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mercoledì 23 gennaio 2019

Lettere aperte di due madri con figlie affette da gravi patologie rare, preoccupate per la possibile chiusura dell'ambulatorio "Transitional Care"

UN “POSTO IN OSPEDALE” PER LE DISABILITA' COMPLESSE: APPELLO DI UNA MAMMA


Marina Cometto, mamma di una donna con una grave malattia rara, racconta le mille difficoltà incontrate nei ripetuti interventi sanitari necessari per sua figlia. “Finalmente ci siamo imbattuti in Transitional Care, all'ospedale Molinette. Se chiuderà, saremo di nuovo orfani”

ROMA - Claudia ha 45 anni e una grave malattia rara, che le provoca una disabilità complessa. Complessa sì, perché tante sono le implicazioni sanitarie che comporta a più livelli: neurologico, cognitivo, cardiaco, ortopedico, respiratorio, gastrointestinale e metabolico. Claudia ha la sindrome di Rett e non parla, “non è in grado di esprimere dove ha male”, spiega la mamma, Marina Cometto, che da sempre si occupa di lei a tempo pieno. E che oggi denuncia l'inadeguatezza del sistema sanitario nel farsi carico di questi pazienti. E chiede che i pochi centri di riferimenti e di eccellenza non vengano smantellati, come invece si teme che accadrà presto a Torino, con il "Transitional Care", che da qualche anno si prende cura di Claudia ogni volta che è necessario. “La complessità della patologia, invece di coinvolgere ancor più la classe medica, l’allontana: e noi ci troviamo soli a dover affrontare quotidianamente tutte le complicanze che la malattia presenta”.

In una lettera indirizzata alla direzione dell'ospedale Molinette, Marina Cometto prova a raccontare l'odissea sanitaria affrontata per anni, il grande sostegno ricevuto dall'ambulatorio dedicato "Transitional Care" e la forte preoccupazione di fronte alla possibilità che questa esperienza possa presto concludersi.

In ospedale, in pronto soccorso, negli ambulatori, tutto è complicato per chi ha una disabilità complessa – assicura Cometto - Quando devo accompagnare mia figlia al pronto soccorso, perché presenta disturbi e sintomi che non riesco a decifrare, è un calvario ogni volta: gli infermieri del triage non conoscono la specificità di queste malattie e assegnano un'urgenza "di prassi", come se fossero persone sane che si recano in pronto soccorso con leggerezza. Non sanno che se io accompagno mia figlia al pronto soccorso è perché, nonostante 45 anni di vita con la sua malattia, noto che qualcosa di più serio o grave c’è”.

In questo complicato percorso sanitario, “dopo tanti anni di grandi difficoltà per trovare una struttura sul territorio che potesse prendere in carico mia figlia, finalmente ci siamo imbattuti nell’ambulatorio "Transitional Care", diretto da un ottimo medico, con tanta professionalità e attenzione per il paziente: se c’era bisogno di un esame del sangue , se lo specialista prescriveva controlli, il dottore si faceva carico delle prenotazioni e noi come famiglia ci sentivamo sostenuti nei nostri più grandi problemi, quelli sanitari”. Un incontro provvidenziale, perché “mia figlia, come probabilmente tutte le persone con disabilità complessa, ha bisogno di trovare personale medico e sanitario accogliente, disponibile, competente, che non abbia fretta e che si approcci serenamente alle nostre "bimbe" che, pur avendo difficoltà cognitive, riescono però a sentire l’affetto e il rispetto che chi le avvicina, nutre per loro. Un rispetto e un affetto che le nostre figlie non incontrano facilmente negli ambienti medici, perché le disabilità complesse fanno paura anche ai sanitari”.

