giovedì 10 maggio 2012

Cinzia e la difficile conquista di una vita indipendente

Affetta da tetraparesi beneficia di un finanziamento per un progetto per vivere in modo autonomo. La incontriamo nella sua casa a Botticino: «La diversità è un valore»

di Maria Zanolli

Il divano è rosso, il suo colore preferito, in pendant con la cucina. La camera da letto è azzurra, il caffè non può mancare nella dispensa, come le merendine e la pasta. Da un mese Cinzia Rossetti vive nella sua casa, un appartamento a piano terra in affitto in un edificio nuovo di Botticino, finalmente.

«La prima notte che ho dormito qui, quando mi sono svegliata, non mi sembrava vero. Pensavo di essere in vacanza». Perché lei, in 40 anni, ha dormito fuori dalla casa di famiglia solo durante le ferie. Cinzia è appena tornata a casa dopo il quotidiano appuntamento con la fisioterapia in piscina. Ha un bel sorriso, un sorriso che ti travolge. Dopo cinque minuti che le parli la sua tetraparesi spastica, una patologia che l'ha colpita alla nascita e non le permette di svolgere in modo autonomo le funzioni essenziali della vita quotidiana, scompare. Anzi no. Bisogna avere un po' di pazienza, entrare nel suo linguaggio, avvicinarsi. Capirlo. Darle fiducia. Cinzia parla con gli occhi, con il corpo, con quella testa che non smette mai di frullare.
«Questo è un sogno che si realizza dopo anni di lotta. Per noi disabili raggiungere la vita indipendente è molto difficile». Se scrivete su google «vita indipendente disabili» c'è molto materiale da cui partire. «Vita indipendente non significa che non abbiamo bisogno di nessuno, ma che noi vogliamo esercitare il medesimo controllo e fare le medesime scelte nella vita di tutti i giorni che i nostri fratelli e sorelle non disabili, vicini ed amici danno per scontato». È il commento del dottor Adolf Ratzka, fondatore dell'associazione internazionale Europe Network for Indipendent Living di Strasburgo, la risposta europea al movimento americano nato negli anni Sessanta all'università di Berkeley in California ad opera di Ed Roberts e di alcuni suoi amici tutti gravemente disabili.
«In Italia - racconta Cinzia - pochissime persone disabili sono riuscite a raggiungere la loro vita indipendente. Per me questa è una grande conquista, anche se non ancora definitiva».
Il sabato e la domenica Cinzia, attualmente, deve tornare nella casa di famiglia perché i finanziamenti che ha, uniti al suo reddito, non le consentono di assumere un'assistente per il week-end. A giugno le scadrà il contratto con una delle cooperative con cui collabora e a settembre quello con l'università, Cinzia è laureata in Scienze dell'educazione e ha svolto master e tirocini per lavorare nel suo settore.

Ora è Elisa, ventisette anni, che la segue a casa durante la settimana. «Cinzia è una tosta. A volte anche troppo. Ma ci stiamo conoscendo e sono molto felice di aver trovato questo lavoro. È una donna in gamba». Il percorso di Cinzia è iniziato molto tempo fa. Fin da bambina, insieme alla sua famiglia, ha cercato una strada per vivere la sua vita da disabile trovando soluzioni concrete che potessero consentirle di raggiungere un'esistenza dignitosa. Da undici anni usufruisce del finanziamento per un progetto di vita indipendente, in base alla legge 162/98. Il suo impegno per «la vita» non sente mai fatica. E come potrebbe? «Sono andata in Regione qualche settimana fa - non molla Cinzia - perché quello che ho ottenuto, seppur tanto, non è ancora abbastanza. So bene che ci sono persone come me che farebbero carte false per essere nella mia situazione. Che spesso non dipende solo da loro la possibilità o meno di ottenere certi risultati. Ma bisogna provarci. Perché è la nostra vita».
Oltre ai fondi assistenziali, di certo importantissimi, oltre al coraggio del singolo, oltre alla volontà e all'energia, il nodo più grosso da sciogliere è la «paura». E quello più difficile la «discriminazione». O pensare che «il problema sia sempre dell'altro». Che «a noi non puo' capitare». Che «dovrebbero accontentarsi di trovare una struttura in cui qualcuno si prenda cura di loro». Che ci sono ancora persone che «coprono il volto dei figli e dicono: non guardare». Guardiamoci un po', invece. Tutti abbiamo le nostre disabilità. La diversità è un valore. Ogni persona è diversa dall'altra. E tutti dovremmo avere «amabilmente» diritto alla vita.

25 aprile 2012

FONTE: brescia.corriere.it
http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_aprile_25/20120425BRE06_07-2004215491938.shtml

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