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venerdì 29 novembre 2013

«Ho 30 anni e vivo nel dolore. Ma per lo Stato non sono malata»

Varese - Il servizio sanitario non riconosce la sua malattia come tale e lei è costretta a vivere con dolori costanti e invalidanti e a pagare di tasca propria tutte le cure che, per quanto non possano risolvere il problema, servono almeno a soffrire meno.

Lei si chiama Claudia Canzani, è una bella e giovane donna di Varese affetta da fibromialgia «una sindrome caratterizzata da dolore muscoscheletrico diffuso e affaticamento cronico che colpisce più di due milioni di italiani» racconta in una lettera in cui sottolinea polemicamente la parola «sindrome».

Perché già da vent’anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce la fibromialgia come «malattia reumatica invalidante, mentre il sistema sanitario italiano continua a declassarla a sindrome e ciò significa che devo farmi carico di tutte le spese mediche, farmaceutiche, riabilitative e psicologiche che mi permettono di sopravvivere alla giornata», racconta.

«Peccato che da quando ho sviluppato la malattia io sia disoccupata, come molti altri fibromialgici, visto che le mie capacità fisiche e intellettive sono limitate», aggiunge raccontando di quanto sia difficile convivere con questo dolore costante che dalla mascella si estende alla cervicale e quindi alle spalle e ai lombi, dando luogo poi a fitte o bruciori più intensi in caso di attività fisica prolungata, stress o dal mantenere a lungo una stessa posizione, ad esempio seduti a una scrivania.

«Ho dolori accompagnati da rigidità diffusa, bruciore, contratture, emicrania, colon irritabile, parestesie, perdite di memoria a breve termine, disturbi del sonno, cambiamenti dell’umore, stati d’ansia e difficoltà di concentrazione».

6 novembre 2013

FONTE: laprovinciadivarese.it 

venerdì 8 novembre 2013

Riconosceteci



Fibromialgia, patologia invalidante: le storie di Chiara e Patrizia

VARESE – Non riuscire ad alzarsi dal letto senza che una mano si tenda per dare un aiuto, salire le scale un passo alla volta ma solo attaccandosi al corrimano, non fare neanche la coda perchè i capelli farebbero male, evitare di spingere il carrello della spesa perchè
«è uno sforzo titanico». No, le parole non sono nostre ma di Claudia Canziani, 30 anni, mamma di un bimbo di un anno e mezzo, che ha scoperto che cosa la limitava così tanto nella vita di tutti i giorni, che cosa le procurava quel dolore fisso e continuo che rende l'esistenza un lungo calvario senza fine: è la fibromialgia a provocare quest'inferno quotidiano spesso scambiato per depressione o stress. Una malattia? Sì, all'estero o in Trentino lo è, mentre nel resto dell'Italia questa patologia, genetica e non autoimmune, che colpisce sopratutto le donne sui 30-40 anni, spesso anche dopo un forte stress non è riconosciuta come tale. E così oltre tre milioni di fibromialgici d'Italia come Claudia non sono riconosciuti come malati: tra loro 300.000 lombardi. Con tutto quanto consegue: visite, cure, fisioterapia che servono per sentire un po' meno quel terribile invalidante dolore sono a carico di ogni paziente. E se Claudia ha scoperto solo pochi mesi fa, grazie al primario della Reumatologia dell'ospedale di Circolo, il dottor Marco Broggini, di essere affetta da questa patologia, c'è Patrizia Marchese, 41 anni, che ha la stessa malattia ma una storia diversa.
Claudia non ha un lavoro, (
«e forse non lo troverò mai»), Patrizia, che soffre di fibromialgia da un anno, già a 30 aveva dei dolori a un'anca che andavano e venivano e non si sapeva che cosa fossero. «Chi non ha un lavoro non lo trova (Patrizia ha un lavoro che l'impegna fisicamente molto, ndr), perchè non può iscriversi come invalido: la fibromialgia non è riconosciuta in Italia, tranne che in Trentino, anche se l'Oms dal 1992 la definisce “malattia cronica invalidante” - dice Patrizia - Eppure non si può immaginare che cosa si prova ad avere un dolore continuo, stressante, che non ti abbandona mai, non lasciandoti dormire neanche di notte».
Claudia lo descrive così:
«Poi d'un tratto il corpo non ce la fa più: all'improvviso mi abbandona, non sono più in grado di camminare, piedi e mani formicolano, la testa mi scoppia e il più piccolo rumore o spiraglio di luce mi distrugge, non riesco a scrivere, a usare il cellulare, ad aprire il tappo di una bottiglia, ad allacciare i bottoni di una maglia o le stringhe delle scarpe». Allora non può fare altro che restare immobile a letto, sperando che le medicine facciano effetto: Claudia come altri milioni di ammalati di questa patologia, causata da un deficit dei neurotrasmettitori che portano il segnale del dolore al cervello. E così il cervello “sente” sempre quel dolore insopprimibile.
Al dolore fisico si aggiunge la frustrazione di non vedersi riconosciuti come malati.
Il messaggio di Claudia e Patrizia:
«Vogliamo dire a tutti i fibromialgici: non nascondetevi, insieme saremo una forza».
E per chi vorrà contattarle: marchesepatrizia7@mail.com

Renata Manzoni

20 ottobre 2013

FONTE: La Prealpina

mercoledì 6 novembre 2013

Fibromialgia e malati fantasma

Egr. Direttore,

mi chiamo Claudia Canziani e sono FIBROMIALGICA. Non mi vergogno a dirlo pubblicamente, ciò di cui mi vergogno è di vivere in un Paese in cui la fibromialgia non viene considerata una malattia, mentre dal 1992 viene considerata come malattia cronica invalidante dall' Organizzazione Mondiale della Sanità.