Per questo, il "Transitional Care" è un luogo necessario, indispensabile per queste persone e per le loro famiglie. Ora però “si dice che l'ambulatorio probabilmente chiuderà i battenti quando il dottore responsabile andrà in pensione: non è stato nominato un successore, né progettato un percorso di continuità per accedere a cure e esami presso l’ospedale Molinette. Noi ci sentiamo di nuovo orfani – denuncia Marina Cometto - A chi ci rivolgeremo per programmare visite ed esami che sono indispensabili per garantire una buona qualità di vita ai nostri figli? Io sono stanca di dover andare a cercare il medico attento, sensibile e disponibile, sono stanca di vedere medici sgomenti di fronte alle grandi complessità presenti in una sola persona, sono stanca di vedere esami procrastinati perché non si sa come approcciarsi, come organizzare, come capire”.

Per questo, Marina Cometto chiede “il proseguimento dell’attività dell’ambulatorio "Transitional Care", l’accoglienza di nuovi pazienti che sembra sia stata interrotta, ma anche la sollecitazione presso tutti i dipartimenti sanitari di una maggiore disponibilità e accoglienza per questi pazienti, con disponibilità di visita in tempi più brevi possibili, altrimenti per noi il pronto soccorso è d’obbligo, con tutte le criticità che abbiamo notato e vissuto”. E' poi necessaria, per Marina Cometto, “la realizzazione anche a Torino, presso la Città della Salute, del progetto "DAMA" che già esiste a Milano, a Terni e in altre città, per un percorso dedicato di accoglienza per le persone con disabilità complesse fin dal pronto soccorso, perché le loro necessità sanitarie sono tali che difficilmente le comuni prassi risultano adeguate. La medicina è una scienza a tutela della salute dell’essere umano - conclude Cometto - Le persone con disabilità complesse sono meno umane delle altre? O non dovrebbero, al contrario, ricevere maggiori attenzioni, proprio a causa della loro fragilità?

9 GENNAIO 2019

Fonte: Redattore Sociale


LETTERA APERTA DELLA MAMMA DI UNA SPLENDIDA RAGAZZA AFFETTA DA VARIE PATOLOGIE RARE

Buongiorno,

sono Lucia, mamma di una splendida ragazza di 27 anni affetta da diverse patologie rare che vive in Lombardia e che dalla Regione Lombardia è approdata a Torino per le cure, grazie all’interessamento di un medico dell'ospedale Regina Margherita di Torino.
Nel maggio 2010, quando mia figlia aveva 19 anni, abbiamo scoperto che era portatrice sin dalla nascita di una patologia rara della quale nessuno ci aveva mai parlato, inoltre ad agosto del 2018 abbiamo scoperto che era già stata diagnosticata in una risonanza magnetica effetuata nei suoi giorni di vita in patologia neonatale, ma non messa in diagnosi alle dimissioni. Il medico del Regina Margherita ha attuato tutto quello che doveva essere fatto prima (e non era stato fatto) e quando è andato in pensione ci ha indirizzato presso l‘Ambulatorio di Transizione dall’età pediatrica all’età adulta delle Molinette di Torino, che è nato per garantire una continuità assistenziale ai pazienti.
Ora mi giunge di nuovo come l'articolo pubblicato ieri su Redattore Sociale (vedi sopra) da un altra mamma che usufruisce dello stesso ambulatorio. Un fulmine ad ciel sereno per noi, dopo l'incontro avuto con la Direzione, che si vuole chiudere questo ambulatorio.
Io ho avuto nel luglio 2018 un incontro con la direzione della Citta della Salute nelle persone del Dott. La Valle e il Dott. Scarmozino, e ho voluto insieme a me il presidente e vice presidente della Federzione malattie rare infantili di Torino, nel quale ci era stato detto che l'ambulatorio "Transitional Care" non avrebbe chiuso ma si sarebbe allargato. Noi ci chiediamo se sia giusto lasciare a casa questi operatori che con grandissima fatica si sono costruiti insieme alle famiglie dei punti di riferimento. Con loro non abbiamo solo imparato la gestione domiciliare del malato, ma instaurato un rapporto umano, e tutto questo è servito a darci più sicurezza e un po’ di serenità.
NOI NON CI STIAMO!
Sono 8 anni che ogni mese andiamo a Torino per gli esami e le visite in ospedale e non abbiamo mai chiesto un centesimo a nessuno, anzi affrontiamo le spese felici di farlo perché è per la salute della nostra figlia e perché è seguita, monitorata e assistita da persone competenti. Aggiungo che con tutte queste persone, sia che siano infermieri, OSS, ASA, personale di segreteria si è stabilito un rapporto di fiducia e di rispetto.
Con loro, quando mia figlia viene a Torino, si crea un qualcosa di "magico" fatto di attenzione e di sorrisi, di centralità della persona ammalata.
Ora, vi sembra umano e civile distruggere tutto il percorso che è stato fatto grazie ai medici e a tutto il personale paramedico e non, per mia figlia e tutti gli altri ragazzi?
L’ambulatorio della transizione è un passaggio importantissimo per tutti i portatori di patologie complesse e rare nel momento del difficile passaggio dall’età infantile a quella adulta, e non possiamo perdere questa opportunità. Sarebbe perdere una chanche di una qualità di vita migliore, ben consapevole che le patologie rare e complesse di mia figlia, andando avanti, peggioreranno sempre di più
Per questo io e mio marito siamo disposti a trasferirci a Torino, perché la qualità di vita del malato raro è la priorità per una famiglia: chiediamo solo salute e serenità per noi e per tutte le altre famiglie. Credo fermamente che ricevere cure adeguate in un contesto amorevole sia un diritto di tutti, soprattutto di chi è affetto da malattie rare e disabilità complesse
Io spero che alla fine prevalga il buonsenso e mi appello alla coscienza di chi ha la possibilità di decidere, perché penso che anche loro hanno una famiglia e mi auguro che sappiano cosa vuol dire essere genitori.

