La combustione di rifiuti nei cementifici, pratica che si vorrebbe nel nostro paese sempre più diffusa, consente secondo chi la propone di limitare la costruzione di nuovi inceneritori, la sostituzione parziale con i rifiuti di parte dei combustibili fossili di solito utilizzati per alimentare questi impianti, la riduzione delle emissioni di CO2, il recupero totale delle ceneri di combustione (inglobate nel clinker) e, in ultimo, una minore produzione di diossine rispetto ai “classici” impianti di incenerimento dei rifiuti.
Se così fosse, questa pratica sarebbe davvero da considerare l'optimum nella gestione dei rifiuti residui. Tuttavia, questa soluzione presenta numerosi e pesanti limiti per i rischi alla salute umana, ancora maggiori rispetto agli inceneritori. I limiti di legge per le emissioni dei cementifici, infatti, sono enormemente superiori rispetto a quelli degli inceneritori (solo gli NOx, inceneritore 200 mg/Nmc, cementificio tra 500 e 1800 mg/Nmc).
I cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti già senza l’uso dei rifiuti come combustibile, e andrebbero drasticamente ridotti e contingentati, specie nel nostro Paese.
L’Italia è infatti la nazione europea con più cementifici, con i suoi 59 impianti (22% del totale degli impianti europei). La Germania, che è al secondo posto in classifica, ne ha 38, 21 in meno dell’Italia.
Secondo il registro europeo delle emissioni inquinanti i soli cementifici italiani (molti dei quali bruciano rifiuti) hanno prodotto nel 2009 13.8 Kg di PCB (la pericolosità di questa sostanza si misura in nanogrammi), 21.237.000 tonnellate di CO2, 12 Kg di cadmio, 53.4 Kg di mercurio, 115 Kg di Nickel, 13.643 tonnellate di CO, 369 tonnellate di ammonio, 49.930 tonnellate di ossidi di azoto, 2.917 tonnellate di ossidi di zolfo, 6,76 tonnellate di benzene e quantità incalcolabili di particolato, dannoso per la salute anche a minime concentrazioni (Ware 2000) e tramite particelle di dimensioni nanometriche (le UFP, Ultra-Fine Particles), impossibili da trattenere con i filtri comunemente utilizzati. Il limite giornaliero per le emissioni di particolato è di 50 μg/m3 e tale limite non può essere superato per più di 7 giorni all’anno dal primo gennaio 2010 (DM 2 aprile 2002, n.60 allegato III).
È stato calcolato che le concentrazioni medie di particolato in prossimità di un cementificio variano da 350μg/m3 (un Km dall’impianto) a 200μg/m3 (a 5 Km dall’impianto) e che la maggior parte delle particelle emesse hanno dimensioni nanometriche e sono dunque estremamente rischiose per la salute umana.
La letteratura medico-scientifica ha dimostrato aumentati livelli di alluminio e cromo nel sangue di chi lavora in un cementificio, che è a rischio elevato di tumore maligno del polmone, aumentati livelli di particolato e metalli pesanti nell'aria e nei terreni circostanti e aumentati livelli di metalli pesanti nel sangue di chi vive in prossimità di un cementificio.
I sostenitori della co-combustione di rifiuti sono soliti affermare che l’utilizzo di CDR nei cementifici può consentire una riduzione dell’uso di combustibili fossili e, di conseguenza, una riduzione della produzione di CO2.
Ciò che di solito viene taciuto è che un cementificio produce di solito circa il triplo di CO2 rispetto ad un inceneritore. La sola cementeria COLACEM di Galatina (LE), ad esempio, nel 2007 ha prodotto 774.000 tonnellate di CO2, circa il triplo delle emissioni di un inceneritore di grossa taglia come quello di Brescia (228.000 tonnellate di CO2 nello stesso anno).
Considerata la abnorme produzione annua nazionale di CO2 da parte di questi impianti, una minima riduzione è dunque una goccia nel mare, per giunta pagata a caro prezzo, soprattutto se si considera la sottrazione di rifiuti alla raccolta differenziata, al riciclo, al riuso (la vera valorizzazione dei rifiuti) e la sommazione degli inquinanti già prodotti dai cementifici a quelli tipicamente prodotti dalla combustione dei rifiuti.
Non a caso la normativa nazionale permette limiti di emissioni da 3 a 7 volte superiori a quelle concesse ad un inceneritore.
Molto propagandata è inoltre la minore produzione di diossine rispetto agli inceneritori “classici”, grazie alle elevate temperature raggiunte dai forni dei cementifici.
