anno e mezzo d’instancabili peregrinazioni e sacrifici umilianti, Salvatore, muto mendicante di cure e attenzioni, fu trasportato, in camper, nei migliori centri neurologici di mezza Europa, da Catania a Messina, dalla Toscana a Milano, dalla Svizzera all’Austria. Ma nulla, con quella terribile diagnosi di STATO VEGETATIVO PERMANENTE ovunque bussavamo per chiedere aiuto, ci veniva risposto con malcelata commiserazione che non c’era niente da fare, che ormai mio fratello era diagnosticato neuroleso cronico incurabile, quando non addirittura malato in fase terminale.

Nel marzo 2005 scoppiò il caso di Terri Schiavo, la ragazza americana in stato vegetativo da 15 anni. Lo scalpore suscitato dal caso Schiavo, che portava all’attenzione del mondo il dibattito sull’eutanasia, mi diede il coraggio di alzare la voce, di urlare pubblicamente che Salvatore non doveva essere abbandonato nei gorghi della malasanità, senza cure né assistenza, come una inutile pianta destinata ad appassire. Partecipai a trasmissioni televisive a forte impatto di ascolto, minacciai di staccare la spina a Salvatore, se non fosse stata soddisfatta la mia umanissima aspettativa. Sentivo nel mio cuore che il mio adorato fratello, dal profondo del suo pozzo di solitudine, mi chiamava, mi sentiva, soffriva con me, mi incitava a vincere la sua impotenza e a comunicare al mondo la sua voglia di vivere.

Il mio appello non cadde nel vuoto, l’opinione pubblica era scossa, l’idea che un uomo in Italia potesse staccare la spina al fratello era intollerabile in quel momento storico, intervenne il Ministro della Salute. Salvatore pochi giorni dopo venne ricoverato in una struttura specializzata di Arezzo, dove fu verificato che noi familiari avevamo ragione: Salvatore capiva davvero tutto quello che gli accadeva intorno, era affetto dalla sindrome da incarceramento (Locked-In), di cui si sa molto poco.

La storia di Salvatore è diventata anche un libro, “Con gli occhi sbarrati…”

«Voglio raccontare al mondo la mia esperienza. Voglio che tutti sappiano che cosa vuol dire vivere paralizzati su un letto, senza poter muoversi né parlare, con i medici che dicono che non capisci niente. Voglio farlo per aiutare me stesso, le persone come me e i loro familiari». Con queste parole, Salvatore ci chiese di aiutarlo a scrivere la sua storia in un libro. Così grazie anche alla giornalista Tamara Ferrari riuscimmo, dopo quasi un anno dal riconoscimento che Salvatore era cosciente, a scrivere il libro. Salvatore in quel momento riusciva a comunicare soltanto grazie a un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo. Raccontare la sua storia non è stato facile. Comporre anche la più semplice delle parole richiedeva a Salvatore uno sforzo tremendo, perché doveva attendere che tutte le lettere dell’alfabeto scorressero davanti ai suoi occhi prima di poter selezionare quella che gli serviva. E così, ogni volta che gli rivolgevamo una domanda, passava anche un intera giornata prima che lui rispondesse. Soprattutto all’inizio quando, turbato dai ricordi, smetteva di scrivere e scoppiava a piangere. Da quel giorno Salvatore iniziò a raccontarci la storia impressionante di un malato precipitato in una dimensione esistenziale sconosciuta e misteriosa per tutti, anche per la scienza.

Prossimamente uscirà il film “La voce negli Occhi”, un film sulla vicenda di suo fratello Salvatore. Un sogno diventato realtà?

Esattamente, grazie anche al suo memoriale, questo sogno è diventato realtà. Film autoprodotto dalla nostra associazione Sicilia Risvegli onlus. Tengo a precisare in particolar modo che questo film non è stato compartecipato da nessuna istituzione interpellata. Con grandi sacrifici economici, mi sono indebitato fino al collo. “La voce negli occhi” è stato in parte finanziato da mio nipote Rosario, che ci ha donato i soldi ricevuti da un risarcimento assicurativo. Il film racconta la nostra storia sin da bambini, fin dagli anni trascorsi insieme in collegio. Io e mio fratello eravamo inseparabili. Una storia toccante, di lotta reale e di bellezza pura con momenti anche leggeri e divertenti, come i flashback di Salvatore. Tra passato e presente, nella speranza di un futuro migliore, il film abbraccia un intreccio di storie dal tono entusiasta e a tratti nostalgico. Lo spazio per i momenti di sofferenza vissuti non saranno tanti perché questo progetto è un grande tributo alla storia di un grande guerriero di nome Salvatore. Molto presto “La Voce negli Occhi” sarà diffuso.