Lucia


11 gennaio 2019


Pubblico l'accorato appello di queste due donne, madri di due ragazze affette da patologie rare assai gravi e molto invalidanti, entrambe molto preoccupate per la probabile chiusura dell'ambulatorio "Transitional Care" di Torino, che fino ad ora si era occupato delle loro figlie e di tante altre persone, al pari di loro, affette da malattie rare e gravi, con grande professionalità, competenza e umanità.
E' veramente un grande peccato che quando c'è qualcosa di veramente buono, di valido, del nostro Sistema Sanitario Nazionale sul nostro territorio, questo debba chiudere i battenti, lasciando nello sconcerto e nella desolazione le famiglie di questi malati rari che ora non sapranno più a chi rivolgersi. Io mi auguro, con tutto il cuore, che la decisione di chiudere questo ambulatorio non debba essere presa e che ci sia ancora spazio per tornare sui propri passi, facendo così proseguire l'attività di questo centro così importante e funzionale. Spero veramente che il buon senso prevalga in questa direzione, per il bene di tanti malati e disabili gravi e complessi, e per le loro rispettive famiglie.

Marco

sabato 12 gennaio 2013

Le bimbe che parlano solo con gli occhi. La storia di Giulia

Sulle pagine del Trentino una mamma racconta l’esperienza della figlia colpita dalla sindrome di Rett, patologia neurologica, generata da un difetto del cromosoma X 

TRENTO. In Trentino sono una quindicina i casi accertati di bambine affette da Sindrome di Rett, "ma - racconta Cristina Tait, una delle responsabili dell'Associazione italiana Rett - potrebbero essere molte di più, senza nemmeno saperlo".
La Sindrome di Rett è una patologia neurologica congenita, che colpisce solo le bambine, in quanto generata da un difetto del cromosoma X. Nei primi due anni di età, di fatto la malattia non si manifesta e permette un normale sviluppo del soggetto. All'improvviso, però, la bambina si distacca dalla realtà circostante e in brevissimo tempo, poche settimane, arresta lo sviluppo e precipita in una regressione che la porta alla perdita delle capacità acquisite. La malattia a questo punto rallenta lo sviluppo del cranio, compaiono i primi movimenti stereotipati delle mani (la bambina le sfrega e le strizza) e in pochissimi giorni si registra anche la perdita delle capacità psicomotorie. Quella che era una bambina normale, in un batter d'occhi si ritrova affetta da handicap gravissimi, che ne accompagneranno tutta l'esistenza: crisi epilettiche, aumento della rigidità muscolare, difficoltà respiratorie, assenza di parola e in molti casi incapacità a camminare. E, di conseguenza, anche le famiglie piombano in una realtà completamente diversa, che in pochi giorni passa da una quotidianità normale e serena a una situazione di emergenza e complicatissima da affrontare, specie all'inizio.
"E' stato un processo lungo e difficile quello per identificare in mia figlia Giulia la sindrome, che colpisce 1 bambina su 10.000 - spiega Cristina Tait - e ancor più complicato è stato, a quel punto, ottenere informazioni e cure specifiche, perché la patologia è stata scoperta nel 2000 e quindi è ancora poco conosciuta".

