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giovedì 1 aprile 2021

Giorgio, il disabile che trova 70mila euro, li restituisce e rifiuta pure i 7mila euro di mancia

Giorgio Mancosu ha ritrovato la borsa su una panchina. Il volontario ha rifiutato la ricompensa di 7.000 euro.

Un volontario della protezione civile di Trento ha trovato su una panchina della città una borsa contenente 70 mila euro in contanti. L'uomo ha però deciso di restituire alla proprietaria il denaro perduto. Il protagonista di questa bella storia è Giorgio Mancosu, uno dei volti noti della protezione civile di Trento, disabile al 100%. Una grande lezione di civiltà se consideriamo che dopo aver restituito la borsa ha rifiutato la ricompensa prevista dal codice civile (10%). Infatti, la donna che aveva perso i suoi effetti personali aveva offerto a Mancosu 7.000 euro. Lui però ha detto di no; del resto è un gesto altruista da fare senza lucro. Proprio la proprietaria della borsa, che ha preferito restare anonima, ha resa nota la vicenda, chiedendo di ringraziare pubblicamente Giorgio Mancosu.

Come scritto da "L'Adige.it" il volontario della protezione civile ha raccontato la vicenda. “Ieri, verso le 11, dopo essere stato negli uffici degli assistenti sociali del Comune in via Alfieri, mi sono avviato verso via Belenzani. Lì, abbandonata su una panchina, ho trovato una borsa di cuoio marrone. Del proprietario non c'era traccia, così ho aperto la borsa. Dentro c'erano dei disegni di una casa, come quelli dei geometri, e una busta gialla. Al suo interno c'erano moltissime banconote da 50 e 100 euro, raccolte da un elastico per capelli. Mi sono agitato nel vedere tutti quei soldi perché non sai mai cosa può accadere, potrebbero anche accusarti di averli rubati”. Oltre all'ingente somma di denaro, Mancosu ha trovato nella borsa della signora anche un cellulare con il quale è riuscito a rintracciare la proprietaria della borsa che pallida e tremante ha raggiunto il volontario per riprendere la borsa perduta.


di Giuseppe Di Martino

31 ottobre 2017

FONTE: Fanpage

domenica 21 marzo 2021

La storia del bimbo di 7 anni che ha vissuto 525 giorni senza cuore

Regina Margherita, attaccato a un macchinario per oltre un anno, ora ha ricevuto il trapianto

TORINO. Ogni trapianto è eccezionale, ma alcuni vanno oltre: è il caso del cuore trapiantato con successo al Regina Margherita a un bambino di 7 anni, dopo 525 giorni di ricovero in ospedale collegato ad un cuore artificiale. Tutto questo presso la Cardiochirurgia pediatrica.

Da un ospedale all'altro

Nato in Marocco, il bambino ha condotto una vita tranquilla fino all'estate 2019, quando ha iniziato ad accusare i sintomi di insufficienza cardiaca. Con la madre raggiunge il padre che per motivi di lavoro vive in Liguria e, dopo una breve degenza in un altro ospedale pediatrico italiano, viene trasferito in elicottero al Regina Margherita. Neanche il tempo di entrare nella Terapia Intensiva cardiochirurgica (diretta dal dottor Sergio Michele Grassitelli) che il suo cuore si ferma. Viene rianimato e sottoposto ad impianto di una circolazione extra-corporea Ecmo.

Cuore artificiale

Pochi giorni dopo, non evidenziandosi un recupero, viene impiantato un cuore artificiale Berlin Heart. Questo lo tiene in vita e gli consente di riprendersi. Inizia ad apprezzare la cucina italiana, cresce, impara la nostra lingua, sotto gli occhi vigili del papà e della mamma, che nel frattempo mette alla luce un fratellino. Tutto questo per 525 lunghi giorni, trascorsi tutti in ospedale, circondato dall'affetto del personale medico ed infermieristico, a cercare di superare le complicanze che un sistema così innaturale come un cuore artificiale può causare al suo corpicino. Il tempo di impianto più lungo tra i pazienti del Regina. Per rendere la degenza più confortevole, il piccolo ha trascorso alcuni periodi nei locali dell'Isola di Margherita, lo spazio identificato nel Regina Margherita per le lungodegenze dei pazienti dell'Oncoematologia diretta dalla professoressa Franca Fagioli, direttore Dipartimento Patologia e Cura del Bambino.