Sul set era presente anche qualcuno della vostra famiglia?

Sì, nel mio stesso ruolo ci sono io, e non nascondo che non è stata assolutamente una passeggiata. Molti ricordi, sofferenza, ho pianto in diverse scene, uno strazio interminabile. Ma in tanti ci siamo accorti che accanto a noi c’era Salvatore che ci guidava. Sono contento di aver trovato un grande regista come Rosario Neri, che quando lo conobbi mi disse: “Questo film sarà la mia anima”. Da quel momento iniziò a sistemare la sceneggiatura, ed oggi posso affermare che si tratta di un vero capolavoro. Nel film ci sono anche tanti esordienti, tutti in scena per ricordare un uomo dal forte spirito e coraggio, che seppe sopportare e sorridere al mondo intero dal lettino nel quale è stato costretto negli ultimi quasi 10 anni della propria esistenza. Un set cinematografico straordinario, tutte le persone hanno partecipato gratuitamente. In campo quasi 150 attori provenienti da tutta Italia. Con la partecipazione straordinaria di attori già noti, come Enzo Campisi, Giuseppe Santostefano, Maurizio e Rosalba Bologna, ed Agata Reale, tutti con ruoli molto importanti. I protagonisti principali oltre a me, sono Carmelo De Luca, che interpreta Salvatore, Giovanni Gagliano che fa mio fratello Marcello, e Francesca Tropea nei panni di Rita (mia moglie). Nei panni di mia madre Angela, la quale non ha mollato mai come noi, c’è Maria Maugeri.

“La Voce negli Occhi” sarà un film che farà discutere?

Credo proprio di sì. Ovviamente la storia di Salvatore ha scosso la comunità politica e scientifica, imponendo l’urgenza di una riflessione sui parametri assistenziali medici ed etici che segnano il confine tra vita e morte. Sarà uno stimolo importante alla ricerca scientifica e, per altro verso, un richiamo a migliorare la Sanità anche sotto l’aspetto socio-assistenziale.


di Anna Fusina

21 maggio 2016


FONTE: Zenit.org

https://it.zenit.org/articles/la-voce-negli-occhi-un-film-sulla-storia-di-salvatore-crisafulli/




Ecco uno di quei film che, sinceramente, non vedo l'ora di poter vedere. Di Salvatore Crisafulli ho parlato diverse volte sulle pagine di questo blog, di questo grande "guerriero" incredibilmente legato alla vita, nonostante la sua gravissima sindrome, una vita che, per usare parole sue, “vale sempre la pena di essere vissuta, in qualsiasi stato ogni persona si trovi!”.
Una storia vera, intensa, struggente, con un messaggio di Amore nei confronti della vita e della sua preziosità che è meraviglioso e che giungerà ancora più potentemente quando questo film uscirà. E sono queste le storie che bisogna far conoscere alla gente, storie di persone Vere, cariche di contenuti, di valori, di umanità, di Amore. Sono veramente felice di poter divulgare la notizia di questo film e, me lo auguro veramente, spero possa diventare un grande successo. Sicuramente toccherà il cuore e le coscienze di molte persone..... e questa è certamente la cosa più importante.

Marco

martedì 23 settembre 2014

Max Tresoldi si risveglia dal coma dopo 10 anni: “Capivo tutto, ecco com’è la vita da "vegetale"”.


Lo schianto in autostrada e poi il black out. Massimiliano (Max) Tresoldi aveva solo 20 anni in quel Ferragosto del 1991 in cui iniziò il suo "grande sonno", lo stato vegetativo da cui pareva non dovesse svegliarsi più. Dieci anni di sofferenze, dieci anni di una speranza che non voleva morire a differenza di quel figlio che tutti dicevano sarebbe morto prima o poi, entrato in quel "coma apallico", come definito dai medici, senza possibilità di recupero alcuna.

