La fibromialgia è una sindrome che colpisce quasi 2 milioni di italiani e quasi sempre le donne. Anna Maria ci racconta della diffidenza della società e delle difficoltà di chi convive con questo male
Esiste una sindrome che impedisce a chi ne è vittima di continuare a lavorare come faceva prima, di gestire lo stress, di dormire bene. È quasi sconosciuta, difficile da diagnosticare, ma invalidante: si manifesta con dolore ai muscoli e affaticamento.
Anna Maria Tinacci ha dovuto sopportarne il peso per anni, sentirsi chiamare "malata immaginaria", prima di riuscire a darle un nome. Poi ha scoperto di avere la sindrome fibromialgica, come altri 2 milioni circa di italiani. O, meglio, italiane, perché a esserne colpite sono per il 95% le donne.
Oss in un ospedale, ha 53 anni, e più di dieci anni fa ha cominciato a sentirsi improvvisamente debole, ad avere male alle braccia, a faticare a camminare, incapace di gestire la sua vita come faceva prima. Era una sportiva, una mamma iper attiva, una lavoratrice. E di sera studiava per prendere il diploma di maturità. Questa era Anna Maria, prima di cominciare a sentirsi male, a non riuscire a riposare, ad avvertire dolore ovunque.
Eppure le analisi del sangue non davano segni di allarme: sembrava tutto nella norma. Il suo aspetto era rimasto lo stesso, ma lei non poteva evitare di lamentarsi e segnalare il suo disagio. «Ma nessuno mi credeva – spiega -: non sembravo una persona malata, gli esami medici andavano bene. La gente cominciava a guardarmi storto, come se il problema fosse solo nella mia testa. Invece io continuavo a stare male, e sono arrivata a non riuscire ad alzarmi dal letto».
Lavorare era diventato un’impresa, occuparsi della casa e dei figli anche. Anna Maria ha cominciato un "pellegrinaggio" dai medici specialisti e, intanto, a informarsi su Internet. Ha anche iniziato a fare fisioterapia. Ed è stato il suo fisioterapista a sospettare per primo che il male che la affliggeva fosse la sindrome fibromialgica, che pochi conoscono e che spesso non viene nemmeno considerata una malattia.
Non esiste una cura definitiva, ma si può cercare di tenerne a bada i sintomi con farmaci che servono per curare altri malesseri: antidolorifici, antidepressivi.
«Li chiamano "malati invisibili", quelli colpiti da questa sindrome – dice Egidio Riva, vicepresidente esecutivo dell’AISF (Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica) – perché non ci sono esami clinici che la diagnostichino direttamente, perché sono ancora poche le conoscenze medico scientifiche al riguardo, perché molti medici non sanno come comportarsi di fronte a questi pazienti. Si tratta di un’alterazione del livello di percezione del dolore, e spesso compare dopo un episodio traumatico o un periodo di stress acuto. Molte pazienti non vengono comprese: spesso perdono il lavoro, e talvolta anche il marito».
Anna Maria ha cominciato ad assumere integratori, che le davano più energia. «Intanto ho chiesto e ottenuto la riduzione dell’orario di lavoro: ho cominciato a fare il part time, anche se guadagnavo la metà di prima e, adesso che dovevo pagarmi le cure, i soldi mi servivano. Ma, lentamente, ho raggiunto una forma di equilibrio».
E ha deciso di cominciare ad aiutare gli altri: insieme all’AISF di Milano, ha fondato una sede dell’associazione a Empoli, la sua città, e oggi è referente dei malati.
Insieme organizzano eventi di informazione e lavorano perché venga riconosciuta la possibile cronicità della malattia. In modo da riuscire a essere tutelati sul lavoro e compresi dalla società. «Ho imparato – spiega Anna Maria – che, non potendolo vincere, possiamo convivere con il dolore, senza farci schiacciare, con la fiducia che le situazioni possono cambiare. Non dobbiamo nasconderci dietro la malattia, non dobbiamo arrenderci».
Piercarlo Sarzi Puttini, reumatologo e presidente dell’AISF, spiega: «È una condizione dolorosa cronica, la cui causa è sconosciuta. Tante malattie, reumatiche e non, possono manifestarsi con sintomi del tutto sovrapponibili a quelli della fibromialgia: è fondamentale che i medici conoscano l'esistenza di questa sindrome e la tengano nella dovuta considerazione. Il suo trattamento rappresenta una sfida, sia perché si sa poco delle sue cause, sia per la scarsa risposta clinica alle terapie».
E dice di avere imparato dalla fibromialgia quanto è caro il prezzo che le donne pagano oggi per la loro libertà: «È cambiato il loro ruolo: possono essere persone emancipate, ma per farlo devono sopportare un carico di stress sempre più difficile da gestire».
di Monica Coviello
12 maggio 2016
FONTE: Vanity fair
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