In Italia sono ancora pochi i medici in grado di diagnosticarla, e l'iter per arrivare alla diagnosi è lungo e complicato. A volte passi per depressa, ipocondriaca, svogliata, ansiosa, stressata. Da qui nasce la vergogna da parte di molti di noi di uscire allo scoperto e di lottare per i nostri diritti. La depressione per molti è conseguenza del dolore cronico che si prova e dell'indifferenza che si crea nei nostri confronti, spesso da parte di personale infermieristico.

Se abitassi in un altro Stato avrei diritto alle cure e ai medicinali per la mia patologia e sopratutto avrei il diritto di potermi definire MALATA. Ma in Italia no, ad eccezione del Trentino.

Dal momento in cui sono comparsi i primi sintomi la mia vita è cambiata totalmente. La quotidianità è cambiata precipitosamente. Convivo tutti i giorni con il dolore, più o meno intenso, ma onnipresente e l'unica cura certa è l'abitudine a conviverci. La mia vita è costellata di limiti e devo evitare stress e sforzi: non riesco ad alzarmi da sola dal letto, a fare le scale senza aggrapparmi saldamente ad una ringhiera, a fare la spesa perchè il carrello è troppo pesante; fare i mestieri di casa poi è per me un'impresa da Titani. Tutto ciò accentuato da una stanchezza cronica dovuta al fatto che non riesco più a dormire in modo continuativo, sempre a causa della fibromialgia.

E poi niente tacchi, niente vestiti attillati perchè aumentano il dolore, niente acconciature ricercate perchè il cuoio capelluto ne risente, niente shopping con le amiche perchè dopo mezz'ora ti senti come se avessi scalato l'Everest. Tutte cose futili è vero... ma che fanno parte della semplice quotidianità che è negata ad un fibromialgico.

Poi d'un tratto il corpo non ce la fa più: all'improvviso mi abbandona, non sono più in grado di camminare, piedi e mani si informicolano, la testa mi scoppia e il più piccolo rumore o spiraglio di luce mi distrugge, non riesco a scrivere, ad usare il cellulare, ad aprire il tappo di una bottiglietta d'acqua, ad allacciare i bottoni di una maglia o le stringhe delle scarpe. Resto immobile a letto sperando che le medicine facciano effetto e con accanto i miei cari che mi aiutano e mi supportano ogni giorno.

Ma ciò che più mi dilania è che non posso vivere appieno mio figlio. Gia normalmente mi limito con lui per fare in modo che i miei dolori non aumentino, ma nei giorni peggiori non riesco neppure a tenerlo in braccio, anche una sua carezza per me diventa fonte di dolore. Mio figlio, un anno e mezzo, la mattina mi porge la sua manina per aiutarmi ad alzarmi dal letto e quando capisce di non farcela cerca di sollevare il materasso guardandomi con quegli occhioni che sembrano dire:
Tranquilla mamma, ci sono qui io, andrà tutto bene”.

Per non parlare dei diritti inesistenti di chi fortunatamente ha un lavoro, o chi come me non lo ha e non lo avrà probabilmente mai. Chi mi assumerebbe? Dovrei avere la fortuna di trovarne uno compatibile con le mie possibilità e poi diciamoci la verità: un datore di lavoro assume o una persona sana o un invalido, non un malato fantasma per lo Stato.

Perchè racconto tutto ciò? Perchè ho il diritto di essere riconosciuta come malata, di potermi permettere le visite e le cure, i medicinali, gli integratori, la fisioterapia che mi servono per sopravvivere alla giornata. Perchè il servizio sanitario nazionale, quello che riconosce come malattia la dipendenza dal gioco d'azzardo, incentivato di recente dallo Stato, non faccia finta che due milioni di fibromialgici italiani non esistano. Perchè da cittadina italiana mi rifiuto di pensare che l'unico modo per essere riconosciuta sia di andare all'estero, o spostare fittiziamente la residenza in Trentino.

Un appello per chi è nella mia stessa situazione: non nascondetevi, agite e prima o poi qualcuno ci ascolterà. “L'unione fa la forza”!

Spero vivamente che pubblicherà la mia testimonianza.

RingraziandoLa anticipatamente porgo,

distinti saluti.

Claudia Canziani


30 settembre 2013

FONTE: varesenews.it
http://www3.varesenews.it/comunita/lettere_al_direttore/articolo.php?id_articolo=272311



Non c'è molto da aggiungere alle parole di Claudia, malata fibromialgica, indirizzate al direttore di Varesenews. Purtroppo descrive molto efficacemente la situazione dei tanti, tanti malati fibromialgici esistenti in tutt'Italia: tanti malati "fantasma" non riconosciuti dal nostro Stato. Potrà mai cambiare questa situazione? Sinceramente.... non lo so! Intanto complimenti a lei e a tutti i malati di questa patologia che fanno sentire la loro voce per la conoscenza e il bene di tutti.

Marco