Così parla mamma Lucrezia: “L’hanno dato subito per spacciato, facendoci contare le ore – ha detto la madre – e in quello stato è rimasto, senza mai dar segni di ripresa, per otto mesi, passando da un ospedale all’altro. Alla fine ho capito che lì, isolato, sarebbe morto veramente. E me lo sono portato a casa sentendomi dire dal viceprimario, mentre gli staccavo il sondino naso-gastrico, che se fosse deceduto io sarei stata denunciata. Non me ne importò nulla. Andai avanti per la mia strada, appellandomi ai suoi amici, alla parrocchia, ai volontari del servizio civile del Comune”.
Ma Massimiliano non è morto e sono passati dieci anni, durante i quali, insieme alla madre, 50 giovani ventenni riuniti in una associazione, si sono alternati di giorno e di notte, 365 giorni all'anno, per muovere Max, fargli fare ginnastica passiva e nutrirlo con frullati: “Io non ho mollato – ha detto la madre – Molti, alla fine, mi commiseravano e mi prendevano per pazza. Il medico mi ha denunciato. Non è stato facile”.

Poi, il 28 dicembre del 2000, Lucrezia ha un attimo di crollo: alla morte del padre, la donna è sul punto di arrendersi e non ce la fa a seguire Max con la stessa determinazione di prima. E provocatoriamente una sera, al momento di fargli il segno della croce, gli dice: “Fattelo tu, se vuoi”. E lui lo fa!
Forse un miracolo di Natale, fatto sta che da quel giorno in poi Massimiliano si fa capire, prima con le mani e poi con l’alfabeto muto e fa una rivelazione sconvolgente: Per tutto quel tempo, dal giorno dell’incidente, aveva sentito e capito tutto quello che accadeva attorno a lui, ma non riusciva a comandare il suo corpo. Oggi Max sta imparando a parlare di nuovo con l’aiuto di un logopedista e sta cercando di riprendere in mano la sua vita.

La straordinaria storia di Max Tresoldi è divenuta anche un libro: "E adesso vado al Max", in cui mamma Lucrezia è divenuta scrittrice di una storia che si legge di un fiato e si riassume nella parola "Speranza", a raccontare l’avventura di una vita controcorrente.

Luglio 2014

FONTI: retenews.24.it, bisceglieindiretta.it


Storia davvero straordinaria questa di Max Tresoldi, una storia fatta di una volontà e di un Amore incredibili. L'Amore sopratutto di sua madre Lucrezia, ma anche dei suoi cari amici, che sempre hanno creduto nel recupero di Max, a dispetto di tutto e di tutti..... e non sono stati delusi! Stupendo!

Marco

venerdì 17 gennaio 2014

«Vendo un rene per curare il mio Fabio»: l'appello choc su Facebook della fidanzata


È stato travolto da un furgone che procedeva contromano e da quel giorno Fabio Graziano è in coma. Il poliziotto, di 32 anni, investito il 7 settembre scorso alla Riviera di Chiaia non ha più ripreso coscienza dopo lo scontro del proprio ciclomotore MBK 50 con il veicolo Fiat Daily che procedeva in direzione contraria al senso di marcia lungo la strada che incrocia Piazza San Pasquale.

Dopo 4 mesi drammatici, per Fabio la speranza di una vita al di fuori delle mura di un ospedale può riaccendersi ma questa chance potrebbe arrivare a costare 97mila euro, una cifra per cui chi lo ama è disposto anche a vendere “pezzi di sé”. Il drammatico appello è scritto nero su bianco da Paola Volpe, compagna di Fabio e suo grande amore, che sulla pagina Facebook “Fabio: tutto ha un senso” (
https://www.facebook.com/fabiotuttohaunsenso?fref=ts) lancia un s.o.s. per raccogliere i soldi necessari alle cure mediche nel centro specializzato di Innsbruck.

«Giuro che farò di tutto per portarlo ad Innsbruck, sono pronta a vendere pezzi del mio corpo, lui non esiterebbe per me - scrive Paola sul social network - senza un rene si vive ma senza aria no e Fabio è la mia aria». La maratona per mettere insieme i soldi necessari per il ricovero di almeno 6 mesi nel centro neuroriabilitativo migliore d’Europa è diventata un tam tam su facebook dove Paola pubblica i suoi appelli e non si tira indietro neanche davanti alla possibilità di donare parte del suo corpo pur di offrire una vita migliore al suo unico e immenso amore, Fabio.

di Melina Chiapparino

7 gennaio 2014

FONTE: ilmessaggero.it


Coordinate per aiutare Fabio:

