La storia. Ha 68 anni e un sistema immunitario debilitato. L’allarme da un test in Inghilterra: sostanze chimiche combinate con il Dna
Costretta a vivere con una mascherina sul viso, col timore di uno shock anafilattico improvviso. Luigina Dabrazzi ha 68 anni, ma il suo sistema immunitario ha subito un indebolimento così forte che oggi anche solo camminare sul pavimento del Pronto Soccorso, lavato con la candeggina, potrebbe provocarle una reazione allergica letale. La signora, che è nata e cresciuta a Quinzano d’Oglio, è affetta da «Sensibilità Chimica Multipla».
La malattia non è risconosciuta come rara, la Lombardia la classifica come allergia, per cui Luigina non ha diritto ad alcuna esenzione per farmaci e visite.
Per esempio il glutatione, un’antiossidante che serve a rallentare la malattia, la signora lo paga di tasca propria. Così come le mascherine a carboni attivi, che costano 90 euro l’una. E quando ha una crisi, Luigina sa che non può salire su un’ambulanza perché alcune sostanze alle quali è allergica peggiorerebbero la situazione. Per questi pazienti non esiste un presidio ad hoc né un ambulatorio bonificato. E neppure un percorso terapeutico che li tuteli. La signora ha scritto all’azienda ospedaliera di Desenzano, dalla quale dipende Manerbio, ma la risposta è stata secca: «non si evidenzia la necessità di attuare questo percorso», è scritto nella lettera firmata dal direttore sanitario, Annamaria Indelicato.
«Siamo malati di serie zeta», dice Lugina, seduta al tavolo della cucina con la mascherina sempre indosso. Anche la polvere dei caloriferi le crea problemi respiratori, «perciò è costretta a stare al freddo», racconta la figlia, Barbara Mantovani. Lei, che è un chimico, quest’anno ha intenzione di comprare un impianto per sanificare l’acqua nella casa di sua madre, «ma un sistema per filtrare l’aria non ce lo possiamo permettere».
Luigina è convinta che il suo problema sia collegato anche alle condizioni della zona in cui vive, dove parecchie persone hanno patologie tumorali. Nella zona insistono due grosse aziende, una delle quali da 5-6 anni tratta fanghi di derivazione civile e industriale. «A causa dei cattivi odori spesso devo andare via di casa: rossori, dermatiti. Prendo e mi reco al bar di mio figlio», racconta la signora. Che da più di cinquant’anni vive vicino anche ad un’altra fabbrica, un’azienda che produce mangimi lavorando una serie di sostanze minerali, tra i quali il carbonato di calcio. Non è possibile stabilire una correlazione diretta, ma il livello di calcio rinvenuto nei capelli della signora Luigina supera di 7 volte la norma. E non è l’unico parametro preoccupante. La concentrazione di mercurio (3,7 nanogrammi) è quattro volte oltre il limite di legge, il bario supera tre volte il consentito, il nichel è il doppio. Mentre il selenio, elemento indispensabile per gli scambi cellulari, è la metà del livello minimo. Dati che emergono da costose analisi fatte eseguire dalla famiglia in un laboratorio dell’Inghilterra. Analisi a pagamento, come quelle del Dna. Dalle quali si vede che ci sono alcune sostanze chimiche che hanno superato le barriere cellulari e di sono combinate con il Dna. Ad esempio la tartrazina, un sale sodico contente zolfo, usato come colorante artificiale, si è legato al gene MIP-2. Il benzochinone, un derivato del benzene, si è «aggiunto» al gene p53.
Tutte queste sostanze chimiche producono «uno spiccato stress ossidativo», è scritto nella relazione specialistica del professor Giuseppe Genovesi, ricercatore del policlinico Umberto I di Roma che ha diagnosticato la malattia di Luigina. Una patologia che impedisce al suo organismo di eliminare in maniera «naturale» le sostanze tossiche in eccesso. E a leggere la relazione del professor Genovesi, presidente della Società italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia, emerge come la forte esposizione agli inquinanti abbia avuto un ruolo attivo nello sviluppo della «Sensibilità Chimica Multipla». Nel certificato medico è scritto nero su bianco che esiste un «nesso causale tra l’esposizione» ad una serie di sostanze chimiche «e lo sviluppo della patologia».
A preoccupare ulteriormente la famiglia di Luigina è la condizione genetica che la signora presenta. «Se la condizione di mia madre è considerata “molto comune”, allora quanti altri potranno ammalarsi?», si domanda la figlia, Barbara Mantovani. Che ha aiutato diverse persone del quartiere a spedire in Inghilterra gli esami del cuoio capelluto. E quello che emerge dimostra che il caso di Luigina non è isolato. Nel quartiere vive un signore di trent’anni. E in entrambi i casi il mercurio ha superato la barriera cellulare creando delle mutazioni genetiche. I casi sono tanti. C’è anche quello di un adolescente che all’apparenza non presenta problemi di salute, anche se i suoi esami registrano valori anomali: il mercurio è sei volte il limite, il piombo è il 50 per cento in più del valore soglia. Bario e rame superano i parametri. E il livello di calcio, anche in questo caso, è molto alto.
di Matteo Trebeschi
1 gennaio 2014
FONTE: brescia.corriere.it
La malattia non è risconosciuta come rara, la Lombardia la classifica come allergia, per cui Luigina non ha diritto ad alcuna esenzione per farmaci e visite.
