L’uomo vive isolato in un casolare. Gli è stata riscontrata una malattia rara la EHS, dovuta alle onde elettromagnetiche che affligge 170mila persone in Italia
di Gianfranco Gallo
VENOSA - «Una vita spericolata» ma non voluta, quella di Savino Tampanella di Venosa. Uno dei 170mila elettrosensibili in Italia. Tutti hanno certificazioni prodotte all'estero dove si fanno esami genetici particolari per scoprire quella sorta di allergia alle onde dei cellulari e di altri apparati come i radar. In Italia l'unico reparto che si occupava del tema all'Umberto I° di Roma è stato chiuso in seguito alla morte del primario che ha sostenuto i «malati» di questa patologia.
Savino è l'unico ad aver avuto la certificazione che riconosce la sua condizione di elettrosensibile da una una regione: la Basilicata. La sua vita è un inferno, come lui stesso la definisce, non trova un lavoro adeguato e deve vivere lontano dalle fonti d'inquinamento, pena uno stato fisico e mentale di malessere perenne. Un gruppo che si occupa, e battaglia, del tema «elettrosmog» in particolare avverso al nuovo «5G», il GeCo lucano, genitori consapevoli, in occasione della giornata contro il 5G di sabato scorso ha trascorso con lui una giornata dal duplice significato: di solidarietà e di verifica delle sue condizioni. Sabato scorso è iniziato con un gazebo in piazza a Venosa per sensibilizzare i cittadini sul tema e per dare voce a Savino che vive e ha vissuto anche una condizione di marginalità per la sua patologia a volte scambiata per «fissazione» o giù di lì. Per poter vivere con minori disagi Savino sta realizzando una sua abitazione particolare. Un prefabbricato coibentato con delle lastre di piombo e ha addirittura le porte e le finestre colorate con una particolare e costosa vernice riflettente le onde elettromagnetiche. Ha vissuto un po’ ovunque Savino, dopo che è diventato sensibile all'aria che trasmette le onde dei cellulari, dei radar e degli altri apparati.
Ha dovuto lasciare il lavoro, cercare riparo in luoghi dove le onde elettromagnetiche non arrivano o sono deboli, dormendo addirittura per molto tempo in auto. A casa dei suoi genitori è dotato di una tenda riflettente in una stanza coibentata per alleviare la sua situazione. Ora Savino avrebbe bisogno di un lavoro per sopravvivere visto che la sua condizione di invalidità non gli viene riconosciuta completamente. Pur se laureato con diverse esperienze lavorative di buon livello e professionalità, ritiene che per lui sarebbe adeguato anche un lavoro di consegna a domicilio, in modo da essere sottoposto al WiFi degli uffici per brevi momenti. Purtroppo le onde arrivano un po ovunque ma stando in giro per strada sarebbe sottoposto per meno tempo e a onde meno forti. Girerebbe col suo inseparabile attrezzo che misura i decibel delle onde. Lui sente addirittura se i telefonini sono accesi o i radar militari della vicina Puglia sono in attività, quelli che si usano nei casi di allerta massima. In tutto questo l'attuale politica cittadina di Venosa si è mostrata poco sensibile. Infatti oltre a una consigliera e pochi altri nessuno, anche chi rivendica azioni a favore di Savino, ha dato il suo apporto durante la manifestazione.
QUI VENOSA, OSTAGGIO DELLA TELEMATICA
di Massimo Brancati
Costretto a rintanarsi in una casetta di legno, con mura di piombo che fanno da schermo, lontano dal centro abitato. Eremita non per scelta, prigioniero della tecnologia, ostaggio di un mondo che corre, viaggia sulle autostrade telematiche.