Causale: INNSBRUCK
Banca: Cariparma
Indirizzo: Agenzia 10, Piazza Medaglie D'Oro, 80128 Napoli
Beneficiario: Fabio Graziano
IBAN: IT44B 06230 03557 0000 56638771
BIC/SWIFT: CRPPIT2P527

Paypal in Euro: http://goo.gl/oQR3Vi
Paypal in Dollari: http://goo.gl/ml2fDV 





Un appello che giro immediatamente sul mio blog.
Chiunque volesse e potesse aiutare Paola nel raggiungere la cifra necessaria per portare Fabio in questa clinica specializzata di Innsbruck, lo può fare con un contributo alle coordinate sopraindicate. Per maggiori informazioni sulle donazioni e sulla cifra finora raggiunta si può andare su:  

http://www.fabiotuttohaunsenso.org/

Tante gocce formano i laghi, i fiumi e gli oceani...... non manchiamo di donare la nostra goccia di solidarietà e di Amore per aiutare Fabio ad avere la migliore vita possibile. Tutti insieme possiamo fare molto per lui.
Un grazie di cuore a chi vorrà e potrà aiutarlo.

Marco

venerdì 31 maggio 2013

Fuori dal coma dopo cinque anni, bimbo salvato da cura con cellule staminali

(AGI) - Washington, 23 maggio - Era in stato vegetativo da ben cinque anni: si e' risvegliato grazie alle staminali. Si tratta di un bambino che era in stato vegetativo persistente dovuto a paralisi cerebrale pediatrica. Si e' svegliato grazie un trattamento con staminali prelevate dal sangue del cordone ombelicale della madre. E' lo storico risultato ottenuto dai medici del Catholic Hospital di Bochum, in Germania.
A seguito di un arresto cardiaco con grave danno cerebrale, subito alla fine del 2008, il bambino di due anni e mezzo si trovava in stato vegetativo persistente e aveva minime possibilita' di sopravvivenza. Dopo due mesi di trattamento con cellule staminali del sangue del cordone ombelicale della madre, i sintomi del bambino sono migliorati notevolmente e nei mesi successivi, il bambino ha imparato a dire semplici frasi e a muoversi.

"Questo studio dissipa i dubbi, di lunga data, circa l'efficacia di questa nuova forma di terapia" ha commentato Arne Jensen, che ha condotto la ricerca pubblicata su Case Reports in Transplantation.
Alla fine di novembre 2008, il bambino, che aveva 2 anni e mezzo, aveva subito un arresto cardiaco che aveva comportato un grave danno cerebrale: era cosi' entrato in uno stato vegetativo persistente e il corpo si era paralizzato. Non esiste tuttora alcuna terapia per la paralisi cerebrale infantile.

''In una situazione disperata, i genitori hanno cominciato a cercare rimedi alternativi'' continua Arne Jensen ''e ci hanno contattato per chiederci a proposito della possibilita' di usare il sangue del cordone ombelicale congelato alla nascita''. Nove settimane dopo il danno cerebrale, a gennaio 2009, i medici hanno somministrato il sangue preparato per via endovenosa. In seguito, e' stato studiato il progresso del bambino a 2, 5, 12, 24, 30, e a 40 mesi dalla paralisi cerebrale.

Di solito, le possibilita' di sopravvivenza dopo un cosi' grave danno cerebrale sono minime e a distanza di mesi dal danno, i figli sopravvissuti di solito mostrano solo minimi segni di coscienza. Dopo la terapia con il sangue del cordone, il piccolo paziente ha tuttavia recuperato in tempi relativamente brevi. In due mesi, e quindi a quattro mesi dall'attacco cardiaco, la spasticita' era notevolmente diminuita ed era in grado di vedere, sedersi, sorridere, e parlare con parole semplici. Quaranta mesi dopo il trattamento, il bambino era in grado di mangiare autonomamente, camminare con un aiuto e formare frasi di quattro parole.
 

lunedì 13 maggio 2013

Staminali, il Tribunale autorizza le cure per il catanese Marletta


Una buona notizia arrivata dopo una estenuante battaglia per la vita. La voce di Irene Sampognaro, al telefono, svela la gioia per la speranza ritrovata. La battaglia continua, ma con l’arma che potrebbe essere decisiva, le staminali mesenchimali del metodo Stamina, somministrate agli Spedali Civili di Brescia.