Per esempio il glutatione, un’antiossidante che serve a rallentare la malattia, la signora lo paga di tasca propria. Così come le mascherine a carboni attivi, che costano 90 euro l’una. E quando ha una crisi, Luigina sa che non può salire su un’ambulanza perché alcune sostanze alle quali è allergica peggiorerebbero la situazione. Per questi pazienti non esiste un presidio ad hoc né un ambulatorio bonificato. E neppure un percorso terapeutico che li tuteli. La signora ha scritto all’azienda ospedaliera di Desenzano, dalla quale dipende Manerbio, ma la risposta è stata secca: «non si evidenzia la necessità di attuare questo percorso», è scritto nella lettera firmata dal direttore sanitario, Annamaria Indelicato.
«Siamo malati di serie zeta», dice Lugina, seduta al tavolo della cucina con la mascherina sempre indosso. Anche la polvere dei caloriferi le crea problemi respiratori, «perciò è costretta a stare al freddo», racconta la figlia, Barbara Mantovani. Lei, che è un chimico, quest’anno ha intenzione di comprare un impianto per sanificare l’acqua nella casa di sua madre, «ma un sistema per filtrare l’aria non ce lo possiamo permettere».
Luigina è convinta che il suo problema sia collegato anche alle condizioni della zona in cui vive, dove parecchie persone hanno patologie tumorali. Nella zona insistono due grosse aziende, una delle quali da 5-6 anni tratta fanghi di derivazione civile e industriale. «A causa dei cattivi odori spesso devo andare via di casa: rossori, dermatiti. Prendo e mi reco al bar di mio figlio», racconta la signora. Che da più di cinquant’anni vive vicino anche ad un’altra fabbrica, un’azienda che produce mangimi lavorando una serie di sostanze minerali, tra i quali il carbonato di calcio. Non è possibile stabilire una correlazione diretta, ma il livello di calcio rinvenuto nei capelli della signora Luigina supera di 7 volte la norma. E non è l’unico parametro preoccupante. La concentrazione di mercurio (3,7 nanogrammi) è quattro volte oltre il limite di legge, il bario supera tre volte il consentito, il nichel è il doppio. Mentre il selenio, elemento indispensabile per gli scambi cellulari, è la metà del livello minimo. Dati che emergono da costose analisi fatte eseguire dalla famiglia in un laboratorio dell’Inghilterra. Analisi a pagamento, come quelle del Dna. Dalle quali si vede che ci sono alcune sostanze chimiche che hanno superato le barriere cellulari e di sono combinate con il Dna. Ad esempio la tartrazina, un sale sodico contente zolfo, usato come colorante artificiale, si è legato al gene MIP-2. Il benzochinone, un derivato del benzene, si è «aggiunto» al gene p53.
Tutte queste sostanze chimiche producono «uno spiccato stress ossidativo», è scritto nella relazione specialistica del professor Giuseppe Genovesi, ricercatore del policlinico Umberto I di Roma che ha diagnosticato la malattia di Luigina. Una patologia che impedisce al suo organismo di eliminare in maniera «naturale» le sostanze tossiche in eccesso. E a leggere la relazione del professor Genovesi, presidente della Società italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia, emerge come la forte esposizione agli inquinanti abbia avuto un ruolo attivo nello sviluppo della «Sensibilità Chimica Multipla». Nel certificato medico è scritto nero su bianco che esiste un «nesso causale tra l’esposizione» ad una serie di sostanze chimiche «e lo sviluppo della patologia».
A preoccupare ulteriormente la famiglia di Luigina è la condizione genetica che la signora presenta. «Se la condizione di mia madre è considerata “molto comune”, allora quanti altri potranno ammalarsi?», si domanda la figlia, Barbara Mantovani. Che ha aiutato diverse persone del quartiere a spedire in Inghilterra gli esami del cuoio capelluto. E quello che emerge dimostra che il caso di Luigina non è isolato. Nel quartiere vive un signore di trent’anni. E in entrambi i casi il mercurio ha superato la barriera cellulare creando delle mutazioni genetiche. I casi sono tanti. C’è anche quello di un adolescente che all’apparenza non presenta problemi di salute, anche se i suoi esami registrano valori anomali: il mercurio è sei volte il limite, il piombo è il 50 per cento in più del valore soglia. Bario e rame superano i parametri. E il livello di calcio, anche in questo caso, è molto alto.
di Matteo Trebeschi
1 gennaio 2014
FONTE: brescia.corriere.it
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