Le diossine sono tra i più potenti veleni noti in farmacologia e la loro pericolosità è dovuta alla non biodegradabilità (persistenza) e dunque a fenomeni di accumulo nel suolo, nella catena alimentare e negli organismi viventi nei quali, se esposti per lungo tempo, possono prodursi tumori maligni (principalmente linfomi e sarcomi), difetti di sviluppo del feto e varie alterazioni ormonali e metaboliche.
L’affermazione che le alte temperature diminuiscano o addirittura eliminino le emissioni di diossine è invalidata da evidenze che mostrano come, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento esse si riaggregano e si riformano.
I limiti di emissione delle diossine sono identici per cementifici a co-combustione e inceneritori (0.1 ng/Nmc).
Considerato che il tempo di dimezzamento delle diossine nell’uomo è ancora più lungo (da 12 a 132 anni (Geyer et al. 2002), è facilmente comprensibile come le presunte “basse emissioni” di questi impianti siano una favola che difficilmente può lasciare tranquilli dal punto di vista sanitario ed epidemiologico.
Nei cementifici a co-combustione di rifiuti, inoltre, la riduzione quantitativa delle emissioni di diossine rispetto agli inceneritori è compensata da un significativo incremento delle emissioni di metalli pesanti (in particolare mercurio), altrettanto pericolosi per la salute umana.
Nello studio di impatto ambientale di un cementificio proposto dalla “Apricena Leganti”, gli stessi proponenti scrivono che “i metalli relativamente volatili, quale ad esempio il mercurio, non vengono trattenuti durante il processo”.
Il documento europeo di riferimento dei cementifici (BREF europeo) riporta che gli impianti europei possono produrre sino a 1300 Kg/anno di mercurio. Questa sostanza, accumulabile nell’ambiente e nel ciclo alimentare, è estremamente tossica e pericolosa per la salute umana. L’esposizione prenatale a questo metallo può causare nel bambino deficit neurologici, vertigini, paralisi, disturbi della vista e dell’udito, anomalie dell’eloquio, difficoltà nella deglutizione e nella suzione.
Per questi (e altri) motivi, l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia europea per aver assimilato il CDR-Q a materie prime come i combustibili fossili. La corte ha ribadito nella sue sentenza che “il CDR-Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI 9903-1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Il CDR-Q e la sua combustione presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, che costituiscono una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili fossili”.
In ultimo, riguardo al presunto vantaggio della “scomparsa” delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione, è da ricordare che essa è semplicemente dovuta al loro inglobamento nel clinker prodotto (“nulla si crea e nulla si distrugge”, Antoine Lavoisier, 1789), materiale utilizzato per gli impieghi più vari e, a fine vita delle opere, trasformato in materiale di risulta da smaltire in discarica, con il suo carico "nascosto" di pericolosi inquinanti, con buona pace dei propositi di
sostenibilità.
Dal punto di vista strettamente sanitario (escludendo dunque ogni considerazioni di tipo economico e sociale, che pure avrebbe grande valore), una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non dovrebbe assolutamente prevedere il loro incenerimento.
Che si tratti di inceneritori “classici” o di cementifici, tale pratica è dannosa per l’ambiente e per gli esseri umani che lo popolano, come documentato da ormai innumerevoli testimonianze scientifiche.
La proposta di co-combustione dei rifiuti nei cementifici come alternativa più “sostenibile” e meno pericolosa all’incenerimento in impianti dedicati, è al tempo stesso da considerare una dichiarazione indiretta della pericolosità degli inceneritori e un ulteriore sacrificio del bene comune sull’altare di interessi privati.
Chi sceglie la sostenibilità ambientale e la sicurezza sanitaria dovrebbe percorrere altre e più proficue strade.
A cura di Agostino Di Ciaula,
in collaborazione con Manrico Guerra, Vincenzo Migaleddu,
Maria Grazia Petronio, Giovanni Vantaggi.
Isde Italia (Associazione Internazionale Medici per l'Ambiente)
FONTE: ambienteparma.blogspot.com
http://ambienteparma.blogspot.com/2011/09/il-falso-mito-dei-cementifici.html
Testo integrale qui: http://gestionecorrettarifiuti.it/pdf/Ilfalsomito.pdf
12 settembre 2011
Se così fosse, questa pratica sarebbe davvero da considerare l'optimum nella gestione dei rifiuti residui. Tuttavia, questa soluzione presenta numerosi e pesanti limiti per i rischi alla salute umana, ancora maggiori rispetto agli inceneritori. I limiti di legge per le emissioni dei cementifici, infatti, sono enormemente superiori rispetto a quelli degli inceneritori (solo gli NOx, inceneritore 200 mg/Nmc, cementificio tra 500 e 1800 mg/Nmc).
I cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti già senza l’uso dei rifiuti come combustibile, e andrebbero drasticamente ridotti e contingentati, specie nel nostro Paese.
L’Italia è infatti la nazione europea con più cementifici, con i suoi 59 impianti (22% del totale degli impianti europei). La Germania, che è al secondo posto in classifica, ne ha 38, 21 in meno dell’Italia.
Secondo il registro europeo delle emissioni inquinanti i soli cementifici italiani (molti dei quali bruciano rifiuti) hanno prodotto nel 2009 13.8 Kg di PCB (la pericolosità di questa sostanza si misura in nanogrammi), 21.237.000 tonnellate di CO2, 12 Kg di cadmio, 53.4 Kg di mercurio, 115 Kg di Nickel, 13.643 tonnellate di CO, 369 tonnellate di ammonio, 49.930 tonnellate di ossidi di azoto, 2.917 tonnellate di ossidi di zolfo, 6,76 tonnellate di benzene e quantità incalcolabili di particolato, dannoso per la salute anche a minime concentrazioni (Ware 2000) e tramite particelle di dimensioni nanometriche (le UFP, Ultra-Fine Particles), impossibili da trattenere con i filtri comunemente utilizzati. Il limite giornaliero per le emissioni di particolato è di 50 μg/m3 e tale limite non può essere superato per più di 7 giorni all’anno dal primo gennaio 2010 (DM 2 aprile 2002, n.60 allegato III).
È stato calcolato che le concentrazioni medie di particolato in prossimità di un cementificio variano da 350μg/m3 (un Km dall’impianto) a 200μg/m3 (a 5 Km dall’impianto) e che la maggior parte delle particelle emesse hanno dimensioni nanometriche e sono dunque estremamente rischiose per la salute umana.
La letteratura medico-scientifica ha dimostrato aumentati livelli di alluminio e cromo nel sangue di chi lavora in un cementificio, che è a rischio elevato di tumore maligno del polmone, aumentati livelli di particolato e metalli pesanti nell'aria e nei terreni circostanti e aumentati livelli di metalli pesanti nel sangue di chi vive in prossimità di un cementificio.
I sostenitori della co-combustione di rifiuti sono soliti affermare che l’utilizzo di CDR nei cementifici può consentire una riduzione dell’uso di combustibili fossili e, di conseguenza, una riduzione della produzione di CO2.
Ciò che di solito viene taciuto è che un cementificio produce di solito circa il triplo di CO2 rispetto ad un inceneritore. La sola cementeria COLACEM di Galatina (LE), ad esempio, nel 2007 ha prodotto 774.000 tonnellate di CO2, circa il triplo delle emissioni di un inceneritore di grossa taglia come quello di Brescia (228.000 tonnellate di CO2 nello stesso anno).
Considerata la abnorme produzione annua nazionale di CO2 da parte di questi impianti, una minima riduzione è dunque una goccia nel mare, per giunta pagata a caro prezzo, soprattutto se si considera la sottrazione di rifiuti alla raccolta differenziata, al riciclo, al riuso (la vera valorizzazione dei rifiuti) e la sommazione degli inquinanti già prodotti dai cementifici a quelli tipicamente prodotti dalla combustione dei rifiuti.
Non a caso la normativa nazionale permette limiti di emissioni da 3 a 7 volte superiori a quelle concesse ad un inceneritore.
Molto propagandata è inoltre la minore produzione di diossine rispetto agli inceneritori “classici”, grazie alle elevate temperature raggiunte dai forni dei cementifici.
Le diossine sono tra i più potenti veleni noti in farmacologia e la loro pericolosità è dovuta alla non biodegradabilità (persistenza) e dunque a fenomeni di accumulo nel suolo, nella catena alimentare e negli organismi viventi nei quali, se esposti per lungo tempo, possono prodursi tumori maligni (principalmente linfomi e sarcomi), difetti di sviluppo del feto e varie alterazioni ormonali e metaboliche.
L’affermazione che le alte temperature diminuiscano o addirittura eliminino le emissioni di diossine è invalidata da evidenze che mostrano come, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento esse si riaggregano e si riformano.
I limiti di emissione delle diossine sono identici per cementifici a co-combustione e inceneritori (0.1 ng/Nmc).
Considerato che il tempo di dimezzamento delle diossine nell’uomo è ancora più lungo (da 12 a 132 anni (Geyer et al. 2002), è facilmente comprensibile come le presunte “basse emissioni” di questi impianti siano una favola che difficilmente può lasciare tranquilli dal punto di vista sanitario ed epidemiologico.