L'intervento

Poi, finalmente, grazie ad un incredibile gesto di generosità, viene sottoposto con successo al trapianto di cuore dall'équipe dei cardiochirurghi pediatrici, diretta dal dottor Carlo Pace Napoleone. Qualche giorno di degenza tra i cardiologi pediatrici e gli infermieri della dottoressa Gabriella Agnoletti, seguito con attenzione dal dottor Enrico Aidala, cardiochirurgo responsabile del Programma Trapianti, e nei giorni scorsi la dimissione. Ed un incredibile gesto di solidarietà di una volontaria dell'Associazione Amici Bambini Cardiopatici, che ha trascorso con lui alcune settimane durante la degenza per consentire ai genitori di allontanarsi temporaneamente, e lo ha aiutato a trascorrere il primo periodo dopo la dimissione, in attesa di poter riabbracciare i suoi fratellini.


di Alessandro Mondo

18 marzo 2021

FONTE: La Stampa

giovedì 4 settembre 2014

Elettra, la mia figlia down


Eugenio Finardi ha perso la testa per una donna. Una figlia disabile che gli ha cambiato la vita

Tra i cantautori degli anni 70 era il più battagliero, il più rock, il più imprudentemente americano - lui, figlio di un’americana. Eugenio Finardi riuscì a emergere con Musica ribelle ed Extraterrestre. Poi, negli anni 80, i colleghi degli esordi presero a rivolgersi anche alle masse, a raccogliere il successo, quello vero (De Gregori con "La donna cannone", Venditti con "Notte prima degli esami", Battiato con "Cuccuruccucu paloma", Camerini con "Rock’n’roll robot".

A lei invece capitò qualcos’altro...


Nel 1982 è nata la mia primogenita, Elettra, affetta da sindrome di Down. All’epoca non si diceva così, si diceva "mongoloide". L’ho amata e la amo moltissimo, ma in quel momento fu un trauma: mi sentii diverso io per primo, come se la sua malattia fosse una condanna per qualcosa che io avevo fatto. Sprofondai nella depressione. Credo non ci sia un genitore di bambino disabile che non abbia fatto i conti con una crisi personale. Cerchi un motivo per quello che è successo, e pensi che quel motivo sei tu. Poi però passa, e più che i motivi, diventa importante trovare soluzioni. Capisci che non è tutto dolore. I primi anni di Elettra mi hanno dato grandi gioie: i suoi primi passettini, il comunicare con lei... ogni cosa era eccezionale.

Così si è perso la fase stellare della sua carriera e l’epoca dei contratti d’oro...

Ho iniziato a darmi da fare, informarmi, avvicinarmi all’associazionismo.
Molti che mi accusavano di non fare più musica impegnata non sapevano che la teoria aveva lasciato il posto a un impegno vero: un po’ dei miei fan degli anni 70 li ho persi. Ma ne ho guadagnati altri: c’è chi mi ha conosciuto proprio in quel periodo. Oggi non ho folle che urlano le mie canzoni nei concerti negli stadi, ma molta gente che le ascolta davvero.
Le difficoltà di quel periodo erano dovute anche al fatto che le realtà che iniziavo a conoscere erano difficili da cantare.

Non ha mai voluto mettere in piazza questo fatto...

Allora non c’era questo tipo di sensibilità, i giornali che mi avvicinavano per parlare di questo argomento la mettevano tutti sul piano del pietismo. Poteva sembrare che lo facessi per sfruttare la cosa, per avere successo enfatizzando un problema personale; oggi ho 58 anni, la musica mi dà molte soddisfazioni diverse dall’ansia continua della classifica, e ho elaborato tante nuove esperienze. Ho affinato la mia sensibilità in campi che non conoscevo: in breve, ho capito come posso essere utile.