Cristina, lei e suo marito come avete scoperto che Giulia era affetta da questo disturbo neurologico?
"Non è stato facile. Lei è nata da un parto gemellare, insieme al fratello, ed entrambi sembravano forti e in salute. Hanno seguito lo stesso percorso evolutivo e, anzi, Giulia dei due sembrava la più vispa e attiva. Intorno ai 15-16 mesi, però, ho notato che aveva cominciato a sfuggire lo sguardo, a non sorridere più. Aveva smesso di fissare attentamente il mondo esterno e mi sembrava si stesse chiudendo in se stessa".

Sono questi i segnali della sindrome?
"Questi sono stati i primi sintomi che mi hanno spinta ad andare dal medico di base, che non ha diagnosticato nulla. Poi ci siamo rivolti a degli neuropsichiatri infantili. I veri segnali che, l'ho imparato adesso, evidenziano la Sindrome di Rett sono la comparsa di movimenti stereotipati delle mani. Ma Giulia non li aveva. Quindi ci avevano diagnosticato vari tipi di ritardo mentale e sindromi".

E come siete arrivati alla diagnosi della Rett?

"Con le analisi del sangue. Ce l'hanno comunicato di persona. Ma anche in quel momento non c'era certezza: la genetista ci ha detto che Giulia era affetta da quella malattia, ma lei stessa non l'aveva mai riscontrata prima e quindi non sapeva cosa consigliarci".

A chi vi siete rivolti?
 

"Dapprima a internet. Ho guardato cosa comportava e cosa ci aspettava, e mi è caduto il mondo addosso. Mi sembrava impossibile. Giulia era stata una bimba normale e serena, come poteva subire una regressione di quel tipo? E invece è avvenuta. Verso i 2 anni, c'è stato il blocco totale di tutte le sue capacità di apprendimento".

Ve ne rendevate conto anche perché con un fratello gemello il confronto evolutivo era più evidente?
"Certo. Avevano cominciato a gattonare insieme e in 15 giorni Giulia ha smesso sia di muoversi che di afferrare le cose e sono cominciate le crisi epilettiche".

Che tipo di assistenza avete trovato in provincia?
"Nessuna. La sindrome le è stata diagnosticata nel 2006 e a Trento non c'era alcuna struttura in grado nemmeno di informarci. Da marzo 2009, a Villa Igea, è nato il reparto malattie rare, che facilita il riconoscimento anche di situazioni come la nostra e permette una prima forma di assistenza anche sul piano dell'accesso ai benefici di legge".

Allora come vi siete mossi?
"Ho contattato l'associazione Airett, del cui direttivo ora faccio parte, e siamo andati al Policlinico Le Scotte di Siena, il centro italiano più preparato per affrontare la Sindrome di Rett".

Dal compimento dei 2 anni della bimba, tutto è cambiato anche per voi?

"Sì. Giulia non parla, non cammina, ha bisogno di supporto al 100%, è colpita da convulsioni e non è in grado di masticare. Ma è viva e con il tempo sta imparando a comunicare. Lo fa con gli occhi, che sono vispi e attenti e ci indicano quello che vuole e quello che prova. E' per questo che la Sindrome di Rett è detta anche "delle bimbe dagli occhi belli". Conservano la luce della vita nello sguardo".