Nei cementifici a co-combustione di rifiuti, inoltre, la riduzione quantitativa delle emissioni di diossine rispetto agli inceneritori è compensata da un significativo incremento delle emissioni di metalli pesanti (in particolare mercurio), altrettanto pericolosi per la salute umana.
Nello studio di impatto ambientale di un cementificio proposto dalla “Apricena Leganti”, gli stessi proponenti scrivono che “i metalli relativamente volatili, quale ad esempio il mercurio, non vengono trattenuti durante il processo”.
Il documento europeo di riferimento dei cementifici (BREF europeo) riporta che gli impianti europei possono produrre sino a 1300 Kg/anno di mercurio. Questa sostanza, accumulabile nell’ambiente e nel ciclo alimentare, è estremamente tossica e pericolosa per la salute umana. L’esposizione prenatale a questo metallo può causare nel bambino deficit neurologici, vertigini, paralisi, disturbi della vista e dell’udito, anomalie dell’eloquio, difficoltà nella deglutizione e nella suzione.
Per questi (e altri) motivi, l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia europea per aver assimilato il CDR-Q a materie prime come i combustibili fossili. La corte ha ribadito nella sue sentenza che “il CDR-Q, anche se corrisponde alle norme tecniche UNI 9903-1, non possiede le stesse proprietà e caratteristiche dei combustibili primari. Come ammette la stessa Repubblica italiana, esso può sostituire solo in parte il carbone e il coke di petrolio. Il CDR-Q e la sua combustione presentano rischi e pericoli specifici per la salute umana e l’ambiente, che costituiscono una delle caratteristiche dei residui di consumo e non dei combustibili fossili”.
In ultimo, riguardo al presunto vantaggio della “scomparsa” delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione, è da ricordare che essa è semplicemente dovuta al loro inglobamento nel clinker prodotto (“nulla si crea e nulla si distrugge”, Antoine Lavoisier, 1789), materiale utilizzato per gli impieghi più vari e, a fine vita delle opere, trasformato in materiale di risulta da smaltire in discarica, con il suo carico "nascosto" di pericolosi inquinanti, con buona pace dei propositi di
sostenibilità.
Dal punto di vista strettamente sanitario (escludendo dunque ogni considerazioni di tipo economico e sociale, che pure avrebbe grande valore), una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non dovrebbe assolutamente prevedere il loro incenerimento.
Che si tratti di inceneritori “classici” o di cementifici, tale pratica è dannosa per l’ambiente e per gli esseri umani che lo popolano, come documentato da ormai innumerevoli testimonianze scientifiche.
La proposta di co-combustione dei rifiuti nei cementifici come alternativa più “sostenibile” e meno pericolosa all’incenerimento in impianti dedicati, è al tempo stesso da considerare una dichiarazione indiretta della pericolosità degli inceneritori e un ulteriore sacrificio del bene comune sull’altare di interessi privati.
Chi sceglie la sostenibilità ambientale e la sicurezza sanitaria dovrebbe percorrere altre e più proficue strade.
A cura di Agostino Di Ciaula,
in collaborazione con Manrico Guerra, Vincenzo Migaleddu,
Maria Grazia Petronio, Giovanni Vantaggi.
Isde Italia (Associazione Internazionale Medici per l'Ambiente)
FONTE: ambienteparma.blogspot.com
http://ambienteparma.blogspot.com/2011/09/il-falso-mito-dei-cementifici.html
Testo integrale qui: http://gestionecorrettarifiuti.it/pdf/Ilfalsomito.pdf
12 settembre 2011
Non solo traffico veicolare, grandi complessi industriali e inceneritori sono tra le maggiori cause d'inquinamento nel nostro paese e in ogni parte del mondo, ma anche i cementifici, e ancor più i cementifici che bruciano rifuti, comportandosi quindi come veri e propri inceneritori. I cementifici, come esposto esaurientemente in questo articolo, godono tra l'altro di limiti di emissioni assai più ampi rispetto agli stessi inceneritori, risultando quindi, in proporzione, persino più inquinanti. E l'Italia, neanche a dirlo, è il paese europeo con il più alto numero di cementifici, un triste primato che certo non rappresenta un vanto per il nostro paese.
Quanti "insulti" alla nostra bella ma deturpata Italia..... i cementifici, e ancor più i cementifici-inceneritori, rappresantano uno di questi "insulti", uno dei tanti, uno dei peggiori.... e questo è bene che la gente lo sappia.
Marco
Quanti "insulti" alla nostra bella ma deturpata Italia..... i cementifici, e ancor più i cementifici-inceneritori, rappresantano uno di questi "insulti", uno dei tanti, uno dei peggiori.... e questo è bene che la gente lo sappia.
Marco
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