Il marito di Irene, l’architetto catanese Giuseppe Marletta, 45 anni, ignora quanto abbia dovuto soffrire e lottare la sua sposa per dare a lui, in coma vegetativo da 3 anni, una speranza di cura, la possibilità di condurre un’esistenza dignitosa.

Dopo gli appelli e le interminabili giornate trascorse tra le aule giudiziarie, il Tribunale di Catania ha deciso: Giuseppe Marletta potrà sottoporsi alle staminali mesenchimali. Il provvedimento del giudice arriva a seguito del reclamo presentato dai legali Desirée Sampognaro e Silvio Camiolo contro la sentenza del 26 marzo scorso con la quale si autorizzavano le cure per Giuseppe ma soltanto in una delle 13 cell factory autorizzate dall’Aifa. Una sorta di terapia tradizionale “più sicura” per il Ministero della Salute, ma i cui benefici sarebbero inferiori al metodo Stamina.

La richiesta del provvedimento ex art.700 che disciplina le cure compassionevoli è stata accolta e Giuseppe potrà curarsi a Brescia.Abbiamo riproposto la domanda di cura con il metodo Stamina – spiega l’avvocato Silvio Camiolo – e il collegio giudicante ci ha dato ragione. C’è voluto tempo affinché approfondissero le motivazioni del ricorso ma alla fine abbiamo ottenuto ciò che più ci sta a cuore, una possibilità per Giuseppe”.

Sinora – aggiunge l’avvocato Desirée Sampognaro - ogni nostro appello era caduto nel vuoto. I giudici hanno capito la gravità della situazione di Giuseppe, si sono preparati, hanno studiato le carte, hanno valutato con tutta l’umanità possibile. Appena ho saputo della sentenza ho avvisato Davide Vannoni, il presidente di Stamina. La sua gioia è stata incontenibile, mi ha ringraziato per la telefonata dicendomi "questa notizia mi illumina la giornata"”.

La moglie di Giuseppe Marletta quasi stenta a crederci.
Adesso – dice Irene – possiamo di nuovo sperare. Dopo anni qualcuno ci ha ascoltato. E’ stato riconosciuto il diritto di Giuseppe a curarsi. I prossimi mesi non saranno facili, bisogna organizzare i suoi spostamenti, attendere il prelievo delle staminali ed il tempo di coltura. Ma adesso abbiamo più energia per lottare”.

Giuseppe Marletta vive in un centro per lungodegenti a Viagrande. E' stata raccontata la sua storia più volte. Giuseppe è una delle tante vittime di malasanità. Apprezzato architetto, padre di bue bimbi amatissimi, piomba nel tunnel di chi vive inconsapevolmente l’1 giugno 2010. Doveva essere una giornata come tutte le altre ma lui non è più tornato a casa dai suoi bambini.

Quel giorno Giuseppe entra in coma irreversibile dopo essere stato sottoposto, all’ospedale Garibaldi del capoluogo etneo, ad un banale intervento di rimozione di due punti di sutura metallici. Giuseppe soffre di sinusite e i medici imputano proprio a quei punti la causa del suo problema. Un semplice intervento di chirurgia maxillo-facciale si trasforma in tragedia: Giuseppe subisce un arresto cardiaco, dal quale viene rianimato solo dopo sette minuti. Il risultato: gravissimi danni cerebrali permanenti e la diagnosi, terribile: coma vegetativo.

Gli anni successivi sono trascorsi tra richieste di aiuto e rivendicazione del diritto alle cure. Proprio a BlogSicilia, sei mesi fa, la moglie Irene non aveva esitato a dichiarare, per l’ennesima volta: “O le staminali o l’eutanasia per mio marito”.

La battaglia è stata vinta. Grande gioia anche per Pietro Crisafulli, presidente di Sicilia Risvegli Onlus – l’associazione catanese che sostiene le famiglie di pazienti affetti da gravi malattie neurodegenerative e stati comatosi – e fratello di Salvatore, il disabile morto il 21 febbraio scorso dopo 9 anni trascorsi completamente immobilizzato a seguito di un gravissimo incidente stradale. Salvatore non ce l’ha fatta, è morto mentre attendeva che il giudice decidesse in merito alla sua richiesta di cura, presentata unitamente a quella di Giuseppe Marletta.