Com'è la vostra quotidianità?
"Tutto ruota intorno a lei. Ha bisogno di assistenza continua. Due volte a settimana le facciamo fare fisioterapia al centro piccoli Anffas del "Paese di Oz" e durante il giorno va alla scuola materna con due maestri di sostegno. Per il resto, io la porto sempre con me, a Lavis, dove abitiamo. E' conosciuta ed accolta dalla comunità".

A livello amministrativo-legislativo vi sentite aiutati?
"Per i disabili completi c'è la legge 104 che permette qualche incentivo e qualche facilitazione, ma tutti i giorni ci si scontra con la burocrazia. Per esempio, nel 2006 i medici avevano dichiarato Giulia totalmente invalida fino a 18 anni. Ma mi è stata data la carta handicap per il parcheggio a scadenza temporanea, così dopo 4 anni abbiamo dovuto rifare tutta la trafila, con fatica e umiliazione".

Tornasse indietro, se la sentirebbe di riaffrontare questa situazione?
"Ho pensato tante volte a cosa avrei fatto se l'avessi saputo prima di partorire, se avrei abortito o no. Ora, però, sono sicura che andare avanti è la scelta giusta. Giulia sorride e parla con gli occhi e questo basta a riempirci il cuore e le giornate".

Che prospettive ci sono dal punto di vista medico per combattere la Sindrome di Rett?
"Le prospettive esistono. Recentemente gli scienziati sono riusciti a modificare il gene difettoso che provoca la sindrome nei topi e hanno scoperto che è reversibile. Con opportuni finanziamenti, la ricerca riuscirà a battere questa malattia cinica e spietata e a dare un futuro più felice e "normale" a tante bambine dagli occhi belli".


(Il Trentino)

19 settembre 2011

FONTE: superabile.it
http://www.superabile.it/web/it/REGIONI/Trentino_Alto_Adige/Sulla_stampa/info2105182799.html


Dopo la storia di Claudia Bottigelli, ecco ora quella di Giulia, anch'essa colpita dalla rara e invalidante Sindrome di Rett.
L'augurio di tutti, per Giulia, per Claudia, come per tutte le altre persone colpite da questa tremenda malattia genetica, è quella che si possa trovare p
resto una cura specifica ed efficace. Dei passi importanti verso la comprensione di questa malattia ne sono stati fatti ultimamente, ma ancora tanta strada c'è da fare per poter arrivare a questa tanto agognata cura. L'importante è andare avanti con la ricerca e non fermarsi mai.

Marco

lunedì 7 gennaio 2013

La Sindrome di Rett. Che cos'è?

La Sindrome di Rett è una grave patologia neurologica, che colpisce nella maggior parte dei casi soggetti di sesso femminile.
La malattia è congenita, anche se non subito evidente, e si manifesta durante il secondo anno di vita e comunque entro i primi quattro anni. Colpisce circa una persona su 10.000. Si possono osservare gravi ritardi nell'acquisizione del linguaggio e nell'acquisizione della coordinazione motoria. Spesso la sindrome è associata a ritardo mentale grave o gravissimo. La perdita delle capacità di prestazione è generalmente persistente e progressiva.


La sindrome prende il nome da Andreas Rett, un medico austriaco, a seguito di un’osservazione casuale nella sua sala di aspetto di due bambine che mostravano movimenti stereotipati delle mani molto simili tra loro. A seguito di questa scoperta, riesaminando le schede di alcune pazienti viste in precedenza, Rett individuò altri casi con caratteristiche comportamentali e anamnesi simili e pubblicò un articolo nel 1966. Tuttavia, la pubblicazione di Rett fu ignorata per anni. A risvegliare l’interesse e a riconoscere universalmente l’esistenza della sindrome di Rett, nel 1983, fu uno studio su 35 pazienti di un gruppo europeo di neurologi infantili, che comprendeva Hagberg, Aicardi, Dias e Ramos 2.