Per esempio?

Suonando in giro per l’Italia mi rendo conto di come, specie al Sud, la situazione sul fronte del volontariato sia tragica.
Vedo famiglie che vivono una solitudine incredibile. Così come vedo persone che, dopo qualche anno di associazionismo sincero, sentono la fatica di lottare contro i mulini a vento e si arrendono. La disabilità, il malessere, il disagio mettono in risalto le gravi mancanze, il vuoto disperante e incolmabile che si è creato nel tessuto sociale.

E lo Stato, le istituzioni?


Ah, lo Stato. Ieri ho ricevuto una mail del padre di una figlia down, una ragazza di 38 anni. Ha donato una casa nelle Marche perché diventasse una casa famiglia, dove far vivere lei e altri ragazzi Down. La casa è pronta, grazie anche agli aiuti ricevuti da alcune associazioni, e adesso servono i soldi per il mantenimento. La Regione non li dà perché li dà solo in casi gravissimi.
Insomma, senza volontariato tante realtà familiari con figli disabili sarebbero completamente perse, affidate a una burocrazia che scoraggia invece che aiutare. Per questo divento matto quando sento parlare di falsi invalidi, di truffe legate alla sanità. Chi truffa sulle pensioni di invalidità è il peggior tipo di criminale, perché toglie risorse a chi ha bisogno davvero.
Non è stato facile per me, che vivo comunque in una situazione privilegiata, figuriamoci come un operaio possa permettersi un figlio disabile. Il primo assegno di accompagnamento, quello che dovrebbe servire quando il bimbo Down è piccolo, Elettra l’ha ottenuto a 20 anni...

Come si muove Elettra nel mondo reale?


Elettra sa mangiare al ristorante, muoversi in un albergo, in un aeroporto. Ma chi nasce in città rischia di essere usato, maltrattato. Un giorno alla Stazione Centrale degli zingari l’hanno usata per chiedere l’elemosina. E poi i Down di provincia una volta vivevano sempre in famiglia, erano come il gatto di casa, ma con una comunità intorno.
Io, anche a causa della mia vita di musicista, le ho dato stimoli diversi e ogni tanto ne abbiamo sofferto entrambi. Lei ha compreso più a fondo la sua diversità, e ha provato rabbia. Ad esempio, andava al bar, mangiava, poi diceva: «Io non pago, sono mongoloide». A volte la passava liscia, ma quando lo venivo a sapere la mettevo in castigo.

Ripenso a due canzoni degli anni 80: "Amore diverso" e "Il vento di Elora". Riascoltate ora, sapendo a cosa si riferivano, acquistano una profondità ancora maggiore.


La prima era per Elettra. La seconda - «Il mondo gira, gira come un pazzo / che vuoi che gliene importi / della vita di un ragazzo» - nasce perché ero andato ad Elora, in Canada, per collaborare a un progetto che coinvolgeva ragazzi di un carcere minorile messi a contatto con ragazzi portatori di grossi deficit psicofisici, Down e autistici. Molti giovani criminali dati per irrecuperabili mostravano un lato sensibile, diventavano responsabili.
Ecco perché io credo che i disabili vadano messi nelle classi con gli altri, non ghettizzati. La mia terza figlia, Francesca, studia musica all’Istituto dei Ciechi di Milano: lei non ha problemi di vista, ma frequentando i non vedenti sta vivendo un’esperienza personale enorme.

di Paolo Madeddu

28 luglio 2011

FONTE: vita.it
http://www.vita.it/welfare/minori/elettra-la-mia-figlia-down.html


Questa intervista è di 3 anni fa, ma ci tenevo a metterla tra le pagine di questo blog perchè ci insegna che anche i personaggi più in vista possono avere figli down, con disabilità o altro ancora, proprio come tutte le altre persone, e anche loro devono affrontare quei problemi  che hanno tutte le persone che vivono esperienze dello stesso tenore.
Eugenio Finardi poi, bisogna riconoscerlo, affronta l'argomento con molta sensibilità, mettendo in risalto il limiti di uno Stato che sempre meno investe fondi sul welfare, rimarcando la grande importanza che ha il mondo del volontariato, e sottolineando anche la sua situazione "priviliegiata" rispetto a quella di chi, magari, deve andare avanti con uno stipendio da operaio.
Tutte grandi verità, problemi veri che esistono e chi vive certe situazioni deve affrontare quotidianamente.