Sono felicissimo per Giuseppe – commenta Crisafulli – ma non posso non rivolgere un pensiero a Salvatore. E’ morto sperando nelle cure che non ha mai ricevuto”.

I tempi lunghi della giustizia non sempre coincidono con quelli di chi chiede soltanto di vivere.

di Veronica Femminino

9 maggio 2013
 
FONTE: blogsicilia.ithttp://catania.blogsicilia.it/staminali-il-tribunale-autorizza-le-cure-per-il-catanese-marletta/185568/


Una splendida notizia che da tanta speranza alla famiglia Marletta, ma anche alle famiglie di tanti malati o disabili gravissimi che vorrebbero sottoporsi alla somministrazione di cellule staminali masemchinali (cellule staminali adulte) secondo il Metodo Stamina.
E' vero che le certezze sono ancora poche e che una vera sperimentazione con questo metodo non è ancora stata fatta, tuttavia se esiste una speranza di miglioramento, fosse anche molto piccola, perchè negarla? Le ragioni del cuore e della speranza devono superare quelle della semplice ragione scientifica, sopratutto in casi gravissimi come questi.  Personalmente quindi approvo in pieno la sentenza del Tribunale di Catania, con la speranza che anche ad altri casi simili a questo vengano aperte le porte a questa metodologia di cura.


Marco

giovedì 8 dicembre 2011

La coscienza è sempre più visibile

Come si fa a sapere se una persona è cosciente? Questa domanda, dal sapore così squisitamente filosofico, è al centro di una delle condizioni più misteriose e discusse del cervello umano: lo stato vegetativo. Questo termine descrive una rara condizione in cui pazienti che emergono dal coma entrano in uno stato di veglia non cosciente. Senza una vera comprensione di cosa sia la coscienza nel cervello, però, è difficile stabilirne con certezza la presenza. Così, a oggi, un paziente è considerato cosciente se riesce a produrre comportamenti volontari, come seguire una penna con gli occhi o muovere una mano a seguito di un comando. Se invece un paziente riesce a mostrare solamente comportamenti riflessivi è considerato in stato vegetativo.
Questo approccio si scontra con i casi di cerebrolesioni che possono impedire a pazienti coscienti di produrre comportamenti volontari, rendendoli di fatto impossibile da distinguere da pazienti in stato vegetativo.
In uno studio, pubblicato sulla rivista medica «The Lancet» di questo mese, un gruppo della University of Western Ontario, in Canada, ha mostrato che è possibile vedere tracce di comportamento volontario nel cervello di pazienti considerati – a torto – in stato vegetativo proprio perché non riuscivano a produrre comportamenti volontari. «È incredibile – dice il professor Owen –. in alcuni casi pazienti che sembravano non rispondere a stimoli esterni erano in grado di segnalare che erano coscienti producendo volontariamente attivazioni cerebrali». Un risultato simile era già stato pubblicato nel 2010 utilizzando la risonanza magnetica funzionale, una tecnologia però complessa, costosa, ingombrante e non sempre disponibile. L'aspetto rivoluzionario di questa nuova ricerca è che utilizza l'elettroencefalogramma, cioè un piccolo apparecchio dotato di elettrodi che registrano microscopici campi elettrici prodotti dalle cellule cerebrali. Una tecnologia pertanto più economica, portabile e accessibile. Questo significa che adesso è possibile andare dai pazienti direttamente nelle loro case o negli istituti specializzati dove la risonanza non è disponibile e offrire diagnosi più accurate.
Cosa sia la coscienza nel cervello umano resta uno dei terreni più insondabili della ricerca scientifica, ma siamo un passo più vicini a riuscire a vedere le tracce della sua presenza, e a sciogliere i misteri dello stato vegetativo.

di Martin Monti

13 novembre 2011

FONTE: ilsole24ore.com
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-11-13/coscienza-sempre-visibile-081441.shtml?uuid=Aatvf6KE