I SINTOMI

Nella forma classica, le pazienti presentano uno sviluppo prenatale e perinatale normale. Dopo un periodo di circa 6-18 24 mesi però, le bambine presentano un arresto dello sviluppo seguito da una regressione. In tale fase le pazienti perdono le abilità precedentemente acquisite come l’uso finalistico delle mani e il linguaggio verbale. Diventa evidente una riduzione delle capacità comunicative e compaiono tratti autistici. Inoltre le bambine cominciano a manifestare i movimenti stereotipati delle mani tipo lavaggio e spesso sono presenti segni come digrignamento dei denti e sospensione del respiro. Si manifesta un rallentamento della crescita della circonferenza cranica che risulta in microcefalia. Nello stadio successivo si assiste ad una diminuzione delle sintomatologia autistica e ad un miglioramento nelle interazioni sociali, nonostante l’incapacità di parlare, l’aprassia e le stereotipie manuali persistano, la deambulazione molte volte non è più autonoma, si evidenzia l’incapacità di controllo dei movimenti. Diventano più evidenti l’iposviluppo somatico e la scoliosi e spesso compaiono crisi convulsive. Caratteristiche presenti sono inoltre stipsi ed estremità fredde. L’ultimo stadio si manifesta solitamente dopo i dieci anni. La sindrome di Rett è però caratterizzata da ampia eterogeneità clinica e, oltre alla forma classica, sono state descritte almeno 5 varianti. Queste includono:
  1. la variante a linguaggio conservato, caratterizzata da un decorso clinico più favorevole in cui le bambine recuperano la capacità di esprimersi con frasi brevi e, parzialmente, l’uso delle mani;
  2. la variante con convulsioni ad esordio precoce, caratterizzata da crisi convulsive che si manifestano prima del periodo di regressione;
  3. le “forme fruste” in cui i segni clinici caratteristici sono più sfumati;
  4. la variante congenita in cui il ritardo psicomotorio è evidente sin dai primi mesi di vita;
  5. la variante a regressione tardiva, di rarissima osservazione.
Dal punto di vista genetico, dopo il 1999, anno in cui è stato identificato il gene MECP2 come causa della forma classica, e che coinvolge la maggior parte delle ragazze con Sindrome di Rett sono stati fatti numerosi passi avanti. Auttalmente sono stati scoperti altri due geni responsabili della Sindrome di Rett CDKL5 e FOXG1.

I QUATTRO STADI CLINICI DELLA SINDROME DI RETT

Fase 1 tra i 6 e i 18 mesi. Durata: mesi

Rallentamento e stagnazione dello sviluppo psicomotorio fino a quel momento normale. Compare disattenzione verso l’ambiente circostante e verso il gioco. Sebbene le mani siano ancora usate in maniera funzionale, irrompono i primi sporadici stereotipi. Rallenta la crescita della circonferenza cranica.

Fase 2 da 18 mesi ai tre anni. Durata: settimane o mesi

Rapida regressione dello sviluppo, perdita delle capacità acquisite, irritabilità, insonnia, disturbo dell’andatura. Compaiono manifestazioni di tipo autistico, perdita del linguaggio espressivo e dell’uso funzionale delle mani accompagnata dai movimenti stereotipati, comportamenti autolesivi. La regressione può essere improvvisa o lenta e graduale.

Fase 3 stadio pseudo stazionario. Durata: mesi o anni

Dopo la fase di regressione, lo sviluppo si stabilizza. Diminuiscono gli aspetti di tipo autistico e viene recuperato il contatto emotivo con l’ambiente circostante. Scarsa coordinazione muscolare accompagnata da frequenti attacchi epilettici.

Fase 4 all’incirca dopo i 10 anni. Durata: anni

Migliora il contatto emotivo. Gli attacchi epilettici sono più controllabili. La debolezza, l’atrofia, la spasticità e la scoliosi impediscono a molte ragazze di camminare, anche se non mancano le eccezioni. Spesso i piedi sono freddi, bluastri e gonfi a causa di problemi di trofismo.
La malattia genera indubbiamente non poche difficoltà legate a numerosi handicap. E’ necessario tuttavia precisare che il quadro evolutivo della patologia non segue mai un percorso preordinato per tutti i soggetti. I quadri clinici di deterioramento, di miglioramento o di stasi dell’evoluzione patologica sono variabili e diversi tra loro.