Marco

sabato 25 giugno 2011

Sono più di 9000 i gruppi di aiuto per le malattie rare

Nel nostro paese circa 9 mila gruppi di aiuto e auto aiuto del terzo settore si occupano di malati affetti da patologie rare. Si tratta nel complesso di circa 130 mila persone coinvolte.
A segnalare l'impegno di volontari ed operatori per questi malati (circa 2 milioni in Italia) - nell'ambito del Forum internazionale della salute Sanit 2011, tenutosi a Roma - sono i Centri di servizio per il volontariato del Lazio, Cesv e Spes, sottolineando che il terzo settore ''da anni supplisce o completa l'intervento pubblico, attraverso la cultura della solidarieta' e l'impegno nella ricerca e nella prevenzione con azioni che vanno dall'educazione sanitaria alla sensibilizzazione di medici di base, pediatri ed operatori scolastici; dalla costituzione di reti di aiuto e auto aiuto al sostegno e finanziamento della ricerca scientifica attraverso campagne di raccolta fondi''.
Il 35% delle famiglie che hanno a carico una persona affetta da malattia rara - secondo uno studio dell'Istituto per gli affari sociali in collaborazione fra gli altri con la Federazione italiana malattie rare Uniamo-Fimr Onlus - e' a rischio di povertà; una famiglia su 4 spende oltre 500 euro al mese (si arriva fino a 2.000 euro). Solo il 17% dei malati ha il centro clinico nella propria città di residenza; il 9% del campione non ha ancora individuato un centro clinico di riferimento e il 20% non ha alcun referente territoriale; il 14% deve spostarsi all'interno della propria regione, mentre il 40% addirittura in un'altra regione. Nell'83% dei casi i pazienti devono affrontare viaggi più o meno lunghi, e quindi sostenere delle spese di viaggio e pernottamento. Secondo il Cesv e Spes, l'occasione dell'Anno europeo del volontariato e' importante per far emergere il lavoro promosso dal volontariato in ambito socio-sanitario: dalla tutela del diritto alla salute alla sensibilizzazione, dall'assistenza alla prevenzione. Un mondo che affianca i tanti volontari che si occupano di assistere i malati in ospedale, che partecipano alla donazione degli organi, alla raccolta sangue, all'assistenza domiciliare, ai gruppi di mutuo auto aiuto, al disagio mentale, alla disabilità e alla malattia cronica, agli hospice e alle residenze sanitarie; mondi che avrebbero bisogno di diventare protagonisti con le istituzioni pubbliche nella scelta di programmazione politica.

21 giugno 2011

FONTE: malattierare.sanitanews.it
http://malattierare.sanitanews.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1736&Itemid=67


Ci tenevo a postare qualcosa sul mondo del volontariato, un mondo troppo sottovalutato e di cui troppo poco si parla, ma che coinvolge una moltitudine di persone di buona volontà. C'è molto bisogno di queste persone perchè, come afferma l'articolo, una larga parte delle famiglie che hanno un malato raro sono a rischio di povertà e si devono sobbarcare onerose spese mediche nonchè viaggi molto lunghi e dispendiosi per andare in quei centri o da quegli specialisti in cui si tratta la propria patologia. Naturalmente i volontari ci sono anche per chi è malato di patologie non rare, e la loro "opera" tocca tutti i settori, da qualla domiciliare, a quella ospedaliera, a tutto il resto.

Marco