Di un mondo che accorcia le distanze geografiche, comunica immagini e suoni in real time, sempre più dipendente del download veloce, immediato, onnipresente. Per Savino, poco più che trentenne, il tempo si è fermato. Abita nell'estrema periferia del suo paese, Venosa (Potenza), e quando si muove deve assicurarsi che sul suo cammino non ci siano fonti di onde elettromagnetiche. Per intenderci, niente wi-fi, telefonini, radio, tv e tutto ciò che ruota attorno all'elettronica. Nel 2013 si è visto riconoscere dalla Regione Basilicata lo status di «elettrosensibile», patologia rara che dà diritto all'esenzione dal ticket e ad altre prestazioni gratuite. Sai che consolazione. Savino vorrebbe tanto uscire dalla sua campana di vetro, ma la scienza non è ancora approdata ad un antidoto che gli consenta di lavorare in un ufficio o in qualunque fabbrica dove non c'è mansione che si smarchi da apparecchiature elettroniche. Al danno si aggiunge la beffa: l'elettrosensibilità è riconosciuta come malattia invalidante. Il datore di lavoro, dunque, è obbligato per legge ad affidare al dipendente mansioni adeguate alla sua condizione, ma non esiste una «zona franca». Basta un monitor, una radio, un'antenna e si scatena la reazione. Dolorosa, insostenibile. Dalla cefalea alle vertigini, dal rossore cutaneo alla tachicardia, dalla nausea alle vertigini. Un veleno, insomma.
Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) sono quasi 170mila gli italiani che soffrono di questa forma di allergia nei confronti di oggetti che fanno parte della nostra quotidianità, ma che per gli elettrosensibili si trasformano in un nemico da evitare ad ogni costo. La stessa Oms, però, non riconosce il nesso di causalità con l'esposizione ai campi elettromagnetici. In sostanza, si tratta di una malattia che non è stata inserita nei cosiddetti codici Icd (International Classification of Diseases), pertanto le strutture mediche non hanno gli strumenti per fornire una prognosi, una diagnosi e una terapia. Cosa significa? L'elettrosensibilità è confinata nell'ambito della psicopatologia. Lo conferma alla Gazzetta il prof. Paolo Vecchia, oggi in pensione, già presidente dell'Icnpir (International Commission on Non Ionizing Radiation Protection) e capo della sezione per le Radiazioni non Ionizzanti dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) di Roma. “Sono stati condotti degli esperimenti su questi soggetti – sottolinea lo scienziato - mettendoli davanti a una sorgente elettromagnetica senza dire quando è accesa e quando è spenta. I risultati ci dicono che non sono in grado di riconoscere lo stato di on e off. Dichiarano di sentirsi male quando si dice loro che c’è un campo elettromagnetico e di non avere disturbi se li si avverte che è tutto spento. In realtà le onde ci sono sempre state”. Ecco perché si parla di effetto «Nocebo», sul modello del «Placebo», acqua e zucchero al malato che crede di sentirsi meglio grazie alla medicina. Agli elettrosensibili non resta che sperare che la scienza individui una cura, una contromisura che li liberi dall'auto-prigionia. Quant'anche fosse una fobia legata alla psiche, si trovi una soluzione che non sia quella utopistica dello spegnimento di tutti i ripetitori, antennoni, televisori e cellulari. Savino la invoca da tempo girando con il suo inseparabile compagno di vita, un piccolo apparecchio che misura i decibel delle onde e che lo mette al riparo da incontri ravvicinati. Ma ne potrebbe fare a meno. Lui sente se i telefonini sono accesi a distanza di diversi metri e avverte addirittura l'attività dei radar militari della vicina Puglia. Nel suo rifugio - all'interno di campagne venosine incontaminate, techno-free - si sente al sicuro. In fondo è un «privilegiato» rispetto a un qualsiasi compagno di sventura che abita in una grande città moderna, tecnologica, al passo con i tempi, videosorvegliata e cablata. Una volta tanto l'atavica arretratezza dell'entroterra lucano rappresenta un vantaggio. E l'inascoltato appello di Zanardelli sull'isolamento della Basilicata rurale diventa una lungimirante visione del futuro, se è vero che il popolo degli elettrosensibili cresce di anno in anno.
19 giugno 2019
FONTE: La Gazzetta del Mezzogiorno
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