LA DIAGNOSI

L’ipotesi più probabile per spiegare i sintomi della Sindrome di Rett, è che questa sia dovuta a una mutazione dominante legata al cromosoma X.
Fino al settembre 1999 la diagnosi della Sindrome di Rett si basava esclusivamente sull’esame clinico. Da allora viene confermata, in circa l’ottanta per cento dei casi, dalla genetica molecolare.
E' comunque opportuno che i soggetti che presentano i sintomi della malattia siano visti da uno specialista che abbia familiarità con questo tipo di patologie. Sono stati sviluppati precisi criteri diagnostici, secondo questo schema:

A) Tutti i seguenti:
  1. sviluppo prenatale e perinatale apparentemente normale;
  2. sviluppo psicomotorio apparentemente normale nei primi 5 mesi dopo la nascita;
  3. circonferenza del cranio normale al momento della nascita.
B) Esordio di tutti i seguenti dopo il periodo di sviluppo normale:
  1. rallentamento della crescita del cranio tra i 5 e i 48 mesi;
  2. perdita di capacità manuali finalistiche acquisite in precedenza tra i 5 e i 30 mesi con successivo sviluppo di movimenti stereotipati delle mani (per es., torcersi o lavarsi le mani);
  3. perdita precoce dell'interesse sociale lungo il decorso (sebbene l'interazione sociale si sviluppi spesso in seguito);
  4. insorgenza di andatura o movimenti del tronco scarsamente coordinati;
  5. sviluppo della ricezione e dell'espressione del linguaggio gravemente compromesso con grave ritardo psicomotorio.
Spesso accade che la diagnosi rimanga dubbia tra i due e i cinque anni.

VARIANTI DELLA SINDROME DI RETT

Sono state descritte delle varianti cliniche della Sindrome di Rett, le principali sono:
  • Forma Frusta: compare più tardi. Minori stereotipie e uso delle mani parzialmente preservato.
  • Forma congenita: inizio immediato.
  • Forma con inizio accelerato e epilessia già a 6 mesi.
  • La forma più grave, conosciuta come variante congenita della Sindrome di Rett: le pazienti non evidenziano nessun periodo di sviluppo normale nel primo periodo di vita;
  • La variante con preservazione del linguaggio (Zappella Variant of Rett Syndrome), che è una forma più lieve della malattia e nella quale le bambine riescono ad acquisire alcune abilità sia verbali che manuali. È spesso caratterizzata da peso, altezza e dimensione della testa nella norma;
  • La forma a convulsioni a esordio precoce di Hanefeld.
Per questo motivo, la definizione stessa della patologia è stata affinata nel corso degli anni: poiché accanto alla forma classica sussistono anche forme atipiche (Hagberg & Gillberg, 1993) è stato introdotto l’utilizzo della terminologia di “Rett Complex”.
Pur essendo più difficoltosa all'esordio e nelle forme varianti, la diagnosi è agevolata dalla conoscenza della storia naturale della malattia, che la rende assolutamente specifica e permette di differenziarla da patologie con sintomi simili e con le quali, fino a qualche tempo fa, venivano confuse (autismo, paralisi cerebrali atassiche, Sindrome di Angelman, malattie metaboliche).
Attualmente gli studi epidemiologici sul ritardo mentale ci indicano che esiste una prevalenza nella popolazine infantile di circa il 3%.
Nonostante i progressi nel campo della biogenetica e di altri mezzi diagnostici, ancora oggi non si conoscono le cause del ritardo mentale nel 30% dei casi.

