giovedì 18 giugno 2020

Deborah e i malati senza diagnosi: «Con Covid ancora più invisibili, ma le patologie non sono in quarantena»


Le difficoltà di chi non conosce nemmeno il nome della sua malattia. In tanti hanno dovuto rinunciare a visite, esami e altri trattamenti disponibili solo in pochissimi centri specializzati spesso fuori Regione

Soffrono di una malattia rara di cui non sanno nemmeno il nome poiché presentano condizioni cliniche talmente complesse e rare che sono sconosciute alla stessa comunità medica e scientifica. Sono malati "invisibili", costretti a continui esami, visite, ricoveri in ospedale spesso fuori Regione, alla ricerca di una diagnosi e di possibili cure. Per loro, ai tempi di Covid-19, la situazione è ancora più difficile. Spiega Deborah Capanna, 46 anni, fondatrice e presidente del Comitato “I malati invisibili”: «Il percorso di un malato orfano di diagnosi è devastante, vaghiamo tra specialisti, ambulatori, centri ospedalieri per trovare un nome alla malattia, e quindi avere una cura o quantomeno trattamenti che rallentino il decorso della patologia e ci permettano di avere una qualità di vita accettabile. Ora, con la pandemia, i problemi si sono amplificati: molti di noi hanno dovuto rinunciare a visite, esami e altri trattamenti disponibili solo nei centri specializzati in altre Regioni, a causa delle restrizioni di viaggio o perché gli ospedali hanno annullato le prestazioni non correlate a Covid-19. L’attesa, però, può comportare un peggioramento di malattie che sono croniche ma necessitano di assistenza. Non possiamo attendere oltre».

Assistenza sospesa

Durante l’emergenza da coronavirus sono state sospese tutte le attività ambulatoriali, chirurgiche, riabilitative "non urgenti", comprese le prestazioni già prenotate o da prenotare presso le strutture sanitarie di riferimento per le malattie rare e i pochissimi centri in Italia che si occupano delle patologie rare "senza diagnosi". «Siamo in standby, come se le nostre patologie si potessero mettere in quarantena — sottolinea Capanna —. Io stessa non conosco il nome della mia malattia ma finalmente a fine gennaio, dopo anni di sofferenze, diagnosi sbagliate e terapie errate, l’hanno inquadrata nel gruppo delle collagenopatie ereditarie, presso il centro di riferimento per queste malattie rare dell’Ospedale Sacco di Milano. Ho la mutazione di un gene che hanno pochissime persone al mondo: avrei dovuto approfondire l’aspetto genetico ma poi con Covid si è fermato tutto — continua Capanna —. Anche se non c’è una cura per le collagenopatie congenite, esistono delle strategie per rallentare il decorso della malattia e preservare gli organi. Mi avevano consigliato di iniziare a Genova, dove vivo, una fisioterapia mirata poiché soffro di visceroptosi, una conseguenza rara della malattia rara, ma al momento non è possibile».

L’appello

Oltre alla preoccupazione per il rinvio delle cure, i malati rari senza diagnosi temono di andare incontro a un decorso clinico più grave, rispetto al resto della popolazione, se si ammalano di Covid 19. «Per noi non c’è alcun tipo di tutela — dice la presidente del Comitato “I malati invisibili” —. Per esempio, in Liguria è stata predisposta una scheda utilissima per chi ha una malattia rara diagnosticata, in cui si indica il nome della patologia, i problemi che comporta, le terapie che il paziente sta facendo, i suggerimenti dello specialista di riferimento che può essere contattato dall’ospedale nel caso il malato raro vada al Pronto soccorso per il coronavirus. Per i malati senza diagnosi, invece, non è possibile compilare questa scheda poiché non sanno nemmeno qual è il nome della patologia. Per la fase 2 abbiamo ancor più bisogno della solidarietà e del buon senso delle persone — conclude Capanna —. La nostra speranza è che rispettino le regole di sicurezza per aiutare anche noi ad avere quel minimo di assistenza sanitaria che in questo momento ci viene negata».


di Maria Giovanna Faiella

31 maggio 2020

FONTE: Corriere della Sera

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