martedì 21 giugno 2011

Stati vegetativi, il grido d’aiuto delle famiglie

di Francesca Golfarelli

«Dal 1981 centinaia di persone si sono commosse leggendo la vicenda di mia figlia. Decine di politici hanno promesso attenzione e suscitato aspettative che ad oggi sono state deluse. A tutti sempre ho chiesto: che ne sarà di lei dopo di me? E sono ancora qui ad aspettare che qualcuno dia una risposta». Così racconta Romano Magrini, che vive a Sarzana con la figlia Cristina, la giovane donna che vanta il triste primato del coma vigile più lungo che sia conosciuto. «Ho trascorso la vita sui binari dell’indifferenza delle istituzioni verso le famiglie che dedicano tutta la loro energia per offrire ai propri cari una qualità dell’esistenza degna del termine persona. Occorre che fioriscano iniziative concrete di sostegno per l’assistenza domiciliare integrata da una assistenza residenziale per le fasi critiche che minano ulteriormente l’esistenza di chi è nelle condizioni simili a Cristina. Non solo. Serve una risposta istituzionale con la creazione di 'case' dove le persone come mia figlia possano essere accudite quando i familiari decedono o non hanno più forze. Attenzione, però: devono essere accudite con un protocollo familiare personalizzato, lo stesso che gli offriamo tenendoli a casa e facendo così risparmiare lo Stato. Oggi ho la mia bimba e sono sereno. Ma domani cosa le succederà? Chi mi garantisce la sua cura?». Alla pressante richiesta di Magrini si aggiungono tante voci di familiari stremati dalla sofferenza di propri cari e dalla fatica sostenuta per accudirli tra le mura domestiche. «Ho impegnato tutte le mie risorse in questi 13 anni, oltre 450mila euro, per curare mia figlia Barbara e ora per continuare a garantirle una assistenza adeguata devo vendere la casa», afferma Giampaolo Ferrari, pensionato delle ferrovie, padre di una giovane donna che vive a Galliera, nel Bolognese, in stato di minima coscienza dal 1998, dopo un incidente automobilistico avuto a 25 anni mentre raggiungeva il fidanzato.
«Comunque non tornerei indietro – racconta il genitore – perché il profumo di Barbara mi restituisce ogni giorno nuove forze, nonostante che io passi le notti in bianco per controllare i suoi respiri e che non rischi di soffocare. Certo, è dura perché il comune mi chiede anche una tariffa per le due operatrici che mi aiutano a lavarla e dovrò rinunciare pure a loro. Questa situazione mi fa applaudire la normativa in discussione sul fine vita perché tutela chi non può esprimersi. Però a noi vecchi genitori non servono leggi per amare i nostri figli ma solo un concreto aiuto da parte di istituzioni e anche imprese».

Al Sud del nostro Paese il grafico delle attese non varia, come sottolinea Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore, un uomo di soli 45 anni che combatte con gli esiti del coma che ancora oggi lo tengono imprigionato in un letto. «Solo qui a Catania – racconta Pietro – seguiamo con la nostra associazione, nata intorno a Salvatore, ben 46 casi. In Italia assistiamo 1.312 persone. Cerchiamo di condividere con altri familiari meno battaglieri le amare conquiste ottenute per mio fratello. Come le ore di fisioterapia e l’idroterapia. Ma se non si concretizzerà in azioni di vero sostegno alle famiglie certamente la cultura della vita rimarrà patrimonio valoriale di pochi sostenuti solo dalla fede».

La fede è l’unica fune a cui si aggrappano in Toscana i genitori di Chiara Ciacci, una ragazza di 34 anni che da 12 anni è in coma vigile dopo un terribile incidente. «Nonostante gli sforzi siamo sempre più soli, schiacciati non solo dalle spese economiche ma anche dalle responsabilità etiche», si lascia sfuggire Rolando Ciacci, il papà di Chiara. Dunque le famiglie battono il pugno sul tavolo per avere – sottolinea Faustino Quaresmini, papà di Moira, la ragazza di Novi Milanese in stato di minima coscienza dal 2000 – «opportunità concrete alle famiglie, aumentando le ore di assistenza domiciliare, agevolando la costruzione di centri di assistenza residenziale per il sollievo, studiando meccanismi fiscali che possano permettere a fondazioni di dedicarsi esclusivamente al 'Dopo di noi'. Io e mia moglie dormiamo a turni sempre attenti che Moira non abbia attacchi o rischi di non respirare». Le notti sono sottratte anche a Monica Nuzzi, moglie di Ermanno, cinquantunenne bolognese colpito da emorragia cerebrale a 47 anni e rientrato a casa dopo un percorso che si è concluso alla Casa dei Risvegli di Bologna. «Ermanno – dice la signora – richiede un impegno enorme che da sola sostengo grazie ad una energia che non so nemmeno io da dove venga. Lavoro perché la pensione non è alle porte, torno a casa e penso a lui giorno e notte. C’era una proposta di legge per anticipare il prepensionamento ai familiari che curano persone in situazioni estreme come quella di mio marito. Questa è una proposta valida, di aiuto concreto, ma bisogna avere accudito il proprio congiunto per almeno 18 anni, altrimenti non c’è il diritto al prepensionamento. Senza proposte che incidano sui bisogni familiari qualsiasi dichiarazione di principio è inutile». Dunque il verdetto è unanime: benvenuta ogni legge che tutela l’esistenza umana ma servono opere concrete che alimentino la cultura della vita «anche con il contributo di privati che vogliano investire sulla dignità della persona».