TRATTAMENTI


Nonostante la ricerca scientifica, utilizzando un artificio genetico non applicabile all’uomo, abbia dimostrato che la sindrome di Rett, o per lo meno quella causata da mutazioni in MECP2,  sia largamente (forse completamente) reversibile, non esiste attualmente una terapia risolutiva per la sindrome di Rett. Tuttavia gran parte degli autori ritiene che il decorso della malattia possa essere modificato da una varietà di terapie, mirate a ritardare la progressione della disabilità motoria e a migliorare le capacità di comunicazione. Per questo la somministrazione di farmaci è volta principalmente a contrastare il disturbo motorio. Sono stati impiegati L-dopa e dopamino-agonisti. Tra questi, la bromocriptina e la lisuride hanno dato alcuni esiti positivi.
Miglioramenti nei sintomi respiratori e comportamentali e nelle crisi epilettiche, si sono riscontrati con la somministrazione di naltrexone, che blocca l'azione delle endorfine antagonizzando i recettori oppiacei. Per contrastare le crisi epilettiche sono impiegati con successo anche gli antiepilettici tradizionali (carbamazepina e valproato di sodio), o più recenti (lamotrigina e gabapentin).
I farmaci si affiancano a terapie specifiche, come la fisioterapia, ma sopratutto quelle volte a conseguire miglioramenti sul piano educativo e cognitivo, come quelle comportamentali, o su una migliore gestione delle emozioni, come la logopedia, l'ippoterapia, la pet therapy, la musicoterapia e la terapia cognitiva.
Molto importante è inoltre il sostegno psicosociale per le famiglie.

FONTI: wikipedia.org, airett.it, telethon.it

venerdì 4 gennaio 2013

Io sono Claudia e ho la Sindrome di Rett


CIAO, SONO CLAUDIA E HO COMPIUTO 39 ANNI.

Non sono stati anni facili né per me né per la mia famiglia, ma abbiamo comunque rivolto al positivo la nostra esperienza di vita cercando di essere d’aiuto alle famiglie con figli disabili gravissimi così come lo sono io, per evitare per quanto ci è possibile ad altri tutte le carenze e le difficoltà che abbiamo incontrato nel nostro cammino.

Da poco abbiamo saputo che la mia disabilità è principalmente dovuta non alla sofferenza neonatale, come abbiamo e ci hanno fatto credere fino ad oggi, ma grazie alla determinazione della mia mamma ho una diagnosi più precisa. HO LA SINDROME DI RETT.

Un altro grande impegno ci si pone davanti, aiutare la ricerca affinchè si trovi una cura e far conoscere la patologia perché non succeda più che si debba attendere 38 anni per una diagnosi certa, perdendo così opportunità, speranza, salute.

La nostra associazione ora non è più solo un sostegno per le famiglie con figli disabili gravissimi, ma anche per le famiglie con figlie che hanno questa Sindrome.

Andiamo avanti con speranza nella medicina, fiducia nel futuro e senza mettere limiti alla Provvidenza. Contiamo su quanti mi vogliono bene !

LA FELICITA’ NON E' AVERE IL MEGLIO DI TUTTO MA TRARRE IL MEGLIO DA QUELLO CHE SI HA !


FONTE  e sito internet di Claudia: http://www.claudiabottigelli.it/index.htm

Il blog di Claudia: http://tiraccontoclaudia.blogspot.it/

Il libro su Claudia: "Libertà di vivere": http://www.claudiabottigelli.it/chi%20siamo/LIBRO.htm

 
Claudia su Facebook: https://www.facebook.com/pages/io-sono-Claudia-e-ho-la-Sindrome-di-Rett/277502022279096
https://www.facebook.com/groups/109730099054346/?ref=ts&fref=ts

 



Storia veramente toccante quella di Claudia Bottigelli, malata della estremamente invalidante Sindrome di Rett, una rara malattia neurologica ancora poco conosciuta e per cui non esiste una cura vera e propria.
Non si può non voler bene a questa ragazz
a, anzi donna, sopratutto dopo averne visto il video e averne approfondito la storia (vedasi, al riguardo, il suo sito internet).
Da parte mia auguro tutto il Bene possibile a Claudia e alla sua famiglia, con la speranza concreta che la ricerca si intensifichi e si possa finalmente trovare una cura efficace per questa tremenda patologia.

Marco