LA SFIDA PER I MEDICI: IMPARARE AD ASSISTERLI

«Il rafforzamento dell'assistenza domiciliare deve essere lo strumento attraverso il quale le famiglie possono essere messe nelle condizioni di attuare i sostegni vitali alle persone in condizione di minima coscienza». Vincenzo Saraceni è il presidente dell'Associazione medici cattolici. E anche la sua voce si leva per sostenere i nuclei familiari che vivono accanto a un congiunto in stato di minima coscienza. «L'affermazione della cultura a favore della vita - spiega - passa attraverso un impegno concreto che devono assumere Governo e Regioni nei confronti di quelle famiglie, e sono tante, che scelgono ogni giorno di assistere nel proprio domicilio familiare, le persone in stato di grave compromissione della salute. Accanto agli aiuti assistenziali ed economici alle famiglie bisognerà potenziare una rete di assistenza per tutte le condizioni di malattia: penso agli hospice, alle cure palliative, alle Rsa». La Associazione è in prima linea anche su questo fronte. «La diffusione della cultura della vita è il fulcro dei nostri 60 anni di storia. Lo facciamo con una testimonianza personale nel nostro lavoro e lo facciamo anche attraverso lo sforzo di affermare nel mondo della salute e della sofferenza un modello di medico che sia vocazionale».
Significativa anche la presa di posizione dell'Associazione italiana medici di famiglia.
«L'aiuto al paziente e alla sua famiglia - afferma il presidente Tristano Orlando - può venire solo dalle persone che professionalmente partecipano alla assistenza al paziente, rendendo dignitoso e sostenibile il momento più difficile per una persona umana». Orlando sottolinea il ruolo dei medici di base. «Il medico di famiglia non è particolarmente esperto di assistenza a questa particolare condizione. Ma la nostra Associazione è particolarmente impegnata nella formazione dei propri iscritti sia nella terapia del dolore che dei problemi derivanti dalla necessità di avviare una nutrizione artificiale». Poi aggiunge: «Nei programmi di aiuto al paziente e alla famiglia devono partecipare anche altre figure professionali come infermieri professionali, assistenti alla persona e all'ambiente familiare, non escludendo l'intervento dello psicologo e dell'assistente sociale. Ma è al medico di famiglia che rivendico la responsabilità del team multi professionale». (F. Gol)

12 maggio 2011

FONTE: Avvenire


Estremamente significativo questo articolo che parla del grande disagio che le famiglie in cui si trovano persone in stato vegetativo o con disabilità gravissime, devono affrontare... famiglie che scelgono di occuparsi dei propri cari dal loro domicilio affrontando sacrifici veramente al limite dell'umano. Che cosa chiedono queste famiglie, che danno veramente tutta la loro Vita, per Amore dei propri cari? Chiedono alle istituzioni di avere un maggiore aiuto assistenziale, perchè questi malati abbisognano di un attenzione costante 24 ore al giorno, di avere possibilmente un aiuto economico dal momento che si occupano loro stessi dei propri cari, "sollevando" così lo Stato da questo gravoso (e oneroso) impegno, e infine chiedono precise garanzie affinchè venga assicurato un futuro assistenziale ai propri cari, possibilmente in case adeguatamente strutturate, quando loro non saranno più in grado di farlo per questioni di età o perchè non ci saranno più.
Non posso fare altro che unirmi al coro di queste STRAORDINARIE persone e augurarmi che lo Stato si decida veramente ad occuparsi di loro, ascoltando e soddisfacendo le SACROSANTE richieste di aiuto e assistenza che queste famiglie chiedonto. Questo è quello che deve fare un paese Civile, questo AL DI SOPRA DI TUTTO !

Marco